La storia è racconto attraverso i libri Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito o dell'autore 83 C’è urgente bisogno di Carabinieri! |
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1861 - La nascita dello Stato Italiano come esigenza di una delle cicliche “Globalizzazioni” internazionali 1859-1860
di Danilo De Masi
Prefazione del Gen. G. Richero Edizioni Il Fiorino Modena
LA VALIGIA DELLE INDIE |
J’ai necessité urgente de Carabiniers ! . nota del sito: De Masi, al suo primo libro, ci porta, in quegli anni in cui si compì l'unità d'Italia, in un piccolo staterello (come si diceva sui libri di storia), della grande pianura padana,troppo carico di passato e poco conforme al futuro. Il lettore che non sia Geminiano ci può vedere, nel suo piccolo, ogni paese e città investita dalla bufera unitaria e riconsiderare quel limbo politico che intercorse fra l'estate del 1859 e la primavera del 1861 che noi oggi stiamo commemorando. Il titolo stesso, nella versione franco piemontese, esperisce l'urgenza maggiore: c'è urgente bisogno di Carabinieri per il controllo del territorio. Se un appunto si può fare a De Masi è che il territorio non soffriva solo di qualche incertezza politica, ma anche criminale perché all'epoca il piccolo brigantaggio non era certo scomparso in zone critiche come le vallive acquitrinose o della selva montagnosa anche nel ricco "nord". Ma si trattava sempre di singoli, dalla doppia vita e, prima o poi, si tradivano. Il problema sociale arrivò più tardi con l'acuirsi della crisi finanziaria post unitaria. Ma non era questo che richiamava la mia attenzione bensì il sottotitolo dello "Stato "nazionale unitario" come esigenza di una delle cicliche “Globalizzazioni” internazionali" di cui avevo già avuto sentore e che De Masi, forte della sua preparazione economica finanziaria, intercetta e porta alla comprensione del pubblico dei suoi lettori. Estrapolo dalle sue pagine.... Il Piemonte che sta progettando, il futuro italiano non guarda solo alla penisola ma anche all'Europa dalla quale lo separa l'ostacolo fisico delle Alpi. Spezzare questa barriera, non è fin dall'inizio soltanto il disegnò di collegare due province, il Piemonte e la Savoia, facenti parte allora di un'unica entità statale. E molto di più: è l'idea di creare un lunghissimo corridoio di comunicazione e di progresso fra Londra, Parigi e Torino, quest'ultima vista come perno di diramazione sia verso Genova e quindi il Mediterraneo e le Indie (in previsione dell' apertura del "Canale di Suez"), sia verso Milano e quindi l'Europa orientale. L'idea del traforo dunque non si aggiunge come capitolo complementare a uno sviluppo ferroviario che ha già raggiunto i suoi obiettivi interni, nazionali, ma nasce prima ancora che in Piemonte sia costruito un solo metro di binari, ed è organica alla percezione iniziale del grande futuro del nuovo mezzo di comunicazione. Ciò che caratterizza fin dall'inizio lo sviluppo ferroviario piemontese è la percezione, sorprendentemente lucida in Cavour, della potenzialità del nuovo mezzo di trasporto ad assecondare i disegni politici del regno di Sardegna circa l'unificazione e l'indipendenza nazionale, e insieme una visione in termini europei della rivoluzione delle idee che il treno avrebbe determinato, scavalcando ineluttabilmente le barriere fisiche e politiche interposte fra gli Stati. «Più che un mezzo per arricchirsi - scriveva Cavour nel 1846 sulla "Revue Nouvelle" di Parigi - le strade ferrate saranno un 'arma potente grazie alla quale Le nazioni arriveranno a trionfare sulle forze retrograde che le trattengono in un funesto stato di infanzia industriale e politica. Per quanto quindi siano i benefici materiali che le ferrovie sono destinate a riversare sull'Italia, non esitiamo a dire che essi rimarranno assai al di sotto degli effetti morali che produrranno. Esse contribuiranno potentemente ad abbattete le meschine passioni municipali, figlie dell'ignoranza e del pregiudizio, che già sono minate dagli sforzi di tutti gli uomini illuminati d'Italia. Il futuro per il quale facciamo ogni voto è la conquista dell'indipendenza nazionale. Più di ogni riforma amministrativa, e in misura forse pari a larghe concessioni politiche, La realizzazione delle vie ferrate contribuirà a consolidare lo stato di reciproca fiducia fra governi e popoli, che è la base delle nostre future speranze. Per questo noi siamo convinti nell'indicarle come una delle principali speranze della nostra patria» 72. |
