sabato 12 novembre 2005 Mt 27,1-10
27:1
Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero
consiglio contro Gesù, per farlo morire. 2 Poi, messolo in catene, lo
condussero e consegnarono al governatore Pilato.
3 Allora Giuda, il traditore,
vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete
d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani 4 dicendo: «Ho peccato,
perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda?
Veditela tu!». 5 Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si
allontanò e andò ad impiccarsi. 6 Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel
denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue».
7 E tenuto consiglio, comprarono con esso il
Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. 8 Perciò quel campo
fu denominato "Campo di sangue" fino al
giorno d'oggi. 9 Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta
Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i
figli di Israele avevano mercanteggiato, 10 e li diedero per il
campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.
COMMENTO DI GIOVANNI
Oggi, fatta
eccezione per i due primi versetti, quello che ascoltiamo è del solo Matteo. In
questi anni la descrizione della fine di Giuda mi ha spinto progressivamente a
metterla accanto al testo che ieri ci parlava del tradimento di Pietro e del
suo pianto. Vorrei dire che Giuda è stato più abbandonato a se stesso; così il
suo pentimento è drammaticamente finito nel suicidio, a differenza di Pietro
che nel dolore ha trovato la via del ravvedimento. Mi sembra importante anche
sottolineare il rigoroso non-commento dell'evangelista sui fatti narrati.
Nessuno sa dove sia Giuda adesso. Come non lo si sa di nessuno, perchè il giudizio è solo di Dio. Il
testo spende parole forti per dire dell'animo di questo "traditore",
del suo gesto di restituzione disperata del denaro, e della sua povera morte
solitaria. Altro non voglio dire. Taccio e mi immergo nel mistero della divina
misericordia. Mi chiedo chi tra coloro che oggi pregheranno sulle parole di
questo testo evangelico non sentirà vicinissime a sé le parole che il Signore
ci regala.
Mi sembra
drammatica anche la cinica dissociazione dei sommi sacerdoti e degli anziani.
In tutto questo mi permetto di ricordare che sarebbe illegittimo in ogni modo
fare pensieri del tipo "questo non sarebbe successo se...", perchè
quello che accade è in ogni modo l'adempimento del divino consiglio di salvezza
universale. Né questo peraltro assolve qualcuno dalle sue personali
responsabilità. Tutto, come dicevamo prima, è in ogni modo sigillato nel
giudizio di Dio.
I Padri
cristiani mettono in evidenza la forza simbolica che scaturisce dalla memoria
dell'uso del denaro del tradimento: un'intuizione spirituale che mi sembra
affascinante. Il prezzo del sangue di Gesù non entra nel tesoro del vecchio tempio, ma serve per dare sepoltura agli stranieri poveri.
Il campo è addirittura immagine del mondo intero, comperato dal sangue del
Signore, affinché tutti coloro che muoiono riposino in pace verso la pienezza
della gloria futura. Un intreccio mirabile tra profezie di Geremia e di
Zaccaria santifica quel luogo alle porte della città, dove in un antico
monastero orientale sono tornate ad abitare monache russe. Ci ha aperto e
accolto una giovanissima sorella molto distinta e nobilmente seria.
E Giuda dove è
stato sepolto?
venerdì 11 novembre 2005 Mt 26,69-75
69 Pietro intanto se ne stava seduto
fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù,
il Galileo!». 70 Ed egli negò davanti a tutti: «Non capisco che cosa tu
voglia dire». 71 Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e
disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». 72 Ma egli negò
di nuovo giurando: «Non conosco quell'uomo». 73 Dopo un poco, i presenti
gli si accostarono e dissero a Pietro: «Certo anche tu sei di quelli; la tua
parlata ti tradisce!». 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare:
«Non conosco quell'uomo!». E subito un gallo cantò. 75
E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: «Prima che il gallo
canti, mi rinnegherai tre volte». E uscito all'aperto, pianse amaramente.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il
ver.69 ritrova Pietro dove l'avevamo lasciato al
ver.58; questa osservazione vuole certificare che egli è testimone diretto del
drammatico e importantissimo dialogo tra Gesù e il sommo sacerdote; era del
resto quello che lui stesso voleva:"...si pose a sedere tra i servi per
vedere la conclusione"(ver.58). Secondo Matteo sono due le serve che
interpellano Pietro, questa, e la successiva al ver.71. Se guardiamo per un
momento i testi paralleli degli altri Vangeli, e in particolare Giovanni
18,12-26 dove non si tratta di una serva, ma della "portinaia", e
questa portinaia è il femminile di quel "guardiano" che in Giovanni
10 fa entrare il pastore nel recinto in quanto questi, diversamente dagli
altri, entra attraverso la porta, ci viene da pensare - anche perchè secondo il
parallelo di Marco si tratta di una "serva del sommo sacerdote" - che
non sia una figura qualsiasi, ma forse il segno di quell' "Israele"
che si appresta a riconoscere in Gesù il Messia e quindi nei discepoli i figli
della nuova comunità messianica, forse dunque l'antica Figlia di Sion che si
appresta a diventare la Sposa del Figlio. In ogni modo qui è interessante
notare che entrambi le serve lo interpellano (quella del
ver.69), o lo indicano (quella del ver.71) come uno che "era con
Gesù": e questo è un modo semplice e forte per vedere tra Pietro e il
Signore il legame profondo che li unisce. Dunque, una grande occasione di
testimonianza per Pietro. Ma egli nega quello che dovrebbe confermare.
Infine,
ed è la terza volta che Pietro viene interpellato, ad
interpellarlo sono "i presenti" (alla lettera, "gli
astanti", che sembrano i servi del ver.58 più che gli scatenati che ai
vers.67-68 si avventano contro la persona di Gesù), e anche qui la
provocazione non è da poco, perchè essi affermano una comunanza di linguaggio,
di parlata, tra Pietro e il Signore. E questa volta la reazione negativa di
questo è clamorosamente violenta. Secondo quanto Gesù gli aveva detto,
"subito un gallo cantò".
Ed
ecco allora il ver.75 che conclude mirabilmente non solo il nostro testo di
oggi, ma l'intero capitolo 26. Un fatto minimo, il canto di un gallo,
irrilevante per ogni altro, diventa per Pietro grembo della memoria:"E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù".
Egli "uscì fuori"(da dove? forse da tutto
ciò che aveva detto e fatto di male in quel cortile), e "pianse
amaramente", dove questa amarezza esprime la consapevolezza del peccato e
diventa principio del ravvedimento, quindi della salvezza. Così Pietro ha
percorso tutto l'itinerario della salvezza: dalla Parola che ha ascoltato, e
che non ha accolto confidando in se stesso, al peccato, che è sempre un
"tradimento" della Parola di Dio, alla grazia della memoria, al
dolore e al ravvedimento.
giovedì 10 novembre 2005 Mt 26,57-68
57 Or quelli che avevano arrestato
Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano
riuniti gli scribi e gli anziani. 58 Pietro
intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed
entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.
59 I sommi sacerdoti e tutto il
sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a
morte; 60 ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti
avanti molti falsi testimoni. 61 Finalmente se ne presentarono due, che
affermarono: «Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e
ricostruirlo in tre giorni». 62 Alzatosi il sommo sacerdote gli disse:
«Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». 63 Ma
Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio
vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». 64 «Tu
l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:
d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo
seduto alla destra di Dio,
e venire sulle nubi del cielo».
65 Allora il sommo sacerdote si
stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di
testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?». E
quelli risposero: «È reo di morte!». 67 Allora gli sputarono in faccia e
lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, 68 dicendo: «Indovina,
Cristo! Chi è che ti ha percosso?».
COMMENTO DI GIOVANNI
Entriamo
oggi nel primo dei due grandi passaggi del Signore nella vicenda della sua
passione: il confronto con i capi del suo popolo, e quello con il governatore
romano. C'è anche Pietro, che però nella memoria evangelica di Matteo solo in
un secondo tempo sarà confrontato con la sua fedeltà a Gesù. Il ver.58 sembra
assumere rispetto a quest'ultimo una fisionomia quasi simbolica: lo segue da
lontano, si siede con i servi, sembra essere uno spettatore più che un
protagonista.
Quello
che ascoltiamo dal ver.59 lo troveremo anche nell'interrogatorio davanti
a Pilato: non si cerca la giustizia, ma un modo di far morire l'innocente; ed è
importante che venga detto che non si trova una
ragione plausibile per condannarlo, se non attraverso testimonianze false.
Anche la testimonianza portata da due testimoni concordi non sembra portare
alla condanna a morte. Tutto questo mette ancor più in evidenza che è Gesù
stesso ad aprire la strada alla sua Pasqua di morte e di gloria con la sua
risposta al sommo sacerdote al ver.64.
Mi
sembra di grande rilievo la domanda del sommo sacerdote al ver.63, che è
soprattutto una domanda di annuncio, di testimonianza, sollecitata da Gesù.
