Il diario di Sergio Quaglino
Dal libro "Con il 4° bersaglieri nella seconda guerra mondiale"
Per conoscere quanto riguarda il 4° rgt. ci riferiremo al racconto di Sergio Quaglino. allora ufficiale subalterno del 4° rgt.. nel suo libro “Con il 4° bersaglieri nella seconda guerra mondiale” come riportato da Elio Ricciardi in “I Bersaglieri in Dalmazia…” Ed. Anvgd. Gorizia
Alla notizia dell’armistizio il 4° rgt. domandò disposizioni ai comandi
superiori, ma per la gravità delle circostanze. anch‘essi si trovavano nella più incompleta incertezza, per cui da essi non giunsero che
disposizioni vaghe, contraddittorie, sconcertanti: resistere ai tedeschi.
non resistere, regolarsi secondo le circostanze, accordarsi coi partigiani,
tenersi a distanza dai partigiani... arrangiarsi !!!
Intorno a noi brulicavano intanto i partigiani, saltati fuori da ogni dove in
numero straordinario: uomini, donne, ragazze, anche fanciulli colonne con
bandiere in fila sulla rotabile, falò accesi sulle creste delle colline
circostanti.... Che fare? .
A Spalato era incominciato il saccheggio dei magazzini militari italiani:
vettovaglie, equipaggiamenti, armamenti, ecc. si disperdevano, si sciupavano,
diventavano oggetto di mercato. Cominciavano a circolare civili con indosso
indumenti militari provenienti dai nostri magazzini, ragazze con divise da
ufficiali con tanto di cinturone e stivali... . Al nostro Comando di Divisione,
accanto al carabiniere di servizio di sentinella, faceva contrasto un partigiano
con tanto di stella rossa sul copricapo.. E intanto si continua a scrivere a
casa, imbucando le lettere alla Posta Militare, non immaginando che solo
qualcuna giungerà poi a destinazione e soltanto nell‘ottobre del 1945!.... Il
giorno seguente gli eventi precipitano.
Reparti tedeschi si stanno avvicinando provenendo dall‘interno ed intendono
arrivare alla costa. Bisogna fermarli, dicono i partigiani, fermarli a qualunque
costo.
Comincia così sin dal mattino la marcia dei civili contro i tedeschi. Uomini,
donne, ragazzi con fucili di ogni qualità, con motociclette nostre, con
autovetture nostre, i nostri carri annali leggeri, a piedi, isolati o in gruppo,
si incamminano verso Clissa e oltre. E ci chiamano con loro, vogliono che si
combatta ancora anche se non attaccati, vogliono tutte le nostre armi. Arrivano
nel frattempo nuclei di nostri soldati, sopraffatti, disarmati, senza più
niente; colonne di altri militari si mettono in marcia verso Spalato nella vana
speranza di potersi imbarcare; il macellaio di Salona si presenta al nostro
comando per affermare che ora è lui il comandante della piazza, che gli
occorrono armi, che gli occorrono i nostri soldati I... I.
A mezzogiorno si decide di raggiungere Spalato attraverso i campi e di
congiungerci con gli altri reparti della Divisione. Del XXVI del XXIX
battaglione, della compagnia motociclisti non sappiamo nulla. Ci si incammina .
Da Salona a Spalato ci sono appena 6 chilometri di strada, ma in quei pochi
chilometri si concretò effettivamente il dissolvimento materiale del comando e
dei reparti dei 4° Bersaglieri che si trovavano dislocati a Salona. Era nostra
intenzione raggiungere Spalato fuori della rotabile, ma ormai era troppo tardi.
Già appena fuori dell‘abitato non si incontrava che gruppi di partigiani armati,
che minacciosamente ci sospingevano verso la strada principale.
Che fare? Aprirsi il passaggio con la forza? Ma che scopo versare altro sangue
ancora, se oramai eravamo in regime armistiziale ed i partigiani si professavano
ora nostri alleati? Nella confusione, nello smarrimento, nello sbandamento
generale delle coscienze alcuni si videro circondati e disarmati; poi altri ed
altri ancora: in breve, prima ancora di giungere alla rotabile, eravamo
diventati una colonna di individui che quegli avvenimenti così imprevisti, così
brutali, sospingevano ora verso un destino quanto mai triste e per molti anche
tragico.
