Il diario di Arrigo Ghinelli

GIORNATA DEL 30 OTTOBRE 1917 A POZZUOLO DEL FRIULI

Dal sito http://www.aghedipoc.it/storia_locale/battaglia2.html  per gentile concessione di Mauro Duca
Il gruppo di ricerche storiche " Aghe di Poç " si è costituito a Pozzuolo del Friuli il 14 aprile 1981. L'attività del gruppo si è sviluppata negli anni con costanza, in diversi settori e varie forme: dall'archeologia preistorica alle vicende della Prima Guerra Mondiale, dalle icone votive ad aspetti particolari dell'ambiente naturale locale, dagli incontri di poesia in friulano in una "frasca" del paese ai laboratori di archeologia per gli alunni delle scuole elementari e medie, dalle pubblicazioni di libri all'organizzazione di mostre e corsi di formazione. Proseguono anche le iniziative sul periodo della " Grande Guerra " con pubblicazioni e collaborazioni con enti ed esperti regionali e nazionali. Il paese di Pozzuolo ha vissuto, come tutto il Friuli, gli anni del primo conflitto mondiale, ma la particolarità è qui rappresentata dalla cruenta battaglia tra truppe italiane ed austro - tedesche che si svolse nelle vie e piazze del paese il 30 ottobre 1917, durante la ritirata successiva alla rotta di Caporetto.

 

Mostrina Bersaglieri mitraglieri

     
ARRIGO GHINELLI nel ricordo del nipote dott. Antonio Bonelli (profilo riassunto)

Nato a Ferrara il 19/6/1898. Parte volontario per la Grande Guerra, in un reggimento di Bersaglieri. Viene successivamente promosso Caporale. Nel 1917 partecipa alla battaglia di Pozzuolo del Friuli. Nel Settembre 1919 è di stanza a Castelnuovo, quale autista di autoblindo. Il loro compito è di presidiare il fronte orientale. Il 12 Settembre, vengono raggiunti dalla colonna di Arditi che marciano su Fiume. Vengono convinti da una arringa del Comandante D’Annunzio, e partecipano all’impresa. Mio nonno lascia Fiume nel Settembre 1920, dunque prima del “Natale di sangue”. Non ha mai ricoperto incarichi di rilievo. Non conosco i motivi della sua defezione, probabilmente questa va ricercata nella progressiva degenerazione della situazione, e nel dissenso di vari illustri esponenti (primo fra tutti il Generale dei bersaglieri Sante Ceccherini per cui mio nonno aveva una venerazione e che lascia lui pure Fiume). Torna dunque alla vita civile, e si sposa con Enrica De Paoli (1899 – 1996), che gli dà due figli: Antonio (1921–1945), partito militare di leva durante la 2 Guerra Mondiale; dopo l’8 Settembre deportato in Germania ed ivi deceduto, per mano inglese, durante uno sconsiderato mitragliamento ad opera della RAF e Regina, mia madre (1925), tuttora vivente. Come molti reduci si trova ad affrontare ben presto i contrasti post-bellici. In un episodio ricorda di essere stato circondato, assieme ad un suo commilitone, da un centinaio di facinorosi presso i Giardini di Porta Venezia, a Milano, e di averli messi in fuga rimovendo le sicure a due bombe a mano. Nell’immediato dopoguerra trova impiego come geometra al Comune di Milano.
Nel 1935-1936 è volontario in Abissinia. Allo scoppio della 2 Guerra Mondiale è nuovamente volontario: viene incaricato della difesa antiaerea di Milano, al comando di una postazione di artiglieria. Si vanterà di essere riuscito ad abbattere un aereo alleato, durante un bombardamento. Il 25 aprile 1945 si trova ad essere custode di una cospicua somma di denaro (£. 500.000 dell’epoca). Nello sbandamento generale la sua unica preoccupazione è quella di rintracciare il suo direttore superiore, cui affidarla. Riconosciuto da un gruppo di partigiani, viene immediatamente condannato a morte quale fascista, ma viene salvato dalla testimonianza di alcuni abitanti del quartiere, che dichiaravano la sua rettitudine. Successivamente, per la sua militanza nel partito fascista, veniva collocato a riposo; inoltrava ricorso e veniva successivamente reintegrato.  Risale sempre alla fine degli anni ’60 la querelle da lui intessuta con politici, giornalisti e storici in merito alle vicende di Pozzuolo del Friuli: aveva appreso casualmente che l’impresa di aver ritardato l’ingresso nell’abitato delle truppe nemiche era stata attribuita al Magg. Sante Ghiottoni (figura che comunque lui definì sempre eroica), e, avvalendosi delle testimonianze di altri reduci che avevano partecipato al combattimento, e di documenti pazientemente ottenuti, riuscì a cambiare versione ufficiale dei fatti, e ad ottenere la promessa di una medaglia d’oro al Valor Militare, senza tuttavia riuscire a entrarne mai in possesso. Tornato a Milano qui si spegne il 23 Settembre 1978.
 

