S.TEN. VINCENZO FORMICA

EL ALAMEIN - IL RIPIEGAMENTO     

"O Uomo, favilla di Dio, se hai l'animo ingombro di sonno o di paura seguirmi non potrai: perché il mio

colore è sempre di guerra e la mia canzone è sempre disperata"*

     

Passi e brani riassunti dal diario di Guerra del S.Ten. (cr) Vincenzo Formica, addetto al carreggio del IX° Battaglione Carri, 132° Reggimento Divisione Corazzata ARIETE messi a disposizione dal figlio Fabrizio

     
- Rommel: «A sud-est e a sud del comando si vedevano grandi nuvole di polvere, Qui si svolgeva la disperata lotta dei piccoli e scadenti carri italiani del XX Corpo contro 100 carri armati pesanti britannici che avevano aggirato il fianco destro scoperto. Come riferì più tardi il magg. von Luck, da me mandato con il suo reparto a tamponare la falla tra gli italiani e il C.T.A., i primi, che rappresentavano ormai le nostre più forti truppe motorizzate, combatterono con straordinario valore. Uno dopo l’altro i carri armati della Littorio e della Trieste esplodevano o s’incendiavano mentre il violentissimo fuoco dell’artiglieria nemica ricopriva le posizioni della fanteria e dell’artiglieria italiane. I cannoni anticarro italiani da 47mm, esattamente come i nostri da 50mm, non avevano alcuna efficacia contro i carri inglesi. La sera il XX corpo italiano, dopo valorosa lotta, era annientato. Con l’Ariete perdemmo i nostri più anziani camerati italiani, ai quali, bisogna riconoscerlo, avevamo sempre chiesto più di quello che erano in grado di fare con il loro cattivo armamento»  

Via per malattia, Rommel era stato sostituito da Stumme che morì d'infarto nelle prime ore del bombardamento inglese.  Il suo posto venne preso da Ritter von Thoma fino al 25. Controversa allora e tuttora la sua cattura nella bolgia del 4, la madre di tutte le battaglie: queste alcune versioni. "Von Thoma si è vestito “a festa”, ha messo le sue medaglie, sembra che vada a una sfilata, lui che ha fatto tutte le campagne di guerra guarda il mare di relitti fumanti e si avvia verso il nemico..". Chi dice cercasse la morte, chi ne avesse abbastanza e volesse chiudere li il suo conflitto in modo eroico, chi che semplicemente riteneva che un generale debba sempre stare davanti, ma altri che voleva semplicemente darsi prigioniero come fù.

     
Così era finita l’Ariete dal Diario del S. Ten. Formica:Alle nostre spalle gli incendi si allontanavano sempre più nel buio della notte mentre tutto intorno si levavano nel cielo stellato i segnali dei razzi, rossi quelli inglesi e verdi quelli tedeschi. Marciavamo da circa un'ora alla velocità consentita dalle asperità del terreno e dalla scarsa visibilità, quando fui costretto ad abbandonare nel deserto il carro armato, che non poteva tenere la velocità degli altri mezzi, dopo avere incaricato il Sottotenente Bosio di inutilizzarne motore ed armi. Verso nord, ad est, a sud e ad ovest i razzi del nemico continuavano a striare il cielo di rosso; ci trovavamo in mezzo ai reparti inglesi che avanzavano per riprendere il contatto con i nostri. Eravamo pochi, senza armi idonee, frammischiati al nemico, di notte ed in pieno deserto. La calma, luce della ragione, era più che mai necessaria: in simile frangente anche al nemico non sarebbe stato facile individuarci, sicché sentivo che alla fine tutto sarebbe andato bene. Con la mia vecchia bussola dell'Accademia controllavo la rotta, fidando nella nostra buona stella; In guerra si diventa fatalisti. Dopo quasi mezz'ora incrociammo una macchina tedesca proveniente da est.  

*La frase poetica e suggestiva (è il carro che parla all'uomo del suo equipaggio dicendogli cosa serva per essere un carrista in guerra) è riportata nel libro di Dino Campini "Nei giardini del diavolo" che testimonia di averla vista incisa sullo scafo di un carro comandato dal carrista VITO BRUNO di Mazara del Vallo, IV battaglione Carri/133° Reggimento. Il motto è citato anche nel Diario di Guerra del S.Ten. (cr) Vincenzo Formica, IX° Battaglione Carri, 132° Reggimento  Divisione Corazzata ARIETE.