E così, mentre partigiani in sempre maggior numero continuavano a dirigersi con
ogni mezzo verso la linea, chiamiamola così, del fronte contro i tedeschi, altri
costituivano numerosi posti di blocco per togliere ai nostri soldati, che dal
retroterra scendevano alla costa, quanto di equipaggiamento militare ancora
avevano al seguito, e, cogliendo naturalmente l’occasione per estendere questa
iniziativa di prelevamento a tutto quanto faceva loro gola, facevano pure man
bassa di quanto era ancora rimasto di biancheria personale, penne stilografiche,
portafogli, ecc. I...].
Ed eccoci a Spalato. Qui ormai è il caos. Qui bisogna arrangiarsi nel vero senso
della parola: inutile pensare a rifornimenti di vettovaglie, a ordini precisi, a
disposizioni chiarificatrici. Ogni reparto, ogni gruppo di amici si aggiusta da
sé, alla meglio con quello che ha o che riesce a trovare. Il comando di
reggimento, la compagnia comando reggimentale e la parte restante del XXXI btg.
si accampano a Firule, alla periferia di Spalato, mentre una parte dei militari
preferisce rintanarsi invece nelle grotte naturali, lungo la spiaggia, per
timore, giustificato, di eventuali attacchi aerei.
- Successivamente arrivò dall’interno anche il XXIX btg., nelle stesse condizioni morali e materiali degli altri reparti. Per quanto riguarda gli avvenimenti relativi a quest’ultimo btg., precedenti al ricongiungimento con il resto del rgt., seguiremo il racconto dell’allora Ten. Angelo Romani riportati nel libro predetto: I... I Salona (croato: Solin) è un comune della Dalmazia, in Croazia. in inglese http://w3.mrki.info/split/solin.html Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Salona" |
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Salona romana fu la capitale della regione della Dalmazia (Illiria); qui nacque l'imperatore Diocleziano, che quando si ritirò nel 305 si trasferì in un palazzo nei pressi di Salona. Salona fu poi la sede dei magistri militum Marcellino e Giulio Nepote; quest'ultimo vi ritornò dopo essere stato deposto dal soglio imperiale nel 475 da Oreste, e qui morì nel 480, forse per opera del vescovo di Salona, quel Glicerio che era stato imperatore prima di lui ed era stato obbligato a prendere i voti. Nel VII secolo Salona fu distrutta da un attacco degli Avari: i superstiti si trasferirono a Spalatum, il villaggio fortificato che era sorto attorno al palazzo di Diocleziano, che divenne poi la città di Spalato. |
vedute della Croazia meridionale http://www.istrianet.org/istria/archives/photos/photochrom/dalmatia.htm |
La sera dell ‘8 settembre 1943 ci giunse come una
mazzata in testa la notizia dell‘armistizio. In quel momento la situazione era
la seguente:- il comando di battaglione, il plotone mortai da 81, la 5”
compagnia, la 7” compagnia, metà dell ‘8” compagnia mitraglieri: nel caposaldo
di Pergomet; - la 6” compagnia, al comando del capitano Mortara: dislocata ad
una dozzina di chilometri verso Perkovic, in servizio di protezione alla strada
ferrata; - 2 plotoni dell ‘8” compagnia, coi sottotenenti Maschio e Corbelli
staccati a rinforzare il presidio di Perkovic, tenuto da reparti di cavalleria
appiedata.
Passammo la notte in allarme, mentre con la radio si cercava, ma inutilmente, di
collegarci coi superiori comandi di Spaiato per avere ordini o comunque sapere
come dovevamo comportarci. Al mattino il tenente Cuttica con un plotone dell ‘8”
compagnia si spinse verso Perkovic lungo la ferrovia, a scopo di ricognizione e
anche per cercare di prendere contatto col capitano Mortara. Ma prima di poter
raggiungere la 6” compagnia trovò i binari ostruiti con alcuni grossi massi
fatti rotolare dalle pendici di uno dei tanti “bricchi” che costeggiavano la
strada ferrata; e dall’alto di uno di questi un gruppetto di partigiani prese
collegamento a voce con lui, invitando il nostro comando a inviare parlamentari
in una località vicino a Pergomet.
