I BERSAGLIERI E LO SPORT GIOVANNI BRUNERO |
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Il palmares delle vittorie
delle stagioni migliori di Brunero |
Giovanni Brunero nasce a Ceretta di San Maurizio Canavese il 4 ottobre 1895 non lontano dalle terre che diedero i natali al grande campione del ciclismo pionieristico, Giovanni Gerbi. I suoi genitori Guido Brunero e Gabriella Giacobbe. Fin dal 1913 Giovanni corre con la maglia dell’U.S. Ciriacese (Ciriè). Nel 1914 Giovanni decide di mettere a frutto il suo amore per la bicicletta per avviare un’attività come meccanico ciclista in una sua officina. Nonostante il lavoro riesce a ritagliarsi spazi per allenarsi sulle strade del “suo” Canavese. Il 12 dicembre 1915 è di leva e viene arruolato ed è inviato al fronte, nel 5° reggimento Bersaglieri Ciclisti. Il fratello Ettore, classe 1898, decide di arruolarsi subito dopo nel ‘16 un anno prima della chiamata di leva: entrambi i fratelli prendono quindi parte alle operazioni al fronte. Giovanni, che ormai ha ottenuto il grado di sergente, è però ignaro del fatto che anche il fratello si sia arruolato. Infatti, in un’umida mattina del marzo del '17, i due fratelli, del tutto casualmente, si ritrovano, ognuno marciando con la propria compagnia, in direzioni opposte da e per il fronte. Ma il dramma, che di solito in guerra si manifesta crudamente per i soldati sotto forma di pallottole nemiche, nel caso dei fratelli Brunero assunse connotati beffardi. Giovanni ottiene il congedo pochi mesi prima di suo fratello Ettore. Giunto in treno a San Maurizio, si dirige verso casa e lungo il breve tragitto, sotto una pioggerellina insistente, si imbatte in un corteo funebre. E’ il funerale di suo padre, Guido, mancato pochi giorni prima del suo ritorno. Anche la mamma Gabriella è scomparsa, ma in circostanze misteriose, e non sarà più ritrovata. Giovanni ed Ettore, che tornerà pochi mesi più tardi, rimarranno fortemente traumatizzati da una così improvvisa perdita. I due troveranno nel loro reciproco affiatamento la forza e lo stimolo per continuare ad andare avanti. Riaprirono l’officina a Ciriè proseguendo l’attività di meccanici ciclisti che Giovanni aveva avviato prima della Guerra. Giovanni torna anche in sella e da dilettante si mette in luce nel 1919, tanto da conquistarsi una chance per passare professionista: 1° al Campionato Italiano dilettanti su strada e 1° alla Coppa del Re poi un giro dell’Italia Meridionale. Ottenuto il congedo definitivo, nel 1920 Giovanni diventa professionista nella Legnano (la Legnano sarà l’unica maglia indossata da Brunero per tutta la carriera, fatta salva la parentesi del 1928) e d’ora in poi saranno i numeri e le vittorie a parlare per lui. Le doti di Giovanni Brunero emersero già dalla prima stagione, e con esse anche le manchevolezze, che impedirono al ragazzo piemontese di cogliere risultati più prestigiosi; tanto Brunero era forte in salita, resistente tanto era incapace di uno sprint decente per le classiche in linea: nella prima stagione arrivò spesso con i primi, ma non vinse quasi mai: 5° alla Sanremo, un 2° e un 3° posto in due tappe del Giro d’Italia, 2° al Giro di Lombardia. Solo al Giro dell’Emilia colse la vittoria, e lo fece nell’unico modo possibile: staccando gli avversari. |
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1921 (Legnano)
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Il Giro d’Italia 1921 partì sotto il segno di Girardengo, che vinse le
prime 4 tappe. Poi, nella 5a, complice una caduta, il campionissimo di