Altre mostrine compagnie autonome: in verde quelle degli alpini

(Le foto o le immagini che accompagnano il testo sono d'archivio ma i soggetti sono attinenti al racconto) 
http://www.smallarmsreview.com/pdf/Fiat.pdf  

IL DIARIO    
Il cannone tuona ininterrottamente lontano. Qualche granata fischia altissima sulle nostre teste. Quali saranno i bersagli?. Siamo nelle vicinanze di Santa Maria la Longa, provenienti dal Monte San Marco di Gorizia e colpiti (come tutti del resto) dalla sciagura di Caporetto. Arriviamo in paese verso sera. Piove in continuazione da un po’ di giorni e siamo ridotti come spugne. Nessun civile in giro. Quasi tutti i borghesi sono fuggiti per la paura dei “croati” mentre pochi altri sono rintanati dietro gli usci sbarrati delle loro case. I negozi invece sono tutti aperti ed abbandonati e rivelano il passaggio di altre truppe in ritirata. Noi non possiamo fare in modo diverso, siamo dei fanti (seppure piumati) della 849° Compagnia Mitraglieri Fiat Bersaglieri aggregati alla Brigata Bergamo (25° e 26° Fanteria) ed anche noi riempiamo il nostro tascapane di scatolette e di altri generi mangerecci. Terminato il veloce rifornimento, in marcia per chissà dove.
Ci comanda un Aspirante Ufficiale, un toscano di nome Bertolucci. Arriviamo a Pozzuolo del Friuli che è quasi buio e ci fanno mettere sotto un porticato per passarvi la notte. Il mattino in piedi molto presto in quanto si cominciano a sentire, seppure lontane, delle fucilate. Passano le ore della mattinata e si indovinano dei violenti combattimenti in corso, dalle sparatorie che si stanno sempre più avvicinando. I Reggimenti di Cavalleria Genova e Novara che contengono il nemico, si danno da fare e fino ad ora, sembra, che riescano nell’intento di assolvere il compito a loro affidato malgrado la forte superiorità del nemico.
 

E’ mezzogiorno e ci rifocilliamo con le scatolette prelevate ieri a S. Maria la Longa. Passa ancora qualche ora. Sono circa le ore due pomeridiane. Intanto notiamo che i combattimenti si stanno sempre più avvicinando al paese ed infatti poco dopo l’Ufficiale che comanda la prima Sezione della nostra Compagnia viene fatto chiamare da un maggiore di cavalleria, che evidentemente ha l’incarico della difesa del Paese. L’ordine che gli dà è quello di portare le sue due armi fuori dall’abitato ed agli ordini di un capitano di cavalleria. Non ne sapremo più niente. Noi intanto bivacchiamo sempre sotto il portico ed attendiamo gli eventi. Sarà passata forse una mezz’ora ed il maggiore fa chiamare l’Ufficiale che comanda la seconda Sezione e la fa spedire sul campanile della chiesa. Non passa più di un quarto d’ora ed il maggiore fa chiamare il mio Ufficiale che comanda la terza Sezione e gli ordina di far piazzare una mitragliatrice nel cortile di una casa alla periferia del paese e la seconda a pochi passi da lui da dove sta dirigendo tutte le fasi della battaglia. Io sono caporale tiratore.  

