La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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RISORGIMENTO

    Come siamo entrati in Roma 

di  Ugo Pesci

Ugo Pesci (Firenze, 1842 - Bologna, 1908) noto pubblicista che lascia il servizio militare, dopo aver combattuto a Custoza nel 1866. Diviene redattore del "Fanfulla", del "Corriere della Sera", del "Caffè e direttore della "Gazzetta dell'Emilia". Fu anche corrispondente e collaboratore di altri giornali e riviste della Penisola.

INVIATO SPECIALE
…oltre l'artiglieria da campagna addetta alla riserva del corpo d'osservazione, c poche truppe del genio, non v'era in Terni che un battaglione del 61° fanteria, ma vi brulicavano tutti gli ufficiali che sono addetti ai quartieri generali d'una divisione e d'un comando d'esercito; ufficiali di stato maggiore, intendenti - oggi commissari, - medici, ufficiali d'ordinanza. V'era il generale barone Humilly de Chevilly, savoiardo, comandante della brigata di cavalleria del corpo d'osservazione, ed il colonnello Gambini comandante del genio, Il generale de Chevilly era fratello di un tenente colonnello del 2° granatieri stato mio comandante di battaglione nel 1866 dopo la morte di Vincenzo Statella; e i due fratelli si somigliavano fra loro come due gocciole d'acqua, anche nella gentilezza squisita. V'erano anche pochi ufficiali de' lancieri d'Aosta venuti allora dalla guarnigione di Firenze; sicché, un'ora dopo arrivato, potevo dire d'essere in paese di conoscenza e nelle migliori condizioni possibili per compiere l'incarico affidatomi.. Allora non tutti i giornali pensavano a mandare corrispondenti dietro a un esercito, ed il solo che m'avesse preceduto a Terni era il Conte Carlo Arrivabene, deputato e corrispondente del Daily Telegrph e di qualche altro giornale straniero, bell'impasto di gentiluomo e di uomo politico, di giornalista e di soldato. Ufficiale dei dragoni lombardi nel 1848, quando nel 1849 fu sciolta la divisione lombarda, tentò d'imbarcarsi per andare a Roma e sfidò gli ufficiali d'una nave francese che aveva catturato quella sulla quale egli si trovava. Emigrato in Inghilterra divenne collaboratore e corrispondente di vari giornali inglesi, del Daily News fra gli altri, e il conte di Cavour l'ebbe caro ed apprezzò i servigi resi in Inghilterra dall'Arrivabene alla causa Italiana. Aveva seguito le truppe alleate nel 1859: nel 1860, presa dai Borbonici una nave sulla quale era imbarcato per raggiungere Garibaldi in Sicilia, fu portato prigioniero a Gaeta e maltrattato; fu liberato soltanto per intromissione del ministro inglese. Rappresentava il collegio di Soresina e lo rappresentò fìn quando mori, nel 1874. Quell'egregio uomo, non ostante la differenza che v'era fra noi due per l'età, per l'autorità e l'esperienza giornalistica e militare, mi dimostrò presto grande benevolenza e convenimmo quasi subito un'alleanza per arrivare insieme alle porte di Roma e per scambiarci amichevolmente le informazioni che all'uno, indipendentemente dall'altro, fosse dato raccogliere. Ma il raccoglierne era davvero un affare serio, perché se il generale Cadorna aveva già stabilito il suo piano, gli ordini da Firenze venivano contradditori e risentivano delle indecisioni di quel momento: li rendeva più indecisi e incoerenti l'improvviso cambiamento avvenuto nella persona del titolare del ministero della guerra. Fatto sta che in quel primo giorno di permanenza in Terni, l'artiglieria della riserva del corpo d'osservazione ricevette due volte l'ordine di partenza e due volte quello di non muoversi. A Terni v'erano anche parecchi emigrati romani che pareva aspettassero da un momento all'altro - cosi dicevano - la notizia di qualche insurrezione nella città eterna, ma le loro speranze non furono confortate dai fatti, benché ce le confermassero ripetutamente ed in tutti i modi, pienamente convinti di quanto dicevano. Da Terni si dirigono verso Roma due strade, una delle quali più vicina alla sponda sinistra del Tevere, passa sotto Narni, traversa il fiume a Ponte Felice e prosegue per Civita Castellana, Nepi e la Storta fino a Ponte Molle e Porta del Popolo; mentre l'altra, rimanendo sempre sulla sinistra del Tevere, entra in Roma per Porta Salaria. Per chi ha la fortuna di esser nato da quando non vi sono più confini in Italia non sarà male premettere che la prima strada entrava negli Stati del Papa al Ponte Felice sul Tevere, mentre seguendo la seconda si entrava in quelli Stati a Passo Corese, molto più vicino a Roma. La strada ferrata, che segue il corso della Nera, sulla sponda destra del fiume, sconfinava fra Narni ed Orte, percorrendo un lungo tratto negli Stati del Papa, per rientrare in territorio del Regno a Ponte Felice ed uscirne di nuovo a passo Corese. Una convenzione fra il governo Pontificio e quello del Re d'Italia aveva stabilito da un pezzo che, su quei due tratti della ferrovia compresi dentro i confini pontifici, fosse permesso di transitare agli ufficiali italiani in uniforme ed armati, come era permesso per il maggior tratto da Passo Corese a Ceprano per quelli diretti a Napoli. In quei giorni, sul confine Umbroromano, non essendo stata ancora intimata alcuna dichiarazione di guerra, né potendosi legalmente ritenere il paese in stato di guerra guerreggiata, avvenivano dei curiosi incidenti.

