La storia è racconto attraverso i libri  

Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito.

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ALFONSO SCIROCCO

Il Mulino Bologna 1998

IN DIFESA DEL RISORGIMENTO

….Aveva inizio un nuovo tipo di rivoluzione, che si distingueva anche per la capacità di uscire dai confini del paese in cui si era sviluppata e di porsi come punto di riferimento ideale all'esterno. Una combinazione di attrazione ideologica e di pressione politico-militare, che dopo oltre un secolo sarebbe stata messa di nuovo in atto dalla Russia sovietica. Per la sua collocazione geografica l'Italia fu coinvolta in tutte le fasi dell'espansione rivoluzionaria. I governi, allarmati dall'incalzare degli avvenimenti che esautoravano la monarchia in Francia, interruppero l'azione riformatrice e imboccarono la via della repressione. Intanto l'esempio dei rivolgimenti di piazza suggestionava il popolo (“Viva Parigi, Viva la Francia”, si udì a Dronero in Piemonte nel 1791 durante i moti per il caropane; nello stesso anno i dirigenti del comune di Odogna in Abruzzo, «apprese le massime dell' Assemblea Nazionale di Francia», rivendicarono il diritto di auto amministrarsi; «Volimmo fa come li francesi», si gridò a Rionero in Basilicata nel 1793 per protesta contro i balzelli comunali), e le nuove idee si diffondevano tra gli intellettuali che desideravano il proseguimento delle riforme e i giovani entusiasmati dalle prospettive di radicali trasformazioni della società.
(ndr: E’ bene precisare che esisteva un bilancio statale ma nessuno sapeva coi soldi presi alla gente anche indirettamente dove era e come si applicava. L’opera di diffusione della Rivoluzione venne portata avanti dapprima presso la borghesia con l’ausilio della massoneria)
… congiure furono scoperte nel 1794-95 a Torino, a Bologna, a Napoli, a Palermo, con condanne a morte e all'esilio. Già nel settembre '92 gli eserciti repubblicani avevano invaso la Savoia e Nizza (appartenenti al regno sabaudo spinto con tutti gli altri stati italiani a entrare nella prima coalizione antifrancese promossa da Austria e Prussia). Lo sconvolgimento degli antichi equilibri si ebbe subito dopo con la prima campagna d'Italia di Napoleone, iniziata nell'aprile 1796. Il giovane generale sconfisse in rapida successione gli eserciti piemontesi e austriaci. Mentre continuava la guerra con questi ultimi, costrinse all' accordo gli altri sovrani della penisola, che per allora conservarono i loro domini. Tutti i territori conquistati furono sottoposti a pesanti contributi, a ruberie, a saccheggi. Ma nella Lombardia ex asburgica presidiata dall' esercito vincitore ebbe inizio subito dopo la liberazione una vivace attività politica. Innanzi tutto si inaugurò, sull' esempio francese, il giornalismo politico, espressione delle varie opinioni; si aprirono circoli in cui si discutevano gli avvenimenti e si avanzavano proposte. Allora si delinearono le correnti che avrebbero caratterizzato la lotta politica in Italia per gran parte dell'Ottocento, i moderati, i democratici e i conservatori. Furono i democratici a porsi con maggiore originalità e vivacità polemica. Difatti i moderati ereditarono dal riformismo settecentesco la concezione di un graduale rinnovamento istituzionale - economico - sociale promosso in sintonia con i governi senza turbamento dell' ordine costituito; i conservatori, allineati ai reazionari, condussero una opposizione di principio ad ogni innovazione, opposizione iniziata nell' età dell'Illuminismo con la difesa dei privilegi di nobiltà e clero, continuata con la lotta alle idee della rivoluzione francese prima, del liberalismo poi, senza che con l'esaltazione dei valori tradizionali si proponessero alternative di progresso civile. Non vincolati come i moderati alla realtà degli stati regionali e degli interessi di classe, i democratici fin dal loro primo definirsi come «giacobini» furono un partito ideologico, cioè un movimento caratterizzato dalla convergenza intorno ad alcuni principi di uomini di diversa provenienza geografica e di diversa estrazione sociale…