Gagliardetto Associazione Mitraglieri (postbellica)

La piazza è di forma rettangolare con quattro strade che vi convergono leggermente aperte rispetto alla line dei fabbricati. In mezzo alla piazza trovasi una grossa “cavalla” di ghiaia di rigorosa forma trapezoidale dietro cui trovasi, scarsamente riparato, il maggiore. Da quel posto egli può controllare d’infilata tute le quattro strade e per un bel tratto. La posizione dove mi è stato ordinato di piazzare la mitragliatrice trovasi accostata al muro di sinistra della piazza quasi all’angolo della strada che conduce a Mortegliano. Lungo i muri di questa strada il mio Ufficiale fa disporre tutti i bersaglieri della Sezione. La posizione è protetta e ben riparata dai colpi nemici.
Provvedo a sistemare la mia arma e le cassette delle munizioni disponendole come piccolo riparo davanti al mio servente di sinistra che ha il compito di tenermi sempre caricata l’arma. Io sono sdraiato ventre a terra, mento nel fango, occhio al mirino e sono quasi (dico quasi) completamente coperto dai tiri nemici dal notevole ingombro della mitragliatrice. Il servente di destra, che dovrebbe manovrare il bidone dell’acqua per il raffreddamento della canna, non c’è perché scappato chissà dove e non vi è tempo per cercarlo. Sto appunto terminando di sistemare arma e munizione e sento alle mie spalle un gran rumore di zoccoli. Infatti, quasi immediatamente, dalla strada per Mortegliano sbuca e mi passa sulla destra al gran galoppo, un Reparto di cavalleria che si infila poi, nella strada da dove provengono i combattimenti proprio dalla parte opposta da dove mi trovo. Il maggiore mi stava spiegando che lo sbocco di quella strada sulla piazza era il mio bersaglio sul quale io avrei dovuto sparare, ma solo però e soltanto dietro un suo preciso ordine.
Il contatto dei cavalieri col nemico è stato quasi immediato.
 

Una furiosa fucileria rivela che i nemici sono vicinissimi. Lo scontro è stato certamente sanguinoso perché durato troppo poco (5-6 minuti) e, purtroppo, con il sopravvento dei tedeschi che, con le notevoli forze disponibili hanno costretto i nostri a ritirarsi decimati e rifare la strada percorsa poco prima. A questo punto il maggiore si volta verso di me e ripete l’avvertimento di non sparare perché i soldati che si stanno ritirando, e che io non potevo ancora vedere, erano i cavalieri quasi tutti appiedati. Mi disse inoltre di stare pronto che sarebbe mancato poco all’ordine di fuoco. Io ero pronto e perfettamente calmo. Passa qualche secondo e finalmente sento il grido “Fuoco” e contemporaneamente vedo figure umane urlanti sfociare sulla piazza. Il mio fuoco li inchioda dopo un solo passo. Sparo un centinaio di colpi ed i loro gridi di guerra si mutano in gridi di dolore e di morte. Tutti si abbattono colpiti più o meno mortalmente formando un gran mucchio dolorante impedendo ai sopraggiunti di passare. Approfittai della pausa per girarmi verso il maggiore ed averne un cenno di approvazione. Lo vidi invece fare una smorfia di dolore e piegarsi sul lato sinistro comprimendosi il ventre. Capii subito trattarsi di una ferita grave. Dovetti abbandonare la vista del ferito perché obbligato a riprendere il fuoco verso altri tedeschi che, un poco più cauti però, avanzavano sopra i cadaveri. Ancora altri morti ed un altro momento di pausa. Ne approfittai per voltarmi ancora verso il maggiore e lo vidi offrire la sua pistola ad un Ufficiale invitandolo ad ucciderlo. L’Ufficiale si ritirò inorridito ed allora il maggiore puntandosi la pistola alla tempia e rivolto verso il nemico urlò “Da vivo non mi avete” e sparò. Tutti gli Ufficiali che gli facevano corona scomparvero immediatamente. Ripresi a sparare man mano che qualche gruppo si faceva vedere pur con la massima cautela. Ad un certo punto mi accorgo che l’arma non spara più. Un’occhiata mi rivela che è scarica. Tocco energicamente il braccio del mio servente ed il suo corpo si rovescia mettendo in evidenza un foro sanguinoso sopra la tempia destra. Non persi un attimo ed arraffai un paio di cassette di munizione e ricaricai l’arma. Sparai due caricatori ed i nemici si ritrassero ancora.  

