VIA DA LERO Il diario di Alfredo Roma Diario pubblicato su Storia Militare Alfredo Roma (Triestino), già marinaio (“classe 1922”) imbarcato su Mas e motosiluranti della Regia-Marina durante il secondo conflitto mondiale racconta le giornate che vanno dall'8 settembre al 16 novembre '43 a Lero E LA STORIA DEL MAS 522 (di A. Martelli)
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[Alfredo Roma] ... Nel settembre 1943 mi trovavo a
Rodi, imbarcato sulla MS 15 (motosilurante) in qualità di nocchiere
timoniere. Quando Rodi si arrese, raggiungemmo l’isola di Castelrosso e,
dopo una sosta di ventiquattro ore, imbarcata una trentina di commandos
inglesi, il 13 settembre dirigemmo per Lero. Qui, il 26 successivo, ebbe
inizio la vera battaglia per la conquista dell’isola. Mi trovavo a bordo
della 15 assieme all’ “r.t.” [ radiotelegrafista], quando una formazione
di 25 Stuka tedeschi comparve improvvisamente sulla baia di Portolago.
Non ci fu nemmeno il tempo di dare l’allarme che già fischiavano le
bombe; entrai in timoneria per rifugiarmi e per avvertire il collega, ma
proprio in quel momento una bomba cadde sopra a una bettolina carica di
carbone alla quale era affiancata la nostra unità e l’esplosione riversò
sulla motosilurante una massa di carbone che, tra l’altro, strappò via
l’antenna della radio. Saltammo fuori, correndo verso un piccolo rifugio
non lontano dal nostro posto di ormeggio. La seconda ondata di velivoli
scese ancora più a bassa quota. In rada si trovavano i
cacciatorpediniere lntrepid, inglese, e Queen Olga, greco, che vennero
colpiti entrambi. Anche il MAS 534 fu affondato e la Caserma
sommergibili, in località San Giorgio, fu gravemente danneggiata. I
risultati del bombardamento furono catastrofici: 300 morti tra italiani,
inglesi e greci. La battaglia per Lero durò 52 giorni ma io mi limiterò
alla sorte della MS 15 e alle ultime ore prima della resa dell’isola.
Il principale compito assegnato alla motosilurante era quello della vigilanza notturna, al largo, in funzione antisbarco; di giorno, rimaneva invece ormeggiata, con l’equipaggio al riparo nei rifugi antiaerei. All’alba del 25 ottobre, mentre si rientrava all’ormeggio dalla solita infruttuosa missione notturna, ci fu appena il tempo di saltare in banchina prima che la MS 15 venisse colpita in pieno da una bomba, all’altezza della plancia. Il caso volle che la ruota del timone fosse scagliata davanti al rifugio, a molti metri di distanza; uno dei motoristi, uscito allo scoperto, la raccolse e mi chiamò. “Tieni - mi disse - penso che spetti a te di diritto...”. Sulle prime non mi avvidi di quanto era successo, ma poi riconobbi la ruota e la depositai nel rifugio. Andai fuori e, avvicinatomi alla banchina, osservai la motosilurante che [in fiamme] lentamente affondava. L’avevo vista nascere a Monfalcone, un anno e sette mesi prima, avevo navigato con lei tutto quel tempo, affidandole la mia vita; era stata la mia casa e ora mi toccava di vederla morire così, a [ero, come una barcaccia qualunque... E, per di più, in fondo al mare adesso si trovavano anche tutte le nostre cose: ero rimasto con la tuta e il maglione che indossavo. Dopo pochi giorni, tutti quelli già della 15 imbarcarono sul MAS 523 il cui equipaggio, si disse, aveva dato segni di indisciplina ed era stato destinato a terra, nelle varie batterie, Il comando della squadriglia era affidato al tenente di vascello [Aldo] Baldini sul MAS 521. |
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da
http://www.regiamarina.net/arsenals/ships_it/mas_vas_ms/mas_vas_ms_it.htm
Lero base degli incursori http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/borghese.htm |
