I DISPERSI DEL
Lady be good
Già dal titolo sembrerebbe un argomento
poco attinente alla guerra, e con quel "Lady"
farebbe pensare più a un veliero, un brigantino, dei mari che al deserto. Si tratta
invece di due storie, raccontate qui per sommi capi, di aerei ( uno
Italiano e uno Americano) dispersi nel deserto. Gli equipaggi,
nonostante gli sforzi, non si sono salvati e di loro si son trovate
tracce solo 20 anni dopo, quando la Libia divenne un immenso e
trafficato campo petrolifero. L’uomo che si perde nel deserto, che è
preda della natura arida è già stato raccontato in decine di libri e
film. Un film famoso
“Il volo dell’Araba Fenice”,
con protagonista quello che era un vero pilota d’aerei, James Stewart
vede tutti salvi e felici dopo un colpo di scena. Nel deserto si può
morire di tante altre cose, non ultimo l’annegamento e l’imprudenza.
Quello che per noi è un mondo inospitale è la casa di milioni di
persone, che vivono sulle leggi della natura adeguando la propria di
vita. Il deserto è ed era percorso da carovane, da piste, da
strade tracciate passando per pozzi e oasi. Si potrebbe dire che
nel deserto c’era più traffico di quanto non si pensi e ce n’era
sicuramente tanto all’epoca della Seconda Guerra Mondiale quando il
teatro venne scelto per lo scontro fra due concezioni del mondo. La
prudenza, la pazienza e l’esperienza difettava nei nostri equipaggi e
il risultato non poteva che essere tragico.
Sul far della sera del 21 aprile 1941, il Savoia S79, aerosilurante della 278a squadriglia, era decollato da Bengasi per una missione nei cieli di Creta che stava per essere invasa (operazione in codice "Merkur"un mese dopo). Si viaggia a radio spenta, per evitare radiointercettazioni: l’unico ausilio è la Bussola e le stelle, ma era una sera coperta e si faticava anche a vedere il brillio del mare (mare mosso, foschia, nubi basse). Il rientro, in tali difficili condizioni meteo, poteva contare ora solo sulla radio. In volo non sai quanti chilometri fai, puoi desumerlo dalla velocità ma poi ci si mette il vento in coda, contro o laterale e provate un po’ voi a rifare i calcoli. Quando accesero la radio, ritenendo di essere fuori della portata dei caccia inglesi, questa non funzionava e da terra non si poteva più aiutarli col radiofaro che faceva il punto. Spirava un forte vento da Nord Ovest che li aveva gia deviati a sud ovest. Convinti di trovarsi ancora sul mare virarono a sud puntando sulla terraferma. Erano già sulla terraferma a est di Bengasi, che non scorgevano anche per il coprifuoco, e si inoltrarono nel buio della notte nel deserto. Ci fosse stata anche battaglia, i lampi li avrebbero insospettiti, ma quella era una sera calma, coprifuoco e fanali oscurati. Al segnale di riserva (del carburante) il comandante estrasse il carrello, e si preparò a scendere ormai conscio d’essere si sulla terraferma ma in chissà quale posizione. L’aereo scese su una zona di dune, con un atterraggio pesante che deformò cabina, eliche, motori (staccati) e carrello. Il Comandante Cimolini era morto probabilmente sul colpo, altri due sopravvissero a fianco dell’aeromobile per diversi giorni, sicuramente impossibilitati a muoversi. Il sergente Giovanni Romanini di Parma, mitragliere di coda, che aveva avuto la meglio, si preparò ad affrontare una marcia di sopravvivenza nel deserto. Che si dovesse andare a Nord, era assodato: ma di quanto ?. La zona di dune in cui erano finiti era uno dei Grandi Erg che costeggiavano la pista Giarabub-Gialo (Giarabub era caduta in Marzo, ma era la pista che costeggiava l’Erg !! non viceversa). L’aereo si trovava a 500 Km da Bengasi e almeno 100 km all’interno dell’Erg (in linea retta). Gli unici che si avventuravano fin qui erano gli uomini del Long Range Desert Group, per piste secondarie, che operavano agguati da sud e da Siwa quando Giarabub era ancora nostra. Il loro percorso era disseminato di rifornimenti (benzina, acqua cibo) neanche tanto celati e a fianco di uno di questi passò il sergente Romanini senza accorgersene. La sua marcia si protrasse per 92 Kilometri (forse di più per le deviazioni) e terminò a 8 kilometri dalla salvezza. In quanti giorni non è dato sapere. Il 21 luglio 1960 il geologo Gianluca Desio figlio di Ardito (lavorava per l’Agip) rinveniva il suo corpo semi mummificato, la pistola lanciarazzi (forse usata all’ultimo momento quando vide o sentì il rombo di motori), e due orologi al polso. Si pensa a quello di un compagno, la cui resistenza si era spezzata prima. Nelle vicinanze (misura desertica) c’era anche un altro aereo, inglese, e più a sud il o la “Lady Be Good”. Tutti i caduti italiani sono al Sacrario di Bari.