Italy, like many countries that purchased machine guns on the world market, suddenly found themselves without a reliable source of foreign manufactured arms. Sources quickly dried up for Maxim, Vickers, St. Etienne and Colt guns as they were all desperately being used by the warring factions. Italy realized that,  Revelli’s machine gun had performed well in their trials and, FIAT had the capacity and machinery to immediately begin production with the ability to expand production as needed. Thus, Revelli’s machine gun was quickly approved and adopted as the FIAT Revelli Mod.1914 and, without delay, put into production. The F.R. M1914 remained in front line service for almost thirty years until Italy capitulated in 1943. In a modernization program in 1935, the watercooled jacket was removed in favor of air cooling.

Hiram Stevens Maxim fondò una fabbrica di armamenti per produrre la sua mitragliatrice, standard dei britannici per molti anni, a Crayford nel Kent, che venne in seguito acquistata dalla Vickers nel 1896, divenendo la 'Vickers, Son & Maxim'.

Qualche secondo di pausa mi permisero però di vedere da che parte mi veniva il pericolo. Proprio di fronte a noi, qualche metro più a destra del mio bersaglio, era un muretto alto circa un paio di metri (probabilmente un muro di cinta di qualche orto) da dove sporgevano le sagome di tre “cecchini”. Non ci volle molto a capire che la morte del maggiore e quella del mio servente era tutta opera loro: Il dramma consisteva nel fatto che io non potevo modificare il tiro della mia arma perché la distanza dei nemici sulla strada era tanto minima che in un attimo di distrazione nel tiro mi avrebbero preso per il collo. Quello che doveva succedere è successo. Dopo ancora avere sparato qualche caricatore la mitragliatrice si inceppò con un colpo in canna. L’acqua per il raffreddamento, non avendo funzionato, è stata la causa dell’incidente. L’estrattore necessario a riparare l’inconveniente si trovava nella tasca del servente. Non mi sarebbe stato possibile cercarla. Ed allora non rimaneva che levare la “chiavetta” necessaria al funzionamento dell’arma fare dietro front e darmela a gambe. Così feci.  

St. Etienne fw5

Mi voltai con la certezza di trovare dietro di me i miei compagni bersaglieri. Non vi era anima viva. Nei periodi di trincea e sotto furiosi bombardamenti non ho mai provata la paura come in quel momento sentendomi solo. Il pericolo di poter essere fatto prigioniero mi dominava. Ad ogni modo la paura mi fece ricordare che avevo 19 anni ed ero un bersagliere. La mia corsa verso Mortegliano non ebbe sosta fino nei pressi del paese quando raggiunsi i resti del mio Reparto. In un Ufficio (chissà quale) l’Ufficiale mio mi fece fare una relazione del fatto d’armi e mi fece stendere un verbale di morte del mio servente. Povero Monti Erminio classe 1898 del distretto di Milano. Mio caro amico anche da borghese. L’Ufficiale mi promise anche una proposta di decorazione al valore. Chi la vide mai?. Comunque in marcia per Latisana. Sono circa trenta chilometri che si percorrono senza quasi mai fermarsi per arrivare al ponte sul Tagliamento. Il ponte è continuamente invaso da Reparti in ritirata e deve essere controllato da carabinieri che ne regolano il passaggio dando la precedenza alla formazioni che sono inquadrate con i loro Ufficiali. Il nostro turno tarda ma poi infine viene. Siamo passati per il rotto della cuffia. Infatti dopo il passaggio di numerosi carriaggi il ponte viene fatto saltare dai militari del genio. A marce forzate (quanti giorni ma?) arriviamo a Pandino nelle vicinanze di Lodi a circa una trentina di chilometri da Milano. Pandino è la località destinata a ricevere tutti i mitraglieri di ritorno dal fronte, per poterne poi costituire delle nuove Compagnie. Qualche giorno di riposo e poi, composta la 633 Compagnia Mitraglieri Fiat Bersaglieri partenza per il Monte Grappa.  

