La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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         Soldati e prigionieri Italiani nella Grande Guerra

di Giovanna Procacci

Bollati Boringhieri 1992 1a edizione

 

Prefazione alla 2a edizione A distanza di 7anni dalla 1a edizione, viene ripubblicato questo volume, da tempo esaurito, sulla prigionia dei militari italiani in Austria e in Germania durante gli anni della prima guerra mondiale....Alcuni saggi, editi di recente, hanno arricchito la conoscenza della condizione di vita e del comportamento dei militari al fronte (voglio in particolare citare il volume di L. Fabi, Gente di trincea. La grande guerra sul Carso e sull'Isonzo, Milano 1994, e le importanti ricerche di B. Bianchi, La rottura del principio di autorità: la diserzione nell'esercito italiano, in Grande guerra e mutamento, numero monografico di «Ricerche storiche», 1997,3; e Id., Momenti di pace in guerra. Fratemizzazioni, tregue informali e intese con il nemico nei processi contro gli ufficiali, in Di fronte alla grande guerra. Militari e civili tra coercizione e rivolta, a cura di P. Giovannini, Ancona 1997). Riguardo al problema della prigionia, la pubblicazione di nuovi diari ha permesso di apprendere altri particolari circa il disagio fisico e morale di cui furono preda gli ufficiali (ricordo, tra tutti, A. Staderini e L. Zani, Felice Guarneri. Esperienza di guerra e di prigionia (I9I6-I9I9), Milano 1995). Non è apparso tuttavia alcun studio che abbia affrontato il tema che è al centro di questo volume, ovvero le cause e le circostanze che portarono alla morte circa 100 000 prigionieri italiani su 600000 catturati e internati nei campi di concentramento austriaci e tedeschi: cifra che non ebbe uguali in alcun altro esercito alleato occidentale ...>>.

Premessa dal libro

Alcuni anni fa, Mario Missori, funzionario dell' Archivio centrale dello Stato, mi segnalò l'esistenza di una serie di lettere di soldati e di loro familiari, conservate nel fondo del Tribunale supremo militare. La corrispondenza era stata raccolta presso quel tribunale, che aveva il compito di decidere in ultima istanza i procedimenti pendenti, dopo esser stata fermata dagli uffici censura del Comando supremo, e inviata agli organi giudiziari dello stesso comando: si trattava quindi di scritti in qualche modo difformi dalla consueta corrispondenza patriottica di guerra, nei quali i censori avevano individuato una manifestazione di indisciplina o addirittura di reato.
Dall'analisi dei contenuti della corrispondenza emerse un soldato molto diverso da quello raffigurato per decenni dall'agiografia patriottica - il buon fante contadino, rassegnato e obbediente. Le lettere e le cartoline conservate presso il Tribunale supremo mostravano, in modo forse altrettanto univoco, un uomo che alternava alla paura, alla disperazione, all'orrore per la morte che lo circondava, rabbia e ribellione, desideri di vendetta e di fuga. In tal senso questa corrispondenza si differenziava anche dalle raccolte di lettere, dai diari e dalle testimonianze apparsi negli anni recenti. Queste fonti, spesso di grande valore documentario e umano, pur fornendo molti elementi per conoscere le condizioni di vita e di animo dei soldati, solo casualmente permettono di identificare lo spirito di rivolta che li animava; più spesso accennate nei diari, tali reazioni sono infatti quasi assenti nelle lettere, la maggior parte delle quali, avendo superato l'esame della censura e potuto raggiungere i familiari - che le avevano talora depositate presso pubblici enti -, non contengono di norma espressioni di protesta contro la guerra. La corrispondenza conservata presso il Tribunale supremo si prestava quindi a una duplice funzione interpretativa: da una parte, per il fatto di essere stata bloccata dalla censura, essa offriva la possibilità di cogliere i modi e i caratteri con cui agiva la censura di guerra, di individuarne la capillarità e la funzione ai fini della prevenzione e della repressione; dall'altra permetteva di conoscere - nei limiti dell'autocensura attuata dagli stessi soldati per evitare sia il blocco della lettera, sia le conseguenze disciplinari, sia infine dolori e sofferenze alle proprie famiglie -le condizioni di vita e gli stati d'animo delle truppe con una immediatezza che nessun resoconto informativo può fornire.
L'indagine si presentava dunque di grande interesse. Tanto più che in altri fondi archivistici - quali quello della Commissione reale d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico, sempre presso l'Archivio di Stato, e quello della Commissione per l'interrogatorio dei prigionieri di guerra, presso l'Ufficio storico dello SME - ero riuscita a individuare altre lettere (o brani di esse), sempre provenienti dagli stessi uffici di censura, che completavano il quadro della vita e dei sentimenti dei combattenti. La corrispondenza contenuta in queste raccolte era diversa da quella precedente; compito delle commissioni non era quello di indagare su atti di insubordinazione o su reati, bensì di testimoniare le efferatezze compiute dai nemici: pertanto le lettere contenevano soprattutto descrizioni delle condizioni di vita e del trattamento ricevuto durante la prigionia. Era possibile così documentare la tragedia di quanti, costretti alla prigionia, avevano subito le sofferenze morali, e soprattutto fisiche, dei campi di concentramento tedeschi e austriaci e delle compagnie di lavoro.
L'intenzione originaria era quella di far precedere le lettere da una breve introduzione, che chiarisse in particolare i meccanismi con i quali funzionava la censura, gli strumenti di repressione messi in atto dai comandi, i motivi della diserzione. Ma via via che la ricerca proseguiva, essa prendeva corpo a sé: era impossibile ignorare i mille punti che tanti brani di lettere - spesso neppure scelte per essere inserite nella raccolta da pubblicare - offrivano riguardo alla vita e alle emozioni provate dai soldati al momento di affrontare l'assalto o di resistere nella trincea, e durante la prigionia. L'indagine veniva così estendendosi all'ambiente nel quale il soldato era stato costretto a vivere, alle cause delle sue sofferenze e delle sue rabbie; ai rapporti con i superiori, con i compagni e con la famiglia; al suo stato d'animo nei vari momenti della guerra: in una parola alla vita al fronte, e alle reazioni emotive alla guerra guerreggiata. La ricerca veniva così estendendosi, volta a rintracciare i motivi che avevano determinato la fine di tante vite umane, e a scoprire i meccanismi perversi che avevano permesso, e anzi in buona parte voluto, tale soluzione: e cioè a individuare le colpe - segrete e taciute - della classe politica e militare italiana del tempo. . ..G:P.

