La storia è racconto attraverso i libri Il primo testo che accompagna la presentazione è in genere quello diffuso dall'editore, dalla libreria o da critici che vengono indicati. Se non diversamente indicati sono del sito. 75 |
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ALFONSO SCIROCCO
Il Mulino Bologna 1998 |
IN DIFESA DEL RISORGIMENTO ….Aveva inizio un nuovo tipo di
rivoluzione, che si distingueva anche per la capacità di uscire dai
confini del paese in cui si era sviluppata e di porsi come punto di
riferimento ideale all'esterno. Una combinazione di attrazione
ideologica e di pressione politico-militare, che dopo oltre un secolo
sarebbe stata messa di nuovo in atto dalla Russia sovietica. Per la sua
collocazione geografica l'Italia fu coinvolta in tutte le fasi
dell'espansione rivoluzionaria. I governi, allarmati dall'incalzare
degli avvenimenti che esautoravano la monarchia in Francia, interruppero
l'azione riformatrice e imboccarono la via della repressione. Intanto
l'esempio dei rivolgimenti di piazza suggestionava il popolo (“Viva
Parigi, Viva la Francia”, si udì a Dronero in Piemonte nel 1791 durante i
moti per il caropane; nello stesso anno i dirigenti del comune di Odogna
in Abruzzo, «apprese le massime dell' Assemblea Nazionale di Francia»,
rivendicarono il diritto di auto amministrarsi; «Volimmo fa come li
francesi», si gridò a Rionero in Basilicata nel 1793 per protesta contro
i balzelli comunali), e le nuove idee si diffondevano tra gli
intellettuali che desideravano il proseguimento delle riforme e i
giovani entusiasmati dalle prospettive di radicali trasformazioni della
società. |
(4 luglio 1789 la Rivoluzione - 6 luglio 1789 istituito all'interno dell'Assemblea nazionale un comitato di 30 membri incaricato di stendere un progetto di costituzione. Il 4 agosto l'Assemblea decise di far precedere il testo costituzionale da una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino ispirata a quella degli Stati Uniti e ratificata il 5 ottobre da Luigi XVI ) http://digilander.libero.it/fiammecremisi/schede/sacconapoleone.htm da Alfonso Scirocco (1924/2009) - In difesa del ...Bastava questa (dichiarazione dei diritti ..) a scardinare le basi stesse del consenso su cui poggiavano i governi di diritto divino. In essa si affermava che gli uomini nascono e vivono liberi ed eguali nei diritti; che il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrivibili dell'uomo, cioè la libertà, la proprietà, la sicurezza … che tutti sono tenuti a dare un contributo per le spese per l'organizzazione dello stato, ma hanno il diritto di controllarne l'impiego Ndr: Finito il regno di Luigi XVI con il suo ghigliottinamento l’esercito francese, d’estrazione popolare, non più soldati di mestiere, propagò per l’Europa le idee rivoluzionarie cercando di colpire in casa i |
ASSUNTO: se la pensiamo tutti alla stessa maniera, parliamo la stessa lingua, professiamo la stessa religione non c’è motivo di restare divisi !? Soprattutto nell'idea di repubblica si riassumeva
la fine dei privilegi di classe e il trionfo del regime rappresentativo
come governo popolare. I progetti, sia dei democratici che dei moderati,
andavano al di là di quello che autorizzava a sperare la situazione
italiana, con molti sovrani rimasti sul trono e con una Francia in cui
l'evolversi degli avvenimenti aveva portato, dopo gli eccessi del
Terrore, alla reazione termidoriana. Nel 1795 era entrata in vigore la
costituzione dell' anno III, che affidava il potere esecutivo a un
Direttorio di cinque membri, il potere legislativo a due camere, e
concedeva il diritto elettorale su base censita ria (vota chi paga
tasse). Era il trionfo della borghesia. Molta parte dello slancio
rivoluzionario era svanita. |
futuri nemici della Francia, gli altri imperi assolutisti d’Europa.