Siamo al cuore del problema messianico, siamo al grande quesito. Siamo nel
centro dell'annuncio cristiano. Siamo nella domanda che si pone ad ogni persona
credente, e, più o meno implicitamente, ad ogni persona che in qualche modo
venga in contatto con la persona di Gesù. E' Gesù stesso che ha posto la
domanda:"Voi, chi dite che io sia?"(Matteo
16,15). Siamo davanti al punto decisivo di tutta la storia: Gesù è uno dei
tanti "uomini di Dio" che in tutte le culture e in tutti i fenomeni
religiosi si sono manifestati, oppure è "il Cristo, il Figlio di
Dio"? Dio è collocato, come le "religioni" (ma non l'ebraismo e
il cristianesimo!) affermano, fuori dalla storia,
oppure Dio abita con noi, è in mezzo a noi, ha addirittura assunto la carne
dell'uomo? Dio è solo Dio o è anche "l'Uomo nuovo", l'Uomo Figlio di
Dio?
La
risposta del Signore al ver.64 è radicalmente esplicita. Vedremo che così non
sarà davanti alla domanda del governatore circa la sua condizione di re. Qui
anzi Gesù annuncia una presenza del Signore che è in qualche modo già ora.
Citando infatti la profezia di Daniele e altri oracoli
contenuti nelle Scritture, Egli premette un "d'ora innanzi..." che sembra porsi in quest'ultimo tempo della storia
nel quale noi siamo.
E'
impressionante la continuità e il contrasto tra le supreme tematiche teologiche
poste dall'interrogatorio, e la violenza che la risposta di Gesù scatena sia
nella reazione del sommo sacerdote, sia nell'aggressione popolare e la
derisione oltraggiosa della folla ai vers.65-68.
mercoledì 9 novembre 2005 Mt 26,47-56
47 Mentre parlava ancora, ecco
arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni,
mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore
aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui;
arrestatelo!». 49 E subito si avvicinò a Gesù e
disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: «Amico, per
questo sei qui!». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo
arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano
alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un
orecchio.
52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti
la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno
di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi
darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si
adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?».
COMMENTO DI GIOVANNI
Il
segno scelto da Giuda per l'identificazione di Gesù conferma quanto già dicevamo
circa la presenza e l'emersione dell'inimicizia dall'interno, dalla prossimità:
il bacio come segno e via del tradimento (ver.48). L'altro elemento notevole
evidenziato dal nostro testo, al ver.47, è la sproporzione tra l'apparato degli
aggressori - "una gran folla con spade e bastoni" - e la mite persona
dell'aggredito. Gesù piuttosto coglie questo fatto per ricordare la grande
"battaglia" da Lui condotta:"Ogni giorno stavo seduto nel tempio
ad insegnare, e non mi avete arrestato"(ver.55): con l'arma della Parola,
contro il Maligno che tiene prigioniero il cuore dell'uomo. Il ver.50 ci
conferma che Gesù è in realtà il grande protagonista di questa vicenda nella
quale Egli sembra soccombere, e che invece è l'evento della definitiva
liberazione dal Male e dalla Morte.
I
vers.51-54 fanno memoria di un episodio che nel Vangelo secondo Matteo - solo
qui! - sancisce la condanna definitiva di ogni metodo violento per affrontare e
risolvere i problemi e i pericoli della storia di ciascuno e di tutti. Il
"ritardo" dei discepoli rispetto al Vangelo del Maestro li vede
ancora armati di spada, e quindi partecipi degli stessi criteri che
caratterizzano la folla degli aggressori condotti da Giuda e mandati dai capi
dei Giudei. Tutti i Vangeli concordano nel dire che il colpito di spada è il
servo del sommo sacerdote (ver.51), e quindi un obiettivo di rilievo per
colpire coloro che fanno guerra al Signore. Ma Gesù appunto rifiuta con
assoluta determinazione l'uso di questa forza, e propone un detto proverbiale -
non so dirvi se inventato da Lui o da Lui raccolto nella tradizione di
Israele - per dire che la violenza non è capace di generare se non la morte, e
non solo la morte di chi viene colpito, ma anche quella dell'aggressore. La
violenza è un sistema chiuso in se stesso e prigioniero della dura legge della
Morte.
Ci
possiamo domandare, con atteggiamento prudente, se con Gesù non avvenga un
mutamento anche nel cielo. Le legioni di angeli, "più di dodici", un
numero che indica la totalità, le dodici tribù, non vengono utilizzate. Il
bello è che questo non contraddice "le Scritture", ma anzi ne è
l'adempimento. Prima del Cristo un certo uso della forza, e quindi una presenza
rilevante della "violenza" accompagnano la storia del popolo
di Dio, anche se ogni battaglia affrontata da Israele era dominata dalla
relazione con Dio e quindi dalla sua decisiva presenza-assenza nel conflitto,
perchè Israele vince solo se Dio combatte per lui, non la sua destra, non la
sua forza, ma la potenza di Dio stesso. Ora però questa potenza, ampiamente
profetizzata dalle Scritture nel suo sconvolgente volto, deve affermarsi come
obbedienza del Figlio sino alla Croce. Una potenza dunque che non toglie la
vita ma la offre.
Il
nostro brano si conclude con l'evento già annunciato da Gesù e respinto da
Pietro e dai suoi compagni: "Allora tutti i discepoli, abbandonatolo,
fuggirono". Qui dunque dobbiamo cogliere non solo il peccato di abbandono
nei confronti del Signore, ma anche la nostra lontananza dall'unica vera
potenza capace di sconfiggere il Male e la Morte.
martedì 8 novembre 2005 Mt 26,36-46
36 Allora Gesù andò con loro in un
podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado
là a pregare». 37 E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo,
cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Disse loro: «La mia anima è
triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 39 E avanzatosi
un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è
possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi
tu!». 40 Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a
Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? 41
Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la
carne è debole». 42 E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre
mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la
tua volontà». 43 E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché
gli occhi loro si erano appesantiti. 44 E lasciatili, si allontanò di
nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si
avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta
l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. 46
Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina».
COMMENTO DI GIOVANNI
Chiediamo
al Signore che anche oggi ci conceda di ascoltare le sue Parole non solo come
la memoria di eventi passati, ma anche e soprattutto come la rivelazione da parte
di Gesù del mistero della vita, con le sue debolezze e le sue meraviglie, vita
visitata, assunta, dal Figlio di Dio, perchè tutto sia riscattato e riempito
della luce di Dio. Oggi questo è particolarmente importante, perchè attraversa
pensieri, sentimenti e atteggiamenti che potrebbero restare confinati
nell'orizzonte dell'umana debolezza, mentre l'assunzione di tutto ciò da parte
di Gesù Cristo, ne fa meravigliosa rivelazione del cuore stesso di Dio, e
possibilità per noi di celebrare nella povertà della nostra vita la pienezza
del mistero dell'amore divino.
Segnalo
due elementi di grande rilievo del ver.37: il dolore angoscioso del Signore, e
il coinvolgimento in ciò di Pietro, Giacomo e Giovanni. C'è dunque un dolore
divino! Ed è donata all'umanità la possibilità di vivere il dolore secondo Dio!
Se considerate poi che al dolore è intrecciata l'angoscia, potete cogliere
l'attualità assoluta di questo. In questi anni ho avvertito in modo crescente
il pensiero che nell'orto degli ulivi il Signore abbia veramente vissuto tutto
quello che dopo poco sarebbe accaduto nelle ore della croce e della morte. Su
questa linea diventa di grande rilievo la sottolineatura di come sia importante
la presenza dei più cari nell'ora dell'agonia. Il ver.38 dice la "direzione",
la ragione e la prospettiva del dolore di Gesù:
Il
rimprovero rivolto a Pietro e ai suoi compagni per l'incapacità di vegliare
assume un riferimento forte alla condizione umana in generale: lo spirito è
pronto ma la carne è debole. Il rischio è cadere in tentazione. Quale
tentazione? Forse quella di disperare. Così sembra diventare inscindibile
l'esigenza di vegliare con il Cristo dell'agonia e quella di vegliare sulla
propria stessa debolezza.
Al
centro di tutto, la preghiera di Gesù al Padre. Mi sembra si debba dire che
Egli manifesta con chiarezza un'ipotesi radicalmente diversa da quella che
sembra avanzare; la possibilità cioè che sia allontanato da Lui il calice della
passione e della morte. E' proprio questo che mette ancor più in evidenza
l'altrettanto forte e determinante volontà di Gesù che si compia non la sua
volontà, ma quella del Padre. La preghiera non è fatalismo, ma incontro vivo e
drammatico; non è meccanicistica efficacia di riti e di parole, ma incontro
supremo tra Dio e l'Uomo-Figlio di Dio. La preghiera è supremo e libero
compiersi in noi della volontà divina. La preghiera è suprema grazia di
comunione tra Dio e l'uomo.
lunedì 7 novembre 2005 Mt 26,31-35
31 Allora Gesù disse loro: «Voi tutti
vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti:
Percuoterò il pastore
e saranno disperse le pecore del gregge,
32 ma dopo la mia risurrezione, vi
precederò in Galilea». 33 E
Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi
scandalizzerò mai». 34 Gli disse
Gesù: «In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi
rinnegherai tre volte». 35 E
Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo
stesso dissero tutti gli altri discepoli.