 

Questo volume non pretende di colmare un vuoto di conoscenza riguardo alle vicende strettamente militari della Grande guerra mondiale. Esso ha solo lo scopo di descrivere le condizioni di vita dei soldati al fronte e nei campi di prigionia austriaci e tedeschi, e di indicare le responsabilità delle gerarchie politiche e militari dello Stato italiano riguardo alla sorte tragica che colpi decine di migliaia di giovani prigionieri.

 

Riassumiamo dalle pagine del libro di Giovanna Procacci – Soldati e Prigionieri italiani nella Grande Guerra alcune delle maggiori differenze fra la detenzione in Germania e quella in Austria al di à delle testimonianze riportate e di quelle di altri autori citati.

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Il campo di Mauthausen fu visitato l’8 settembre 1915 dai delegati del Comitato Internazionale di Ginevra della Croce Rossa (CICR) o International Committee of the Red Cross (ICRC) ed il 18 gennaio 1916 dal Cardinale Raffaele Scapinelli di Leguigno (Modena, 25 aprile 1858 – Forte dei Marmi, 16 settembre 1933), allora Pro-Nunzio apostolico a Vienna, in seguito al desiderio espressogli da Papa Benedetto XV....

 

Ndr: Al testo che segue sotto viene spesso, in rete, posposta la data per farlo sembrare anacronistico anche se in parte qualche dubbio sulla realtà dei fatti c'è ed è anche ammesso. Succederà anche col campo di Theresienstadt  nella 2a guerra mondiale dove in occasione di una visita della Croce Rossa si allestì un lager “modello” per ebrei: venne creata anche una falsa scuola sulla quale campeggiava un cartello con la scritta "chiusa per le vacanze".  Il giorno della visita (23/6/44) del delegato svizzero Maurice Rossel, tutto era pronto. La visita durò dalle 10 a.m. alle 6 di sera. Nella grande piazza di Theresienstadt i nazisti avevano fatto costruire un padiglione per concerti; Rossel vi vide i prigionieri suonare in una atmosfera totalmente irreale. A Rossel venne anche mostrato un asilo per neonati e bambini piccoli che fotografò e nel suo rapporto scrisse con meraviglia di essersi trovato in un luogo accogliente decorato con immagini di animali, con lettini puliti, una cucina spaziosa. L'asilo era stato costruito pochi giorni prima e pochi giorni dopo venne smantellato.

