Il diario di Valentino Pisani

 Brani tratti da La  “Libertà”

quotidiano di Piacenza del 9/2/2004 http://www.liberta.it/asp/default.asp?IDG=24541  

A novant'anni il piacentino Valentino Pisani ha deciso di estrarre da un cassetto di casa il suo diario di guerra. Lanciere di cavalleria nel '35 a Bologna e pilota di carro armato in Africa settentrionale da Bengasi ad El Alamein con la divisione corazzata “Littorio”. Il tragico ripiegamento fino a Tunisi con altri combattimenti, inquadrato nella divisione corazzata "Centauro". Rimpatriato, fu destinato nel giugno 1943 come autista al comando supremo a Roma.

So che dopo il 25 luglio e la caduta di Mussolini fu testimone a Fregene di un tragico episodio storico.
«Si, subito dopo l'armistizio dell'otto settembre 1943 scortai i Savoia e diversi generali da Roma a Francavilla al Mare dove s'imbarcarono per sfuggire ai tedeschi e per raggiungere Brindisi. A Chieti ebbi l'ordine di salire sulla Maiella. Obbedii. 

Senza altri ordini, e mi incamminai sulle montagne evitando la cattura e la deportazione in Germania subite da ottocentomila soldati italiani internati nei “lager” tedeschi». Arrivato fortunatamente semovente 75/18 a casa, in città, Valentino con tre fratelli (Opilio del '13, Giuseppe del '22 e Gianfranco del '25) collaborò poi con i partigiani di “Giustizia e Libertà” in Valtidone dove varie brigate operavano agli ordini di Fausto Cossu comandante della divisione “Piacenza”. Pisani, che aveva la famiglia a Sala Mandelli di Nibbiano ospite del dottor Francesco Ricci Oddi, era un patriota libero di recarsi dove voleva. Con l'arrivo dell'inverno, in novembre scese a Piacenza. Fu bloccato sullo Stradone Farnese da un reparto tedesco e costretto con altri piacentini a trasportare rotaie sul ponte ferroviario. Appena il tempo migliorò, tornò in Valtidone. Il 25 aprile 1945 fu tra i primi patrioti ad entrare in città. Valentino affrontò con coraggio la guerra.

Eravate consapevoli delle forze soverchianti degli anglo-americane?
«Non tardammo ad accorgercene. In Africa soffrimmo per mesi la fame e la sete, la mancanza di rifornimenti, l'assenza di copertura aerea. Ma tenemmo efficiente i nostro carri fin che potemmo. Dopo gli ultimi scontri in Tunisia, feci saltare in aria il cannone del mio carro. Raggiunsi il porto di Tunisi e con altri feriti poeti imbarcarmi per l'Italia». Valentino si commuove pensando ai compagni caduti

Rammenta qualcuno in particolare?
«Ricordo il sacrificio cosciente di un capocarro piacentino, Nereo Trenchi di Vigolo Marchese (Castellarquato), caduto nella battaglia per la riconquista di Trobruk. Trenchi era un uomo eccezionale come pilota e come meccanico. Più che un collaboratore, un amico fraterno, come ha scritto Enrico Serra, tenente della divisione corazz. “Ariete” che lo ebbe al suo fianco.
Fra altri piacentini combattenti in Libia ricordo Angelo Inzaghi di S.Nicolò a Trebbia, nonno dei calciatori Pippo e Simone. Era sergente maggior del X° battaglione (ex 7°) dell’8° Bersaglieri in Tunisia coi ragazzi superstiti di Bir el Gobi. Persino i nemici manifestarono sorpresa per il valore dimostrato dai ragazzi italiani nella battaglia di Bir el Gobi. Attraversarono per giorni e giorni il deserto dall'oasi di Shiwa (dove molti si ammalarono di malaria) e da Giarabub fino a Gialo e ad Agedabia dove arrivarono dopo una epica marcia due ore prima degli inglesi, come conferma il capitano dei bersaglieri Mario Niccolini. In testa alla colonna era il comandante piacentino della divisione, il generale Giuseppe Follini di Mezzano Scotti (Bobbio). Di sera radio Londra diceva: «Mamme italiane piangete. Noi siamo arrivati a Sollum, Bardia, Tobruk…. I vostri figli, i giovani boyscouts (GGFF) di Mussolini, muoiono di fame e di sete nel deserto». Caddero in Libia 1800 di questi ragazzi. 

- Quando arrivò in Libia?
- «Il 17 settembre 1942 partii da Brindisi con un convoglio formato dalle navi Apuania, Val Fiorita e Caterina Costa. Ero a bordo dell'Apuania che evitò per l'abilità del timoniere due siluri lanciati da un sommergibile nemico. Il 21 settembre 1942 sbarcai a Bengasi con il 555° gruppo del 133° reggimento d'artiglieria semovente della divisione corazzata “Littorio”. La nave, che trasportava una parte del reparto venne affondata all'ingresso del porto dalle fortezze volanti dopo aver sbarcato cinque semoventi e alcuni camion. La mia batteria, comandata dal capitano Semeraro, comprendeva
i semoventi da 75/18.(foto sopra) Erano gli unici in grado di opporsi ai carri inglesi perché erano bassi, veloci e sparavano micidiali proiettili EP a carica cava che sviluppavano un calore di duemila gradi. Li ritenevo invulnerabili. Ero orgoglioso del mio semovente che avevo collaborato a far nascere in gran segreto all'Ansaldo di Sestri Ponente (Genova)».

