PREFAZIONE

Voci... quante voci si levano a noi da Sarajevo, Mostar, Goradze, Srebenica, "Città del Martirio".

Spesso dalla mente e dal cuore se ne rimuove la tragica eco, forse per non soccombere al senso di impotenza di fronte ai massacri che la televisione ormai da troppo tempo ci offre con scioccante naturalismo. Ancora più spesso, realtà in presa diretta e finzione sono arrivate a fondersi davanti ai nostri occhi in un ambiguo groviglio di immagini.

Ma lacrime, dolore e sangue non cessano di essere meno veri per chi soffre. Per tanti si è spezzato il futuro, ogni futuro. A Sarajevo - dicono fonti Unicef - un bambino su quattro pensa che non valga la pena di vivere.

La consapevolezza di una lacerazione profonda e irreversibile al tessuto dell'esistenza quotidiana vibra forte in "Fratello nemico" dove a quelle "voci" sono date con grande efficacia evocativa le parole per raccontarsi. Raccontare è far rivivere ciò che è morto, riprendersi volti e identità, denunciare l'orrore e la sopraffazione.

"Siamo sole, abbandonate al nostro destino, dimenticate da tutti nelle nostre prigioni. Chi può far qualcosa?": fende l'aria lo straziante interrogativo della donna seviziata, violentata, vittima della "pulizia etnica". Uguale agonia si riverbera nell'angoscia di una madre in attesa del figlio che torni "dalle montagne bianche ma non pure", nello smarrimento del soldato per il quale unica certezza è la solitudine, il non voler essere "alfiere della morte". Tenera, immobile sulla soglia del tempo, la coppia di innamorati, i cui corpi insepolti e abbracciati "assaporano l'eternità davanti alla vita che scorre". E il turbinio della vita cittadina, prima che milioni di bombe spegnessero luci e suoni, empie gli spazi della memoria di chi ormai con le sue povere pupille cieche scorge solo "la notte dell'anima".

Dagli oscuri territori del silenzio, dai ghetti della sofferenza, Giorgio Barba ha tratto "testimonianze" di cui è contesto il suo dramma corale. Dell'immane tragedia balcanica ha saputo filtrare, con la sua acuta sensibilità di poeta, il vissuto delle persone, la storia "minore" ma, proprio per questo, tanto più eloquente. Perfino l'esaltazione del giovane che sogna di imporre al suo popolo la propria "presenza taumaturgica" coprendosi di gloria sui campi di battaglia, si svela così nella sua folle eppur umana dimensione.

Ne scaturisce un'esplicita condanna della guerra e, soprattutto, il monito a non girarsi dall'altra parte: continua ad esistere qualcuno fino a quando noi riusciamo a pensare alla sua esistenza, non permettiamo che si sperda "nei mari immobili dell'indifferenza".

Maria Bondanese