 (4 luglio 1789 la Rivoluzione - 6 luglio 1789 istituito all'interno dell'Assemblea nazionale un comitato di 30 membri incaricato di stendere un progetto di costituzione. Il 4 agosto l'Assemblea decise di far precedere il testo costituzionale da una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino ispirata a quella degli  Stati Uniti e ratificata il 5 ottobre da Luigi XVI ) http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/sacconapoleone.htm

da Alfonso Scirocco (1924/2009) - In difesa del ...Bastava questa (dichiarazione dei diritti ..) a scardinare le basi stesse del consenso su cui poggiavano i governi di diritto divino. In essa si affermava che gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti; che il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrivibili dell'uomo, cioè la libertà, la proprietà, la sicurezza … che tutti sono tenuti a dare un contributo per le spese per l'organizzazione dello stato, ma hanno il diritto di controllarne l'impiego  

Ndr:  Finito il regno di Luigi XVI con il suo ghigliottinamento l’esercito francese, d’estrazione popolare, non più soldati di mestiere, propagò per l’Europa le idee rivoluzionarie  cercando di colpire in casa i

ASSUNTO: se la  pensiamo tutti  alla stessa maniera,  parliamo la stessa lingua,  professiamo la stessa religione non c’è motivo di restare divisi !?

Soprattutto nell'idea di repubblica si riassumeva la fine dei privilegi di classe e il trionfo del regime rappresentativo come governo popolare. I progetti, sia dei democratici che dei moderati, andavano al di là di quello che autorizzava a sperare la situazione italiana, con molti sovrani rimasti sul trono e con una Francia in cui l'evolversi degli avvenimenti aveva portato, dopo gli eccessi del Terrore, alla reazione termidoriana. Nel 1795 era entrata in vigore la costituzione dell' anno III, che affidava il potere esecutivo a un Direttorio di cinque membri, il potere legislativo a due camere, e concedeva il diritto elettorale su base censita ria (vota chi paga tasse). Era il trionfo della borghesia. Molta parte dello slancio rivoluzionario era svanita.
A Milano, divenuto centro di dibattito tra francesi e patrioti italiani (non solo lombardi), molti dei quali, esuli in Francia, avevano assistito ai vari momenti della rivoluzione, si discusse sui destini della penisola, sulla convenienza che essa avesse un assetto unitario, sulla opportunità di una organizzazione federale o un nuovo concetto di sovranità popolare, la ricerca delle nuove basi della identità della nazione, il rimodellamento dello spazio in concomitanza con la razionalizzazione dello stato. Il superamento del mosaico di realtà territoriali (?) realizzato in Francia poteva applicarsi agli stati regionali italiani, nella ricerca di una ristrutturazione degli spazi politici obbediente ai trionfanti ideali nazionali. Si apriva in tal modo una breve, ma intensa stagione di progettualità politico-costituzionale. La questione sembra di così immediato interesse che nel settembre 1796 la «amministrazione generale» insediata da Napoleone in Lombardia bandisce un concorso !! (aperto a cittadini italiani ed esteri, liberi di scrivere in italiano, in francese o in latino) su quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia. Vi partecipano oltre cinquanta concorrenti. Si delineano con chiarezza le due ipotesi fondamentali relative alla forma che potrebbe assumere lo stato.