Novi andò in crisi e fu costretto al ritiro (il famoso “Girardengo si
ferma qui” pronunciato in cima ad una salita, dopo esser sceso di sella
ed aver tracciato una croce sulla strada sterrata). Brunero colse
l’occasione per aggiudicarsi l’importante 7a tappa scalzando dal
comando della classifica generale Tano Belloni e mantenere il primato in
classifica fino a Milano: primo Giro. In
quell’anno Brunero trionfò anche sulle strade di casa, vincendo il Giro
del Piemonte. Come sempre, tanti i piazzamenti: secondo al campionato
italiano, alla Sanremo, alla Milano-Torino ed al Giro dell’Emilia. -1922 Il Giro d’Italia lo vide trionfare di nuovo. Brunero partì con il piede sbagliato: 15 punti di penalizzazione per aver cambiato una ruota* durante la prima tappa. Gli venne concesso comunque di proseguire, e la decisione indispettì le squadre dei principali avversari di Brunero, cioè la Bianchi di Tano Belloni e la Maino di Girardengo. Dopo alcune polemiche entrambe queste squadre abbandonarono il Giro, e tra Brunero e la vittoria rimase solo Bartolomeo Aymo, buon ciclista ma non un campione. Brunero lo sopravanzò al termine della 7a tappa, da Roma a Firenze, e mantenne il primato fino a Milano senza grossi problemi. Aymo chiuse a 12 minuti, il terzo classificato, Giuseppe Enrici, a 1 ora e 35 minuti…In quella stagione per Brunero arrivò anche una prestigiosa classica, la Milano-Sanremo, a confermarne l’avvenuto ingresso nella ristretta cerchia dei grandi del ciclismo. -1923. MILANO SANREMO ... Rampe del Turchino. La folla che si aspettava i campioni vede passare un perfetto sconosciuto di quasi 30 anni di nome Bottecchia indipendente. Ad Arenzano il gruppetto dei migliori è di nuovo unito. Bottecchia ritenta un attacco sui Piani d'Invrea e infatti attraversa tutto solo il lungomare di Varazze, ma viene immediatamente ripreso dagli uomini di Girardengo. Il controllo della squadra di Girardengo è ferreo. Non succede più niente fino all'attacco dei Capi. Nuova selezione in salita ma si arriva in volata e Girardengo la fa con l'aiuto di tre gregari. All'ultimo chilometro sono infatti Gremo e Lucotti a fare l'andatura per il novese che è protetto sulla ruota da Azzini. Quando i due battistrada si fanno da parte, Girardengo lancia la sua volata e così fa anche Tano Belloni che trova sulla sua traiettoria Azzini; per Belloni il suo "solito" 2° posto. Girardengo vince invece la sua terza (18/21) Sanremo. 4° Brunero |
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foto sopra da Le biciclette Legnano di Bici d’epoca |
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*Così la raccontava Cinelli per le penalizzazione del cambio ruota: Il cambio della ruota per una semplice foratura era proibito (avevi in spalla i tuoi tubolari, li cambiavi, li gonfiavi e via), a meno che non si rompesse la ruota (il cerchione) o qualche raggio. C'era un trucco: in caso di foratura si chiedeva ugualmente il cambio della ruota, poi il meccanico provvedeva a spaccare qualche raggio per giustificare, ai giudici, il suo intervento. |