http://archive.org/details/comesiamoentrati00pescuoft  Università di Toronto il libro on line pdf 19 MB

ARRIVABENE VALENTI GONZAGA, Carlo Alessandro Nasce a Mantova nel 1824 dal conte Francesco e dalla contessa Teresa Valenti Gonzaga. Studia giurisprudenza all'università di Pavia quando scoppia la guerra del 1848. Combatte nel corpo dei dragoni lombardi aggregato all'esercito piemontese e nel 1849 è nello SM di Manfredo Fanti. Tornato a Mantova, per sottrarsi alle persecuzioni della polizia austriaca è costretto ad andare in esilio, dapprima a Parigi, poi in Inghilterra, dove restò per parecchi anni, vivendo in un primo tempo poveramente. Nell'anno accademico 1854-55 sostituì Gallenga come professore di lingua e letteratura italiana all'università di Londra. Nel 1859 si recò in Italia, dove, come inviato del giornale liberale Daily News,  seguì le vicende della guerra in Lombardia; nel 1860 fu con Garibaldi in Sicilia e fino a Napoli, come corrispondente, oltre che del Daily News, del Morning Post e del giornale francese La liberté . Fatto prigioniero durante la battaglia del Voltumo (10 ott.1860) e condotto a Capua, fu presto rilasciato per l'intervento dell'ambasciatore inglese. Con gli articoli scritti sui giornali inglesi pubblicò nel 1862 “ Italy under Victor-Emmanuel, A personal narrative (2 vol) di cui diamo stralcio in altra parte. L'A., che nell'aprile 1860 aveva Un tenente del 35° fanteria ch'era dovuto venire a Terni per motivi di servizio, da Passo Corese dove si trovava il suo reggimento, per evitare il fastidio della lunga strada carrozzabile, aveva preso il suo biglietto alla stazione di Passo Corese ed era salito in treno senza alcuna molestia. Quando arrivò, tutti volevano sapere come era andato il fatto, ed il più meravigliato di tutti era lui....per la meraviglia degli altri. Ogni mezz' ora qualcuno ci veniva a confidare con la massima segretezza che i Pontifici avevano rotto la strada ferrata; ma i treni continuavano ad arrivare, non molto regolarmente, da Firenze e da Napoli. Andavamo alla stazione di tanto in tanto con la speranza di potervi racimolare qualche notizia. I viaggiatori che andavano dall'Italia alta verso la bassa facevano, durante la fermata alla stazione di Terni, una quantità di domande alle quali non bastava a rispondere l'esperienza dì poche ore. I viaggiatori che venivano da Napoli raccontavano che, transitando per la stazione di Roma, avevano veduto cannoni ed altri apparecchi militari : si stavano asserragliando i tre archi per i quali la strada ferrata penetra nella cinta Aureliana. 35° reggimento fanteria a Porta PiaTutto questo non ci illuminava molto riguardo ai movimenti del " corpo d'osservazione „ diventato appunto quel giorno “IV corpo d'esercito”. Il Cadorna, come egli stesso ha narrato, insisteva nell’idea d' andare a sconfinare a Passo Corese; il ministro Ricotti invece gli ordinava di far passare il confine dalla 12a divisione (Mazè de la Roche) a Ponte Felice, incamminandola su Civita Castellana; la 11a doveva seguirla e la 13a passare ad Orte e muovere su Viterbo: poi ripiegare per Ronciglione e ricongiungersi con le altre due a Monterosi, da dove il 4° corpo proseguendo su Roma avrebbe poi dovuto passare dalla via Cassia alla Salaria. Il nuovo piano era consigliato dal Ricotti, "anche per considerazioni di ordine politico „ e il dispaccio diceva, parlando dell'ingresso delle nostre truppe nel territorio del Papa .... " quando dovesse avvenire. „ Tutti particolari questi che ho conosciuto molto più tardi ; ma in quel primo giorno se ne vedevano abbastanza chiaramente dipinte le impressioni nelle facce dei pezzi grossi dello Stato Maggiore, tanto chiaramente che si fini per andare a letto molto incerti dell'indomani e addolorati dal sospetto che la faccenda si potesse trascinare per le lunghe chi sa per quanti altri giorni. La mattina del 10 si rianimarono le speranze. Ero in piedi all'alba. Alle 6 partì da Terni, dove era accampata lungo la passeggiata amenissima che guarda verso le verdeggianti alture di Collescipoli, la brigata da posizione del 9° artiglieria comandata dal maggiore Luigi Pelloux, addetta alla riserva del 4^ corpo. Doveva far tappa la sera a Narni e proseguire il giorno 11 per Stimigliano, a due passi dal confine. Verso Narni sapevamo già avviata anche la divisione del generale Ferrerò. Si cominciava a farsi un'idea precisa di qualche cosa, a sapere dove erano dislocate le brigate ed i reggimenti. Si capiva che ormai sì davano ordini esatti, categorici, senza il costante timore di doverli disdire. Arrivò a Terni il reggimento lancieri Novara, comandato dal colonnello Costa Reghini che pareva ancora un giovinotto, e adesso si riposa da qualche anno a Livorno e a Castiglioncello, dopo essere arrivato al grado di tenente generale ed aver comandata la divisione di Bologna.