     
Ai due soldati che l'occupavano chiesi notizie degli inglesi; i due si fecero comprendere molto chiaramente anche senza conoscere una parola d'italiano: eravamo circondati da ogni parte dal nemico ed approfittando dell'oscurità, cercavano di uscire fuori dell'anello che si andava sempre più stringendo attorno a noi. Ordinai di accelerare la velocità, mentre dalla mia posizione in cima alla piccola colonna, scrutavo attentamente il terreno in ogni direzione. Ad un tratto vedemmo dei razzi verdi che partivano da un paio di chilometri di distanza da noi: erano segnali tedeschi, per cui ci dirigemmo in tutta fretta in quella direzione. Trovammo infatti ferma un'autocolonna tedesca in procinto di prendere il largo. Mi venne confermata la notizia che il nemico ci aveva sorpassato sia sulla litoranea che all’interno in pieno deserto. Ripartimmo subito mantenendo costante la rotta di marcia perché fino a quel momento avevo avuto buon fiuto e decisi di non unirmi ai tedeschi perché pensavo che in pochi saremmo sfuggiti meglio al nemico. Verso mezzanotte incrociammo una lunga autocolonna italiana, era del 66° rgt. di fanteria della divisione Trieste, l'unico reparto ancora intatto di quella divisione. Il Colonnello del Reggimento mi interrogò circa i miei propositi, io gli consigliai di fermarsi per riprendere il movimento alle due, quando cioè cessava generalmente l'attività aerea del nemico, perché l'autocolonna era un vistoso obbiettivo per la ricognizione aerea avversaria. Per mio conto mi tenni lontano dall'autocolonna e poco dopo mi fermai per far riposare un po' uomini e macchine. A nord, sulla nostra destra, i riflettori del campo d'aviazione di El Dabà sciabolavano il cielo ininterrottamente e verso nord ovest, all'altezza della litoranea, si potevano distinguere gli scoppi dei bombardamenti aerei ed interi grappoli di "lumini". Dopo un frugalissimo pasto notturno ci addormentammo tutti nella macchine, vinti dalla stanchezza. In pieno sonno fui svegliato da un vicino confuso vociare; mi alzai dal mio duro giaciglio ed andai ad esplorare i dintorni; incontrai così i resti di un battaglione della divisione di fanteria Bologna che si ritiravano a piedi verso El Dabà. Gli uomini erano letteralmente sfiniti ed assetati (*), solo gli ufficiali, tutti dall'accento settentrionale, avevano conservato quasi intatti spirito ed energia e spronavano i loro soldati ad andare avanti. Bisogna ricordare che questa divisione era stata particolarmente sfortunata: dopo giorni e notti di duri combattimenti aveva eseguito un primo ordine di ripiegamento ed era stata costretta ad abbandonare le armi pesanti e l’artiglieria; poi aveva avuto il contrordine di ritornare sulle vecchie posizioni che aveva dovuto riprendere senza adeguato appoggio di fuoco contro i reparti inglesi che le avevano già occupate.  

Ariete had been reduced to a shadow of its former self, with only thirty M13 tanks, eighteen field guns, ten anti-tank guns and around 700 Bersaglieri. L'Ariete era ridotta a un fantasma con 30 carri, 18 cannoni, 10 controcarri e 700 bersaglieri... It was here, at around noon, that 5 Indian Brigade attacked the severely depleted Ariete and seized some high ground called Point 204. A company of ten to twelve M13s from Ariete counter-attacked but were driven off by the Indians with the support of nine heavily armoured Valentine tanks and a troop of 25pdr guns. They claimed three tanks destroyed, but mistakenly identified them as German. In the afternoon a larger force of sixteen M13s renewed the counter-attack and succeeded in overrunning the 25pdr guns; but it failed to recover Point 204. The next day, Ariete launched another assault, which was also repulsed until DAK arrived in support and the position finally fell.

(*) In merito all'episodio della Bologna **, il S.Ten. Vincenzo Formica raccontava al figlio che il Colonnello, un veterano della Grande Guerra , gli disse: "Noi ufficiali abbiamo altre risorse,risorse spirituali... ma per i miei soldati, poveretti, è diverso... adesso hanno solo sete".