COMMENTO DI GIOVANNI
Credo
sia molto importante collegare fortemente le parole che oggi riceviamo dalla
bontà del Signore con quelle che da Lui abbiamo ascoltato ai vers.20-25. Mentre
qui dice "tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa
notte..."(ver.31) allora diceva "uno di voi mi tradirà"; allora
tutti si ponevano davanti a Lui con dolorosa umiltà; qui la reazione è molto
diversa. Perchè? Forse proprio per quel "tutti", che genera
l'inevitabile competizione tra loro e quindi tutto il rischio di reazioni
orgogliose.
Tutto
si accentua se si riflette che la citazione di Gesù da Zaccaria 13,7 di per sè
coinvolgeva le pecore nella sorte del pastore, pastore che nella
"lettura" che ne dà Gesù è Lui stesso; tutto poteva essere un loro
coinvolgimento nel dramma della Passione, anche se con la segnalazione del
peccato:"Vi scandalizzerete per causa mia in questa notte"; ma siamo
ancora, forse, nella constatazione dell'umana debolezza più che di un vero
peccato! Qui i confini sono sempre molto vaghi. Proprio per questo sarebbe
necessario custodire una grande umiltà! Oltretutto l'annuncio dello scandalo è
seguito dall'assicurazione che Egli risorgerà e li precederà in Galilea: un
grande reinizio!
L'
"eroismo" di Pietro è inevitabilmente connesso con l'orgoglio e, come
dicevamo, con la competizione:"Anche se tutti si scandalizzassero di te,
io..."(ver.33). Al ver.35 tutto si enfatizza:"Anche se dovessi morire
con te..." La cosa è contagiosa, per cui "lo stesso dissero tutti gli
altri discepoli". Siamo sempre sull'orlo di un rientro della natura ferita
nel pretenzioso orgoglio della sua autosufficenza, che pretenderebbe di essere
più forte della morte! ("anche se dovessi morire..."!).
Di
fronte a tutto questo Gesù reagisce con l'umile ironia delle piccole cose della
natura. Sarà il canto del gallo, istinto dettato dalla natura per l'imminenza
della luce del giorno, a svelare le tenebre di un rinnegamento incapace di
custodire la speranza dell'annuncio pasquale:"...dopo la mia risurrezione,
vi precederò..."(ver.32).
sabato 5
novembre 2005 Mt 26,26-30
26 Ora, mentre essi mangiavano,
Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai
discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». 27 Poi
prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene
tutti, 28 perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per
molti, in remissione dei peccati. 29 Io vi dico che da ora non berrò più
di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel
regno del Padre mio».
30 E dopo aver cantato l'inno,
uscirono verso il monte degli Ulivi.
COMMENTO DI GIOVANNI
Mi
sembra di notevole importanza il fatto che oggi il nostro brano esordisca con
le parole "mentre essi mangiavano", come ieri, al ver.21, si diceva
"mentre mangiavano...", e al ver.17 i discepoli gli avevano
domandato: "Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?".
Mangiare la Pasqua vuol dire mangiare l'agnello pasquale. In tal modo, tutto si
collega profondamente: la celebrazione della Pasqua ebraica, che Gesù sta
compiendo con i suoi discepoli, come memoria storica e perfetta attualizzazione
dell'elezione di Israele e dell'intera opera di salvezza che Dio ha condotto
per il suo popolo fin dal principio; l'attualità della storia che solo questa
liturgia è capace di interpretare e di guidare verso la salvezza, e tale mi
sembra il contenuto dei vers.20-25 con la domanda dei discepoli sul tradimento
e il dramma di Giuda; e ora, il nuovo rito della nuova Pasqua, dove il nuovo è
completamente immerso nell'antico in perfetta adesione, e contemporaneamente lo
svela e lo compie nella persona e nell'opera del Signore.
Al
centro di tutto sta Gesù e il suo sacrificio d'amore in perfetta obbedienza al
Padre. Negli stessi gesti e nelle parole da Lui celebrati, la novità dirompente
è quella espressa dalla rivelazione del suo corpo e del suo sangue
perfettamente significati dal pane e dal vino che stanno sulla mensa pasquale
ebraica, rito che ora ne compie perfettamente la portata profetica. Ora è certo
che anche il tradimento di Giuda, pur con tutto il suo drammatico riferimento
alla persona del traditore e al male che egli compie, viene di fatto svelato
come interno all'atto salvifico di Dio nella persona del Figlio. La passione di
Cristo non è la sconfitta di Cristo, ma la pienezza della sua potenza
universale di salvezza; e potete chiedervi: "anche per Giuda?".
Giovanni, nel suo Vangelo ricorderà le parole del profeta Zaccaria
"contempleranno Colui che hanno trafitto".
Ma
non basta! Non solo il passato e il presente si incontrano nella nuova Pasqua
di Gesù. Anche il futuro si affaccia e si svela nelle sue parole e nel suo
gesto, principio, questo, dell'assoluta speranza del cristianesimo.
L'astensione dal vino, che Gesù annuncia al ver.29, "fino al giorno in cui
lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio", è la speranza cristiana,
è la certezza che Dio conduce la storia verso il suo perfetto adempimento, ora
anticipato e svelato nel segno liturgico. Si tratta dunque di un
"appuntamento" che l'Eucaristia celebrata oggi rinnova e fissa per la
fine dei tempi, fine già inaugurata da questa stessa celebrazione.
"dopo
aver cantato l'inno..." dice il ver.30: essi escono per compiere quello che
nel segno liturgico è stato già compiuto, così come in quel segno e nella sua
"novità" rispetto al rito dei padri ebrei che essi stessi stavano
celebrando, tutta la storia di Israele viene assunta e glorificata. Dunque
tutta la Parola e tutta l'opera di Dio si raccolgono nella nuova Pasqua di
Gesù, così come in essa viene inaugurata la nuova creazione - e la nuova storia
- oramai non più solo per il popolo d'Israele, ma per tutta l'umanità chiamata
a salvezza.
Ma
a questo punto sento l'urgente bisogno di chiedere il vostro perdonno e la
vostra pazienza per la banalità e la mediocrità che ho avuto la sfacciataggine
di scrivere anche questa mattina! Spero solo che, arrabbiandovi un po' con me,
siate spinti a procedere voi stessi nella vostra attenzione amante e nel vostro
amante impegno verso La Parola, il Pane e lo Spirito che vi sono donati.
venerdì 4 novembre 2005 Mt 26,17-25
17 Il primo giorno degli Azzimi, i
discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo,
per mangiare la Pasqua?». 18 Ed egli rispose: «Andate in città, da un
tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la
Pasqua da te con i miei discepoli». 19 I discepoli fecero come aveva
loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
20 Venuta la sera, si mise a mensa
con i Dodici. 21 Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di
voi mi tradirà». 22 Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono
ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». 23 Ed egli rispose:
«Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. 24
Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale
il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse
mai nato!». 25 Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli
rispose: «Tu l'hai detto».
COMMENTO DI GIOVANNI
A
me piace molto la presenza nel nostro brano di oggi, al ver.17, del verbo
"preparare": "Dove vuoi che ti prepariamo?", perchè in esso
si rende presente tutta la lunga preparazione che Dio ha consegnato ai padri
ebrei, alla loro fede, alla loro storia e alla loro preghiera.
Nella
stessa direzione, mi piace molto quel "tale", così anonimo, e quindi
tanto adatto a raccogliere l'intero popolo che ha preparato e ora attende
l'adempimento di tutto con l'avvento del Messia del Signore e della sua opera
di salvezza preparata dalla lunga "profezia" ebraica. Diventa quindi
molto affettuoso e forte quello che Gesù gli manda a dire:"Il mio tempo è
vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli". Grazie, Signore, che
sei venuto tra noi in questa Cena consumata con i tuoi discepoli, presso i tuoi
fratelli ebrei! E' la speranza della Pace!
Facciamoci
molte domande davanti a questo "annuncio" del tradimento! Perchè? Che
cosa significa per noi? Non sembra voler dire che viene fatto per evitare che
avvenga quello che avverrà. Dunque, c'è anche per ognuno di noi l'esperienza di
questo annuncio del nostro peccato, che qui non è rivelazione di un peccato
commesso, ma, appunto, annuncio di un peccato che commetteremo? Domande
sospese? Domande che hanno già una risposta dentro di noi? In ogni modo, una
rivelazione davanti alla quale nessuno sembra potersi sottrarre. Nessuno che
possa sentirsi esente dall'eventualità di essere lui! Terribile e meraviglioso
dolore che accompagna il credente di ogni generazione: "Sono forse io,
Signore?"(ver.22). Siamo ben lontani da una concezione razionalista del
peccato, della libertà di ciascuno, della assoluta possibilità di
"scegliere" di non peccare!