L’apertura del tunnel ferroviario del Frejus (17 settembre 1871) fra Modane (Francia) e Torino e la quasi contemporanea apertura del canale di Suez (1869) cambiò la geografia dei trasporti fra Europa e Oriente poiché, in base ad un calcolo cronometrato, si risparmiavano almeno 3 giorni (sui 100 previsti dalla circumnavigazione dell’Africa) evitando lo scalo di Marsiglia della prima “Valigia” e proseguendo in treno fino a Brindisi. Con l’unità d’Italia (1870) si era quasi completato l'asse mediano Firenze-Roma mentre quello adriatico con Brindisi, da sempre porto per il medio oriente, era già in servizio da anni. La proposta di unire Londra, via Parigi, Lione a Torino poi a Brindisi con Bombay in India naturalmente non era del 1870 bensì di diversi anni prima, tanto da farla ascrivere a una idea del Cavour come sostiene De Masi nel suo libro. Il primo viaggio ufficiale della seconda (Italiana) “Valigia delle Indie” (nome che le venne dai documenti e diplomatici inglesi trasportati), avvenne addirittura il 25 ottobre del 1870 a canne fumanti tra Francia e Prussia. La guerra (1870/71), che non vedeva coinvolta l’Inghilterra, non distolse i progetti in corso e la compagnia (la Peninsular and Oriental Steam Navigation Company ("P and O") ) istradò i suoi convogli ferroviari via Olanda, Germania, Austria e Italia. Il 5/1/1872 la “Valigia delle Indie” transitava invece per la prima volta dal nuovo traforo ferroviario del Frejus. |
72 L'articolo di Cavour s'intitola "Des chemins de fer en Italie" e apparve il l° maggio 1846 sulla Revue. Prendeva lo spunto dalla pubblicazione dell'opera già citata di Carlo Ilarione Petitti di Rorero. L'articolo è riprodotto in Pischedda e Talamo 1976-1978 e continua |
E' necessario fare un passo indietro per riagganciare
la storia "politico-ferroviaria e delle "nuove comunicazioni" a quella
militare e "risorgimentale". Nel 1853 Modena era stata collegata via
telegrafo anche con Bologna e quindi con Roma; ma non sarà questo - come
vedremo - il mezzo di collegamento tra "liberatori" (o truppe
d'invasione, a seconda dei punti vista) e patrioti modenesi. Quattro
mesi prima che la ferrovia arrivasse a Bologna (ottobre '59 tratta
Piacenza-Bologna), a
giochi fatti, per poi "posare" i propri binari lungo il tratto romagnolo
della via Emilia, il 23 maggio 1859 (la guerra era già in corso dal 29
aprile), lunedì, nel giorno di mercato per i
geminiani, si tenne il viaggio di inaugurazione della ferrovia da
Reggio a Modena con a bordo il Duca Francesco V ed un reparto di Dragoni
che gli facevano da guardia del corpo, pronti ad ogni evenienza.
Francesco V non scelse a caso la data del primo viaggio del convoglio
ferroviario nel suo ducato. Un gioco più grande di lui, aveva pensato
l'ultimo Duca scegliendo per l'inaugurazione - con evidente intento
intimidatorio - il 23 maggio, il lunedì più vicino all'anniversario
dell' esecuzione nel 1831 del martire liberale Ciro Menotti vittima
della crudeltà di Francesco IV e del fanatismo repressivo di un'epoca
segnata, a Modena, dal Canosa (Antonio Capece Minutolo Principe di..) già Ministro di Polizia per i Borbone a
Napoli. "Due quindi le ragioni dei ritardi - dice Saverio Cioce - che portarono lo stato al centro della Pianura Padana, ("cuneo" austriaco verso la costa tirrenica di Carrara) ad essere collegato in seconda battuta con la nascente rete ferroviaria italiana. La prima era legata all'ordine pubblico, visto che negli anni precedenti molti erano stati i tentativi di insurrezione e tutti basati sull'arrivo di uomini armati fin sotto il palazzo ducale: il treno avrebbe potuto moltiplicare a dismisura il numero degli insorti". Perciò, quando alla fine Francesco V si risolse ad autorizzare i lavori, impose un tracciato obbligatorio, con una curva che è rimasta ancora oggi, per avvicinare i binari al tiro dei cannoni della Cittadella. Inoltre il Duca sapeva perfettamente che il collegamento con Parma e Piacenza ed il futuro prolungamento per Bologna, Rimini sino al sud della Puglia a Brindisi, erano parte di un "unico disegno" economico e strategico, ferroviario ed inevitabilmente anche politico, che avrebbe collegato Londra e la Manica con Parigi, Lione e Torino, fino appunto a Brindisi dove sarebbe salpata "la Valigia delle Indie" |
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Il treno
internazionale nasceva alla stazione londinese di Victoria Station come
"India Mail" e raggiungeva
Brindisi in
42 h e 30 ' dove,
alle ore 14 di ogni domenica, partiva il piroscafo postale
diretto a Bombay via Porto Said, Canale di Suez impiegando in totale circa 17 giorni. Fu grazie
quindi alla volontà dell'ex ufficiale della Royal Navy Thomas Waghorn,
che si dimostrò il notevole risparmio di tempo per raggiungere, da
Londra, i Dominions indiani passando attraverso il mediterraneo e
l'Egitto; il viaggio che prima durava quasi 100 giorni con tutti i
rischi connessi a una traversata atlantica venne notevolmente ridotto
tanto da permettere all’Eroe di
Giulio Verne
Phileas Fogg
ne “Il Giro
del mondo in 80 giorni”
con gli stessi giorni di fare il Tour mondiale.