A Mauthausen l’effetto non doveva essere stato diverso solo che qui il sistema Lager si era attenuato poiché, unico nell’Impero, era gestito e diretto dagli stessi prigionieri, che naturalmente non avevano il permesso di scappare (ma gli ufficiali di andare in libera uscita si) perché la vigilanza esterna continuava. Si sa anche di campi dove i moribondi venivano chiusi tutti in una baracca per non "disturbare" l'ispettore. L’autogestione comunque toglieva ogni dubbio al fatto che i controlli interni ed esterni del campo in mano agli austroungarici, potessero appropriarsi dei pacchi da casa o che facessero la cresta sulle misere razioni già passate agli internati etc.. (siamo per l’Austria al terzo anno di guerra e la situazione piano piano sta degenerando anche per i civili. I prigionieri italiani aumenteranno in maggio e giugno del 16 anche in virtù della Strafexpedition e i campi scoppieranno già prima della grande disfatta di Caporetto che segnerà la linea di non ritorno dalla prigionia con decine di migliaia di decessi. Ricordiamo che Austria e Germania erano soggette al blocco navale e dovevano fare con quello che avevano. E’ dubbio che servissero ancora del The. I nomi dei campi qui citati e quanto vi successe scomparirono dalla memoria pubblica per ricomparire 20 anni dopo nella soluzione finale del "problema" ebraico

…………Nell’inverno 1917/18 il numero dei prigionieri aumentò a dismisura..Fu in quei mesi che le condizioni dei soldati e quelle degli ufficiali si differenziarono di più… Il tipo di punizione variava a seconda dei campi; in Germania, nel campo di Stendal, ad esempio, i prigionieri, oltre a venire percossi sulle spalle o sulle natiche, se erano sorpresi di notte fuori dalle baracche potevano incorrere nella punizione di un bagno in acqua gelida al mattino; in altri campi" venivano costretti a restare per ore sulla neve, o venivano lasciati per vario tempo con i polsi legati alle caviglie, o subivano la più grave punizione, quella del palo. In seguito a pressioni internazionali, le pene corporali, e in particolare questa ultima, vennero formalmente abolite nel I917 da ambedue le potenze centrali; ma quanto il divieto venisse osservato è difficile stabilire. Un uso vigente in tutti i campi fu poi la trattenuta sulla paga, sotto i più vari pretesti: il letto non ben sistemato, un ritardo a un appello, una ciotola versata. Altrettanto spesso i prigionieri venivano puniti con la riduzione della razione di rancio, con il ritardo nella consegna dei pacchi e della posta, e infine con il carcere. Le punizioni sembra fossero più severe in Austria, più frequenti in Germania. Alcuni rimpatriati narrarono come i guardiani infierissero con crudeltà sui prigionieri. «l soldati nostri venivano bastonati e schiaffeggiati senza ritegno - testimoniò un ufficiale reduce da Celle -, e quando nell'inverno soldati prigionieri, trainando affamati e nel gelo carri pesanti e ricolmi cadevano a terra sfiniti, su di essi il tedesco scagliava il suo pugno o il calcio del fucile, senza pietà»." Non di rado coloro che si dimostrarono crudeli e inflessibili nello sfruttamento dei soldati prigionieri furono quegli italiani, soldati e più spesso graduati e sottufficiali, che erano stati elevati dal nemico al rango di vigilanti e grazie a tale loro attività ricevevano un trattamento di favore (vitto e vestiario: il vestiario fu una di quelle cose che venne dimenticata letteralmente sia dai comitati che dai parenti oltre che dallo stato). Questi personaggi che nella seconda guerra mondiale si chiameranno Kapò indossavano divise austriache. Al rimpatrio molti denunciarono questo etc….