E
vi devo confessare che non capisco bene neppure l'affermazione di
Gesù:"…sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!". Forse
sono pazzo, ma preferisco essere davanti al dramma della mia vita davanti a
Lui, ancora una volta preferisco essere nelle sue mani, preferisco correre il
rischio di una "lontananza da Lui", che tuttavia "grida" un
"Lui" che malgrado tutto io amo. E Giuda, no? In ogni modo i verbi
valgono anche per il Signore. E quindi di fatto io ci sono, noi ci siamo:
avremmo potuto non essere nati, ma ora siamo qui! Con la nostra domanda
dolorosa! Anche Giuda! Per lui, chi è Gesù? Una nota della TOB porta ad
accorgersi che mentre gli altri lo chiamano "Signore", Giuda gli
dice:"Rabbì, sono forse io?" e il termine "rabbì" Matteo lo
usa in senso negativo, come abbiamo visto al cap.23. Lascio a voi capire anche
questo, perchè io sono già abbastanza occupato a chiedermi chi Lui è per me!
Per me Gesù è veramente il Signore? Lo spero, e mi unisco alla domanda degli
altri:"Sono forse io, Signore?"
giovedì 3 novembre 2005 Mt 26,14-16
14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota,
andò dai sommi sacerdoti 15
e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. 16 Da quel momento cercava
l'occasione propizia per consegnarlo.
COMMENTO DI GIOVANNI
Più
esplicitamente che nel testo parallelo di Marco 14,10 qui si mette in evidenza
con quel "allora" all'inizio del nostro brano la connessione con la
vicenda della donna di Betania; pare quasi che l'onore da lei reso al Signore
muova Giuda verso il dramma del suo tradimento.
Anche la
sottolineatura della prossimità è importante:"uno dei dodici"! Il mistero
del male ai suoi livelli più profondi agisce nella prossimità. Il ver.14
ritorna così ai propositi negativi verso Gesù dei vers.1-5 del capitolo. Il
ver.15 sembra voler sottolineare l'importanza del denaro nel dramma di Giuda.
Può essere utile a questo proposito considerare il brano di Matteo 27,3-10 che
è proprio del solo Matteo e che tematizza ancora con forza l'importanza del
denaro. Giuda entra ora, al ver.16, nello stesso atteggiamento insidioso dei
sommi sacerdoti che abbiamo incontrato ai vers.4-5.
Le memorie di
Luca e Giovanni sottolineano con forza il dominio del Maligno in questa
vicenda. La sua preziosità nella memoria evangelica è in ogni modo quella
dell'avvertimento di come il mistero e la potenza del male siano vicini e
insidiosi.
lunedì 31 ottobre 2005 Mt 26,6-14
6 Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il
lebbroso, 7 gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio
profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. 8
I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? 9
Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!». 10 Ma Gesù,
accortosene, disse loro: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto
un'azione buona verso di me. 11 I poveri infatti li avete sempre con
voi, me, invece, non sempre mi avete. 12 Versando questo olio sul mio
corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura.
14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò
dai sommi sacerdoti
COMMENTO DI GIOVANNI
Mi sembra molto bello accostare le parole che oggi il
Signore ci regala a quelle che abbiamo ascoltato nei versetti precedenti, a
quel potente "voi sapete" detto da Gesù ai discepoli al v. 2 riguardo
alla nuova Pasqua che sta per compiersi con la passione e la morte del Figlio
di Dio, provocata dalle trame dei sommi sacerdoti, ma in realtà pienezza della
rivelazione e della divina potenza salvifica del Figlio di Dio.
Oggi di fatto quel "sapere" dei discepoli si
rivelerà molto fragile, ma la sapienza che Gesù attribuiva loro viene assunta
ora dal gesto di silenziosa e amante adorazione della donna di Betania. Questa
è figura meravigliosa della Chiesa Sposa e Madre che si china su Gesù
riconoscendo in Lui il vero Agnello e il Messia sofferente. L'unzione sembra
essere insieme il riconoscimento di Gesù come Messia del Signore e, come Lui
stesso dice al v. 12, la fede in Colui che la morte non può annientare e che fa
della sua morte e sepoltura il grembo della salvezza e della vita nuova per
l'intera umanità.
Per i discepoli che osservano l'avvenimento con occhi
mondani il gesto della donna è spreco (alla lettera "perdita"), gesto
sconsiderato cui contrapporre una monetizzazione a favore dei poveri.
Difendendo il gesto della donna, Gesù non solo ne rivela il senso profondo, ma
lo pone come atteggiamento privilegiato nei confronti dei poveri. Con quel
"i poveri li avete sempre con voi" del v. 11 Egli, mi sembra, vuole
affermare che essi, prima e più profondamente che persone da soccorrere, sono
portatori di quel "mistero dei poveri" che la donna ha riconosciuto
in Colui che si è fatto povero sino alla Croce per la salvezza del mondo.
La vera lotta contro la povertà esige dunque che essa
sia riconosciuta come quella condizione ferita dell'umanità, condizione
ineliminabile (li avete "sempre" con voi!), che il Cristo assume
facendone luogo, santuario e grembo della salvezza e della vita nuova.
Soccorrere il povero significa ormai, per il gesto della donna di Betania,
riconoscere in lui il mistero della Presenza divina, segno privilegiato del
Povero, che il Padre glorifica risuscitandolo da morte. Lì s'incontrano
pienamente fede e carità.
sabato 29 ottobre 2005 Mt 26,1-5
26:1 Terminati tutti questi discorsi,
Gesù disse ai suoi discepoli: 2 «Voi sapete che fra due giorni è Pasqua
e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso».
3 Allora i sommi sacerdoti e gli
anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si
chiamava Caifa, 4 e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù
e farlo morire. 5 Ma dicevano: «Non durante la festa, perché non
avvengano tumulti fra il popolo».
COMMENTO DI GIOVANNI
L'esordio
del ver.1 - "terminati tutti questi discorsi" - che ci collega
fortemente a quanto Gesù ha detto nei cap.24-
Mi
sembra di enorme rilievo quel "allora" che lega il ver.3 ai primi
due. Siccome è Pasqua e Gesù sarà consegnato e crocifisso, proprio per questo,
"i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo...": siamo al confronto
drammatico tra la cecità della storia e la sua illuminazione e salvezza da
parte di Dio. La trama di morte nei confronti di Gesù di Nazaret appare come
una "obbedienza" all'evento di salvezza e di vita che deve accadere!
A questo proposito è importante dare un'occhiata a Giovanni 11,47-53 che
esplicitamente afferma che in questo momento anche l'iniquità di un disegno di
morte altro non è che evento profetico di salvezza.
Tutto
questo viene confermato dal fatto che mentre la preoccupazione dei notabili di
Israele è che questo, per motivi di ordine, avvenga "non durante la
festa", tutto quanto avverrà in seguito è compimento della festa antica,
nuova creazione, vita nuova, salvezza per l'intera umanità, e quindi
"festa" suprema dell'incontro con Dio e l'umanità, vittoria radicale
e definitiva sul male e sulla morte, inizio e compimento della grande
riconciliazione tra Dio e l'umanità, grande festa della piena comunione con Dio
e tra noi.
venerdì 28 ottobre 2005 Mt 25,31-46
31 Quando il Figlio dell'uomo verrà
nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua
gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli
separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33
e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il
re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio,
ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete
dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete
vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38
Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo
vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo
venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico:
ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l'avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra:
Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per
i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare;
ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi
avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete
visitato. 44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti
abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e
non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni
volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più
piccoli, non l'avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al
supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
COMMENTO DI GIOVANNI
Possiamo
fare subito una considerazione di un certo rilievo. Le Parole che il Signore ci
regala in questo giorno sono le ultime di un lungo, ininterrotto discorso fatto
da Gesù dall'inizio del cap.24 fino appunto al brano di oggi. Entrando nel
cap.26 avremo un'ulteriore sottolineatura di ciò con l'affermazione
"Terminati tutti questi discorsi..." al ver.1. Se avrete un po' di
tempo vi sarà di grande illuminazione riprendere l'ascolto intero di questi due
capitoli che hanno per tema la fine del mondo.
Propriamente
oggi non si può dire che Gesù narra una parabola, pur rimanendo molto forte il
legame con tutto il cap.25 e con le due parabole delle vergini e dei talenti.
Qui siamo davanti ad un annuncio diretto da parte del Signore. L'oggetto
specifico di questo suo "ultimo" insegnamento è il giudizio finale su
tutti i popoli della terra, dunque oltre i confini - ormai non geografici ma
spirituali - del popolo messianico. Penso che si debba recepire in questo senso
la domanda retorica con la quale sia i benedetti sia i maledetti affermano di
non aver mai visto prima di quel momento il Signore Gesù.