ripresa la cittadinanza italiana, seguì ancora come corrispondente del Daily News la campagna del 1866, e come corrispondente del Daily Telegraph quella di Roma dei 1870. Fu eletto alla Camera dei deputati nelle legislature IX (1865-67), X (1867-70) e XI (1870-74). Carlo Arrivabene era fratello di Giovanni (1830/1903 poi Senatore) che sposa nel 1862 Amalia Bronzetti, più vecchia di lui, sorella di  Pilade Bronzetti morto a Capua il 10 ottobre 1860. Della effettiva morte di Bronzetti si avevano notizie discordanti e la sepoltura al momento individuata era collettiva e non più esumabile. Ad un mese dai fatti veniva anche smentita l a versione che Pilade, comandante dei Bersaglieri di Garibaldi, fosse stato fatto prigioniero e detenuto a Gaeta, fortezza ancora assediata. Il primo a non confermare la notizia fu proprio l’Arrivabene che non riportò nessuna confidenza dalle prigioni dove anche lui era stato temporaneamente detenuto poi definitivamente i reduci garibaldini quando furono liberati che confermarono la sua morte. I 200 di Bronzetti si sacrificarono per rendere possibile  la vittoria  di Garibaldi al Volturno in un momento in cui la fortuna aveva abbandonato il biondo eroe. Sotto un reportage Doc Arrivarono anche Edmondo De Amicis, mandato dall' Italia Militare, Roberto Stuart per il Daily News, l'Arbib per la Gazzetta del Popolo di Firenze e due corrispondenti di giornali dì Torino.
Il drappello giornalistico andava aumentando, ed il conte Arrivabene, più esperto di tutti, mi sussurrava in un orecchio che bisognava provvedersi di un mezzo di trasporto prima d'essere prevenuti dagli altri. Il cavaliere Fiorentini, nostra provvidenza, ci insegnò recapito e nomi di vetturini di Narni, Borghetto e Civita Castellana. In Narni dovevamo far capo al signor Vincenzo Massarotti Martelli; in Borghetto, di là da Ponte Felice, ad un tale Antoniuccio Abbondanza; in Civita Castellana ad un tal Bolsetto, L'Arrivabene che vestiva di velluto rigato nero, con cappello alla calabrese, e stivali duri inglesi con speroni d'argento, avrebbe preferito andare cavallo anziché in carrozza ; ma oltre alla difficoltà di trovar cavalli — alla quale i nostri amici ufficiali s'erano offerti di rimediare, almeno provvisoriamente - v'era quella di portarsi dietro il bagaglio. Fu deciso dunque di prendere una carrozza a Narni.... trovandola. A Terni non vi era assolutamente mezzo d'averla. Ormai fiduciosi nell'avvenire della nostra spedizione, alla quale mancava fino a quel momento soltanto il modo d'andare avanti, restammo al caffè fino a dopo la mezzanotte. Mentre gli altri ciarlavano, Arrivabene empiva di scritto una prodigiosa quantità di foglietti sottilissimi dei quali imbottiva ogni giorno una gran busta rossa, semicoperta di francobolli, oggetto di meraviglia per l'ufficiale postale ternano. Prima del tocco dopo mezzanotte si seppe che il generale Cadorna aveva ricevuto pochissime ore prima un lungo dispaccio in cifra, e, dopo averlo Decifrato col colonnello Primerano, suo capo di Stato Maggiore — oggi capo di Stato Maggiore dell'esercito — aveva dato gli ordini di partenza per il Quartier generale ed il reggimento Novara. Ci alzammo tutti contenti per andare a dormire qualche ora, e poi continuare, anzi incominciare, la marcia. …Finalmente riuscimmo a rintracciare il signor Massarotti Martelli - l'amico del cav. Fiorentini - vecchio patriota de' buoni, guida di Garibaldi nel 1848, e guida nostra quella sera per i viottoli più oscuri e più scoscesi di Narni, in fondo ad quali calava di quando in quando, alle svolte, un raggio di luna come in fondo ad un pozzo. E come a Dio piacque la carrozza fu trovata, con un cocchiere che a suo rischio e pericolo, però con largo compenso, ci garantiva di portarci fin dentro la città Eterna e mantenne fedelmente la promessa, come vedremo. Poichè la cena, che volle offrirci in casa suo il signor Massarotti Martelli, ci ebbe compensato del magro e compendioso desinare - il quale fu preludio, ahimè! di più crudeli digiuni - alle undici di sera cominciammo a scendere la china che dalla città di Narni porta nella valle fertile ed ubertosa nella quale scorre la Nera. Illuminato dalla luna, il paesaggio era veramente stupendo: il piccolo fiume pareva un filo d'argento e risaltava fra il cupo nereggiare dei pini e dei cespugli che coprono le balze scoscese sulle quali si scorgevano delineati in una tinta più chiara i sentieri tracciati dalle pedate umane. Le maestose rovine di un ponte romano, che mi rammentavano una delle opere più lodate del paesista Castelli, danno al paesaggio l'impronta di un grandioso quadro scenografico.