     
 Naturalmente la rioccupazione delle vecchie posizioni era stata, in tali condizioni, solo parziale e molto sanguinosa. Infine la Bologna aveva avuto l’ordine definitivo di ritirata. Fu veramente una pietosa scena quando tutti quegli uomini, affranti dalla sete e dalle fatiche, mi circondarono in ginocchio perché dessi loro da bere. Li dissetai personalmente con le scorte d'acqua che avevo a bordo delle macchine, poi mi presentai ai loro ufficiali e conobbi il Colonnello comandante di quel battaglione che seguiva i suoi uomini in 1100 per non abbandonarli, specialmente in quella triste situazione. Ricordo ancora la figura del vecchio ufficiale, piccolo ed asciutto,con una benda nera che gli copriva l'orbita vuota dell'occhio sinistro; quello che più colpiva in quel volto monocolo era l'espressione decisa e risoluta dell'unico occhio sano e l'affabilità del sorriso che non aveva perduto il suo carisma nemmeno in quella tragica situazione. Prima di riprendere la marcia, avendo saputo che ero un ufficiale dell'Ariete, volle conoscere i particolari della nostra ultima battaglia quindi mi salutò con cordialità e scomparve lentamente con i suoi soldati verso Fuka...  

Ramcke

     
continua il racconto del S.Ten. Formica ….. Trovammo un'autocolonna tedesca in procinto di prendere il largo. Mi venne confermata la notizia che il nemico ci aveva sorpassato sia sulla litoranea che all’interno in pieno deserto. Ripartimmo subito, senza unirci a loro, mantenendo costante la rotta di marcia. Verso mezzanotte incrociammo una lunga autocolonna italiana, era del 66° Trieste, l'unico reparto ancora intatto di quella divisione. A nord, sulla nostra destra, i riflettori del campo d'aviazione di El Dabà sciabolavano il cielo ininterrottamente e verso nord ovest, sulla litoranea, si potevano distinguere gli scoppi dei bombardamenti aerei. Prima di riprendere la marcia vollero conoscere i particolari della nostra ultima battaglia quindi scomparvero lentamente verso Fuka..  

In occasione del 66° anniversario della battaglia di El Alamein il figlio Fabrizio ha gentilmente voluto inviare alcune pagine tratte dal diario del padre Vincenzo che a quella battaglia prese parte,come comandante del carreggio di combattimento del IX° Battaglione Carri.
29 ottobre 1942.

     

Vincenzo Formica fu successivamente decorato di croce di ferro tedesca di seconda classe, in quanto il comando tedesco volle sapere il nome di chi aveva effettuato il rifornimento sotto il bombardamento d'artiglieria inglese, rifornimento che si rivelò cruciale affinché i carri del suo battaglione, il IX potessero continuare a fare fuoco per il resto della giornata, arginando gli inglesi. Successivamente arrivato l'ordine di ritirarsi,riuscì a sfuggire agli inglesi e prese parte nel marzo 1943 alla battaglia di El Guettar in Tunisia coi resti di Ariete e Centauro. Alla fine fu catturato il 31 marzo 1943 dagli americani.

 

Brani elaborati dal sito    
5 nov - Le divisioni appiedate che hanno gli avamposti più avanti vengono abbandonate nel deserto, ognuno provvederà da se (a piedi). La mancanza di carburante ferma anche gli inglesi. Rommel ordina un ulteriore ripiegamento sulla linea Marsa Matruh - Oasi di Siwa (tenuta dai Giovani Fascisti).  Iniziava così un lento ripiegamento verso una meta che non si sapeva se ancora libera e col continuo terrore di essere raggiunti e sorpassati da una colonna nemica o di trovare il nemico a sbarrarci la pista. Raccontava un bersagliere che un piccolo gruppo con un ufficiale venne agganciato da un altrettanto piccolo gruppo di inglesi. Il superiore degli inglesi non vedendo alcuno coi gradi (si usava anche strapparli) intavolava senza molto convinzione un colloquio a distanza coi bersaglieri. Sapeva che se l’ufficiale, un ufficiale avesse ordinato il disarmo, i suoi uomini l’avrebbero seguito. Un gruppo, senza comando poteva da u momento all’altro, vista la parità di forze scatenare una sparatoria che non giovava a nessuno. E’ chiaro che in battaglia se devi morire per un equivoco, è meglio lasciar perdere. I due gruppi si scambiarono sigarette, poi voltarono i mezzi e ognuno per la sua strada. Gli inglesi verso Ovest sicuri di vincere, gli italiani da qualche parte “sicuri” di finire prigionieri. I tedeschi facevano altrettanto.  