pag 278 e segg.....Le testimonianze che ci provengono dalle pagine della relazione della CIV, o dalle memorie dei sopravvissuti, ci trasmettono immagini di orrore. Nelle «città dei morenti» - come vennero definiti i campi esseri inebetiti dalla fame si aggiravano fra mucchi di rifiuti, razzolavano alla ricerca di avanzi putrefatti, si gettavano gli uni contro gli altri per afferrare il pezzo di pane che il nemico gettava nel loro gruppo. Per lenire la fame i soldati ingerivano grandi quantità di acqua, e ingoiavano erba, terra e anche sassi, legno, carta, con conseguenze letali: «Molti morivano di dissenteria e di polmonite, prendevano la dissenteria mangiando l'erba del campo come pure gli avanzi delle casse di spazzature», riferì un prigioniero francese rimpatriato. A Mauthausen «noi ufficiali vedevamo spesso i soldati prigionieri che dal loro gruppo venivano ogni mattina nel nostro reparto a raccogliere le immondizie; li vedevamo spesso slanciarsi nei canali di scolo e verso le casse dei rifiuti a raccattare spine e teste di aringa, rimasugli di patate e ogni sorta di roba cruda, sporca e fradicia». «Anche noi soffrivamo la fame, come soffrivamo il freddo e tutti gli altri disagi della prigionia; ma la condizione dei soldati ha qualche cosa di particolare che la nostra parola non ha il coraggio di riferire».
Gli osservatori esterni restavano inorriditi alla vista di quelle folle amorfe di uomini, scheletriti, coperti di stracci, che si adunavano intorno a loro chiedendo da mangiare. A Lamsdorf, in Slesia, i visitatori che vi si recarono dopo l'armistizio «arretrarono allibiti dinnanzi a certi paurosi spettri che videro uscire carponi di sotterra», da buche scavate per resistere al freddo. Un ufficiale medico rimpatriato da Sigmundsherberger (Italiani morti 2363) riferì come gli ufficiali, che avevano creato una commissione di beneficenza a favore dei soldati, dopo una prima visita nelle baracche, non si fossero sentiti più la forza di tornarvi: «.... senza più nulla di umano quei disgraziati muoiono in proporzioni veramente impressionanti - o contraggono gravi malattie polmonari - o hanno arti congelati che poi vanno in cancrena, senza che si possa curarli per difetto di medicinali. Il nutrimento è assolutamente insufficiente (non si superavano quando andava bene le 900 calorie) qualitativamente e quantitativamente». Un'infermiera della CRI, trattenuta dopo Caporetto nel cortile del castello di Lubiana, così descrisse un gruppo di prigionieri italiani: «Erano circa trecento: tutti laceri sporchi, denutriti. Sembravano scheletri ambulanti che si muovessero per forza d'inerzia, inconsci ed insensibili oramai ad ogni espressione di vita civile e ad ogni ricordo [ ... ] riesco a sfamarne tre, poi fuggo, non potendo resistere a quello straziante spettacolo». «Ieri ho visitato il campo di Worms - riferì il comandante Accame nella sua già citata relazione sui campi in Germania -, ed il lazzaretto, ove sono degenti 203 ammalati, quasi tutti tubercolosi, e mi sono soffermato con tutti indistintamente, perché non ebbi il coraggio di sorpassare nessuno temendo di offendere i sentimenti di quei poveri ragazzi destinati qui più d'uno alla morte, che mi guardavano con degli occhi che io non ti so ridire, ma che mi fecero star male tutto il giorno ».

La Germania

 
Gazzetta di Losanna 15 aprile 1918 L'agenzia dei Balcani riferisce le impressioni sulle condizioni generali della Germania dei primi prigionieri civili russi che han fatto ritorno a casa. L'attività  industriale (anche militare) è molto ridotta a causa della scarsità delle materie prime: ciò che ingenera un'enorme disoccupazione: il popolo è esasperato della resistenza degli alleati e dichiara che a qualunque costo la guerra deve finir entro quest'anno.  Fra le continue numerose conferme che giungono da ogni lato sulle tragiche condizioni dei nostri prigionieri in Austria e Germania, si segnala una deposizione di fonte francese che da prova dell'impiego dei nostri soldati (prigionieri) immediatamente a tergo della linea di combattimento tedesca. E' stato infatti veduto a Wittemberg,  presso Berlino, un treno della CR pieno di prigionieri italiani feriti: vi erano circa 120 uomini che provenivano dal fronte ove erano adibiti a lavori di difesa. Un prigioniero sfuggito da Waldshut afferma inoltre che fra i prigionieri italiani in quella località la mortalità ha raggiunto il 50%. I russi vengono man mano sostituiti dagli italiani nei lavori cui erano adibiti: il loro rancio, già scarso, diviene sempre più deficiente così che buona parte della mortalità è dovuta a denutrizione. Da un volantino dell'epoca

 

..... Il Cardinale Scapinelli visitò anche il cimitero nel quale erano già stati sepolti 53 italiani, ed i diversi ospedali ove potè constatare che il « trattamento dei malati nulla lascia a desiderare ». Il Colonnello comandante si interessava. « visibilmente con amore dei poveri malati e feriti ». I medici austriaci erano coadiuvati dai medici italiani prigionieri, che godevano di ampia libertà in tutto il campo. Gli ambienti erano luminosi, ben arieggiati e riscaldati. Il vitto per i malati si preparava in cucine speciali. Il Pro-Nunzio parlò con tutti i malati e feriti ad uno ad uno e chiese loro se fossero ben trattati e se nulla desiderassero. Tutti risposero di essere soddisfatti, lodandosi specialmente del capo medico che si occupava - sono parole di Monsignor Scapinelli - « continuamente di loro come un padre ». (ricordiamo che siamo nel 1916 e il problema del sovrannumero dei prigionieri non esisteva ancora)