(Ndr: siamo a un più che larvato sondaggio moderno e alla vendita di un sogno che neanche oggi con gli standard moderni politici viene più tentato. Giusto la costituzione americana di 230 anni fa diceva che l’uomo aveva diritto alla ricerca della felicità, ma nessuno poi diceva o poteva dire come raggiungerla, quella individuale, perché quella collettiva è un assunto astratto, così esternava quella francese nel preambolo…. afin que les réclamations des Citoyens, fondées désormais sur des principes simples et incontestables, tournent toujours au maintien de la Constitution, et au bonheur (felicità) de tous.
Favorevole all'unità è il vincitore del concorso, il piacentino Melchiorre Gioia. Premesso che la repubblica «è l'unica forma di governo in cui fiorisca la libertà», egli ricerca se convenga dividere la penisola «in tante repubbliche isolate e indipendenti, come nell'Italia antica, ovvero in repubbliche confederate, come nell' America, o fissarvi una sola repubblica indivisibile», come in Francia. A suo avviso la prima soluzione è anacronistica, e «una confederazione di vari corpi politici che hanno esistenza a parte, leggi proprie, interessi particolari» è impossibile. Dà per scontato che l'Italia sia predisposta all'unità: dal punto di vista geografico a lui sembra che non vi siano tra le regioni ostacoli naturali e non vi siano notevoli differenze di clima (sembrava che il clima influisse sulla apaticità del popolo) , mentre sono scarse le difese contro la penetrazione di eserciti stranieri. Altri elementi che ci invitano «ad unirci con massima possibile strettezza nel seno di una sola repubblica indivisibile» sono la religione, che unisce tutta l'Italia sotto uno stendardo comune, gli stessi costumi che danno alla pubblica opinione la direzione stessa e ne costituiscono la forza, la stessa lingua che facilita la comunione dei sentimenti, ci ricorda la stessa origine, lo stesso gusto per le manifatture, per le scienze, gli stessi mali, le stesse speranze, gli stessi timori.

futuri nemici della Francia, gli altri imperi assolutisti d’Europa.

Restano fuori dal controllo francese i Savoia in Sardegna e i Borboni in Sicilia entrambi sotto protettorato inglese

(ndr: è evidente ai più che Gioia non conosce la penisola, non ha sicuramente viaggiato e se lo ha fatto si è ben guardato dall’osservare leggi e usanze e per di più si è astenuto nel campo religioso dal distinguere lo strapotere della chiesa e il servaggio di molti nello specifico nel sud: non per niente Napoleone e Pio VII verranno letteralmente alle mani qualche anno dopo con scomunica e contro incarcerazione).
Gioia chiede che si stabiliscano «gli stessi pesi, le stesse monete, le stesse misure» (e fin qua ci siamo, prevede che, fatta l'unità, «taceranno le gelosie, s'ammutoliranno le dissensioni e non risponderà che l'eco della pubblica felicità !!!». Per realizzare l'unificazione sconsiglia la violenza contro i regni retti da tiranni, facendo affidamento sull'esempio che attrarrà i popoli vicini!! (illuminismo). Nell'assetto dello stato tiene presente il modello francese; dal punto di vista sociale, auspica che la trasformazione avvenga gradualmente, e che si agisca con moderazione anche verso i ceti privilegiati, in modo che si chiamino tutte le classi della società alla collaborazione. Segno della moderazione che informa tutto il suo progetto è la precisazione che l'uguaglianza tra i cittadini deve intendersi dal punto di vista giuridico, e non si deve immaginare «che tutti i membri della società debbano partecipare d'una eguale quantità di ricchezze» (erano questi, della partecipazione alla ricchezza, i concetti “comunisti” o comunardi di Babeuf ghigliottinato nel 1797 con altri 30. Degli "eguali" di Babeuf  si salva Buonarroti che morirà in miseria).
Sulla stessa linea favorevole alla soluzione unitaria è il salernitano Matteo Galdi. Egli ammette nella penisola diversità di clima, che porta diversità «di genio e di carattere» (all'influenza del clima aveva dato importanza Montesquieu), ma ritiene che sotto qualunque clima sia possibile un governo democratico (assunto difficile da verificare). Il nodo politico da sciogliere per lo stabilimento in Italia di una repubblica unitaria, a suo avviso desiderata da tutti, è la volontà della Francia, che l'ha sottomessa con le armi. Perciò Galdi si sofferma sulla Lombardia, che nel '96-97 è il centro dell'azione politico-militare di Napoleone. Nel suo progetto di libertà della penisola il salernitano chiede che si costituisca per il momento una repubblica lombarda comprendente tutti i territori tenuti dai francesi. In seguito esploderebbero le rivoluzioni nelle altre regioni, «e con un'operazione naturale si arriverebbe all'universale repubblica italiana». Piccole repubbliche distinte sarebbero troppo deboli, e i vacillanti re vi getterebbero il pomo della discordia.
Di tutt' altro avviso è il piemontese Giovanni Antonio Ranza. Congedati tutti i vecchi governi, «siccome l'Italia è divisa da molti secoli in domini e costumi e dialetti diversi», e quindi «non è ora possibile darle una forma di governo unica per tutti», si dovrà adottare «l'unità del governo federativo degli Stati Uniti d'America e dei cantoni svizzeri». Si formeranno undici repubbliche (a cui l'Autore assegna nome e territorio). Ciascuna entro il 1797 !!! adunerà una Convenzione per redigere la propria costituzione. All'inizio del '98 i rappresentanti di tutte si riuniranno a Pisa (designata perché quasi al centro della penisola)  per coordinare le costituzioni, e redigere «l'atto immortale dell'Unità federativa perpetua indissolubile offensiva e difensiva».