Il
legame profondo con le immagini dell'olio delle vergini e dei talenti
consegnati ai servi sta qui: il Figlio di Dio, significato nell'olio e nei
talenti, supremo dono divino ai suoi, si svela ora presente e celato nei
poveri. La miseria dei poveri diventa così il mistero dei poveri, e il mistero
del Povero, nascosto e presente nei poveri. Questi diventano dunque il
"luogo" del giudizio divino. Avverto un riferimento forte alla
parabola del ricco e del povero Lazzaro in Luca 16,19-31, dove Lazzaro subisce
l'indifferente estraneità del ricco in assoluto silenzio, ma alla fine si rivela
come l'evento giudicante nei confronti del ricco che sembra non essersi neppure
accorto di lui. Tutto questo viene ora trasferito a livello universale. I
poveri sono dunque rivelazione, "Vangelo" di Cristo, giudizio, in
tutta la vicenda umana.
A
questo punto è necessario porsi una domanda ulteriore su "questi miei
fratelli più piccoli" citati ai vers.40 e 45. Senza darne un significato
esclusivo possiamo chiederci se non si stia parlando in modo privilegiato di
alcuni tra tutti i poveri e i piccoli del mondo. Ricordiamo l'affermazione di
Gesù in Marco 9, 41 rivolta ai suoi discepoli: "Chiunque vi darà da bere
un bicchier d'acqua nel mio nome perchè siete di Cristo, vi dico che non
perderà la sua ricompensa". Viene da pensare che "questi più piccoli
dei miei fratelli" siano allora i cristiani! Avendo seguito il Signore
umile e povero, anch'essi sono entrati nel mistero di Colui che da ricco si è
fatto povero per noi. E visitati e serviti da chi si è chinato su di loro sono
divenuti via e luogo di salvezza.
giovedì 27 ottobre 2005 Mt 25,14-30
14 Avverrà come di un uomo che,
partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.
COMMENTO DI GIOVANNI
Come
vi dicevo ieri, mi sembra possibile e bella una lettura profondamente unitaria
di questo capitolo contenente tre immagini che descrivono la nuova vita donata
da Dio in Gesù Cristo. L'elemento di continuità delle tre parti - oggi
consideriamo la seconda - è il dono di Dio, significato dall'olio nella
parabola delle vergini, e dai talenti nel brano che oggi ci è regalato dalla
bontà di Dio. Nella prima immagine (vers.1-13) il dono era da accogliere e
custodire, oggi l'immagine dei talenti promuove una vita impegnata a far
fruttificare il dono che ci viene consegnato. Il verbo del ver.14 che dice la
consegna dei talenti da parte del padrone è un verbo ricco di significato ed
esprime una consegna, un affidamento che esalta la responsabilità piena che
ognuno ha del dono che riceve.
Il
termine "capacità" che compare al ver.15 nella versione italiana,
propriamente è "potenza", e quindi esprime non solo e non tanto le
doti di chi riceve i talenti, ma la potenza che Dio ha dato a ciascuno nel suo
disegno di salvezza. E' interessante il parallelo di Marco 13,33-37, che al
ver.34 dice come Dio abbia dato a ciascuno la potenza e un'opera da compiere,
cioè come all'opera che Dio ha affidato a ciascuno corrisponda una potenza
capace di realizzarla. Il punto per me più rilevante è quello che nella
traduzione italiana dice, al ver.16, che il servo, ricevuti i talenti, andò
subito a "impiegarli"; alla lettera, e con molta efficacia, il testo
dice che "operò in essi"; si coglie molto bene che nei talenti è
contenuta una potenza per cui chi "opera in essi" certamente porta
frutto, e un frutto notevolissimo, che raddoppia ciò che il padrone ha
consegnato sia al primo che al secondo servo. Mi sembra che il "solo"
talento affidato al terzo servo non sia per dire che a questo ha dato meno, ma,
quasi al contrario, per cogliere in quel solo talento tutto lo spessore e il
valore del "dono di Dio" che forse è Gesù stesso. In ogni modo è
certo che anche quello poteva fruttificare nella stessa proporzione degli altri.
Ai
vers.21 e
Da
dove viene la paura del terzo servo non è facile dire; è certo che egli non coglie
il fatto fondamentale, e cioè che il giudizio divino è del tutto proporzionato
al dono che Egli fa a ciascuno. A questo punto la parabola non teme di
enfatizzare la severità di tale giudizio con la ripresa da parte del padrone di
quello che il servo aveva detto sul mietere dove non ha seminato e raccogliere
dove non ha sparso, anche se sappiamo che molte volte si parla di Lui come del
Seminatore che sparge il seme! Ma tutto questo vuole ancor più sottolineare la
ricchezza e la potenza del dono affidato, e quindi la responsabilità personale
di chi deve farlo fruttificare.
mercoledì 26 ottobre 2005 Mt
25,1-13
25:1 Il
regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono
incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte
presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle
lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si
assopirono tutte e dormirono.
COMMENTO DI GIOVANNI
La fecondità della lettura continua mi induce a considerare sempre più
con una certa attenzione la "struttura" che caratterizza il nostro
testo e che da una parte lo assimila alle altre memorie evangeliche, e
dall'altra ne fa emergere l'originalità e la sua specifica fecondità per la
vita cristiana. Per questo mi permetto di proporre una chiave unitaria di
ascolto del cap.25. Certo, tenete conto che si tratta di una ipotesi che io
faccio, ben consapevole che non è l'unica e che certamente altre letture
saranno più appropriate e profonde. Del resto, sono molto d'accordo con un
amico ebreo che vede un collegamento tra i fondamentalismi religiosi e
un'assolutizzazione interpretativa del testo sacro. L'interpretazione è
necessariamente "infinita", perchè tra l'altro, come diceva Gregorio
Magno, il testo biblico "cresce con chi lo legge", e quindi anche in
ciascuna anima c'è una dinamica interpretativa della Parola che si presenta
come incessantemente nuova ed esigente una incessante conversione.
Ho pensato dunque di tentare un'interpretazione unitaria delle tre grandi
immagini che caratterizzano il cap.25, le vergini con le loro lampade, i
talenti affidati ai servi, e il giudizio finale su tutti i popoli della terra.
Vi propongo allora di collocare tutte e tre le parti del capitolo nella grande
e affascinante espressione usata da Gesù quando in Giovanni 4 dice alla donna
di Samaria:"Se tu conoscessi il dono di Dio...". Mi sembra quindi che
si parli sempre del dono di Dio: nei vers.1-13 del dono ricevuto e custodito,
nei vers.14-30 del dono affidato alla nostra operosità, e nell'ultima parte,
della potenza misteriosamente universale di questo dono. Nella parola
"dono" vedrei dunque un significato vastissimo, dalla fede, speranza
e carità, al dono della Vita nuova, alla Persona stessa dello Spirito Santo...
Il ver.3 dice che le vergini stolte addirittura "presero le lampade,
ma non presero con sé olio". Poi si capisce che forse un po' ne avevano,
perchè al ver.8 diranno alle vergini sapienti di dar loro dell'olio
"perché le nostre lampade si spengono". Resta tuttavia l'impressione imbarazzante
di queste lampade così inutili se non si ha l'olio per alimentarle. Mi viene da
pensare all'ospite delle nozze in Mt.22,11-14 che "non indossava l'abito
nuziale"; ed era andato alle nozze! C'è il senso di una negligenza, di una
trascuratezza che si avvicina pericolosamente alla superbia e alla pretesa di
bastare a se stessi. Perchè, invece, se c'è l'olio, si può anche dormire in
questo ritardo dello sposo! Notiamo a questo punto la bellezza della fusione
tra due immagini, il ritorno del padrone, e lo sposo che giunge nella notte,
che fa di questa parabola di Matteo un "unicum" nella memoria
biblica.
La vita del credente assume così la fisionomia splendida di un andare
incontro allo sposo nel buio della notte rischiarato dalla luce della lampada,
cioè da quel dono di Dio che riempie la lampada della nostra persona e della
nostra vita; vita che è poca cosa, ma è meravigliosa se
illuminata dal dono di Dio. Le vergini sagge non sono delle carognette. Il
loro "no" alla richiesta delle stolte sottolinea la sostanza
profondamente personale della relazione nuziale. Non so se il matrimonio è così
sicuramente "naturale" come si dice, ma è certo che come sacramento e
figura dell'amore tra Dio ed ogni persona non può che essere così!
Lo smacco finale delle vergini rimaste fuori è descritto con divina
efficacia dalle parole dello Sposo:"Non vi conosco". Nessuno spirito,
neppure l'anima più sublime, può pretendere di essere
"conosciuto" da Dio, se non per la potenza trasformante e
illuminante del dono di Dio. Mi permetto di consigliarvi un rapido sguardo a
1Co.1,17-25 dove sapienza e stoltezza sono al confronto tra di loro non secondo
le sapienze del mondo ma secondo la mirabile sapienza di Dio svelata dalla
Croce del Signore.
martedì 25 ottobre 2005 Mt 24,45-51
45 Qual
è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi
domestici con l'incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? 46 Beato quel
servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così!