Visitò quindi molte baracche di soldati e si intrattenne con parecchi liberamente e senza testimoni. Qualcuno si lagnò della insufficienza del cibo. Il prelato fu presente alla distribuzione del rancio, lo gustò, e ne trovò la qualità buona. La quantità era normale per soldati. Esaminò la distinta della settimana, e constatò che al mezzogiorno avevano la carne tutti i giorni, meno il martedì e il venerdì, nei quali era proibita in tutto l'Impero la vendita della carne. Allora invece della carne ricevevano pesce. La carne, nella misura di 150 grammi netti, aveva come contorno 350 grammi di legumi, patate, polenta, riso, ecc. ; e ciò oltre la minestra. Alla mattina avevano del thè o del brodo ; alla sera la zuppa e una porzione di legumi, patate, polenta, fagioli, ecc. Anche il pane era sufficiente e della stessa qualità adoperata per tutti in Austria.

Nonostante tutto questo il Pro-Nunzio dovette ammettere che la lagnanza dell’insufficienza di cibo rispondeva « un poco alla verità » ma spiegò la medesima col.... buon appetito determinato dall’ « età dei prigionieri » e coll’ « aria fine e pura che scende sul campo, dalle montagne circostanti coperte di neve».

Ndr: sulla quantità di cibo gioca un ruolo non indifferente il passaggio da una alimentazione di oltre 4.000 calorie in trincea (Inglesi a 4400) ad una quasi dimezzata (oggi comune), per il momento, perché poi venne ulteriormente ridotta e questo nei confronti sia dei militari che dei civili. Nel dicembre 1916 il rancio italiano scese a 3.000  calorie e nel 1917 la fame percorreva le strade italiane per il ridotto raccolto. Solo l'intervento degli Usa salverà le razioni del soldato.

I soldati ricevevano tutte le settimane anche un pacchetto di tabacco e della carta per farsi le sigarette. In ogni reparto del campo vi erano dei botteghini ove, a tariffe stabilite dal comando, si vendevano commestibili, vini e altre cose occorrenti. Qualcuno, specialmente tra i meridionali, disse di soffrire il freddo nella notte, e desiderò altre coperte. Il Cardinale Scapinelli visitò anche il reparto destinato ai nostri ufficiali e parlò a lungo, anche « a quattro occhi» con alcuni raccomandati dal Cardinale Gasparri, fra i quali nominò nel rapporto il Tarquini, il Della Porta, il Lombardi, il Sanfelice ed il Ronca. Si trattenne in particolar modo col colonnello Riveri, il quale, pur mostrandosi « naturalmente un po’ avvilito per lo stato di cattività » affermò che gli ufficiali, in molte cose, nulla avevano « da domandare o desiderare». Le loro abitazioni - sempre secondo il Pro-Nunzio - erano « ottime, ben riscaldate, ben pulite ed arredate perfino con certa eleganza ». Da capitano in su, ciascuno aveva una stanza (riservata); gli ufficiali inferiori erano in due per camera ; avevano mensa propria, diretta e ordinata da loro. Ricevevano lo stipendio dovuto al loro grado. Il minimo era di 4 corone al giorno. Potevano uscire a passeggio nel paese, fuori del campo, una o due volte la settimana.

IL CARDINALE RAFFAELE SCAPINELLI

 

Il Castello di Leguigno

Nel 1796 l'arrivo delle truppe di Napoleone spazzò via feudo e Feudalesimo, e Leguigno divenne Comune indipendente del distretto di Carpineti, nella Repubblica Cispadana. La Restaurazione non riportò gli Scapinelli nel loro castello come dòmini ma semplicemente come abitanti.. Prima degli eventi bellici la corte fortificata, divenuta residenza privata del Cardinale Raffaele Scapinelli di Leguigno ospitò numerosi ambasciatori e grandi esponenti di stati esteri, soprattutto durante il periodo estivo.