Dei bersaglieri e dei carristi Caccia Dominioni scrisse “.. Ridotti a pochi nuclei sfiniti, carristi e bersaglieri della “Littorio” e dell’“Ariete” tentavano gli ultimi disperati contrattacchi e, accerchiati, comunicavano per radio che avrebbero continuato a resistere”.

     
6-7-8 nov. - Incomincia a piovere e i problemi logistici continuano a colpire gli inglesi. Rommel coglie l'occasione per non sprecare forze e si ritira su Sollum. La corsa della colonne britanniche sulla costiera viene continuamente stoppata da campi minati, anche finti. il Comando del X Corpo d'Armata italiano e i resti della 17^ Div. Fanteria "Pavia" vengono catturati dal nemico. Viene raggiunto il vecchio confine mentre stanno sbarcando gli Americani nel Nord Africa. Quando vincitori e vinti contarono le rispettive perdite, si accertò che l'Armata italo-tedesca lamentava 25.000 uomini, tra morti, feriti e dispersi, oltre a 30.000 prigionieri: tra quest ultimi anche 10.724 tedeschi, compreso il comandante dell'Afrika Korps, Generale von Thoma. Gli inglesi, lamentavano a loro volta la perdita di 13.560 uomini, tra morti, dispersi e feriti e 600 carri armati fuori combattimento, ma ne avevano altrettanti

La Folgore muoveva con la Pavia a mezzanotte del 4. Attorniati dal nemico che era sopravanzato con reparti esploranti vennero in gran parte sopraffatti nei giorni successivi. Finirono così la Pavia, la Folgore, la Bologna, i resti dell'Ariete, la Trento. Alle 7,45 del 5 anche il XXVIII battaglione del 9° Bersaglieri e il V dell'8° erano al passo del carro. Passati indenni giungeranno a sera all'appuntamento con un altro agguato che chiuderà per sempre la loro campagna. Alla Folgore s’era aggregato anche l'ultimo battaglione dell'8° bersaglieri, il III, su una compagnia sola. Mancavano 5 km alle linee di difesa arretrate quando il mattino del 6 gli ultimi della Folgore e del III cedevano le armi. La Pavia sotto la guida del vice comandante Gen. Parri venne raggiunta alle 11 del 7 novembre. Chi era sfuggito poteva considerarsi veramente fortunato e iniziò a piovere, poche gocce, che si trasformarono in diluvio per gli inglesi. Ai tedeschi quelle poche gocce non impedirono, con le ultime 3.000 tonn di benzina sbarcata, di sfuggire all'accerchiamento. Per sfuggire alla presa, uscire dall'Egitto o passavi dal deserto -Siwa, Giarabub-Gialo o dall'Halfaya (passo). Una colonna di 60 km era ferma ai passi esposta ad attacchi sia via terra che aerei. Macchine e mezzi che ormai non facevano più parte di un esercito, ma erano l'unico modo per giungere ad una salvezza ai più per il momento sconosciuta.  Una fila interminabile si era formata verso Tobruk nelle retrovie. Andava in un senso solo sulla Balbia, su due corsie affiancate. Chi si fermava per mancanza di benzina veniva spinto nel fossato, lo stesso per chi era mitragliato. Mentre Montgomery tiene la conferenza stampa della vittoria, a Londra suonano le campane. Loro hanno avuto 13.500 caduti l’asse il doppio. I prigionieri dell’asse sono il triplo. Dai magazzini di Marsa Matruh si riesce a caricare 200 camion di materiale e viveri ma non partiranno perché la strada e i camion servono a chi si ritira. Da Roma vista la situazione si smorzano i toni sulla stampa e si cerca anche di far dimenticare i trionfalismi dei giorni precedenti. “la ritirata delle truppe si svolge molto ordinatamente” :  Monty ha paura quando Rommel scappa, ma ne ha di più quando lo vede con le braccia alzate. Solo 30 carri superstiti (in gran parte del XIII carri) su 120 si erano allontanati dal luogo dello scontro. L'11 novembre i resti di Ariete, Littorio e Trieste formarono un gruppo di combattimento detto anche Cantaluppi, poi Ariete ed infine Centauro.