http://digilander.libero.it/trombealvento/indicecuriosi/arrivabene.htm

La nostra carrozza, a due posti, era un po' sconquassata ma comoda, e calcolammo subito che, tirando su il mantice, ci avrebbe potuto servire di riparo durante la notte, in mancanza di meglio: il conte Arrivabene, più previdente di me, aveva seco un arsenale di plaids e di Mac Intosch che bastava a sfidare il fresco e l'umidità. Il bagaglio era accomodato e legato dietro: il vetturino non era punto loquace, benché di tanto in tanto parlasse solo. ..Dopo Otricoli la strada discende verso il Tevere a valle del confluente della Nera. Il tratto di pianura che s'allarga sulla riva sinistra del fiume ci appare sommerso in una fittissima nebbia, sopra la quale, come un promontorio sul mare, emerge il monte di Magliano Sabino, dove il generale Cadorna ha passato il pomeriggio e la notte. Scendendo sempre, ad un risvolto della strada, a traverso gli umidi vapori della bassura nei quali siamo già immersi, brillano centinaia e centinaia di grandi fuochi accesi dalle nostre truppe. Ci fermiamo vicino ad uno dei quei fuochi. Sono le due e mezzo di notte, e pochi minuti dopo la brezza fresca porta al nostro orecchio gli accordi vivaci della sveglia suonata da una fanfara di bersaglieri che le fanfare e le musiche degli altri corpi ripetono lontano e a mano a mano poi sempre più vicino. Nella nebbia fitta e nel buio della notte, fantasticamente interrotto ma non diradato dalle fiamme delle fascine accese e crepitanti, non si vede, ma si sente che tutti si muovono d'intorno a noi. Su a Magliano, IL cui profilo si stacca nel fondo del cielo sereno, v'è un grande via vai di lumi e molte case hanno lumi ad ogni finestra. La 12" divisione (Mazè de la Roche), in mezzo alla quale siamo, si prepara a passare il Tevere sul ponte Felice, acora per un paio d'ore confine fra lo Stato Pontificio ed il Regno d’Italia: ponte per il quale passa la strada che ab­biamo fatto venendo da Narni, ed è , distante poco più d'un chilometro innanzi. La 11° divisione (Cosenz) che s’è spinta più avanti fino a Stimigliano, ha l'ordine di tor­nare indietro e passare essa pure il ponte Felice dietro la 12a seguita alla sua volta  dalla riserva del 4° corpo: mentre la 13a divisione Ferrero è pronta per varcare il confine ad Orte alle 5 antimeridiane Andiamo avanti e raggiungiamo l’avanguardia della 12a divisione a mezzo chilometro dal ponte Felice. E' agli ordini del Maggior Generale Angelino e la compongono il 40° fanteria il 35° battaglione bersaglieri (maggiore Castelli) due sezioni del 7° artiglieria, due squadroni del reggimento Aosta e il 1battaglione bersaglieri (maggior Novellis). Queste truppe sono schierate nei terreni incolti ai due lati della strada. Il tenente