Raffaele Scapinelli di Leguigno (paesino della montagna reggiana feudo di famiglia da molti anni) studiò teologia e filosofia presso il Seminario di Reggio Emilia. Successivamente, a Roma, si laureò in diritto canonico e in diritto civile ricevendo nel 1884 l'ordinazione sacerdotale. Dopo ulteriori studi presso la pontificia accademica ecclesiastica divenne, nel 1887, professore di diritto canonico, con incarico presso il seminario di Reggio; nel 1889 entrò come collaboratore nella Segreteria di Stato.
Negli anni dal 1891 al 1905 fu segretario poi collaboratore delle nunziature del Portogallo e dell’Olanda. Nel 1902 riceveva anche la nomina a canonico di S. Pietro. Nel 1905 veniva nominato anche Prelato domestico di sua Santità. Fu inoltre consulente del Sant'Uffizio e della Sacra Congregazione Concistoriale. Nel 1912 papa Pio X lo nominò nunzio apostolico in Austria-Ungheria e vescovo titolare di Laodicea ad Libanum. Raffaele Scapinelli venne ordinato vescovo dal cardinale Rafael Merry del Val y Zulueta e fu nominato cardinale da Benedetto XV nel concistoro del 6 dicembre 1915 con la titolarità della chiesa di San Girolamo dei Croati (degli Schiavoni).
Scapinelli rimase a Vienna fino al 1916 e fu insignito della Gran Croce dell’ordine di S. Stefano. Ritornato a Roma servì come prefetto della congregazioni degli affari religiosi fino al 1918 incarico che venne chiamato a ricoprire anche due anni dopo. Partecipò al conclave per l’elezione di Pio XI. Raffaele Scapinelli di Leguigno morì il 16 settembre 1933 a Forte dei Marmi e venne sepolto a Roma nel cimitero del Verano nella Cappella di Propaganda e Fide.

Il ruolo di Scapinelli in Austria era quello di arginare tramite la chiesta Cattolica di rito orientale l’invadenza Ortodossa zarista verso l’adriatico con gli stati Serbi e Montenegrini e la stessa Austria subentrata in parte di quelle terre: a tale scopo scriveva: “un centro cattolico nel cuore dello slavismo, nello Stato che più fieramente rappresenta l’ortodossia orientale nei Balcani, avrebbe una importanza capitale per gli interessi della Chiesa in quelle regioni, e costituirebbe un argomento di grandi speranze per l'avvenire del cattolicesimo fra quei popoli. Del resto, di fronte al minaccioso avanzarsi dello scisma verso l`occidente, di fronte agli sforzi immensi coi quali procura d’infiltrarsi e di estendersi anche entro i confini di questo Impero [asburgico], fra le popolazioni slave della Galizia e della Ungheria, anche una soluzione di quella continuità scismatica. che si stende da! Mar Nero fino all`Adriatico. soluzione che si otterrebbe col riconoscimento ufficiale della Chiesa cattolica in Serbia sarebbe già per se stessa un grande vantaggio".

L'ultimo anno di guerra

Relazione citata, in Carte Nitti, f. 29, 3. Circa il formalismo su cui si insistette dopo la riorganizzazione dell'esercito, è interessante notare come in una circolare del 7 febbraio 1918 Min. della Guerra circa l' «Azione educativa e disciplinare e propaganda patriottica nell'esercito» si raccomandasse per prima cosa agli ufficiali, oltre all'esercizio della disciplina, la «correttezza nella uniforme, nel saluto, nel tratto, nelle  compagnie, nei discorsi»; solo in seguito veniva affrontato il problema dell' «opera educativa», da svolgersi quotidianamente, in ogni luogo, con parole semplici. Già in gennaio Diaz aveva inviato una comunicazione ai comandi, in cui veniva segnalato con deplorazione come, in occasione delle visite al fronte di unità alleate, alcuni ufficiali avessero destato un' impressione poco favorevole per la tenuta dell'uniforme e le barbe eccessivamente lunghe e per il contegno tenuto a mensa. (circolare 10/11918). Anche il comando della V Armata aveva biasimato la tenuta di vari militari (- barbe lunghe - capelli lunghi - sciarpe al collo - cappotti aperti o semi abbottonati) (23/1/1918); e un'altra rimostranza era stata rivolta alle truppe d'assalto da parte del comando della 69· Divisione «per l'abitudine di portare i capelli molto lunghi, sporgenti sulla fronte di sotto il copricapo» (26/4/18).

Ndr: Della libertà di comportamento degli arditi abbiamo parlato in altre pagine e l'ultima spiaggia della nostra guerra erano loro e i loro ufficiali che mal tolleravano gli "ignoranti" o imboscati dei comandi. Se qualcuno di questi avesse voluto unirsi a loro in qualche incursione era ben accetto, compreso i nuovi arrivi con tre mesi di istruzione. L'ardito reagiva male e conseguentemente agiva e non era igienico per nessuno farsi avanti di persona a redarguire i loro comportamenti. Mai trovarsi sulla traiettoria dei loro moschetti. Si saprà poi quanto influirono sul dopoguerra.

