La storia è racconto attraverso i libri

I testi che accompagnano la presenatzione sono in genere quelli diffusi dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati

L’ultimo dei Mohicani 

di James Fenimore Cooper  

 

America, Stati dell'est a metà del XVIII secolo. Nel quadro della guerra fra inglesi e francesi un guerriero mohicano, ultimo della tribù, combatte coi suoi figli al fianco degli inglesi. Il grande nemico non è il comandante francese, ma il feroce guerriero urone Magua. Violenza, amore, alti sentimenti, senso della fine di una civiltà. Scene di battaglia davvero splendide, corse fra foreste e fiumi e grandi dichiarazioni di principio e di saggezza indiana.

Questo il regista Mann ha cercato di mettere nel film tratto dal romanzo L’ultimo dei Mohicani di James Fenimore Cooper.

Ma nel film i personaggi virano da buoni in cattivi* ….ma quella di Cooper voleva essere tutto fuorché un'evocazione reale e veridica. Era quella di un mondo mitico: nel quale confrontare il civilizzato ed il primitivo, la convenzione sociale e la semplicità. Il passaggio - tramite la violenza - dal mondo antico (dell'Europa coloniale, ma anche dell'antica civiltà indiana) a quello dell'America nascente. Un mondo utopistico, con il pioniere e l'Indiano respinti sempre più ad Ovest, modelli originali della figura del cowboy: specie di cavaliere senza titolo e territorio, destinato ad occupare lo spazio della Prateria…

* Giorgio Mariani: Un’altra differenza importante tra il testo e il film che Mann eredita dalla sceneggiatura di Dunne riguarda il quadro storico-culturale complessivo della vicenda narrata, che concerne il terzo anno (il 1757) della guerra tra inglesi e francesi per il controllo del Nordest americano. Cooper fa di Natty uno scout infinitamente più scaltro e a suo agio nella wilderness di qualunque soldato inglese o francese, ma non carica il suo eroe di valenze nazionalistiche in chiave anti-britannica. In altre parole, è assai difficile rintracciare ne L’ultimo dei Mohicani un tema pre-rivoluzionario e polemico verso l’antica madrepatria. Nella guerra anglo-francese Cooper non vede un’anticipazione della guerra d’indipendenza. Nel film di Seitz, viceversa, come ha notato Gary Edgerton, “Hawkeye è assai più anti-autoritario e critico della politica coloniale britannica di quanto non sia mai nel romanzo. [...] La rivalità tra Francia e Inghilterra resta, ma una forte corrente sotterranea di scetticismo americano circa la validità e l’utilità delle percezioni e dei costumi europei diviene assai più pronunciata”. Mann investe molto sul patriottismo di Natty: basti pensare non solo alle scene in cui lo scout si scontra con il colonnello Munro e il maggiore Heyward, accusandoli di anteporre gli interessi della corona alla sicurezza e al benessere degli abitanti delle colonie, ma al fatto che Natty viene addirittura accusato di sedizione, imprigionato e condannato all’impiccagione, salvo poi essere salvato dall’attacco indiano successivo alla resa di Fort Henry ai francesi. Tutto questo è una liberissima aggiunta alla trama originale di Cooper.* Giorgio Mariani insegna lingue e letterature anglo-americane all’Università di Salerno Gli Italiani delle pianure canadesi http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/fanteria.htm  
 

 

Un italiano fra Napoleone e i Sioux di Luigi Grassia 

(Non era il primo: coi francesi e gli Uroni combattevano i discendenti degli italiani che si erano stabiliti là più di 100 anni prima, all'epoca della spedizione del Reggimento Carignano). 