La Rai ha dedicato a Girardengo (classe 1893) e a Sante Pollastri, l'amico bandito, una sconclusionata fiction che grida vendetta dalle tasche degli abbonati per lo sperpero di denaro pubblico. Fra i due c'erano 6 anni di differenza: Sante ne aveva 6 di meno. Biagio Cavanna, il navigato "manager" della fiction, è suo coetaneo !!!. Diventerà infatti famoso da "cieco", come l'orbo veggente massaggiatore di Coppi. Quando nel 1922 li fanno vedere (Pollastri e Gira che ha 29 anni) che si allenano, Gira ha già vinto 2 Milano-Sanremo e un Giro d'Italia con un palmares che farebbe invidia a qualsiasi corridore moderno (ed è professionista da 10 anni con la guerra in mezzo mentre Sante ha, all'epoca del suo passaggio al professionismo, 13 anni). Così la nipote di Girardengo "Temo che si voglia tracciare una figura un po’ diversa da quello che è stato mio nonno. Nella fiction ci sono degli episodi, a quanto ho letto che non sono reali e che nello stesso tempo sono molto gravi. Non permetterò che la memoria di mio nonno venga infangata". Costanza Girardengo - Sul fatto ci ha "campato" De Gregori che ha venduto 500.000 copie con "Il Bandito e il Campione", Luigi Grechi, autore del pezzo che ha vinto il premio Tenco, il giornalista Marco Ventura che ha scritto "Il Campione e il Bandito ..." e naturalmente la gente Rai. Interpellata la produzione ha fatto scena muta. Lo sperpero di denaro pubblico è l'obbligo di pagare la tassa canone per mantenere dei coglioni. La prossima volta che seguite una fiction Rai fatevi restituire i soldi altrimenti siete correi di appropriazione indebita. |
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1922 (Legnano)
1923 (Legnano)
1° Giro di Lombardia
(27/10/1923)
Giri d'Italia
1919 Costante Girardengo |
Il 1923 fu annata di grandi battaglie tra Girardengo e Brunero. Il
campionissimo si presentò al Giro più determinato che mai, dopo le due
vittorie del rivale e le polemiche seguite al ritiro. Dopo un lungo duello vissuto
sul filo dei secondi, fu proprio Girardengo a prevalere per soli 37
secondi, il che dimostrò ancor di più la grandezza di Brunero. Anche al
campionato italiano furono loro due i protagonisti, ed anche qui vinse
Girardengo in virtù della conclamata debolezza di Brunero allo sprint.
Ma anche in un’annata così difficile Brunero seppe togliersi delle
soddisfazioni, come le vittorie nel Giro di Romagna e nel prestigioso
Giro di Lombardia. -1924, 12° Giro d’Italia. Non si vedono campioni al via. Le solite beghe di soldi. La Gazzetta dello Sport apre allora la corsa agli isolati, a quei ciclisti di ventura che ci sono sempre stati (tra quelli, l’anno prima, c’era Ottavio Bottecchia, quinto all’arrivo). Poiché gli isolati corrono senza assistenza, senza appoggi, l’organizzazione provvede alle necessità alimentari dei 90 concorrenti: In Frigorifero 600 polli, 750 kg di carne, 50 kg di burro, 720 uova, 4.800 banane, 4.800 mele e arance, 2.000 bottiglie di minerale, zabaione, biscotti, cioccolata e molto altro ancora. Il Giro d’Italia del 1924 registra anche una regina, Alfonsina Strada, accolta in gara con e contro i maschi. Cade finisce fuori tempo massimo ma prosegue. Quel Giro lo vince Giuseppe Enrici, trentenne sconosciuto, piemontese. |
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Nel 1924 arrivò il bis al Lombardia, ed una scelta particolare per i fatti prima descritti: niente Giro ma il Tour de France. E fu una partecipazione coi fiocchi, incorniciata da una vittoria di tappa sul traguardo di Briancon, altre due tappe da protagonista con un secondo ed un terzo posto, ed un terzo posto nella classifica generale sfumato per una banale foruncolosi, che lo costrinse al ritiro a poche tappe dalla fine. L’anno dopo, 1925, poca messe di vittorie in presenza di un altro campionissimo che scende in strada con la Legnano, Alfredo Binda classe 1902. Binda è tanto forte da battere il "vecchio" Gira (classe 1893) al Giro e Brunero, compagno di Binda, gli deve fare da gregario di lusso chiudendo comunque con un prestigioso terzo posto nella generale.