Sono innumerevoli le testimonianze che descrivono l'esultanza delle popolazioni contadine dopo Caporetto  (non solo nell'antico Lombardo Veneto, ma anche di altre regioni, comprese quelle Meridionali - di fronte all'ipotesi di invasione austriaca (Diaz ne avvertiva allarmato Orlando il 24 novembre 1917 cfr. PC, 19.6.5). Nelle campagne milanesi, ad esempio - scriveva un amico al giornalista Tullio Giordana - «in molti luoghi si è fatto il risotto e si son fatte delle sbornie per festeggiare la venuta in Italia degli austriaci.  dal libro

La situazione degli approvvigionamenti all'interno del paese diveniva infatti sempre più grave, e le famiglie se ne lamentavano con i soldati: «Ora verrà la requisizione generale a tutte le case [ ... ] Poveri noi, come possiamo vivere più [ ... ] io non so dove mettere la testa, con tanti figli in famiglia come faremo?»; « ... ci danno del pane che non si sa che cosa contenga. Vogliono farci morire tutti ... Sono stanca proprio di tutto, e se non finirà, non so dove andremo a finire. Novità? Miseria dappertutto. I viveri mancano tutti i giorni e le famiglie sono ridotte alla miseria». «Tutte le sere andiamo a letto senza cena e senza neanche una briciola di pane. Se tu vedessi come siamo ridotti, ne piangeresti di dolore.
Nelle nuove posizioni (di qua dal Piave), nelle quali l'esercito italiano aveva dovuto stabilirsi (trincerarsi), il soldato italiano doveva trascorrere i suoi giorni in trincee improvvisate, senza poter fruire di ricoveri, in condizioni ambientali pessime. In aggiunta a questa situazione, non facilmente modificabile nel breve periodo, altri fattori, legati in gran parte all'incapacità organizzativa dello Stato, rendevano particolarmente difficili e gravose le condizioni dei combattenti: per prima cosa, l'insufficiente equipaggiamento di cui era fornito il soldato, sia nelle montagne che nelle stesse zone di pianura; intorno a Venezia, ad esempio, «nell'umido letale della laguna, con un freddo di 15 gradi ed oltre sotto zero, c'è ancora truppa che dorme la notte sotto le tende o calzata con calze di cotone o senza biancheria di flanella o con indumenti addirittura impari al clima, alla zona, alla stagione. Non è raro incontrarne in calzoni di tela ».
Insieme al freddo si era poi ripresentato il pericolo della fame, in parte affrontato e risolto nei mesi precedenti. Se nel passato c'erano stati dei problemi per il rifornimento dei beni di sussistenza alle truppe, questi infatti si erano ingigantiti dopo la rotta. Ma anche in questo caso la situazione era soprattutto da imputarsi all'incuria dei comandi e delle autorità politiche. «Il soldato mangia poco e male», si legge in un appunto del 5 dicembre I917, sempre scritto per Nitti, nel quale si accusava il ministro della Guerra, Alfieri, di non aver compreso la gravità del problema e l'urgenza di una sua risoluzione. Né era possibile per molti acquistare beni di consumo, dato l'immutato livello della paga e quello, gonfiato invece dall'inflazione e dalla penuria dei beni, dei prezzi. Restavano, per sopravvivere, i pacchi inviati dai familiari (che se lo potevano permettere), o dagli enti di assistenza. Ma, come sappiamo, per ordine degli alti comandi, dopo Caporetto fu sospeso il servizio dei pacchi postali.
Riguardo al problema dei cambi e dei turni in prima linea, veniva riferito a Nitti che «si è ritornati alla vecchia trascuranza degli interessi e dei sentimenti dei soldati in proposito»; i cambi erano infatti, come in passato, rari e non regolari. Ma anche quando i soldati potevano godere di periodi di riposo, le truppe venivano fatte sostare in località quasi altrettanto pericolose della prima linea, venivano gravate da continue esercitazioni e alimentate in modo ancor più scadente che al fronte. Né diminuì sotto la gestione Diaz il rigore della giustizia penale; al contrario, per alcuni aspetti, essa divenne ancora più rigida, anche se meno casuale e ingiustificata che in precedenza. Inoltre, come se l'immagine degli sbandati dopo Caporetto avesse determinato nei comandi la spinta ad accentuare forme di esteriore decoro, in aggiunta alle punizioni più gravi, come riferivano gli informatori di Nitti, venivano anche esercitate «piccole vessazioni di cui i soldati hanno profondo risentimento. Vi sono molti comandi che fanno ancora questioni di bottoni, di sottogola ecc. a dei soldati che sono di ritorno dalla trincea (al rigorismo Cadorna si era aggiunto il formalismo Diaz, che prevedeva di vincere la guerra con la divisa in ordine e barba e capelli fatti, quando problemi insormontabili gravavano ancora sulla nostra resistenza al Piave).