Rientrato il tenente Cuttica, il comandante del battaglione maggiore Borrelli,
dopo aver tenuto un brevissimo rapporto ufficiali, decise di accettare l’invito
del comando partigiano e rischiando di persona, di recarsi egli stesso
all‘appuntamento. Fu quella un ‘ora veramente drammatica, ma tutto si svolse
senza incidenti. i partigiani chiesero la consegna delle armi, cosa che
naturalmente venne decisamente rifiutata, giungendo ad una specie di
compromesso, nel senso che il maggiore Borrelli informò il comando partigiano
che il battaglione si sarebbe trasferito subito a Spalato per raggiungere il
superiore comando italiano e uniformarsi alle decisioni colà attuate; e questo
senza esercitare alcuna azione offensiva verso i reparti partigiani, salvo, ben
inteso, di difendersi se fosse stato attaccato. AI tramonto del 9 settembre,
dopo che la 6” compagnia si era ricongiunta con il btg. e dopo aver distrutto
tutti i materiali non trasportabili individualmente perché non restassero nelle
mani dei partigiani: [...j ci mettemmo tutti lo zaino in spalla e, seguendo i
binari della ferrovia, ci dirigemmo da Pergomet verso la costa. Fu una marcia
durissima, anche per il fatto di dover camminare fra i binari, saltando da un
traversino all’altro, ché itinerario più breve non esisteva in quell‘impervia
zona.
All’alba il btg. raggiunse senza incidenti la costa a Castelvecchio, fra Traù e
Salona. il comandante del btg. Magg. Borrelli, si rese conto che i partigiani
avevano preso il sopravvento sul presidio di Salona e che dal comando di Spalato
non si potevano sperare ordini adeguati. Decise quindi di raggiungere Traù che
sembrava non essere ancora in mano ai partigiani e che era la sede della cp.
motociclisti del 4° reggimento. Ma: I.. .Ji1 battaglione giunto alle porte di
Traù ebbe la spiacevole sorpresa di constatare come, al contrario di quanto si
spera va, anche quel presidio era caduto in mano ai partigiani. All‘ingresso del
ponte che congiunge Traù con la terraferma (la città è costruita su un
‘isoletta), i partigiani avevano sbarrata la strada, e per lasciarci entrare
pretendevano la cessione di tutte le nostre armi.
Seguì una animata discussione che si risolse con l’autorizzazione ad alcuni dei
nostri ufficiali ad entrare in città per prendere contatto col locale Coniando
militare italiano. La conclusione fu che il colonnello comandante la piazza di
Traù ci comunicò che, in seguito a disposizioni superiori ricevute da Spalato,
autorizzava il comando di battaglione a “rifornire” i partigiani di armi ed
equipaggiamento con la compilazione di regolari buoni di versamento e di
ricevuta (quando c’è la carta c’è tutto). La mattinata passò senza che si
verificasse niente di speciale; eravamo sempre strettamente sorvegliati da
numerosi partigiani armato, i quali ad un certo momento cominciarono a fare
propaganda fra i bersaglieri per indurli, con allettanti promesse, ad unirsi a
loro per combattere contro i tedeschi. Questa propaganda non ebbe i risultati
che i partigiani speravano: non posso precisare il numero, ma ritengo che solo
tre o quattro bersaglieri aderirono all’invito, non già perché spinti da ardore
guerresco o da simpatia verso i partigiani, ma soprattutto per togliersi da
quella situazione di incertezza, sperando in qualche futura favorevole occasione
per sganciarsi e rimpatriare.
Verso le quattro del pomeriggio finalmente, dietro le nostre insistenze ed
avendo constatato che sul nostro battaglione non poteva fare assegnamento come
fonte di arruolamento per i propri reparti, il comando partigiano decise di
farci sgomberare da Traù. A questo scopo mise a nostra disposizione tre barconi
a motore, lasciandoci sperare che con quelli avremmo potuto dirigerci verso
l’Italia. Per evitare i mitragliamenti da parte di aerei tedeschi, che sovente
sorvolavano la zona, il nostro imbarco fu stabilito per il tramonto. Prima però
i partigiani pretesero, con la scusa che in Italia ne avremmo potuto avere
altre, la cessione delle armi che ancora ci erano rimaste. Al momento
dell’imbarco poi, i partigiani fecero a tutti una sommaria perquisizione:
“ufficialmente” per accertare che non avessimo più armi (per il qual caso era
prevista l’immediata fucilazione!): ma in realtà per spogliarci di quanto faceva
loro comodo.