Il non aver provveduto alle infrastrutture del porto di Brindisi e aver
stretto una alleanza con gli Imperi centrali contro l’Inghilterra di
fatto nel tempo ridusse i collegamenti a favore di Marsiglia. I
collegamenti si interromperanno comunque con la prima guerra mondiale e
dopo sarà tutto un altro mondo.
Vittorio Emanuele II il 9 novembre 1863 inaugurò con il viaggio in treno la Pescara-Foggia, aperta in fretta per terminare i lavori nel tempo previsto, ma che dovette ritardare fino al 25 aprile 1864 l’apertura. Gli atti della prima legislatura del Regno d’Italia scrivono: Fra non molto il porto di Brindisi, rinato a vita nuova, vedrà giungere nel suo seno la Valigia delle Indie, sicuro indizio che il commercio del mondo sarà tratto una seconda volta nei nostri mari. Or pochi giorni (24 maggio) mercé la grande operosità spiegata dalla Società delle Meridionali, malgrado gli ostacoli di ogni specie che ebbe a superare spingevasi la locomotiva fino al porto di Brindisi. gli accordi permisero l'instradamento del treno di lusso Peninsular-Express attraverso la nostra rete ferroviaria, che in 45 ore compiva il percorso Londra-Brindisi, via Calais e Parigi. Stefano Maggi,Tra pubblico e privato. La gestione delle ferrovie nell'800 e primo '900 |
prosegue Croce a corredo di uno studio sul ruolo dei trasporti nelle vicende che condussero Modena e Reggio all'Unità d'Italia: "... , non sappiamo se il giorno dell'arrivo a Modena della prima locomotiva Francesco V capiva di essere marginale nello scontro tra le grandi potenze. Forse scendendo il predellino tra lo sbuffare della macchina a vapore ed il saluto dei vertici dell'esercito ducale, pensava già a come rafforzare uno strumento che avvicinava le due principali città dello stato, Reggio e Modena, con un tragitto che si misurava in ore e non più in giornate a cavallo. Forse in quella mattina di maggio, il Duca si rese conto di lottare contro interessi politici troppo più grandi di lui e che neppure il potente alleato, l'Imperatore d'Austria, poteva garantirgli la continuità al trono"
L’ALTRA FACCIA DELLA UNITA’ D’ITALIA .
Da HARPER'S NEW MONTHLY MAGAZINE. No.
CCLIV.—JULY, 1871.—VOL. XLIII.
THE MOUNT CENIS RAILWAY AND TUNNEL.
Sulla realizzazione delle ferrovie in Italia vi era un disegno austriaco che mirava a isolare il Piemonte |
D'Azeglio - Naturale conseguenza del sistema proibitivo è quella di limitare il lavoro e la produzione di impoverire tutti per arricchire qualcuno - |
realizzando un complesso di collegamenti circoscritti ai territori italiani che giacevano sotto l’egemonia asburgica (Lombardo -Veneto, Ducati, Toscana), al fine di dividere diagonalmente l’Italia (il "cuneo" che puntava a Livorno come porto alternativo a Genova sul Tirreno) separando irreparabilmente il Piemonte dallo Stato pontificio e dal Regno di Napoli. In Austria era già stata ipotizzata una “Ferrovia dell’Italia Centrale” che da Peschiera del Garda per Mantova e Modena avrebbe dovuto valicare l’Appennino e, attraverso la valle dell’Arno, raggiungere Livorno. Il 14 marzo 1856 a Vienna fu sottoscritta una Convenzione ( tra il Governo Austriaco, i Ducati di Parma e Modena, il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio ) per la costruzione della Strada Ferrata dell’Italia Centrale da Piacenza a Pistoia, via Bologna e proseguimento per Roma da Firenze attraverso la linea Maria Antonia (Lucca- Pistoia-Firenze 1851/9 ). Un progetto con precisi riferimenti strategico-militari. Il 26 giugno 1852 la Commissione internazionale di Modena decise l’assegnazione dei lavori alla Società Cini-Amici-Mortera con sede in Firenze, che iniziò subito l’emissione di azioni per reperire l’ingente capitale privato necessario alla costruzione.
