L'arte della pazienza

di

Ezechiele Leandro

 

Chi, trovandosi a San Cesario di Lecce, non ha notato in via Cerundolo la casa di Ezechiele Leandro? Infatti è impossibile non vedere le sculture sparse nel giardino di quella dimora che l’artista stesso ha definito il “santuario della pazienza”. E Leandro in vita ha avuto tanta pazienza non solo nel realizzare le oltre 2000 statue che rendono, con la loro enigmatica presenza, suggestivo e misterioso quel luogo, ma anche nel sopportare l’ostilità dei suoi concittadini. Ci fu una vera e propria rivolta nel paese che sfociò in una raccolta di firme ed in una petizione presentata al sindaco per ottenere la rimozione dei “mostri” da quel giardino.

Artista incompreso Leandro, come tutti gli artisti che manifestano la loro genialità e la loro creatività in opere di difficile lettura ed interpretazione per gli uomini del proprio tempo, ma che hanno in sé il carattere dell’universalità e richiamano incubi collettivi ancestrali sepolti nella psiche. Leandro non ebbe una formazione scolastica, ma le sue esperienze furono caratterizzate dalla condizione di trovatello. Nato a Lequile  nel 1905, venne affidato ad una famiglia di contadini, non frequentò la scuola, fece numerosi mestieri, lavorò persino in Africa e in Germania come minatore. Sposato si trasferì a San Cesario, dove avviò la sua attività di rottamaio.

E’ difficile determinare in che modo paure, angosce e tormenti interiori possano incidere sull’animo di un artista, ancor più difficile è stabilire quanto l’ambiente sociale ostile, i difficili rapporti umani e le vicende quotidiane possano influenzarlo e condizionarne la vena creativa. E’ impossibile inserire Leandro in una ben determinata corrente artistica del Novecento, egli fu un autodidatta, si formò alla scuola della vita e fonte di ispirazione per lui furono il Salento medievale del mosaico di Otranto, con le sue rappresentazioni allegoriche, simboliche, quasi magiche, e il Salento arcaico, quello delle grotte con i graffiti di Porto Badisco, quello dei dolmen e dei menhir. Non è un caso se Leandro amava definirsi un artista “primitivo”. Non naif, ma primitivo, in quanto le sue rappresentazioni artistiche sono una proiezione nel passato remoto del genere umano. E Leandro spesso sognava di ritrovarsi nel passato dell’umanità, riusciva a comprendere le paure degli uomini, capiva la loro ansia religiosa. Poi dopo il sogno stendeva quei segni sulla tela in maniera automatica, senza porsi domande sul significato di ciò che stava dipingendo. Un artista “primitivo”, si è detto, ma anche per molti aspetti all’avanguardia, visto che ha anticipato i tempi, proponendo sin dagli anni Trenta sculture in cemento e opere realizzate con materiale di risulta, non con i rifiuti ma con ciò che noi oggi definiremmo “materie prime secondarie”, ricavate cioè dagli scarti della società. Cocci, piastrelle, vetro, intonaci, ferro, ghisa, metalli, tutto ciò che la società eliminava poteva essere riciclato. Da questo materiale informe e quasi privo di valore di mercato, Leandro, ecologista ante litteram, riusciva a ricavare l’arte che disseminava nel suo giardino a San Cesario sotto forma di essenze generate dalla terra: “mostri” o “pupi” per i suoi concittadini, opere d’arte per la critica più all’avanguardia non soltanto salentina (di lui scrivevano tra gli altri Ennio Bonea, A. Verri), ma anche nazionale (la RAI si interessò al suo santuario), e internazionale, soprattutto dopo il suo giro in Europa nel 1975. E poi l’artista salentino fu in contatto con le maggiori personalità artistiche e culturali dell’epoca ed ebbe scambi epistolari con Giovanni XXIII, con Paolo VI, con Renato Guttuso e persino con Pablo Picasso.

Trasformare e ridare dignità a ciò che la società consumistica considerava rifiuti era una “pazzia” nell’ottica della gente “normale”, che lo vedeva continuamente girare per le  strade a raccogliere tutto ciò che gli capitava a tiro, ma gli artisti, però, interpretano la realtà in maniera differente e spesso sanno anticipare i tempi, proponendo soluzioni alternative.

Leandro, tanto contestato in vita, dopo la morte, avvenuta il 17 febbraio 1970, pochi giorni prima della mostra allestita dal Comune di San Cesario, che in quel modo riconosceva ufficialmente la sua arte, è stato quasi dimenticato per molti anni. In pochi lo hanno ricordato e tra questi l’Associazione Raggio Verde che nel 1998 ha organizzato una mostra sui disegni inediti e nel 2000 gli ha dedicato il libro “L’opera di Leandro – tre approcci alla sua conoscenza”: tre studi che intendono essere un punto di partenza per ricostruire e approfondire la tormentata vicenda dell’uomo e dell’artista che con la sua religiosità seppe rappresentare gli aspetti più reconditi dell’umanità. A San Cesario lo ricordano per le sue stranezze e stravaganze; i giovani, invece, a malapena conoscono il suo nome e soltanto pochi hanno visitato la sua casa-museo, grazie soprattutto ad iniziative di carattere scolastico. A vent’anni dalla sua morte, però, si può dire veramente che fu un uomo che ebbe tanta pazienza sia nella raccolta della materia inerte, sia nel laborioso lavoro di infonderle una dignità artistica, sia nel concederle il dono dell’eternità, nonostante diffidenze e incomprensioni.