COMMENTO DI GIOVANNI
Con la parabola del servo si conclude il cap.24. Il capitolo successivo
si manterrà nello stesso tema attraverso tre grandi immagini, tre grandi
parabole. Ma oggi, in certo senso, l'insegnamento del Signore in ordine alla
fine dei tempi arriva alla sua sintesi suprema, riguardo alla quale i testi
successivi saranno conseguenza ed esplicitazione. Con la figura del servo
vigilante ci viene data la chiarificazione suprema circa quel compito di
"vigilare" affermato già al ver.42: "Vegliate, dunque".
Vigilare, dice oggi il Signore, non è semplicemente aspettare. Dobbiamo
chiederci "come aspettare", che cosa significhi aspettare, come si
attui.
Consideriamo innanzitutto la rilevanza della responsabilità personale.
Non penso infatti che in questo servo fidato e prudente preposto alla servitù
si debba cogliere un personaggio o una mansione speciale. Ogni credente, in
modi e misure diverse, è collocato nella grande responsabilità di una vigilanza
che si attua nella carità! La carità è l'azione "apocalittica" per
eccellenza! La fedeltà nella carità è il vero modo di attendere vigilando. Tale
carità viene descritta con un'espressione molto bella: "dare il cibo al
tempo dovuto", dove dare il cibo deve essere interpretato nel senso più
ampio, e il tempo dovuto è quella interpretazione profonda del senso del tempo,
come tempo non nostro, ma di Dio e del nostro prossimo; siamo vicinissimi
quindi al duplice comandamento dell'amore. "Beato quel
servo"(ver.46), perchè avrà colto nella verità e nell'efficacia l'annunzio
della fine dei tempi. In espressione popolaresca si dice in italiano che l'amore
"è la fine del mondo", proprio per dire che non c'è niente di più
bello. Più di così non si può: è il senso profondo del Canto dell'Amore in 1Cor
13.
Qual è, al contrario, il pericolo? Il pericolo è legato al
"ritardo" del Signore (ver.48). Nella sua seconda lettera, S. Pietro,
al cap.3,9, risponde a chi si fa beffe di questa attesa apocalittica che il
ritardo esprime il desiderio divino che ognuno si penta e trovi la via vera
della vigilanza cristiana. Non vigilare vuol dire riappropriarsi del tempo come
tempo nostro, per la nostra dissipazione, per il nostro cattivo uso. Come
possiamo riprendere dal Libro della Sapienza cap.2, se il tempo non è dedicato
a Dio e al prossimo, se il tempo è solo il breve tratto che ci è assegnato
prima del nulla della morte, il tempo diventa l'orizzonte della violenza e
della prevaricazione, l'amaro atteggiamento di chi non ha nulla da sperare.
Come oramai vediamo bene, in una giusta interpretazione dell'apocalisse, perde
ogni rilievo il problema di un "quando" nel tempo, perchè tutto
diventa fede e fedeltà al Signore del Vangelo. E quindi pace.
lunedì 24 ottobre 2005 Mt
24,36-44
36 Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno
lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
37 Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del
Figlio dell'uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il
diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè
entrò nell'arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio
e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. 40
Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. 41
Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.
42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale
giorno il Signore vostro verrà. 43 Questo considerate: se il padrone di
casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si
lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi state pronti, perché
nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il nostro
testo di oggi si apre con un'affermazione apparentemente negativa (v. 36): la
non conoscenza del tempo e dell'ora finale. Ma il coinvolgimento in questo
"non sapere" anche degli angeli e del Figlio ci dà una luce, diremmo
una spia, per coglierne la positività; infatti il senso profondo del brano è il
supremo valore dell'ora presente, che esige di essere vissuta, qualunque ne sia
la durata, nel suo essere sempre di fronte al dono e al giudizio di Dio.
Per dirci
come tale ora, vissuta sempre come "ultima", vada vissuta, il Signore
fa due esempi: la vicenda di Noè ai vv. 37-39 e la descrizione del giudizio ai
vv. 40-41.
Riguardo a
Noè, viene messa in evidenza la diversità: mentre tutti mangiano e bevono,
prendono moglie e marito, Noè entra nell'arca che ha costruito. Dunque Noè si
stacca dall'atteggiamento di tutti e pone un'azione radicalmente nuova, che
diventa principio del giudizio divino: "... fino a quando entrò
nell'arca... ". L'immagine del giudizio verso i due uomini nel campo (v.
40) e le due donne alla mola (v. 41) tende a sottolineare il giudizio
diversificato in una condizione esternamente identica. Così, nella vicenda di
Noè il Vangelo del Signore viene colto nella fisionomia di una vita nuova,
mentre nel giudizio delle persone nel campo e alla mola si sottolinea il dato
interiore di tale vita. La vita secondo il Vangelo è dunque assolutamente nuova
in un orizzonte del tutto ordinario.
L'atteggiamento
fondamentale richiesto al credente è indicato al v. 42: siccome "non
sapete", "vegliate". La vigilanza non è l'inquietudine a
l'angoscia di una apocalisse subita e attesa con paura, ma è il sentimento e
l'atteggiamento nel quale si vive con assoluta preziosità ogni frammento della
storia personale e collettiva. Se la nostra attenzione si concentrasse in un
punto specifico e determinato del futuro, il "presente" della nostra
vita sarebbe insignificante; invece ogni istante presente, e quindi ogni
istante, è vissuto nella vigilanza nei confronti della venuta del Signore.
Quando a Santa Teresina morente fu chiesto se non aveva paura del ladro che
stava per giungere, ella rispose che lo aspettava con desiderio. Lei aveva ben
colto le Parole che oggi celebriamo. Noi facciamo come possiamo.
sabato 22 ottobre 2005 Mt 24,32-35
32 Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai
il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. 33
Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è proprio
alle porte.
COMMENTO DI GIOVANNI
Mi piace
molto la prima affermazione del nostro testo: "Dal fico imparate la parabola".
La parabola cioè viene detta come il "segreto" contenuto in una
realtà; qui, il fico. Il Signore sembra volerci dire che c'è una dimensione
superficiale delle cose, degli avvenimenti e delle persone, ma che dentro a
tutti e a tutto c'è un mistero che riferisce tutto e tutti a quei livelli
dell'esistenza dove Dio è presente e opera. La parabola non è dunque un
esempio, o un'immagine, o una storia che vengono citati per spiegare qualcosa
di più complesso e per renderlo accessibile. La parabola è il mistero di Dio
che è nascosto e può e deve essere svelato; pena il vivere tutto come una
parabola non spiegata, non svelata; vivere sempre solo la superficie delle cose
senza mai entrare nel loro mistero; mistero divino.
La prossimità
dell'estate viene rivelata dal fico quando ancora è lontana, fa ancora freddo,
le giornate sono brevi, tutto è spoglio, nessuno pensa di cercare frutti. Ma
invece i germogli ne annunciano
Noi siamo la
generazione nuova, la generazione dei figli di Dio a motivo della Pasqua e del
sacrificio d'amore dell'Unigenito Figlio. Adottati come figli di Dio per la
fede e il Battesimo, siamo i destinatari e i testimoni delle cose ultime, cioè
di tutto quello che, ancora immerso nel tempo vecchio, annuncia quello nuovo e
finale. Ci sono dati i segni della sua presenza: il Signore non è lontano, è
vicino. La fede lo conosce e lo riconosce già presente attraverso questi segni.
Secondo il
ver.35 i cieli e la terra, cioè tutta questa creazione, passeranno. Ma questa
generazione "non passerà", finché tutto non sia compiuto, perchè essa
vive dentro quelle "parole" del Signore che "non
passeranno" mai.
venerdì 21 ottobre 2005 Mt 24, 29-31
29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni,
il
sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,
gli
astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte.
30 Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio
dell'uomo e allora si batteranno il petto
tutte le tribù della terra, e vedranno il
Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e
gloria. 31 Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno
tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli.
COMMENTO DI GIOVANNI
Mi par bene
ricordare due criteri di interpretazione che, in modo forse non ordinato, ho
già espresso. Innanzi tutto mi sembra che tutto il Vangelo, tutta
La
"tribolazione" di cui ascoltiamo al ver.29 è la grande passione di
tutta la storia e di tutta la creazione, cui segue "subito" la fine
del sole, della luna e degli astri. Tutt'al contrario dall'essere una cattiva
notizia, penso che oggi il Signore ci voglia dire che queste realtà, anche come
simbolo di ogni realtà, spesso così pericolosamente potenti da diventare per
l'impaurita condizione umana idoli di potenza, di magia, di dominio e che nella
Parola di Dio e nella fede dei padri sono state collocate nella verità della
loro esistenza, come "segni" della persona e dell'azione di Dio, ora
possono finalmente "cedere" a Colui di cui sono stati segno, e che
ora si manifesta in tutto il suo splendore. Contro ogni rischio idolatrico,
questo "cadere" delle potenze davanti alla manifestazione di Dio in
Gesù e nella sua Pasqua è decisivo per noi oggi, esposti come siamo ad arenarci
su ogni idolo. La venuta finale del Figlio di Dio non è però la
"morte" di questi "segni", ma la loro glorificazione,
l'epifania della loro esistenza appunto come segno di Lui.