Giovanni Massetto bersagliere di Cerone Strambino aveva
grandi baffi arricciati e a trent'otto anni suonati voleva dimostrare
che l'antico valore non era ancora spento: così 'Carlin' Bergoglio
descriveva il corridore Massetto, nato il 6 ottobre 1896. Di professione
Massetto faceva il carpentiere ma aveva una grande passione per la bici,
che lo portò a disputare parecchie corse e financo a partecipare ai Giri
d'Italia del 1927 e 1928. Di lui, pur proveniente da una famiglia
numerosa, i ricordi si perdono nel tempo soprattutto per via del fatto
che Massetto successivamente emigrò per motivi di lavoro in Francia e vi
fece famiglia con una ragazza francese. |
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di Carlo Delfino e Giampiero Petrucci |
Giovanni Brunero, il
ciclismo delle strade bianche Per la prima volta la vita e la carriera di Giovanni Brunero, l’umile routier di Ciriè, viene presentata in un libro che ne ripercorre la vicenda con una minuzie di particolari sorprendente, con un apparato fotografico di grande pregio (e il DVD della Milano-Sanremo del 1922, quella vinta da Brunero davanti a Girardengo). Tra i racconti delle gare emergono momenti drammatici come la partenza per il fronte durante la Grande Guerra e la prematura scomparsa dei genitori, ma anche l’avvio di un’attività imprenditoriale ancora florida, l’attenta guida del direttore sportivo Eberardo Pavesi, figura fondamentale per Brunero. E poi, a carriera appena conclusa, i primi sintomi della malattia che lo porterà in poco tempo alla morte. Quando sotto le ruote dei corridori passavano solo sassi, polvere e fango, le corse ciclistiche erano avventure inimmaginabili al giorno d’oggi, epiche traversate di centinaia di chilometri in cui si affrontavano grandi campioni che sapevano accendere la fantasia popolare. Tra di loro un piccolo scalatore piemontese, Giovanni Brunero, cresciuto nel mito delle imprese di Giovanni Gerbi, il Diavolo Rosso di cui si raccontavano storie fantastiche. Brunero è uno dei massimi campioni del ciclismo eroico degli anni Venti, anche se per il suo carattere schivo non ha acquisito quella popolarità che avrebbe meritato. Nel suo palmares figurano infatti tre Giri d’Italia, due Giri di Lombardia, la Milano-Sanremo, il Giro del Piemonte e dell’Emilia. Vittorie che spesso arrivavano dopo lunghe fughe, ad esaltare le sue innate doti di scalatore e la grande resistenza al fondo, e a superare la cronica debolezza negli arrivi allo sprint. Vittorie di prestigio quelle ottenute da Brunero, in un’epoca che deve condividere con i primi due Campionissimi della storia del ciclismo: quando esordisce tra i professionisti è all’apice la stella di Costante Girardengo, l’Omino di Novi, e pochi anni più tardi arriverà l’Alfredo da Cittiglio, il grandissimo Binda. Brunero li affronta, riesce talvolta a batterli, si trova a fare da gregario a Binda nella mitica Legnano, la squadra con cui corre quasi tutta la carriera. |
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1925 (Legnano) |
-1924: Milano- Sanremo. Alle porte di
Sanremo un folto gruppetto coi soliti: Arduino, Bestetti, Azzini, Aimo,
Girardengo, Berni, Belloni, Bogliolo, Bottecchia, Linari, Brunero, Ciaccheri, Corini, Dinale, Frantz, Gay, Gremo, Lucotti, Lugli, Sangiorgi,
Sellier, Tequi, Trentarossi e Dal Fiume.