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Théodore Monod "Ecco, avanza il crepuscolo; il vecchio nemico si tuffa finalmente nelle brume violette dell'occidente. Ecco l'ora benedetta fra tutte, nel deserto. Il tramonto, ancora tutto colorato di rosa e d'oro, si stempera già sotto il velo dell'oscurità che si opacizza."
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A destra: from the left: 1st Lt. W.J. Hatton, Pilot; 2d Lt. R.F. Toner, Copilot; 2d Lt. D.P. Hays, Navigator; 2d Lt. J.S. Woravka, Bombardier; T/Sgt. H.J. Ripslinger, Engineer; T/Sgt. R.E. LaMotte, Radio Operator; S/Sgt. G.E. Shelly, Gunner; S/Sgt. V.L. Moore, Gunner; and S/Sgt. S.E. Adams, Gunner. |
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Il pomeriggio del 4 aprile 1943 (domenica) il Consolidated B 24 (quadrimotore Liberator del 514° squadrone, 376° gruppo bombardieri) con altri 25 si alzava in volo da Soluch (Cirenaica) per bombardare Napoli. L’arrivo su Napoli era previsto al tramonto e il ritorno di notte, fuori da possibili agguati di caccia tedeschi di stanza in Sicilia. 106 B17 avevano già scaricato al mattino (provenienza Algeri) 191 tonnellate di bombe. Obiettivi il Porto, l'aeroporto e la Ferrovia. Ora i Liberator, con i soccorsi al lavoro fra le macerie, avrebbero assestato il colpo finale. Bilancio finale oltre 600 fra morti e feriti. 11 Liberator a varie tappe del percorso avevano invertito la marcia per noie, compreso il “Lady be good” fra gli ultimi. Si scaricavano le bombe in mare, onde evitare atterraggi esplosivi, e si puntava sul più vicino aeroporto a scanso d'equivoci. Silenzio radio come sempre gradito. A mezzanotte, quando anche gli ultimi della missione erano rientrati, Il giovane e inesperto equipaggio chiese alla torre di controllo la verifica della posizione tramite radiofaro. Con un solo Radio Faro funzionante l’unica certezza era l’angolo di rotta col Polo. Ma che fosse davanti o dietro la pista era aleatorio: “Scendete pure Rotta Nord-Nord Ovest, 330 gradi” si sentirono rispondere. L’aereo scese impostando la rotta, ma anziché sul mare, era anche lui già sulla terraferma esattamente dalla parte opposta a Sud-Sud-Est. Come l'italiano aveva deviato per vento in coda, ma aveva anche problemi meccanici (mancanza di filtri sui carburatori) ed era ora a corto di carburante. L’equipaggio non aspettò di trovarsi in difficoltà e nel buio della notte si lanciò dall'aereo. (vedi Diario a fianco)....... Il gruppo dopo 8 giorni aveva percorso oltre 60 miglia, circa 105 Km. I tre che si erano separati ne fecero altri 32 (di Km), di questi uno, il sergente Shelley arrivò a 150 (+ altri 12). Gli esperti giudicano 50 km nel deserto già un miracolo. Quando nel dopoguerra (1958,) il velivolo venne rintracciato, adottarono per le ricerche questo criterio allargandosi a raggio. Prima 50 poi 100 Km, con risultati nulli. Il loro aereo, non l'abbiamo ancora detto, era “planato” in buono stato con acqua viveri e radio in una piatta e agibile striscia all’interno di un Erg (grande come la Sicilia), a 500 km circa da Benina. L’aereo, dalla torre di controllo, era stato dato per disperso in mare, forse anche l’equipaggio lo credeva quando si lanciò, poiché mancavano le cinture di salvataggio (dette Mae West, dal gonfiore che facevano) e la zattera pneumatica. Quanto è stato recuperato è al Museo di Dayton in Ohio. La “Lady” è la dove è caduta come l’S79. IL VOLO DELL'ARABA FENICE |
Lady
be good
(nome tratto da una opera di Gershwin poi Musical famoso negli anni 40. Era consuetudine nell’Air Force dare all’aereo un nome o un riferimento femminile) Dal diario del copilota Lt. R.F. Toner: |
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