- Come avvenne il trasferimento ad El Alamein?
«Un mese dopo lo sbarco la mia batteria lasciò la zona dell'aeroporto di Marsa Matruh. Eravamo depressi per i continui attacchi aerei. Alla stanchezza si unì la sete. Ricevemmo l'ordine di non bere le bottiglie di acqua minerale disseminate dai nemici perché avvelenate. Dal 24 ottobre anche la mia batteria fu impegnata nella battaglia di El Alamein a sud di quota 33.
Avevamo accanto i bersaglieri dell'8° reggimento e poche decine di paracadutisti della "Folgore", fra cui il piacentino Nando Danelli medaglia d'argento alla memoria. Il nostro settore si trovava tra la divisione "Bologna" e il raggruppamento tedesco "Ramcke". Dal 2 al 5 novembre i giorni e le notti furono infernali: combattimenti durissimi, tanti feriti, tanti caduti, eroismi senza nome. Le riserve di munizioni erano a qualche chilometro. Bisognava trasportarle a mano sfidando la torrida calura del deserto. La resistenza fu accanita. Fino al 5 novembre gli inglesi non passarono. I nostri cinque semoventi erano schierati a ventaglio. Alcuni ufficiali tedeschi (fra cui mi parve di riconoscere il generale Rommel) ordinarono al capitano Semeraro di ripiegare ad ovest verso le oasi di Shiwa e Giarabub dove combatteva la divisione "Giovani Fascisti". Noi non ci ritenevamo ancora sconfitti».

- Ricorda qualche episodio di umana solidarietà?
«Ritirandoci verso Bardia perdemmo tutti i semoventi rimasti privi di carburante o bombardati dagli aerei. Ricuperai il cifrario di bordo e distrussi l'otturatore della mitragliatrice. Fui portato in salvo da un ufficiale tedesco con un autocarro dalle gomme bucate. Alla ridotta Capuzzo arrivammo con tre feriti fra cui Martignoni di Castelfranco Emilia che venne curato in un ospedaletto germanico. Lì trovammo del pane ammuffito e una cassetta di limoni che ci dividemmo fraternamente.
panzer 4 distrutto Seppellimmo nella sabbia, avvolti in teli e coperte, i molti caduti rinvenuti lungo le piste. Stavo male. Mi sentivo le carni lacerate. Soffrivo di malaria e di colite. I miei compagni cercavano di aiutarmi con medicine antimalariche e latte condensato inglese.  A Tarhuna, sulla strada della ritirata, la cena di Natale consistette in una gavetta di verdura secca e un pezzetto immangiabile di carne di cammello. Dopo un ennesimo combattimento a Ben Ulid (Castelbenito), sistemai al posto del marconista il capitano medico Aurelio Rizzuto di Crotone raccolto gravemente ferito a lato della pista. Il marconista, Giuseppe Pino di Lecce, dovette restare in piedi con il busto fuori dal carro. Durante uno dei tanti bombardamenti una scheggia lo colpì al collo e morì. Seppellimmo il marconista sotto una duna. Il 20 gennaio ricuperai un semovente affondato nella sabbia».

- Quando entrò a far parte della "Centauro"?
«Il 23 gennaio 1943 cadeva Tripoli. La mia batteria venne inquadrata nel 31° battaglione carristi della “Centauro”. Tempeste di ghibli, fame e sete, bombardamenti continui non bloccarono la nostra resistenza che permise ai tedeschi di Rommel un ripiegamento ordinato. Ricordo un bersagliere del 5° senza una gamba perduta in Russia che pedalava nel deserto con la bicicletta a scatto fisso. Mi chiese un sorso d'acqua e prima di andarsene baciò il mio semovente. «Con l'autiere Bergomi di Bologna fui l'ultimo ad abbandonare un deposito di munizioni distrutto da un attacco aereo. Con un autocarro cingolato tedesco superammo l'aeroporto di Castel Benito in fiamme e dopo Sabratha e Zuara arrivammo a Gabes, in Tunisia. Dopo otto mesi di combattimenti e angosce da El Alamein a Tunisi, ottenni una licenza e mi imbarcai con i soldati feriti sul cacciatorpediniere “Monteleone” catturato ai francesi. Il 1° maggio sbarcai nel porto di Pozzuoli, a 15 chilometri da Napoli. Ero sfuggito a ripetuti bombardamenti e mitragliamenti aerei anche durante la navigazione. Avevo avuto tanta fortuna. 10 giorni dopo la guerra in Africa aveva termine e tutti i soldati finirono in prigionia.

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