Non è consuetudine del sito fare la critica al libro, all'autore o ai suoi contenuti e se qualche volta si nota è solo casuale. Ho già riportato in altre sedi passi del Prof. Scirocco che apprezzo per l'esattezza e la semplicità divulgativa. Mi limito in questa sede a dubitare sul titolo (forse imposto dall'editore), poiché in Storia non c'è mai nulla da difendere a maggior ragione per il libro che edito nel 1998 era fuori dall'orgasmo del 150° delle celebrazioni dell'Unità d'Italia che lui, forse profeticamente, stimava di non vedere

(ndr bastò un colpo di vento antinapoleonico e tutto tornò come prima anche con l’aiuto dei "cafoni": quando il corso si riprese e riattraversò le Alpi venne solo per fare il re d’Italia lui, i suoi generali e i suoi fratelli)

Tralasciamo le istituzioni consigliate per la vita della federazione. Ricordiamo, invece, che Ranza torna in una Giunta a difendere la vera idea del federalismo. Esso è stato giustamente avversato in Francia, che aveva, a suo avviso, una tradizione di centralità, mentre l'Italia è «divisa da parecchi secoli in molti stati diversi di costumi, di massime, di dialetti; stati che nutrono ... un'avversione gli uni per gli altri». Non è quindi possibile riunirli in uno stesso corpo «per ora, né così subito». questo bel giorno lo vedranno «i nostri figli e nipoti». Ranza precisa che non intende tornare alle repubbliche delle città-stato: le repubbliche di una certa estensione da lui indicate, federate ma indivisibili, rigenereranno l'Italia. Poi il combattere insieme «sotto la gran bandiera della libertà e fraternità d'Italia» varrà a far sparire le antiche divisioni e a preparare la formazione di «un sol tutto indivisibile». Naturalmente unitari e federalisti dissertarono sulla costituzione, sugli ordinamenti dello stato, sui diritti dei cittadini e sui rapporti tra le classi. Non fu dato rilievo alla questione del decentramento, perché nella costituzione dell'anno III, allora vigente in Francia e modello della maggior parte dei concorrenti, era stato dato largo spazio all'autogoverno locale, per bilanciare l'eccessiva iniziativa esercitata dalla capitale nella prima fase della rivoluzione: l'alternativa unità-federazione non aveva come complemento l'alternativa accentramento-decentramento. Le opere messe a stampa aprirono un dibattito di notevole ampiezza. Non entreremo nei particolari, né ci soffermeremo sull'astrattezza di certe soluzioni: Gioia, per esempio proponeva che la capitale mutasse periodicamente di sede, per evitare la preminenza di una città sulle altre; Ranza disegnava i confini delle repubbliche con mutamenti territoriali che denotavano poco rispetto delle tradizioni a cui si richiamava. Ai fini del nostro discorso ci interessa sottolineare che, fin dal primo momento in cui fu affrontato il problema dell' assetto da dare alla penisola nella nuova configurazione dell'Europa che si andava delineando, furono definiti i concetti che sarebbero stati alla base della disputa sulle due alternative della sistemazione italiana: i vantaggi politico-militari-economici della costituzione di un unico stato, capace di entrare in competizione con le grandi potenze vicine, e la, almeno per il momento, irriducibile diversità storica delle entità regionali, che consigliava la forma federale nella prospettiva di una graduale unificazione. I fatti non autorizzavano grandi speranze per il programma nazionale.
 

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