Restano fuori dal controllo francese i Savoia in Sardegna e i Borboni in Sicilia entrambi sotto protettorato inglese |
(ndr: è evidente ai più che Gioia non
conosce la penisola, non ha sicuramente viaggiato e se lo ha
fatto si è ben guardato dall’osservare leggi e usanze e per di più si è
astenuto nel campo religioso dal distinguere lo strapotere della chiesa
e il servaggio di molti nello specifico nel sud: non per niente
Napoleone e Pio VII verranno letteralmente alle mani qualche anno dopo
con scomunica e contro incarcerazione). Gioia chiede che si stabiliscano «gli stessi pesi, le stesse monete, le stesse misure» (e fin qua ci siamo, prevede che, fatta l'unità, «taceranno le gelosie, s'ammutoliranno le dissensioni e non risponderà che l'eco della pubblica felicità !!!». Per realizzare l'unificazione sconsiglia la violenza contro i regni retti da tiranni, facendo affidamento sull'esempio che attrarrà i popoli vicini!! (illuminismo). Nell'assetto dello stato tiene presente il modello francese; dal punto di vista sociale, auspica che la trasformazione avvenga gradualmente, e che si agisca con moderazione anche verso i ceti privilegiati, in modo che si chiamino tutte le classi della società alla collaborazione. Segno della moderazione che informa tutto il suo progetto è la precisazione che l'uguaglianza tra i cittadini deve intendersi dal punto di vista giuridico, e non si deve immaginare «che tutti i membri della società debbano partecipare d'una eguale quantità di ricchezze» (erano questi, della partecipazione alla ricchezza, i concetti “comunisti” o comunardi di Babeuf ghigliottinato nel 1797 con altri 30. Degli "eguali" di Babeuf si salva Buonarroti che morirà in miseria). Sulla stessa linea favorevole alla soluzione unitaria è il salernitano Matteo Galdi. Egli ammette nella penisola diversità di clima, che porta diversità «di genio e di carattere» (all'influenza del clima aveva dato importanza Montesquieu), ma ritiene che sotto qualunque clima sia possibile un governo democratico (assunto difficile da verificare). Il nodo politico da sciogliere per lo stabilimento in Italia di una repubblica unitaria, a suo avviso desiderata da tutti, è la volontà della Francia, che l'ha sottomessa con le armi. Perciò Galdi si sofferma sulla Lombardia, che nel '96-97 è il centro dell'azione politico-militare di Napoleone. Nel suo progetto di libertà della penisola il salernitano chiede che si costituisca per il momento una repubblica lombarda comprendente tutti i territori tenuti dai francesi. In seguito esploderebbero le rivoluzioni nelle altre regioni, «e con un'operazione naturale si arriverebbe all'universale repubblica italiana». Piccole repubbliche distinte sarebbero troppo deboli, e i vacillanti re vi getterebbero il pomo della discordia. |
Di tutt' altro avviso è il piemontese Giovanni Antonio Ranza. Congedati tutti i vecchi governi, «siccome l'Italia è divisa da molti secoli in domini e costumi e dialetti diversi», e quindi «non è ora possibile darle una forma di governo unica per tutti», si dovrà adottare «l'unità del governo federativo degli Stati Uniti d'America e dei cantoni svizzeri». Si formeranno undici repubbliche (a cui l'Autore assegna nome e territorio). Ciascuna entro il 1797 !!! adunerà una Convenzione per redigere la propria costituzione. All'inizio del '98 i rappresentanti di tutte si riuniranno a Pisa (designata perché quasi al centro della penisola) per coordinare le costituzioni, e redigere «l'atto immortale dell'Unità federativa perpetua indissolubile offensiva e difensiva». | |
Non è consuetudine del sito fare la critica al libro, all'autore o ai suoi contenuti e se qualche volta si nota è solo casuale. Ho già riportato in altre sedi passi del Prof. Scirocco che apprezzo per l'esattezza e la semplicità divulgativa. Mi limito in questa sede a dubitare sul titolo (forse imposto dall'editore), poiché in Storia non c'è mai nulla da difendere a maggior ragione per il libro che edito nel 1998 era fuori dall'orgasmo del 150° delle celebrazioni dell'Unità d'Italia che lui, forse profeticamente, stimava di non vedere (ndr bastò un colpo di vento antinapoleonico e tutto tornò come prima anche con l’aiuto dei "cafoni": quando il corso si riprese e riattraversò le Alpi venne solo per fare il re d’Italia lui, i suoi generali e i suoi fratelli) |
Tralasciamo le istituzioni consigliate per la vita della
federazione. Ricordiamo, invece, che Ranza torna in una Giunta a
difendere la vera idea del federalismo. Esso è stato giustamente
avversato in Francia, che aveva, a suo avviso, una tradizione di
centralità, mentre l'Italia è «divisa da parecchi secoli in molti stati
diversi di costumi, di massime, di dialetti; stati che nutrono ...
un'avversione gli uni per gli altri». Non è quindi possibile riunirli in
uno stesso corpo «per ora, né così subito». questo bel giorno lo
vedranno «i nostri figli e nipoti». Ranza precisa che non intende
tornare alle repubbliche delle città-stato: le repubbliche di una certa
estensione da lui indicate, federate ma indivisibili, rigenereranno
l'Italia. Poi il combattere insieme «sotto la gran bandiera della
libertà e fraternità d'Italia» varrà a far sparire le antiche divisioni
e a preparare la formazione di «un sol tutto indivisibile». Naturalmente
unitari e federalisti dissertarono sulla costituzione, sugli ordinamenti
dello stato, sui diritti dei cittadini e sui rapporti tra le classi. Non
fu dato rilievo alla questione del decentramento, perché nella
costituzione dell'anno III, allora vigente in Francia e modello della
maggior parte dei concorrenti, era stato dato largo spazio
all'autogoverno locale, per bilanciare l'eccessiva iniziativa esercitata
dalla capitale nella prima fase della rivoluzione: l'alternativa
unità-federazione non aveva come complemento l'alternativa
accentramento-decentramento. Le opere messe a stampa aprirono un
dibattito di notevole ampiezza. Non entreremo nei particolari, né ci
soffermeremo sull'astrattezza di certe soluzioni: Gioia, per esempio
proponeva che la capitale mutasse periodicamente di sede, per evitare la
preminenza di una città sulle altre; Ranza disegnava i confini delle
repubbliche con mutamenti territoriali che denotavano poco rispetto
delle tradizioni a cui si richiamava. Ai fini del nostro discorso ci
interessa sottolineare che, fin dal primo momento in cui fu affrontato
il problema dell' assetto da dare alla penisola nella nuova
configurazione dell'Europa che si andava delineando, furono definiti i
concetti che sarebbero stati alla base della disputa sulle due
alternative della sistemazione italiana: i vantaggi
politico-militari-economici della costituzione di un unico stato, capace
di entrare in competizione con le grandi potenze vicine, e la, almeno
per il momento, irriducibile diversità storica delle entità regionali,
che consigliava la forma federale nella prospettiva di una graduale
unificazione. I fatti non autorizzavano grandi speranze per il programma
nazionale. |