Era già notte quando finimmo di pigiarci in quelle tre piccole navicelle: fu un
miracolo di sfruttamento dello spazio l’essere riusciti a starci tutti.
A bordo di ciascuna salì una piccola scorta di partigiani e questo ci fece
purtroppo comprendere che non ci si sarebbe diretti subito verso l’Italia.
Alle quattro di notte giunti all’ingresso del porto di Spalato: Stavamo per
oltrepassare lo sperone roccioso che delimita la zona del porto, quando dalla
riva sentimmo gridare alcune frasi minacciose, subito seguite da alcuni colpi di
moschetto che sibilarono sinistramente sulle nostre teste. Ci fermammo subito
mentre i partigiani, che erano a bordo con noi, cercarono di spiegare ai loro
compagni, che erano all’ingresso del porto, il perché ci trovavamo in mare e
dove eravamo diretti. Intanto era spuntata l’alba e istintivamente ci mettemmo a
scrutare il cielo con un‘ansia che è facile immaginare. Purtroppo la nostra
ansia non durò molto: il sole aveva appena fatto capolino all’orizzonte che una
squadriglia di “Stukas” fece la sua apparizione nel cielo di Spalato e
incominciò il carosello sul porto sganciando bombe e mitragliando.
Non c ‘era da perdere tempo e bisognava cercare immediatamente il modo di
sottrarsi a questo grave pericolo. Tutti i bersaglieri che sapevano nuotare si
buttarono subito in acqua e raggiunsero la riva, mentre quelli che erano rimasti
a bordo cercarono di assicurare i barconi a terra in modo da poter scendere. I
due barconi più grossi, che erano abbastanza vicini alla sponda, riuscirono in
pochi minuti ad accostare e i bersaglieri che li occupavano poterono così subito
sbarcare e mettersi al riparo tra le rocce: invece il barcone più piccolo, sul
quale si trovava tutta la mia compagnia, la 5”, più qualche bersagliere della
6”. si trovò isolato a circa 200 mt dalla riva. L’equipaggio, alle prime
avvisaglie del pericolo, aveva abbandonato il barcone assieme ai bersaglieri che
sapevano nuotare, e così, non essendo nessuno di coloro, che erano rimasti a
bordo, pratico a far funzionare il motore, la situazione di questi era veramente
critica.
A bordo, che fossero capaci di nuotare, non eravamo rimasti che il mio
comandante di compagnia, capitano Carnevali, io e il sergente Germani, ché era
nostro preciso dovere rimanere a bordo almeno finché gli aerei non ci avessero
direttamente attaccati. Fra tutti ci lambiccavamo il cervello per trovare il
modo di avvicinarci alla riva e finalmente, rovistando da per tutto, saltò fuori
una fune arrotolata che, se fosse stata di lunghezza sufficiente a congiungersi
con la sponda, ci avrebbe permesso di far accostare il barcone, e mettere in
salvo tutti quelli che lo occupavano. Si tuffò il sergente Germani trascinandosi
dietro la fune che veniva man mano svolta da bordo del barcone, ma purtroppo
quand‘egli aveva percorso poco più della metà del tragitto la fune terminò .. immediatamente
ci dedicammo tutti alla ricerca di qualunque cosa avesse potuto servire ad
aumentare la lunghezza della fune e così in pochi minuti, con cinghie ed altri
pezzi di funi e di stoffa, spuntati come per incanto, la fune venne pressoché
raddoppiata.