colonnello Municchi, co­mandante dei lancieri d'Aosta, appiedato, aspetta il ritorno delle pattuglie mandate al di là del ponte in esplorazione, per marciare avanti. Scendiamo anche noi dalla carrozza sconquassata, dicendo al vetturino di tener dietro agli ultimi bersaglieri, poiché vogliamo levarci il gusto di passare il confine insieme con i primi. Il vetturino, dianzi così taci­turno, ci rivolge una quantità di domande dalle quali è le­cito argomentare ch'egli provi un vago timore di trovarsi in mezzo a qualche frangente cruento. Mi riesce di rassi­curarlo completamente: poi torno al mio posto alla testa della colonna. Nessuno parla: v'è. nell'aria qualche cosa di solenne, ed un'umidità che arriva fino alle ossa.
  GASBARRONE

La zona che andava tra "Portella e l'Epitaffio", considerata "terra di nessuno" fra Lazio e Campania, divenne la sede preferita dei briganti al tempo del Papa Re. Qui dal 1808 al 1825 spadroneggiarono: Gasbarrone* di Sonnino, Massaroni e Varrone di Vallecorsa ma non mancarono altri nomi tristemente famosi di capibanda, non inferiori per ferocia, Nel 1810 Murat fece pubblicare un elenco di trentamila banditi. Alla fine del 1825 il terribile brigante Mezzapenta (Macaro Michelangelo) che associava le sue azioni a quelle di Gasbarrone, fu avvicinato da quattro canonici di Fondi, don N. Nanni, don G. D'Ettorre, don F. Padula e don O. Costanzo, i quali lo convinsero ad abbandonare quella vita sanguinaria. Gasbarrone aveva da gran tempo messo gli occhi sul seminario di Terracina; benché si fosse in inverno inoltrato con tutti i cespugli senza foglie e, ancorché fosse per questo motivo impresa assai pericolosa, lo scioglimento dei “bersaglieri” nello Stato Pontificio e la concomitante rivoluzione in quello di Napoli consigliavano di sfruttare l’occasione. …..queste e molte altre orribili atrocità, commesse dai Briganti spinsero il governo del Papa Pio VII a tentare con la forza di debellare il brigantaggio ma con risultati ancora scarsi. Il prete Mons. Pietro Pellegrini con veste di Missionario fra il popolo, potè smagliare la misteriosa rete della lega criminale disgregandone i legami fra i capi, conoscendone le diramazioni. In un'altra chiesa La Madonna della Pietà, posta su un monte di Sonnino, convinceva Antonio Gasbarrone e la sua banda a deporre le armi. Era il 19 settembre 1829. In seguito forze imponenti di scelte compagnie di bersaglieri investigarono i luoghi, giustiziarono persone, si arrestarono più di 300 persone fra uomini e donne; i più facinorosi furono condannati all'ergastolo, gli altri deportati (una parte furono imbarcati e mandati al Brasile regalandoli al nuovo emisfero). (questa una versione a fianco l'altra con l'anno diverso, ma la sostanza non cambia di molto)