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ll 12 novembre i tedeschi lanciarono dei paracadutisti e, sbarcate altre truppe, iniziarono ad avanzare: molti ufficiali caddero prigionieri e la loro sorte fu di finire davanti al plotone di esecuzione. Il 16 la ‘zona’ di San Giorgio ricevette l’ordine di arrendersi; l’ufficiale più alto in grado radunò tutti i marinai nel piazzale di ciò che rimaneva della caserma per spiegare la situazione: bisognava arrendersi, però chiunque avrebbe potuto cercare di mettersi in salvo “con i propri mezzi’, se lo riteneva opportuno. Ciò, in pratica, significava che noi dei Mas avremmo potuto tentare la fuga mentre quelli di terra - circa 250 ufficiali, sottufficiali e marinai - non avevano altra scelta che darsi prigionieri. I Mas erano tre, più qualche motopeschereccio requisito e alcune imbarcazioni a motore: tutte piccole unità che non bastavano certamente per tutti. [a situazione, com'era prevedibile, degenerò rapidamente. Cadere prigionieri dei tedeschi era una prospettiva che atterriva: poteva significare la fucilazione immediata. Anche per noi imbarcati le prospettive non erano delle più allegre: si poteva anche tentare la fuga, ma le incognite erano molte. Prima di tutto era anche possibile che, non appena ci fossimo staccati dalla banchina, quelli rimasti a terra, in preda alla disperazione, cominciassero a sparare... Poi correva voce che i tedeschi avevano già occupato le batterie poste all’ingresso della baia e, anche se tutto fosse andato bene, la fuga significava la certezza dell’internamento in Turchia... Comunque decidemmo di tentare la sorte appena se ne fosse presentata la possibilità. L’occasione arrivò la sera stessa, sotto forma di alcuni “bengala” tedeschi: la maggior parte dei marinai corse verso i rifugi e noi ne approfittammo per mollare gli ormeggi. Quando da terra ci si accorse della manovra, scoppiò un parapiglia e la gente si buttò sulle imbarcazioni come disperata. Molti riuscirono a salire a bordo, ma i più rimasero a terra. Quando il 523 riuscì infine a staccarsi dalla banchina manovrando con i motori ausiliari], la coperta era ingombra di persone sedute e distese nella più grande confusione; ben dieci marinai erano riusciti a sistemarsi nel minuscolo locale poppiero... A mano a mano che ci si avvicinava all’uscita della baia la tensione cresceva. Poi, davanti alle ostruzioni, mentre numerosi bengala illuminavano la zona, il comandante [s.t.v. L. Araccil ordinò di avviare i motori principali che però non partirono. Ci sentimmo perduti, ma poco dopo i motoristi riuscirono mettere in moto i nostri due grossi ‘Asso e la velocità del Mas aumentò subito sensibilmente. Fummo fatti segno ad alcuni colpi, che per fortuna andarono a vuoto, e in breve ci trovammo in mare aperto. La notte era buia e sembrava fatta apposta per proteggere la nostra fuga 1.1 A bordo eravamo in una cinquantina e, per alleggerire il carico, dovemmo gettare in mare i due siluri e le bombe di profondità. Dopo un bel pò riuscimmo ad entrare in contatto radio con il MAS 521; non appena le due unità furono a portata di voce, il nostro comandante, al megafono, chiese quali intenzioni avesse il Capo squadriglia... Gli rispose un secondo capo, informandolo che il comandante non era a bordo: era stato infatti chiamato alcune ore prima dall’ammiraglio Mascherpa e non aveva più fatto ritorno. Ritenendo che fosse stato preso prigioniero, l’equipaggio aveva deciso di partire senza di lui, visto che gli altri Mas avevano già preso il mare. In effetti, sia il comandante Baldini sia l’ammiraglio erano stati catturati dai tedeschi, ma questo l’ho saputo solo molto tempo dopo. Il nostro comandante ordinò quindi al 521 di seguirci e dirigemmo verso la costa turca. Giunti ancora a buio nelle vicinanze del porto di Skalanova, ci fermammo ad attendere l’alba: lo spettacolo della città illuminata, per quanto bellissimo, feriva gli occhi dopo anni di oscuramento... All’alba, assieme ai MAS 521 e 545, che ci aveva nel frattempo raggiunti, entrammo in porto I...]. Alfredo Roma
IL MAS 522 DA "UNA SIGARETTA SOTTO IL TEMPORALE" DI A. MARTELLI
In quel tempo il comando marina di Sira (Siros),
nelle Cicladi settentrionali, si arrese e passò ai tedeschi, così pure
il Mas 522 con il suo equipaggio comandato dal sottotenente Carlo Beghi.
L’episodio che mi accingo a narrare è ormai lontano dai nostri giorni e
molti dei protagonisti non sono più tra i vivi. Esso fu uno fra i più
eclatanti e da solo può farci comprendere, se non giustificare, il
perché i rapporti con gli inglesi, dopo l’armistizio, furono sempre
improntati al sospetto, alla diffidenza ed alla sfiducia nei confronti
dei nostri comandi e delle nostre truppe operanti. un'altra fuga da Lero: Francesco Laganà http://www.storiain.net/arret/num96/artic4.asp |