 

** la Bologna vantava un triste primato: era la seconda volta che veniva abbandonata al suo destino per proteggere la ritirata dei compagni: I fatti -Conquistata San Daniele, il 30 ottobre 1917 ben 4 divisioni imperiali autroungariche conversero sui ponti di Pinzano e Cornino (ferrovia), difesi dall’altura di Ragogna che sta praticamente in mezzo ai due ponti ad est del Tagliamento e dall’isolotto del “Clapàt” su cui passavano i piloni del Ponte della Ferrovia. La cresta di Ragogna era presidiata dalla Brigata “Bologna”(39/40° regg) e da un battaglione della Brigata “Barletta”. Nella mattina del 1 novembre, la 12a Divisione (Generale Von Lequis), “quella di Tolmino”, appoggiata da decine di batterie, sferrò l'attacco che doveva rivelarsi decisivo. Pur giungendo a 300 m circa dal Ponte di Pinzano, l'impeto degli Slesiani venne respinto dalle Fiamme Nere dei Reparti d'Assalto e dagli uomini del 40º “Bologna”. Il ponte (altissimo) era stato minato e il suo crollo non avrebbe permesso un passaggio di fortuna. La gravità della situazione (gli scontri casa per casa erano già giunti a S. Pietro) suggerì al Generale Sanna di far brillare le mine. Erano le 11,45. L’ultima via di fuga per i difensori di Ragogna era sfumata, a dispetto delle parole del comunicato Cadorna di 3 giorni prima "La mancata resistenza di reparti della II Armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico,....". La resistenza sul monte durò fino a tarda sera quando i fanti demoralizzati furono inesorabilmente sopraffatti. Il nemico tributò loro (3.000 sopravvissuti) l’onore delle armi in Piazza Vitt. Emanuele II a San Daniele.  Gli unici ad essersi volatilizzati erano i comandi.

Rommel: L’angoscia della volpe - Il pianto

   
28 nov. Rommel chiede di incontrare Hitler a Rastenburg.  Alle 17 Rommel fu ammesso nella sala delle conferenze del QG. Alla sua vista il Fuhrer restò di sasso (come se non lo sapesse) e chiese con tono duro "Coma osa lasciare il suo comando senza il mio permesso ?" Il colloquio non è dei più tranquilli. Hitler si eccita a dismisura alla notizia di ulteriori ritiri, esplodendo in una delle sue ben note violente reazioni (isteriche. Ce n'era per tutti anche per i generali del fronte russo). Rommel se ne usci con una opinione diversa da quella fino a quel momento avuta del capo.... e il capo non amava essere contraddetto …alle 20 dopo aver ottenuto da Hitler la promessa di nuove armi in cambio di una resistenza sul posto ripartì per Roma in treno. Il viaggio lo passò in compagnia di Goering. Viaggio, racconta, allucinante con questo personaggio con le unghie smaltate, le mani coperte da brillanti e fermacravatte altrettanto poveri, che gli proponeva la testa di ponte in Tunisia appoggiata dalla su armata aerea (gli mandò in effetti alcuni elementi di quella che venne chiamata divisione "paracadutisti corazzati" "Hermann Goering). Goering poi si tolse lo sfizio all'Excelsior di Roma di attaccarlo in pubblico. Disse la moglie Lucie del loro colloquio in camera "... ma qualcosa dentro di lui s’ era spezzato, tanto che alla fine ha pianto sulla mia spalla"  

 

 

IL MEDAGLIERE ARIETE

 

MEDAGLIA D'ORO AL 132° REGGIMENTO CARRI
Poderoso strumento di guerra, fuso in un unico blocco di macchine, energie e cuori, iniziò sul suolo marmarico la sua vita di dedizione, di sacrificio e di vittoria recando con la più severa preparazione, l'ardore puro dell'ideale e della giovinezza. Tappe di conquista e di gloria, lotte titaniche di corazze contro corazze. Bir el Gobi, Sidi Rezegh, munitissimi capisaldi smantellati e travolti, Quota 204 di Ain el Gazala, El Duda, Bir Hacheim, Dahar el Aslagh, infaticabile pulsare di motori, ansia ardente di incalzare sempre più il nemico battuto nelle nostre terre ed in ritirata verso est oltre i confini, da Tobruk ad El Alamein. Affrontò sempre un avversario agguerrito e superiore per numero e potenza lottando incessantemente in ambiente neutrale fra i più inospitali della terra; due volte si immolò nella gloria dell'offerta estrema, due volte risorse più forte per virtù di capi e generosità dei gregari. Nell'unità morale dei Caduti e dei vivi dimostrò saldezza e compagine degne dello spirito eroico della razza e delle tradizioni millenarie dell'Esercito Italiano.