   

Guerra e politica nel mondo indiano da "Storia degli indiani d'America" di Philippe Jacquin Ed. Il Giornale 

…segue da http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/fanteria.htm ….Questo rifiuto dello stato, "questa società contro lo stato", dal titolo dell'opera di P. Clastres, spiega l'eguaglianza che regnava in seno alla tribù. La tribù indiana è profondamente democratica poiché tra i suoi membri non c'è nesso di prevalenza. Nessun membro della tribù è sottoposto a un obbligo di lavoro o di tributo verso un altro. Ognuno caccia e lavora secondo i propri bisogni familiari; una volta soddisfatti i propri bisogni, l'indiano può dedicare il suo tempo al riposo, alla danza, alla dialettica. Uguaglianza non significa individualismo forsennato. Tribù e clan hanno dei capi. Ma il capo indiano non ha autorità sui membri della sua tribù; se avesse autorità sarebbe in qualche modo un capo di stato. Il capo è il portavoce della tribù, ma ne è altresì il membro più generoso. Al momento dei contatti con altre tribù ci vuole qualcuno che parli a nome della tribù e parlamenti con gli altri capi. II capo è un buon oratore; tutti i grandi capi indiani sono noti per il loro talento oratorio. La parola del capo non ha potere di legge, egli deve persuadere con la parola, non possiede altro mezzo di pressione sui membri della tribù. Durante i conflitti il capo assume un ruolo molto importante. Spesso, essendo egli un guerriero abile e competente, può pretendere nel corso del combattimento un minimo d'obbedienza da parte degli altri indiani. Per parte loro, questi gli riconoscono qualità di grande guerriero e ripongono in lui la loro fiducia. ..

In effetti, dopo aver assolto alla vendetta, la tribù, per impedire la comparsa d'un capo dispotico, che rafforza il suo prestigio mediante la guerra, rifiuta di seguirlo, lo abbandona, e salva in tal modo. il proprio ordine sociale. Il capo quindi non potrà mai "giocare a fare il capo" senza correre il rischio di ritrovarsi solo, come accadde a Geronimo'". Il capo è al servizio della tribù e non viceversa. In seno alla tribù, le decisioni importanti riguardanti la guerra, la pace o la caccia sono prese da un Consiglio. Il più delle volte questo è formato da alcuni "anziani", venerabili vecchi, ricordi viventi della tribù, dal capo e talvolta dai membri di società segrete o militari. Ogni decisione esige l'approvazione unanime di coloro che hanno partecipato alla riunione. Ma tale consiglio non attenta mai alla libertà individuale dei membri della tribù. I conflitti personali si regolano attraverso la mediazione del capo o di un congiunto. Capo e membri del Consiglio sono scelti da tutti gli adulti della comunità. Tuttavia, presso gli Algonchini, il capo poteva abbandonare l'incarico a favore di un membro della sua famiglia; la comunità però poteva rifiutare il nuovo capo…