Brunero tenta la volata
partendo lungo ma ai 500 mt. Bestetti rilancia con Girardengo a ruota che
compie lo sforzo forse leggermente in anticipo e viene castigato dal
velocista fiorentino Pietrino Linari che regola Belloni, Girardengo,
Bestetti, Bottecchia
Il fato non gli concederà lunga vita dopo gli anni di gloria per raccogliere i frutti della sua dura fatica. Coi guadagni di corsa apre nel 1926 col fratello una società per la vendita di auto ma non solo. In quegli anni la società si occupava anche di vendita e riparazione di biciclette ed accessori. Giovanni si spegnerà nella sua casa di Ciriè il 23 novembre 1934: nel giugno di quell’anno aveva salutato dalla camera da letto in cui era relegato la carovana del Giro. In una delle sue ultime lettere, all’adorato fratello, scriverà: “Cosa vuoi fare, io sono nato per soffrire…”. |
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1926 (Legnano)
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IL TEMPO DEI CAMBI
Non voglio qui addentrarmi in tecnicismi sulla meccanica (evoluzione della..) della bicicletta a cui dedicherò altro spazio in altri profili, ma solo fare un excursus sui sistemi di cambio da quando venne inventata la catena (esisteva anche una trazione cardanica). Saltate quindi le ruote con cerchi in legno, il tubolare, il telaio, i freni e le strade, regolarmente bianche, ci addentriamo nel cambio che divenne indispensabile quando comparvero le tappe di montagna (e le relative discese o il misto). E' vero che uno poteva anche partire con la bici già predisposta per la montagna, ma poi ci dovevi fare tutta la corsa. Aggiungo non esisteva nel regolamento la possibilità di cambiare bici o anche solo il cambio ruota e l'assistenza in corsa era quella che era. Si racconta che un corridore ruppe la forcella e dovette cercare un fabbro a diversi chilometri e a riparazione avvenuta ripartire. Ma le ore di ritardo non erano un problema. da http://aver.myblog.it/index-14.html Nel primo Tour de France solo un ciclista corse con due pignoni, gli altri percorsero tutte le tappe con un pignone fisso. Nel 1912, per la prima volta, si utilizzò un cambio, ma venne immediatamente proibito dagli organizzatori. I corridori inventarono quindi un modo per avere due velocità. Misero una corona a ogni lato della ruota posteriore, che giravano a seconda delle loro esigenze. Noioso, ma decisamente efficace. Nel 1910, la bicicletta con la quale Lauro Bordin partecipa alla Milano-Sanremo monta davanti una sola moltiplica, un 47, e dietro due pignoni: un 18 e un 20. Pochi anni prima però il futuro organizzatore del Tour Desgrange aveva detto: “Ritengo che il cambio di velocità sia adatto a persone oltre i 45 anni. Non è meglio trionfare con la forza dei propri muscoli piuttosto che grazie all’artificio meccanico del deragliatore? Per me ci stiamo rammollendo…” . Nelle corse prevaleva ancora il lato romantico. L'allentamento dei bulloni era facilitato da due alette rimaste in uso per tanti anni sulle bici normali. |
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Nel 1927 i fratelli Nieddu inventano il cambio Vittoria, che consente di cambiare rapporto spostando la catena con la mano (più tardi con una leva) e dando un colpo di pedale all’indietro. Era già meglio del fermarsi, salvo doverlo fare perché l'operazione non era andata a buon fine. In questa fase si inserisce con le sue modifiche un nome che diventerà famoso, Campagnolo, trovatosi in difficoltà anche coi classici galletti in una "gelata" tappa di montagna. Il più tardi del Vittoria corrispose quasi con la versione Campagnolo delle aste, la prima per sbloccare, l'altra per guidare la catena dove si voleva (e dal 1949 una sola asta Serse Coppi vinse la Parigi-Roubaix nel 1949 con questo tipo di cambio). I limiti di questo sistema erano l'artificiosità del tutto, con il disagio della pedalata all'indietro e l'impossibilità di usarlo nei momenti topici. Tuttavia permetteva l'uso già di 4 pignoni con un'escursione di 6 denti fra il più piccolo e il più grande. Tipicamente i professionisti usavano corone da 49, 50 o 51 e ruote libere a 15, 17, 19 e 21 denti. Tullio Campagnolo si preoccupò anche di sostituire i galletti con un sistema blocca ruote più veloce e sicuro chiamato sgancio rapido. Il cambio moderno nasce nel 1952. | |