Mi tuffai io e finalmente questa volta riuscii a toccare terra con un capo della
fune in mano: subito i bersaglieri che erano a riva trainarono il barcone e così
in pochi minuti anche tutti quelli che non sapevano nuotare poterono mettersi in
salvo. Ci sistemammo alla meglio nella pineta mentre gli aerei tedeschi
continuavano il loro bombardamento al porto di Spalato. Rimanemmo fermi tutta la
mattina ed alle prime ore del pomeriggio ci spostammo dall‘altra parte della
penisoletta su cui eravamo sbarcati, per sistemarci in alcune baracche costruite
in riva al mare ai margini della pineta. Qui passammo, dopo alcuni terribili
giorni di ansia, una notte un po’ più tranquilla: ma purtroppo il destino ci
riservava un ‘altra tragica giornata di sangue e di morte. Verso mezzogiorno,
quando meno ce lo aspettavamo e mentre eravamo purtroppo tutti riuniti per
consumare quel poco ed eterogeneo cibo che eravamo riusciti a procurarci,
all‘improvviso gli Stukas incominciarono a sganciarci addosso bombe e spezzoni,
abbassandosi anche a mitragliare. Tenendo presente che alla dichiarazione di
armistizio del ‘8 settembre le batterie antiaeree di Spalato erano state rese
inutilizzabili. è facile immaginare come fosse facile per i bombardieri tedeschi
colpire il bersaglio. In pochi minuti gli aerei seminarono la morte: fu una vera
strage ed ancora oggi coloro che, come me, ebbero la fortuna di salvarsi, si
domandano come poterono sfuggire alle bombe tedesche. Io ricordo che dopo il
primo sganciamento saltai fuori dalla baracca e alzato lo sguardo in su vidi
quattro Stukas apprestarsi a “picchiare” nella mia direzione: feci appena in
tempo a gettarmi a terra dietro ad un provvidenziale muretto che subito mi
sentii fischiare attorno le pallottole delle mitragliere degli aerei. Passata
l‘ondata mi rifugiai con una velocissima corsa nella pineta dove alla
spicciolata giungevano intanto altri scampati miracolosamente alla strage.
Avevamo pagata cara quella prima notte non più passata all‘addiaccio, e
nuovamente e così duramente colpiti, più che mai con I ‘animo oppresso dalla
pena e dalla sfiducia, vagammo per il resto della giornata nella pineta alla
ricerca di un riparo, sempre maggiormente preoccupati per quello che il destino
avrebbe riservato nei giorni seguenti.
-Tra un bombardamento e l’altro il
btg. si riunì con il resto del rgt. nella zona di Firule. Proseguiamo quindi
seguendo il racconto del Ten. Quaglino:
- La notte ed i giorni successivi sono sempre più pieni di incubi, di improvvise
speranze, di tentativi isolati di imbarcarsi su mezzi di fortuna, di tragici
destini. Continuano ad arrivare gli Stukas tedeschi a bombardare il porto e le
imbarcazioni rimaste in rada; scoppiano i primi incendi, ed i magazzini del
porto vengono saccheggiati anche sotto i bombardamenti; bombe cadono sui
comandi, sulle rotabili, sull‘abitato di Salona: Ed intanto è la fame.
Qualcuno trova ospitalità provvisoria presso privati. ma son casi fortunati e
sporadici. Aeroplani tedeschi si abbassano sui nostri attendamenti e stavolta,
anziché bombe, buttano migliaia di manifestini invitanti alla resa, allettanti
di promesse [...). Dobbiamo credere a queste promesse? Mah! Intanto la prudenza
consiglia di stare uniti. Il giorno 17 settembre ci trasferiamo sulle pendici
dei promontorio dei Monte Mariano, dalla parte opposta di Spalato ove ci sono
delle baracche ed ove, in mezzo alle piante, ci si sente più tranquilli. Certo è
triste effettuare una marcia di trasferimento in quelle condizioni, attraverso
la bella città di Spaiato che solo pochi giorni prima ci conosceva ben
diversi... A Monte Mariano c’è anche un rgt. di cavalleria. Ed ecco
improvvisamente si diffonde fulminea tra i reparti, come una sferzata di
energia, una bella notizia: la compagnia motociclisti del 4° Bersaglieri,
imbarcatasi a Traù su un trabiccolo locale, è riuscita ad arrivare in Italia,
sbarcando vicino ad Ancona!... .Da Monte Mariano, in mezzo alla boscaglia,
assistiamo con una stretta al cuore ai continui bombardamenti su Salona, mentre
continua la resistenza del forte di Clissa, che viene invece rifornito dai
tedeschi per via aerea (nel forte era anche un reparto italiano passato ai
tedeschi).