Se è vero che le tribù erano fieramente indipendenti, è pur vero che in caso di pericolo sapevano contrarre delle alleanze. Queste alleanze potevano durare e trasformarsi in leghe. Non si conoscono prima dell'arrivo dei bianchi grandi leghe simili a quelle degli Irochesi. La lega HO. DE.NO.SAN.NEE., dal nome di ognuno dei popoli appartenenti, è la più nota e la più celebre. Fu studiata da un giurista di Rochester, Lewis H. Morgan (1818-1887)27. In realtà il nome di Irochesi appartiene a popoli che parlano la stessa lingua: Seneca, Onondaga, Oneida, Mohawk, Tuscarora, Horoni e Erie. La tradizione orale racconta che nel 1570, un profeta, Deganawidah, mise fine alle guerre tra queste tribù e fondò la "Grande Pace". Il suo discepolo e consigliere, il Mohawk Hiawatha, continuò il suo insegnamento di tribù in tribù. l suoi sforzi portarono alla "Lega delle Cinque Nazioni", Seneca, Oneida, Tuscarora, Cayuga e Onondaga. Questa "federazione?" è in effetti solo una rete d'alleanze e non somiglia affatto a uno Stato federale. Ogni tribù conserva la propria sovranità, la Lega è solo competente per affari che riguardano la guerra, non emette imposte e non può utilizzare la forza per far eseguire le proprie decisioni. Ciascun membro della Lega può esprimersi davanti al Consiglio. Questo sistema molto democratico in seno alla Lega è valso agli Irochesi il nome di "greci d'America". Nella sua opera L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884) Friedrich Engels vanta i meriti della società irochese: "niente guardie o polizia, niente prefetti, giudici, prigioni, niente procedimenti giudiziari". Questa Lega, come quella che nel 1839 raggrupperà Creek, Cherokee, Choctaw e Seminole, si è costituita nel momento in cui la minaccia dei bianchi è cominciata a farsi sentire sulle tribù dell'Est. La complessità del mondo indiano è sfuggita alla comprensione dei bianchi fino al XX secolo. I primi esploratori e missionari giudicavano gli indiani "selvaggi senza né credo, né legge, né re". Nel 1861 Mark Twain annota al riguardo dei popoli del Grande Bacino: "non producono niente, non hanno villaggi, né si riuniscono in comunità tribali rigorosamente definite'?". Per secoli i bianchi hanno vissuto a fianco di società di cui ignoravano tutto, avendole definitivamente classificate come "selvagge" e quindi incapaci di portare contributi alla civiltà bianca. Gli europei resteranno fedeli ai pregiudizi che già avevano verso alcune categorie sociali, come i rurali, un "mondo di vagabondi'?" che tutti temono e disprezzano. Queste popolazioni erano considerate' 'selvagge", mentre nobili e borghesi erano gente domestica", civile, come si diceva nel XVII secolo, vale a dire dei dominatori. Essi concepiscono la società solo come un insieme di dominanti e dominati. Ed ecco che scoprono delle società in cui un tale rapporto non esiste, in cui i capi non sono investiti di nessun potere. L'europeo, prigioniero dei propri schemi, pensa che tali società non possono funzionare, e quindi bisogna civilizzarle, o farle scomparire, se resistono. L'idea di una società ugualitaria è più distruttiva di qualsiasi arma, dal momento che l'europeo moderno conosce solo un mondo gerarchizzato. Per contro, molti umili coloni o poveri diavoli, imbarcati con la forza per la Luisiana saranno sensibili alle attrattive del mondo indiano. In effetti, al selvaggio è permesso tutto ciò che la società europea d'allora proibisce e reprime, vale a dire un mondo vario, il diritto alla pigrizia, la festa, la conoscenza come esperienza diretta trasmessa da persona a persona. L'indiano accoglie l'uomo bianco come un dio, ma un dio infelice; in effetti, per lasciare la terra degli antenati, per affrontare i pericoli del mare, doveva esserne stato cacciato. Perciò gli lascia costruire la casa e lo nutre durante il rigido inverno; senza questo aiuto molti bianchi sarebbero morti di fame. Si sa come l'uomo bianco ringraziò l'indiano per l'accoglienza ricevuta e per la sua generosità! La guerra vissuta come rituale, necessaria allo sviluppo individuale e tipo di lotta contro la formazione dello stato, mutò funzione con la comparsa del bianco, che iniziò guerre di conquista e di sterminio. Dapprima gli indiani non traevano profitto dalla situazione sul campo, pensando che dopo aver sperimentato la loro bravura i bianchi vinti si sarebbero ritirati. In realtà, le tregue permettevano ai bianchi di rafforzarsi e di contrattaccare con violenza ancora maggiore. Agli indiani ci volle un certo tempo per capire questo tipo di guerra. Quanto ai massacri, gli indiani rispondevano molestando i coloni isolati. Presto gli europei, avendo bisogno di alleati che conoscessero il paese, coinvolsero le tribù nei loro conflitti. Per ottenere favori dai guerrieri, distribuivano generosamente alcolici e armi da fuoco. Gli europei introdussero l'abitudine dello scalpo come prova tangibile che l'indiano aveva ucciso un nemico. L'abitudine del cavallo provocò degli sconvolgimenti ; le tribù dell'Ovest lo adottarono rapidamente, utilizzandolo per razzie e per conflitti tra tribù. Presto gli indiani arricchiranno le loro tecniche con elementi nuovi, armi o cavalli, per lottare contro la dominazione bianca. Infine, man mano che i bianchi penetreranno nel continente, il territorio indiano si restringerà come una "pelle di zigrino". La promiscuità delle tribù, la diminuzione e anche la scomparsa della selvaggina, gli odi abilmente attizzati, condurranno gli indiani a una perpetua guerra. Negli imperi aztechi e inca, statizzati e gerarchizzati, una volta fatto prigioniero il sovrano, il paese era conquistato e le popolazioni si rassegnavano alla disfatta. In America del Nord, invece, niente imperatori, niente stati; i bianchi dovranno lottare contro le singole tribù per infrangere la loro resistenza". 