A regime furono circa 2000 le compagnie mitraglieri (FIAT, Maxim e Saint Etiénne) che in complesso vennero a disporre di circa 21.000 armi di cui 6.000 leggere.
 

     
Faceva parte dei reparti mitraglieri il Ten. Pertini Sandro ex Presidente della Repubblica.
Nato a Stella (Savona) il 25 settembre 1896 prima simpatizzante socialista e convinto neutralista, fu richiamato alle armi come tutta la sua classe a metà del 1916, e destinato al 25° Rgt Artiglieria (autista o conduttore di moto) distaccato al comando I armata di Verona. Come laureando fu inviato al corso accelerato Allievi Ufficiali da dove uscì col grado di aspirante. In seguito fu destinato alla Scuola Mitraglieri di Brescia e nell’estate 1917 il giovane Sandro, sottotenente dei mitraglieri “Fiat” fu inviato presso il 277° Rgt Fanteria che combatteva sul fronte isontino meritandosi una proposta per una ricompensa. Tale per i fatti di Agosto del ’17. Per il suo passato politico era tenuto d’occhio, ora che in Russia era scoppiata la rivoluzione. La sua compagnia mitraglieri aggregata al Reggimento partecipò ai durissimi scontri di agosto (21/23) contro la Dorsale dei monti Descla- Jelenik: Pertini si comportò con coraggio, guidando i suoi uomini alla cattura di alcuni prigionieri dentro una grotta.
Il suo comandante di Reggimento lo propose per una Medaglia d’Argento al Valor Militare; questa la motivazione: “Durante tre giorni di violentissime azioni offensive, senza concedersi sosta alcuna, animato da elevatissimo senso del dovere, con superlativa audacia e sprezzo del pericolo, avanzava primo fra tutti verso le munitissime difese nemiche, vi trascinava i pochi suoi uomini e debellava una dietro l’altra le mitragliatrici avversarie numerosissime e protette in caverne. Contribuiva così efficacemente alla conquista di ben difesa posizione nemica catturando numerosi prigionieri e bottino importante. Bellissima figura di eroismo ed audacia."Descla- M. Cavallo- Jelenik, 21, 22, 23 agosto 1917”.
La ritirata di Caporetto che distrusse (o perse assieme agli ufficiali superiori) molti archivi di reparto portò a un nulla di fatto. Pertini invece dirà: “Sono stato proposto per la medaglia d’argento. Non me la diedero perché mi ero opposto all’intervento”. Per tutto il 1917 e il 1918 il tenente Pertini combatté in prima linea, sul Medio Isonzo e poi sul fronte del monte Pasubio. Alla fine della guerra, congedato col grado di capitano, riprese gli studi, laureandosi in Giurisprudenza, e nel 1919 si tesserò al Partito Socialista.
 

LA MITRAGLIATRICE  

 
Saltiamo la fase preistorica, quella della guerra civile americana, per venire al  1881 quando Hiram Maxim scopre la funzione dell'utilizzo dei gas di scoppio (rinculo) per portare indietro il caricatore e caricare un nuovo colpo con l'espulsione automatica del bossolo. metallico. Il peso di quest'arma era notevole e anche in seguito fu limitativo dell'impiego in attacco poiché si prestava principalmente in difesa e da postazione. La cadenza di tiro era di circa 300 colpi al minuto sufficiente a fermare un battaglione, anche se il settore di tiro poi non era sufficiente.  Chi comprese le potenzialità dell'arma furono i tedeschi che ne costruirono una copia a Spandau e all'inizio del conflitto ne avevano già 12.ooo. Furono queste, sia sul fronte occidentale che italiano, che aprirono varchi spaventosi nella fila, senza che i comandi se ne rendessero conto.  I nostri alleati non avendone per loro non poterono fare più di tanto per noi fornendoci in tempi diversi St. Etienne, Maxim Vickers, e Colt (scadenti) gli americani.  Ci pensò la Fiat che propose una nuova arma cal. 6,5 (mod. 1914) che sparava 250 c/m ma era raffreddata ad acqua.  Con questa nell'anno di neutralità riuscimmo a recuperare qualcosa (anche da preda bellica) e ad armare un certo numero di sezioni (plotoni) assegnate ai battaglioni.  
   