Concessione della strada ferrata centrale italiana
paragrafo 1 |
Dal manifesto de "I cittadini agli abitanti della campagna" - Fratelli cos'è questa annessione ? Campagna di sensibilizzazione organizzata dalla Soc. Naz. Italiana di Giuseppe La Farina |
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… Per cui non più dazi per i vini e le granaglie, non più aggravi per merci da una città ad un'altra … ci aiuteremo più facilmente l'un coll'altro, ciò che mancherà ad un luogo Lo somministrerà l'altro e si formerà così un dolce legame di fratellanza di un paese con un altro, di un con altro Popolo, che produrrà quella libertà di commercio che è di tanta utilità al Povero ed al Ricco; e ciò in riguardo all'interesse, (. .. ) Annessione dunque vuol dire unire i nostri piccoli interessi cogli interessi degli altri Stati italiani, vuol dire di tanti piccoli paesi formarne un solo grande e potente!
Amiamoci dunque, o Fratelli, e ogni nostro pensiero sia ora
rivolto al bene della nostra Patria, uniamoci ed abbracciamoci per
difendere i nostri diritti e la nostra libertà, e così uniti ed
abbracciati sotto lo stendardo tricolore, orgogliosi del nostro amore
fraterno gridiamo |
Le origini della Grande Industria Contemporanea di Corrado Barbagallo (1877-1952) - La Nuova Italia editrice - Firenze 1951 (prima edizione 1929) |
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Quando s'alzò il vento forte della contestazione borghese molti governi assoluti cercarono riparo in riforme che per il tempo ristretto non potevano essere attuate. Non c'era poi riforma se non accompagnata da regole precise e uguali per tutti secondo i principi de la Déclaration des Droits de l'Homme en Société di rivoluzionaria memoria. Tentarono i tedeschi, con la pletora di stati che si trovavano, ad eliminare i dazi con un accordo Zollverein ( escludeva l'Austria, ma comprendeva il Lussemburgo) che introduceva per la prima volta un mercato comune senza barriere. Ci provò anni dopo (1841) anche l'Austria con il Piemonte e in extremis, nel 1847, il Papa con una Italiana che avrebbe legato Piemonte, Toscana e Stato della Chiesa in una continuità territoriale che avrebbe compreso in futuro anche il Regno delle due Sicilie, ma il tempo della storia era scaduto. |
Vol.I pag 452…… Niuno poteva allora prevedere che la sollecita collaborazione del governo borbonico agli sforzi delle classi produttrici, in vista del progresso materiale del paese, abituando quest'ultimo al clima di una tepida protezione, sarebbe stata una circostanza sfavorevole il giorno in cui il mezzogiorno avrebbe dovuto affrontare più ardue difficoltà, a cui invece la dura politica austriaca andava abituando il settentrione. La contemplazione dello stato di fatto incitava, per contro, a compiacersi di quanto avveniva nel Napoletano e a deplorare quanto seguiva in Lombardia, e le ripercussioni lontane dell'uno o dell'altro sistema rimanevano nascoste dietro la fitta cortina della nebbia del futuro. Per il momento l'Italia economica progrediva, lentamente o rapidamente, ma «costantemente», secondo tutti gli osservatori avvertivano. Il guaio era un altro; era che tali progressi ponevano ogni giorno più le grandi forze dell'industria nazionale, la maggioranza della popolazione di contro ai governanti, i quali non volevano, o non potevano, esaudirne alcuni, ormai irrefrenabili, bisogni. Il più urgente, nei rispetti della vita materiale, era la formazione di un mercato nazionale. Ma creare un mercato nazionale non era soltanto una questione economica; era un grosso affare politico, che avrebbe potuto importare la scomparsa o l'umiliazione di tal uno di quegli Stati discordi. Tuttavia, se i governi potevano preoccuparsi scarsamente dei colpi di mano dei piccoli gruppi di congiurati, dovevano preoccuparsi sul serio del malessere che invadeva il paese, che schierava la gente ragionevole a fianco dei rivoltosi, che la faceva tacitamente solidale con loro e centuplicava le forze di costoro, in apparenza insignificanti. « I fautori della completa libertà commerciale sono in gran numero nel Lombardo -Veneto ! », avvertiva la Relazione austriaca, più volte ricordata al Congresso di Verona del 1822. E ventiquattro anni più tardi, quasi ad un tempo, Cesare Correnti e Massimo D'Azeglio, quest'ultimo, forse il più autorevole, tra i rappresentanti del partito liberale moderato, vergavano due scritti famosi - L'Austria in Lombardia e Degli ultimi casi di Romagna -, che erano una fiera requisitoria contro la politica economica della Restaurazione e contro il suo ordigno centrale: il sistema proibitivo. |