Il Rimpatrio per 500 fortunati
Il 4° rgt. nello sfascio
generalizzato si era mantenuto unito. Venne infatti distribuito un anticipo
sulle spettanze in danaro a tutti i presenti e dalle ricevute rilasciate dai
comandanti di compagnia all’ufficiale pagatore (e da questi fortunosamente
conservate) risulta che, oltre ai circa 150 presenti del comando e della cp.
comando, il XXIX btg. aveva ben 583 presenti ed il XXXI btg. ben 549. Vi erano
inoltre 23 uomini di un pl. della cp. motociclisti. comandato dal Ten. Bruno
Monciatti, che molto probabilmente non si era potuto imbarcare con il resto
della cp. essendo in servizio lontano da Traù. Il giorno 19 anche il 4° rgt.
subì il terribile mitragliamento e spezzonamento da parte degli Stukas tedeschi.
Il 20 un aereo italiano sorvolò Spalato lanciando un messaggio che annunciava
l’arrivo nel giorno successivo di un convoglio navale italiano che avrebbe
recuperato una parte delle truppe presenti in città. Fu sorteggiato che il 4°
rgt. avrebbe potuto imbarcare 500 uomini; gli altri avrebbero dovuto attendere i
convogli successivi. Il Col. Verdi decise per un’estrazione a sorte, dalla quale
uscì favorito il XXIX btg.. Questo battaglione aveva ancora in forza 560 uomini:
60 dovevano quindi rimanere a terra. Si stabilì che con essi rimanesse almeno un
ufficiale e fu designato l’ultimo giunto al rgt.. il S.Ten. Risso. A lui si
aggiunse volontariamente per generosità il Cap. Conti, comandante dell’8 cp.. Il
XXIX btg. poté riattraversare l’Adriatico e, per la compattezza conservata, sarà
tra i primi reparti impegnati in operazioni nella Guerra di Liberazione. ….27
settembre: I tedeschi in forze impongono il ritorno a Spalato: Seguiamo ora gli
avvenimenti riprendendoli dal racconto del Ten. Quaglino:
- Ci incamminammo per le vie di Spalato. Che tristezza passare per quelle strade
che sino a pochi giorni prima percorrevamo con ben diversa baldanza! E che
tristezza negli sguardi della popolazione che, rintanata in casa, si intravede
qua e là alle finestre! Incontriamo altri militari tedeschi. Alcuni si
avvicinano a noi e, senza parlare, ci sfilano addirittura gli orologi che
abbiamo al polso I... I Al porto la confusione è indescrivibile [...j
Apprendiamo intanto di essere stati fatti prigionieri da reparti della Divisione
SS “Principe Eugenio”. Per prima cosa i tedeschi pensarono di far evacuare da
Spalato più militari italiani possibile, avviandoli sotto buona scorta ai paesi
limitrofi. Noi bersaglieri fummo “imbrancati” in una colonna che venne diretta
proprio a Salona, la stessa località ove eravamo dislocati al momento
dell‘armistizio.
In tutto questo trambusto transitò accanto a noi, avanzando lentamente nella
calca, una camionetta tedesca che recava a bordo, tranquillamente seduti, i
capitani Nudi e Gatti I...]. i quali, a motivo delle cariche piuttosto in vista
ricoperte nel regime mantenutosi sino a due mesi prima, beneficiavano ora
evidentemente di un particolare trattamento da parte dei tedeschi 1.. .1.
Rientravano in Italia. Capimmo allora per la prima volta che qualcosa cominciava
a dividerci gli uni dagli altri, qualcosa che cominciava ad allontanare per
strade diverse anche i compagni d‘armi più cari. Augurammo loro buona fortuna.
Arrivammo a Salona al tramonto. L’avevamo lasciata intatta neanche tre settimane
prima: la ritrovammo ora come un ammasso di case distrutte, rovinate I... I.
All‘alba ci fecero alzare bruscamente e ci divisero. Ufficiali da una parte,
sottufficiali e soldati dall’altra, incolonnati e diretti questi ultimi a Signo
o Signj . Il piccolo paese a 37 Km da Spalato, cioè a circa 30 km da Salona. Ci
salutammo, così, in fretta con un nodo di commozione alla gola, con grande
tristezza 1.. .1 Tornammo a Spalato, sempre a piedi s‘intende, e fummo subito
ammassati al pianterreno dell‘Hotel Excelsior, o meglio in quello che restava
dell’albergo I..) Di mangiare naturalmente non se ne parlava più: ognuno tirava
avanti come poteva.