   

pp. 227, coll. Gli Italiani 2002 Il Minotauro (dall`introduzione)  31 agosto 1823. Il sole di mezzogiorno splende sul cuore verde dell`America, sugli orsi e sui pellerossa dalle teste rasate. In riva a un laghetto dalle acque limpide un uomo, un uomo solo, un italiano di 44 anni partito alla ventura quasi per caso, alza le braccia e urla la sua felicità al cielo del Minnesota: ha raggiunto la sua meta, le sorgenti finora inesplorate all`estremo nord della valle del Mississippì. 

il libro on line in inglese con altri 258 autori e 1812 libri a disposizione  http://www.online-literature.com/cooperj/mohicans/  


Cooper, per il cacciatore del suo libro, si ispirò probabilmente al personaggio e alle contemporanee gesta solitarie dell'italiano Giacomo Costantino Beltrami (Bergamo1779- Filottrano1855), massone e carbonaro. Beltrami è accreditato  della scoperta delle sorgenti del Mississipi risalenti ad agosto del 1823. Già soldato nella repubblica cisalpina (1797) e poi giudice (vice ispettore delle armate e giudice a Macerata nel Dipartimento del Musone), nel novembre 1822 si imbarcò a Liverpool alla volta di Filadelfia (Usa).  Poi, a St. Louis l'incontro fortuito con il generale ed esploratore William Clarke, conoscitore delle regioni del Nord America e delle tribù indiane che vi risiedevano, lo invogliò a risalire con lui un tratto del Mississippi, per proseguire poi, da solo, lungo il corso del grande fiume, fino a scoprirne le sorgenti. A cavallo e in canoa, col suo ombrello rosso Beltrami esplorò le terre dei Sioux e dei Chippewa. Partecipò poi alla spedizione del maggiore Long verso i confini del Canada, fino all’area del Red River, proseguendo da solo verso il Red Lake, dove scoprì un piccolo lago che battezzò lago Giulia.  Rientrato a New Orleans, pubblicò La découverte des sources du Mississippi et de la Rivière Sanglante (1824). Per molto tempo qui vennero identificate le sorgenti più settentrionali del Mississipi. Nel Minnesota alle sorgenti del Mississipi una provincia, una contea (Beltrami county) porta ora il suo nome. In seguito effettuò un viaggio in Messico narrato in Le Mexique (1830), visitò Haiti, Santo Domingo, il Canada e le cascate del Niagara, quindi fece ritorno in Europa nella sua tenuta viticola di Filottrano.  Museo Giacomo Costantino Feltrami Filottrano - Palazzo Beltrami-Luchetti, vicolo Beltrami, 2 tel.071201084 - 33037.

James Fenimore Cooper nasce a Burlington nel New Jersey nel 1789. Ha appena un anno quando la sua famiglia si trasferisce sul lago Otsego, nel cuore dello stato di New York, dove il padre fonda il villaggio di Cooperstown. Le impressioni infantili del paesaggio di frontiera e le giovanili esperienze di mare modellano la sua immagine di romanziere, creatore di nuovi miti per un nuovo mondo. Scrive il suo primo romanzo Precaution nel 1820 ma è solo con i due successivi, La Spia e I pionieri che ottiene un grande successo. Dopo il matrimonio si trasferisce a New York per seguire meglio la sua carriera letteraria e poi in Europa dove scrive L'ultimo dei Mohicani (1826) e La prateria. Nel 1833 ritorna a Cooperstown e vi rimane fino alla morte sopraggiunta il 14 settembre del 1851. L'opera di Cooper si può dividere in due filoni principali.

 

I "Racconti di Calzadicuoio" i Leatherstocking Tales: biografie d'autori http://www.kirjasto.sci.fi/jfcooper.htm  I pionieri (1823); L'ultimo dei Mohicani (1826); La prateria (1827); La guida (1840); L'uccisore dei cervi (1841). Fanno parte invece dei romanzi marini: Il pilota (1823); Il corsaro rosso (1828); I leoni del mare (1849). altri libri on line di Cooper in Inglese http://www.wsu.edu/~campbelld/amlit/cooper.htm

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