Un ulteriore elemento di risentimento verso i comandi e il governo provenne inoltre dal fatto che i soldati italiani, entrati in contatto diretto con le truppe alleate giunte in Italia, poterono effettuare un confronto con il trattamento sia materiale che morale dei soldati inglesi e francesi. Con un semplice sistema di carrette, a costoro veniva infatti assicurato rancio sufficiente e caldo anche quando erano in marcia; ottenevano continui e immediati cambi dopo le azioni o le permanenze nei luoghi pericolosi; usufruivano di ben organizzate e prolungate licenze; erano infine ben vestiti, ben nutriti e ben pagati, mentre gli italiani erano privi di indumenti di lana, mal nutriti, mal pagati. Molto diverso era poi il rapporto tra i soldati e i loro superiori, improntato a un cameratismo del tutto sconosciuto in Italia.
   

Da Schwarmstedt (Hannover) - 30 dicembre 1917 a V.E. Orlando, presidente del consiglio dei ministri Roma

Eccellenza, la mia qualità di capo degli ufficiali italiani prigionieri di guerra di questo campo mi impone di esporre all'E.V uno stato di fatto penoso pel quale urgono provvedimenti solleciti e duraturi, a tutela del decoro e della dignità italiana. Sono qui riuniti 355 ufficiali italiani che, da più di due mesi a questa parte, soffrono ogni sorta di privazioni, a lenire le quali non basta certo lo stipendio corrisposto dalle autorità tedesche (IO marchi mensili agli ufficiali subalterni, 50 marchi ai capitani). Il più grave e il più importante dei motivi di sofferenza è dipendente dallo speciale razionamento di viveri esistente in Germania pei prigionieri, razionamento che, non bastando mai a calmare neppure gli stimoli più urgenti della fame, ingenera negli ufficiali uno stato continuativo di perturbazione nervosa e di malcontento, che, contenuti sinora da una salda disciplina, potrebbero facilmente, col prolungarsi delle attuali condizioni, degenerare e trascendere a dimostrazioni chiassose e comunque ad atti inconsulti, con grave scapito degl'individui in particolare e del buon nome d'Italia in generale. Né è da credersi che a pagamento si possano acquistare dal commercio generi commestibili, poiché la vendita di essi è dalle autorità tedesche assolutamente proibita. Ogni istanza diretta ad ottenere un vitto meno scarso non à ottenuto alcun esito: le autorità tedesche rispondono che non possono dar di più ai prigionieri ed esortano gli ufficiali a rivolgersi alla madre patria od all'amica Inghilterra.

Il denaro italiano viene qui cambiato in ragione di 60 marchi ogni 100 lire e l'enorme costo dei pochi oggetti acquista bili à esaurito quasi totalmente ogni risorsa. Ad esasperare maggiormente l'animo degli ufficiali concorrono inoltre altri fatti: da due mesi a questa parte nessuno à ricevuto notizie della propria famiglia, nessuno à ricevuto quei pacchi di commestibili e di biancheria che, per cura dei comitati regionali di soccorso, potrebbero essere inviati pel tramite della Croce Rossa: ed a questo riguardo prego V. E. di voler considerare che gli ufficiali hanno ancora indosso la biancheria dello scorso ottobre, poiché il costo esorbitante di essa in Germania non consente che a pochissimi di farne acquisto. A ciò si aggiunga che tutti sono sprovvisti di scarpe, di abiti e di indumenti invernali ed esposti ai rigori di un clima quasi glaciale: sofferenze e disagi questi che, sommati agli altri più sopra riferiti, sono negli ufficiali la causa prima e più forte di deperimento organico e di accasciamento morale. Tali condizioni di vita, poste a confronto con quelle dei prigionieri Francesi, Russi, Inglesi e Belgi, i quali dai governi dei loro paesi ricevono abbondante nutrimento e vestiario, costituiscono uno stridente contrasto, che io prego l'E. V., a nome di tutti gli ufficiali di questo campo, di voler eliminare con solleciti provvedimenti, ad evitare che la tensione degli animi, cagionata dalle sofferenze, possa in qualche modo offendere il decoro del nostro paese.
È con questa speranza che io mi rivolgo all'E. V. rappresentante dell'Italia, affinché, mediante un benevolo interessamento, giungano presto dalla madre patria agli ufficiali prigionieri, quel conforto e quell'aiuto che ogni madre non nega ai suoi figli. Devotissimo  Capitano Gaetano Tassinari 231° Regg. Fant.

 

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