 
   

MEDAGLIA D'ORO AL 32° REGGIMENTO CARRI PER IL III° Battaglione M 13
Durante due mesi di tormentato periodo d'operazioni in Africa Settentrionale lanciato contro un avversario che alla preparazione ed all'esperienza univa una schiacciante superiorità in armi corazzate, si impegnava oltre ogni limite di resistenza e di sacrificio. Nella difesa di Bardia sacrificava un'intera compagnia distrutta carro per carro, in lotte impari ed estenuanti ed infliggendo sanguinose perdite a uomini e mezzi avversari. Mutilati in questi suoi elementi, il battaglione continuava sempre in attacco e sempre dominato dallo stesso indomito spirito offensivo, anelando unicamente ad affermare, a costo della propria distruzione, la superiorità del soldato italiano ed imponendosi all'ammirazione dell'avversario. Consapevoli del loro destino e ben più grandi della loro sfortuna, i Carristi del III° Battaglione M 13 sapevano immolarsi serenamente alla pura bellezza del dovere e dell'Onore, talché la loro Unità veniva praticamente tutta distrutta.
(PER LA PRIMA PARTE DELLA CAMPAGNA D'AFRICA)

 

     

MEDAGLIA D'ORO AL 132° REGGIMENTO ARTIGLIERIA CORAZZATA
Reggimento di artiglieria di una Divisione Corazzata partecipò alla conquista della Cirenaica, alla battaglia della Marmarica, all'avanzata in Egitto, scrivendo pagine di dedizione, di eroismo e di gloria, per l'ardore profuso nella lotta, compensando sempre deficienza di mezzi con ferrea volontà di vittoria. Con il fuoco preciso dei suoi cannoni appoggiava ed accompagnava Carristi e Bersaglieri alla conquista dell'obiettivo, incurante di ogni azione avversaria terrestre ed aerea tendente ad arrestarne lo slancio. In azioni ove la battaglia si frantumava in episodi di epica lotta di mezzi corazzati, in fraterno concorso con i Carristi, schierava i suoi semoventi spesso davanti ai carri stessi, arrestando con tiri ravvicinati l'impeto avversario ed unendosi poi agli stessi carri per inseguire l'avversario in ritirata od opporsi in un granitico blocco a protezione delle nostre colonne. Con il suo eroico comportamento perpetuava le gloriose tradizioni dell'Arma.

 

     

MEDAGLIA D'ORO ALL’8° REGGIMENTO BERSAGLIERI
Strumento di guerra nel quale agilità e potenza sono contemperate e fuse, animi e corpi protesi in ferreo blocco al sacrificio ed alla gloria, in circa due anni di guerra sanguinosa in territorio desertico ha dato prove fulgidissime di eroico valore. In continuo contatto con un nemico più forte ed implacabile ha opposto alla maggior forza il coraggio, alla implacabilità la fermezza stoica e ne ha avuto, in ogni confronto, schiacciante ragione. Mai arrestato dal piombo avversario nelle sue marce vittoriose ha sempre saputo, opponendo le sue armi ed i suoi petti, stroncare inesorabilmente le iniziative del nemico. Il sangue generoso dei suoi ufficiali, sottufficiali, bersaglieri, continuatori eroici di una tradizione che non ha mai macchia, ha irrorato e fecondato le sabbie del deserto. El Mechili, Tobruk, Passo Alfaya, Sollum, Capuzzo, Bir el Gobi, Dahar el Aslagh, nomi legati alle glorie della Patria, sono le tappe gloriose del Reggimento, due volte sacrificatosi nell'estremo olocausto, due volte risorto nel nome dei suoi eroici Figli caduti. Lo stesso nemico ha espresso la stupita ammirazione per i fanti piumati del Reggimento, espressione purissima delle virtù guerriere dell'italica stirpe.

 

(Africa Sett., aprile 1941 - ott/novembre 1942).  

 

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