All‘indomani fummo caricati su autocarri ed a scaglioni trasportati a Signj I...I.
noi fummo condotti in una vecchia caserma jugoslava, come sempre ammucchiati sul
nudo pavimento lercio e sporco. Una decina di ufficiati, tra i quali il Col.
Verdi, furono fatti salire su di una camionetta diretta in Italia. Al ‘alba
dell’indomani ci portarono in un altro caseggiato mezzo diroccato, forse una
vecchia officina. Nel cortile di questa i tedeschi diedero inizio a quello che
più tardi sapemmo essere un vero e proprio tribunale di guerra delle SS I... I.
L’interrogatorio era pressoché uguale per tutti. Tendeva essenzialmente a
ricostruire il comportamento degli ufficiali dopo 1‘8 settembre, accertare in
pari tempo la responsabilità di ciascuno sia nel comando del proprio reparto che
nell‘espletamento delle proprie mansioni o cariche, ecc. ecc. Terminava
naturalmente con la domanda se uno intendeva o no continuare a combattere agli
ordini del Fiihrer e di Mussolini. Ognuno decise secondo la propria coscienza ed
i propri intendimenti. Certo si è che i 450 circa ufficiali fatti prigionieri a
Spalato si trovarono dopo quel giudizio sommario praticamente divisi in due
gruppi. Gli “aderenti” ed i “non aderenti”.
E sia l’una che l’altra qualifica ci seguirà sempre durante il periodo che
ciascuno di noi rimarrà “ospite” dei tedeschi, e sarà un elemento determinante
nel trattamento usato verso di noi, tenuto conto che per i “non aderenti” questa
qualifica sarà un marchio d’infamia, in quanto per i tedeschi la rinuncia o il
rifiuto a combattere ai loro fianco rappresenterà un secondo tradimento nei loro
confronti, dopo quello di aver collaborato alla resistenza di Spalato, cedendo
le armi ai partigiani. Il processo si esaurì nel pomeriggio del giorno seguente.
Finalmente, per la prima volta dopo la nostra cattura, ricevemmo dai tedeschi
qualcosa da mangiare: un mestolo di brodaglia con un po’ di verdura dentro. Ma
per noi, già tormentati dalla fame da alcuni giorni, sembrò una cosa veramente
buona ed appetitosa...
Rientrati in caserma: un ufficiale tedesco, attorniato da alcune SS, ci riunì
nel cortile della caserma e cominciò a leggere una lista di nomi. Erano i nomi
dei 47 ufficiali su 450 che saranno fucilati entro breve tempo nella vicina
località di Treglia (Trilj). Tra i 47 nomi vi erano quelli di due ufficiali del
4°: il Col. Verdi che chiaramente non era partito verso l’Italia, come abbiamo
visto: Fu ugualmente fucilato il Cap. Conti, che pagò duramente il suo impulso
generoso che lo aveva fatto restare a Spalato. Ai due ufficiali venne conferita
la Medaglia d’argento al V.M. alla memoria. Gli ufficiali scampati alla
decimazione furono inviati in prigionia. Quelli che non avevano accettato di
collaborare con i Tedeschi dovettero però raggiungere Spalato a piedi. il
Tenente di artiglieria Ulisse Donati. zaratino, che era con loro, contò i
partecipanti, erano 83. Riprendiamo quindi il racconto del Ten. Quaglino: Prima
però... avremmo dovuto compiere, a nostra umiliazione, la “marcia della
vergogna”: avremmo dovuto cioè trasferirci a Spalato a piedi (37 chilometri) e
attraversare tutta la città fra le baionette tedesche, derisi e vilipesi dalla
popolazione locale! I... I. Inutile dire come compimmo quei 37 km da Signj a
Spaiato. Ognuno lo può facilmente immaginare. Pensiamo che, se fra di noi
c‘erano degli ufficiali giovani ed aitanti per i quali una marcia simile era una
cosa abbastanza agevole, c’erano pure degli ufficiali più anziani ed anche altri
che non avevano allenamento alcuno per fare tanti chilometri a piedi in una
volta sola e di più con un carico anche se leggero sulle spalle. Forse fu la
disperazione, forse il terrore del peggio ma tutti o quasi conclusero la marcia.
I quasi non si rividero più. Su zattere poi in treno ci spedirono in Germania.