Secondo il
ver.30 la comparsa del segno del Figlio di Dio, segno che viene spesso
interpretato come la Croce di Cristo, o come il Cristo stesso, crocifisso e
glorioso, è donata a tutta l'umanità: così preferisco interpretare
l'espressione "tutte le tribù della terra". Il loro "battersi il
petto" rivela che davanti allo splendore della gloria di Dio, davanti
quindi al Signore della Pasqua, ogni creatura umana deve battersi il petto
riconoscendo il "giudizio" che la morte-risurrezione del Figlio di
Dio porta su ogni realtà. Le citazioni del "cielo" come luogo di tale
manifestazione non è una precisazione geografica, ma il modo per dire che
l'evento è sopra ogni altro evento e che ogni creatura è coinvolta in esso.
Infine, al
ver.31, viene annunciata la grande convocazione degli eletti, cioè di tutti
coloro che hanno esplicitamente conosciuto il Signore del Vangelo e sono
entrati nel dono e nel dramma della fede. Siamo dunque in quell'ora del
giudizio che in realtà celebriamo in ogni istante della nostra vita, e
particolarmente quando ascoltiamo la Parola di Dio, e soprattutto quando questo
avviene nella celebrazione della Liturgia, luogo e tempo della suprema potenza
di tale Parola.
giovedì 20 ottobre 2005 Mt 24,26-28
26 Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci
andate; o: È in casa, non ci credete. 27 Come la folgore viene da
oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 28
Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il ver.26,
con molta chiarezza, mette in guardia nei confronti di materializzazioni,
visioni e miracolismi intorno alla persona del Signore. Mi sembra che Egli
insista nell'appellarsi alla severità della nostra nuda fede, tanto povera, ma
alla fine così assolutamente più preziosa di presunte comunicazioni dirette e
manifestazioni straordinarie. Quanto è più ricca e profonda la nostra
quotidiana celebrazione della Parola di Dio, pur intrisa inevitabilmente di
tutti i nostri limiti!
L'immagine
del ver.27 è meravigliosa. La presenza del Signore in mezzo a noi è descritta
non come una sua apparizione diretta, ma piuttosto come la sua presenza
luminosa e illuminante in tutto l'orizzonte della storia e del cosmo. Si tratta
di un'esperienza che in certo modo ci viene concessa già fin d'ora nel dono
della fede. Faccio l'esempio dei pochi versetti che oggi ci vengono regalati
dalla bontà di Dio; ad una prima lettura mi sento intimidito, perplesso, o
addirittura preoccupato: che cosa mi vuol dire, che cosa significano queste
parole in se stesse prima di tutto, e all'interno del grande universo di tutta
La Scrittura? E che cosa poi vorranno significare per la mia vita di ieri, di
oggi e di domani? E per le Chiese? E per il mondo? Poi, un po' di preghiera, di
ascolto di altre parole collegate a queste, un po' di invocazione..., piano
piano illuminano e aprono la mente e il cuore; e addirittura, attraverso queste
poche parole, tutto si illumina, come all'improvviso. Proprio come ci dice
questo versetto.
Il ver.28
conferma e precisa l'immagine precedente. Non ci sarà per caso qualche realtà,
una persona o un evento, o magari un pensiero che oggi grava su di me, che
resteranno fuori da questa luce del Signore? Qualcosa di ormai morto e sepolto,
qualcosa di dolorosamente dimenticato e ormai spento? No, perchè "dovunque
sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi". L'immagine violenta
fino all'imbarazzo esprime con efficacia l'impeto amante che porta il Signore a
tutto assumere. Mi viene in mente una sua frase la sera di Pasqua secondo il
testo di Luca 22,15: "Ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua
con voi...". Ogni più piccola e povera realtà gli è cara! Nulla Egli priva
della sua visita amante e del suo desiderio di tutto assumere in Sé.
mercoledì 19 ottobre 2005 Mt 24,15-25
15 Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele,
stare nel luogo santo - chi legge
comprenda -, 16 allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, 17
chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, 18 e
chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 19
Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. 20
Pregate perché la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato.
21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale
mai avvenne dall'inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà. 22
E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a
causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati. 23 Allora se qualcuno
vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete. 24 Sorgeranno
infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così
da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io ve
l'ho predetto.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il ver.15
annuncia il supremo prevalere nel mondo dell'idolatria, e più precisamente
dell'idolatria del potere politico, il capovolgimento delle relazioni
essenziali, la sostituzione, non solo nella geografia dei luoghi, ma anche in quella
dello spirito, dell'adorazione di Dio con l'adorazione dell'idolo: male supremo
e supremo imperversare del male secondo la fede ebraico-cristiana. Il
"luogo santo" è il tempio di Gerusalemme, ma è più diffusamente ogni
luogo dove si deve adorare Dio e solo Lui, e quindi centralmente l'umanità
stessa, il cuore dell'uomo.
I vers.16-20
indicano la reazione chiesta ai discepoli. Innanzi tutto la fuga; trovo molto
illuminante il testo di Apocalisse 12,1-6, dove appare che la fuga è verso un
luogo preparato da Dio nel deserto; è lo strapparsi radicale da una potenza
negativa e fortemente invasiva; qui c'è un diritto, ma soprattutto un dovere di
fuga! I vers.17-
A questo
punto emerge una consapevolezza: stiamo celebrando nella nostra storia la
passione di Cristo, la "tribolazione grande". Ai discepoli di Gesù è
assegnato di seguirlo nel suo sacrificio d'amore. Questa è l'interpretazione
nuova e profonda della tribolazione dell'esistenza. Non credo che si debba
pensare necessariamente ad un'esperienza e ad una prova "riservata"
ai credenti, ma piuttosto alla consapevolezza e alla "partecipazione"
dei discepoli alle sofferenze del Cristo. Il ver.22 vuol forse dirci che
l'elezione divina dei discepoli, e quindi anche la loro carità e la loro
preghiera, abbrevieranno il tempo di questa universale "passione"
della creazione e della storia umana.
Tutto questo
esige, secondo i vers.23-25, una fede severa e spoglia, dove il vero unico
miracolo e la più profonda presenza del mistero di Cristo è l'esistenza stessa,
e questo con consapevolezza piena negli eletti, anch'essi tuttavia esposti
all'inganno, cioè ad interpretazioni
diverse da quella che fa della Pasqua del Signore l'evento unico capace di
interpretare e sostenere nella speranza anche le prove più drammatiche della
vita. Il ver.25 ci ricorda che la grande grazia è proprio questa
"pre-dizione" che il Vangelo ci dona, cioè questo
"anticipo" evangelico sulla storia, che consente ed esige dai
discepoli una vita consona a quella "fine di tutte le cose" che è la Pasqua
di Gesù e l'attesa del suo ritorno.
martedì 18 ottobre 2005 Mt
24,9-14
9 Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10 Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. 11 Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12 per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. 13 Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. 14 Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.
COMMENTO DI GIOVANNI
Come
ho cercato di dire in questi giorni, a me sembra che questi testi apocalittici
non ci parlino tanto e solo di una fine temporale, quanto piuttosto della
realtà in cui vivono il mondo e la comunità cristiana, evidentemente con
pensieri e sentimenti molto diversi. A conferma di questo voglio mettere in
evidenza un particolare molto importante che oggi si evidenzia nelle parole che
il Signore ci regala; e cioè che molte affermazioni che i testi paralleli di
Marco13 e di Luca 21 presentano a questo punto del discorso, per il nostro
Matteo fanno parte del discorso di istruzione agli Apostoli che abbiamo trovato
al cap.10. Mi sembra che questo confermi l'ipotesi che il Vangelo, e la vita
secondo il Vangelo, sono "apocalittici", in quanto riflettono e
annunciano quella "fine dei tempi" che la Croce e la Gloria di Gesù
Cristo hanno inaugurato.
Mi
sembra particolarmente impressionante nel testo di oggi l'intreccio tra le
persecuzioni annunciate al ver.9 e il drammatico travaglio interno della stessa
comunità cristiana. Il solo Matteo ricorda situazioni tanto drammatiche,
culminanti con quel "raffreddarsi dell'amore" che sembra l'apice
della crisi. Il rifiuto del mondo, il radicale insuccesso mondano della
predicazione evangelica, si traducono in un dramma interno che provoca
disgregazione nella famiglia dei credenti. Il ver.13 riserva la salvezza a
coloro che persevereranno, verbo che esprime la pazienza-sopportazione che è
prima di tutto del Signore Gesù. Dunque, questo non si riferisce ad un futuro
imprecisato, ma è parte della nostra vicenda odierna. Questo è di enorme
rilevanza, perchè peraltro tutto è compreso e contenuto nella Buona Notizia di
Gesù, che non ignora la fatica e il peccato, ma li "comprende" e li
avvolge della speranza evangelica.