All'atto dell'entrata in guerra del nostro Paese, era organicamente assegnata ad ogni battaglione di fanteria, sia bersaglieri che Alpini, una sezione (4 armi) di Maxim mod. 1911 e pertanto si decideva sulla:
- Distribuzione provvisoria di Maxim e Gardner in attesa di poter disporre della  Fiat mod. 1914
- Distribuzione di più sezioni Perino tratte da opere di fortificazione
- Adozione della mitragliatrice S.E. 907F
-Assegnazione di 2 compagnie mitragliatrici ad ogni comando di brigata
-Costituzione, alla disponibilità, dei reggimenti di marcia mitraglieri con compiti analoghi a quelli delle brigate di marcia e delle sez. Bombardieri

LE COMPAGNIE MITRAGLIERI

Non c'era solo il problema dei pezzi  fino a maggio '15 ma anche quello delle licenze che nessuno voleva dare a un paese che poteva anche cambiare idea. Lord Kitchner, Ministro della Guerra inglese: "Prima di dare mitragliatrici all'Italia, vogliamo sapere in quale direzione dovranno sparare !".  Bisogna anche precisare che il modello Maxim si produceva già, oltre che  in Germania, anche in Russia (mod. Tokarev).  Avevamo alcuni pezzi della vecchia Maxim mod. 1906 e della Perino poco più che sperimentale. Dal marzo 1915 iniziarono ad arrivare le francesi St Etienne (SE) mentre la Fiat dava il via al progetto Mod. 1914 diversa dalle altre, per avere l’alimentazione non a nastro di tela, bensì a pacchetto da 50 cartucce (volume di fuoco minore ma senza inceppamenti) Aver l’arma non voleva dire saperla usare: per questo vennero aperte scuole Fiat a Brescia presso la caserma del Lupi di Toscana,  poi del 7° Bersaglieri e S.E 907F a Torino nelle caserme del 50° fanteria, 3° alpini e 4° Bersaglieri.  A regime ogni battaglione avrebbe avuto una compagnia, ogni brigata 2 e ogni divisione 2 naturalmente a disposizione (jolly) queste due ultime.  Alla fine del 1916  erano costituite 190 cp S. Etienne, 257 Fiat e sezioni sciolte per 544. Si calcola che a fine 1917, nonostante la rotta di Caporetto, fossero ancora operanti 1853 compagnie e 461 sezioni. Alla fine del conflitto potevamo dire di avere le stesse mitragliatrici che aveva la Germania all'inizio !!!.

 
     
Chi entrava nel Corpo dei Bersaglieri Ciclisti non poteva non diventare un ciclista di prim'ordine. Le esercitazioni imposte dagli istruttori non ammettevano defaillances: 110-120 chilometri al giorno alla media di 15 chilometri l'ora, su una bicicletta che pesava, da sola , 26 chili e che, per i mitraglieri, arrivava a oltre 40 chili. La Fiat 14, era così divisa: il treppiede su una bicicletta, l'arma con canna e manicotto di raffreddamento su un'altra, il bidone a pompa , per l'acqua sulle spalle di un terzo Bersagliere. I mitraglieri armati con le S.E si distinguevano per le mostrine bianco-azzurre, mentre i mitraglieri armati con le Fiat avevano mostrine bianco-rosse escluso alpini e bersaglieri che mantenevano le proprie con sottopanno blu e le Maxim sottopanno verde a barre bianche. Da aprile  1918 la sottopannatura turchino distingueva anche le compagnie autonome Divisionali e di Corpo D'armata.

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