Il lato oscuro di Vittorino Andreoli

 

Storie di violenza estrema, di deliri di onnipotenza, di incapacità di accettare le frustrazioni. Rabbia che esplode improvvisamente persino in famiglia. Vittorino Andreoli psichiatra e neurologo di fama mondiale torna a sondare le complesse dinamiche che inducono un uomo a dare la morte, anche a persone a lui care, trasformando uomini fino a quel momento per bene in omicidi. Lo fa offrendo al lettore altri casi giudiziari in cui, come perito psichiatra, ha aiutato i magistrati a meglio comprendere chi do­vevano giudicare.
In un’epoca in cui i delitti sono ridotti a mero spettacolo invaden­do televisioni e giornali per il gusto morboso degli affezionati, Andreoli sceglie di non fermarsi alla su­perficie: nel posare il suo occhio esperto sulle intricate profondità dell’animo umano, si propone di raccontare ogni storia, che è unica e irripetibile nella sua concretezza, nel rispetto dei suoi pro­tagonisti vittime ed esecutori, ricostruendo profilo psicologico dell’omicida e psicodinamica del delitto. Il delitto se ricostruito e vagliato alla luce di una lettura psicologica e della cornice sociale in cui si è scatenato, è reso comprensibile, anche se mai giustificato.

Storie di frustrazione e insicurezza profonda, come quella di Marisa Pasini, che “lascia scivolare” in un canale il figlioletto di 3 anni, affetto da incapacità di parlare per l’incapacità di accettarne le menomazioni; di dipendenza psicologica e ribellione mascherata, come quella di Paolo Pasimeni, che sopprime il padre ossessionato dal successo professionale; di fallimento e volontà ipertrofica, come quella di Michele Profeta, che uccide 2 volte per ribadire la propria onnipotenza delirante. Michele Profeta, che uccide 2 volte per ribadire la propria onnipotenza delirante.            
Ampio spazio, infine, per i casi di 2 killer, che hanno destato eco nella cronaca recente. Quello di Donato Bilancia, 17 omicidi in 6 mesi, in cui l’assassino stesso è voce narrante della proprio vicenda. E quello di Pietro Pacciani, presunto Mostro di Firenze, il cui profilo è tratteggiato a partire dall’analisi di registrazioni, lettere e disegni vergati dall’uomo su un libro di preghiere. Nessun accenno agli aspetti giudiziari e alle decisioni delle Corti di giustizia. Perché lo scopo è comprendere quel meccanismo che scatta, nei sotterranei della psiche e origina mostri. Perché il mostro è la creazione comoda e rassicurante di una società che non si sente più umana e vuole ribadire ipocritamente la proprio umanità, escludendo come umano quanto non è altro che un suo prodotto. Ogni omicidio, infatti, parla della società in cui è stato commesso e, in qualche modo, la riflette”.

“Solo così si può cercare di restituire un senso al dolore e ridare dignità alla disperazione”.