..Non v'è nel forte, degna d'una visita, la sola compagnia degli zuavi.
E' da diciannove anni ospite di Civita-Castellana, con i suoi seguaci, il famoso bandito Antonio Gasparoni, detto Gasparone, che nel 1825 il Governo pontificio non riuscendo a prendere con la forza, ebbe prigioniero col tradimento, facendogli promettere l'impunità non che molte altre belle cose dall'arciprete Rappini di Sezze. Invece di dargli quanto gli avevano promesso per indurlo a consegnarsi spontaneamente, lo chiusero nel forte di Civitavecchia dove rimase fino al 1850, visitato spesso dai forestieri come una rarità. Molti scrissero di lui: il Mery gli dedicò un intiero capitolo delle Nuits italiennes. Da Civitavecchia fu trasportato a Spoleto, e dopo un anno di soggiorno in quella rocca, a Civita-Castellana. Poiché non era mai stato aperto contro Gasparone alcun regolare procedimento, e quarantacinque anni di reclusione prescrivono qualunque delitto, il governo italiano dovette non molto dopo mettere in libertà il temuto bandito, che si vide girare per Roma, ludibrio della ragazzaglia. Fu allora ricoverato ad Abbiategrasso, dove mori più che novantenne. 
Allora, nel 1870, aveva settantasei anni ed era vispo e robusto. Dei suoi compagni, sette dei diciotto arrestati con lui nel 1825 sopravvivevano in buona salute. Il giovinetto della comitiva, un tal Nardone, aveva 66 anni. Il Masi, segretario e biografo del capo banda, che mi dette queste ed altre notizie, se la fama non mente aveva ricevuto da giovane gli ordini sacri, e v'erano certamente a que' tempi parroci e cappellani non più colti di lui. Mentre parlavo col Masi che, bontà sua, considerandomi quasi collega, mi mostrava il manoscritto delle memorie del capo, andato poi a finire non si sa dove, nel forte, molti ufficiali di tutti i gradi erano sopravvenuti dai vicini accampamenti. Gasparone ed i suoi occupavano due camere circolari in due torrioni del forte divise fra loro dalla solo larghezza d'un corridoio ed esternamente riunite da una specie di strada di ronda. Le finestre delle due stanze erano strette c basse, fra i piombatoi, sotto i merli; con inferriate che servivano al rispetto della tradizione, non certamente ad impedire una fuga non mai tentata ed ormai non desiderata: tanto che si permetteva ai detenuti d'andare qualche volta in paese. Due o tre granate erano andate a scoppiare contro le finestrine d'una camera, buttando all'aria stipiti ed inferriate, ed ingombrando di rottami il pavimento.  Le due stanze furono presto affollate. Gasparone raccontava con evidenti segni di vanità appagata, d'essere stato arrestato a tradimento; respingeva l'accusa d'alcuni delitti atroci attribuitigli dalla pubblica voce e dichiarava d'aver sempre nobilmente esercitata una professione che altri hanno poi screditata ed era, secondo lui, rispettabile quanto qualunque altra. Egli conservava il costume della Ciociaria che corrisponde a quello convenzionale del brigante italiano: aveva una bella testa, ma l'occhio ed il naso leggermente aquilino rammentavano nel loro insieme qualche cosa del'l'uccello da preda: la barba aveva lunga, bianchissima e abbastanza pulita ... il che non si poteva dire di tutto il resto di quelle stanze.

Antonio Gasperoni si chiamava in realtà Antonio GASBARRONE ed era nato a Sonnino il 12 dicembre 1793. Gli furono imposti i nomi di Antonio, Maria e Domenico e gli fecero da padrini al battesimo Tommaso Ippoliti e Angela Grenga. Era nato da Faustina Ippoliti e da Rocco. A 10 anni perdette il padre, a 15 la madre. Restò con il fratello maggiore Gennaro e con due sorelle, Settimia e Giustina. Passava gran parte del suo tempo all’aperto, pascolando la mandria di vacche che suo padre gli aveva lasciato in eredità. Mentre era con le mandrie al pascolo vide spesso le bande dei malviventi per cui, pur non essendovi implicato direttamente, ne conosceva fin da allora vita e problemi…..

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