Il
ver.14, anch'esso caratteristico del solo Matteo, proclama l'annuncio
evangelico per "tutto il mondo". Ma non credo che si possa pensare ad
un fatto che si verifica una volta per sempre, quanto piuttosto all'incessante
fatica degli annunciatori del Vangelo sino al ritorno del Signore.
lunedì 17 ottobre 2005 Mt 24,4-8
4 Gesù rispose: «Guardate che
nessuno vi inganni; 5 molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il
Cristo, e trarranno molti in inganno. 6 Sentirete poi parlare di guerre
e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto
questo avvenga, ma non è ancora la fine. 7 Si solleverà popolo contro popolo
e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; 8
ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori.
COMMENTO DI GIOVANNI
E'
bene tenere in gran conto il primo avvertimento del Signore, in risposta alla sollecitazione
ricevuta dai discepoli al ver.3 del testo precedente: "Dicci
quando...quale sarà il segno...". Dice al ver.4: "Guardate che
nessuno vi inganni", e ritorna lo stesso verbo al ver.5: "...e
trarranno molti in inganno". Non è facile ora identificare con precisione
di quale inganno si tratti, ma mi sembra che si tratti sempre di un inganno di
interpretazione della storia, degli avvenimenti sia nella vicenda umana, sia
nella creazione. E forse l'inganno ha sempre come oggetto una deviazione dalla
speranza forte e semplice che il Signore del Vangelo ci ha donato.
Due
volti dell'inganno sono annunciati oggi. Al ver.5 si preannuncia la
manifestazione di pretesi "uomini di Dio" che si presenteranno come
il Cristo. I vers.6-7 segnalano sventure della storia e disastri del creato che
per la loro rilevanza sembreranno gridare la catastrofe finale. Contro gli
inganni di false interpretazioni, il ver.8 offre una lettura imprevedibile e
imprevista! Tutto questo è "l'inizio dei dolori". Ma questi dolori
sono i dolori del parto! Mentre si penserebbe che sia l'imminenza della morte,
Gesù afferma che siamo alle soglie della vita!
sabato 15 ottobre 2005 Mt 24,1-3
24:1 Mentre Gesù, uscito dal tempio,
se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le
costruzioni del tempio. 2 Gesù disse loro: «Vedete tutte queste cose? In
verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata».
3 Sedutosi poi sul monte degli
Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Dicci
quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della
fine del mondo».
COMMENTO DI GIOVANNI
Come
reagendo alle ultime parole di Gesù nel cap.23 su Gerusalemme, i discepoli gli
mostrano lo splendore del Tempio. Il ver.2 è la sua risposta, cioè un modo
diverso e nuovo di "vedere". Questo dovremo tenerlo presente lungo
tutto il cap.24. La creazione e la storia, alla luce della pasqua di Gesù,
vanno viste in una nuova prospettiva. Per questo ci incontriamo con un verbo importante
e delicato, reso qui nella versione italiana con "venga diroccata",
che forse non è facile tradurre diversamente (si potrebbe rendere con
"sarà sciolta"). Andatelo a vedere in Mt.5,17-19: è molto
illuminante, perchè là il verbo è usato due volte, la prima per dire che il
Cristo non è venuto "per abolire (questo è il nostro verbo), ma per dare
compimento"(ver.17), e la seconda al ver.19, dove il verbo è reso in
italiano con "trasgredirà". Dunque là si dice che Gesù non abroga,
non distrugge, ma porta a pienezza. Trasferito nel nostro testo di oggi, ci
aiuta a capirne il senso profondo. Il Tempio sarà effettivamente distrutto, ma
ciò sarà il segno e l'evento che ne diranno la pienezza nel nuovo Tempio che è
il Signore stesso. Quindi è una distruzione per l'edificazione piena. Non è il
ripudio del passato, ma è il suo compimento, dove le due parole, la fine, e il
fine, s'incontrano.
Sul
Monte degli Ulivi i discepoli riprendono il discorso - vedono tutto come più da
lontano e più nel suo insieme! - e il ver.3 ci regala altri due termini molto
importanti, resi in italiano con "venuta e fine". "Venuta"
è parola che dice insieme il venire e l'essere presente, e dunque descrive la
venuta definitiva del Figlio di Dio. Con tale venuta coincide la
"fine" di tutto ciò che è nel tempo, di tutta
venerdì 14 ottobre 2005 Mt 23,37-39
37 Gerusalemme, Gerusalemme, che
uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto
raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e
voi non avete voluto! 38 Ecco: la
vostra casa vi sarà lasciata deserta! 39 Vi dico infatti che non mi
vedrete più finché non direte: Benedetto
colui che viene nel nome del Signore!»
COMMENTO DI GIOVANNI
Una
"lettura" di queste parole che le applicasse solo al rifiuto del
Messia da parte di Israele si rivelerebbe ben presto insufficiente. E questo
per un motivo "interno" al dono delle Scritture, e cioè che la Parola
è stata donata al popolo di Israele per la salvezza di tutti i popoli, salvezza
che il Cristo di Dio inaugurerà destinando il suo Vangelo sino ai confini del
mondo. La Parola è sempre perfettamente attuale e assolutamente universale. Per
questo, nel dramma di Gerusalemme che uccide i profeti e lapida quelli che le
sono inviati viene annunciato il dramma della fede di ogni uomo e di ogni
popolo: il rifiuto del dono di Dio! Si può dunque dire che la storia della
salvezza ha in ogni persona, o popolo, o cultura il suo passaggio obbligato in
questo rifiuto. Pena una china farisaica di interpretazione del rapporto con
Dio.
Questo
dramma introduce la bellezza straziante dell'umilissima immagine della gallina
che raccoglie i pulcini sotto le ali. Così Dio ha voluto molte volte lungo la
storia dei figli di Israele, ma non hanno voluto! Siamo davanti a quello che
già fin dal principio è accaduto: Dio vuole l'uomo ma l'uomo non vuole Dio. E
sappiamo perchè non lo vuole: perchè è attratto dalla tentazione demoniaca di
farsi lui stesso Dio, in competizione con Dio. Tutto questo è riposto nell' "io"
di ogni persona, di ogni popolo, di ogni cultura. E' l'idolatria. E'
l'autoidolatria. L'uomo "occupa" il Tempio, emargina Dio.
Ed
ecco la sanzione terribile: la solitudine; la solitudine da Dio. "Ecco: la
vostra casa vi sarà lasciata deserta". Come la gloria di Dio ha
abbandonato il Tempio e si è esiliata (vedi ad esempio Ezechiele 11), tale la
condizione in cui viene a trovarsi chi non ha voluto lasciarsi raccogliere
sotto le ali del Signore. Quella casa deserta è il deserto dello spirito. La
conversione - e la fede è strettamente connessa con la conversione, perchè con
la fede l'uomo "ritorna" a quella comunione con Dio che è il segreto
profondo del suo essere - si manifesta con la gioia di un'acclamazione,
riconoscimento gioioso della signoria di Gesù, l'Inviato dal Padre per la
salvezza di tutti e di tutto: "Benedetto Colui che viene nel nome del
Signore", che non vuol dire solo e tanto che viene "a nome del
Signore", ma che Egli stesso è il Signore.
giovedì 13 ottobre 2005 Mt 23,33-36
33 Serpenti, razza di vipere, come
potrete scampare dalla condanna della Geenna? 34 Perciò ecco, io vi
mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e
crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li
perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il
sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al
sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e
l'altare.
COMMENTO DI GIOVANNI
Avverto
che questo testo enigmatico ha da dire molto di più di quello che io possa
intendere nella mia poca fede. Del resto, è sempre così!
Propendo
a ritenere che quel "come potrete..?" del ver.33 intenda porre
realmente il problema della salvezza dei peccatori, e a non doversi
interpretare come domanda retorica che affermi l'impossibilità della salvezza
degli uccisori dei profeti. In questo senso diventa importante il
"perciò" che apre il versetto successivo, il ver.34. Se questa
ipotesi è plausibile, bisogna leggere tutto il seguito come un'operazione
divina compiuta non per la condanna, ma per la salvezza dei peccatori! Proviamo
a ipotizzare questa interpretazione, che consegno alla vostra preghiera e alla
vostra riflessione, affinché possiate eventualmente metterla da parte.
Nessuna
generazione di fedeli, ebrei e cristiani, è innocente. Ogni generazione
credente è colpevole di rigettare coloro che il Signore manda come segni e voci
privilegiate di Lui e del suo Vangelo. E questo va inteso non solo come
responsabilità collettiva, ma anche come consapevolezza di ogni coscienza:
abbiamo rifiutato e respinto violentemente l'uomo di Dio che era ammonizione
per noi da parte del Signore. Ma il disegno divino raccoglie tutto il sangue
versato in un unico evento. Dal sangue di Abele a quello dell'ultimo profeta,
tutto, dice il ver.35, "venga su voi" (così, alla lettera, piuttosto
che "ricada", che già dice condanna).
Dunque:
tutto il sangue innocente (alla lettera, "giusto") versato si
raccoglie. S'intende solo il sangue dei profeti, o alla fine semplicemente
tutto il sangue versato? Tutto dunque si raccoglie in un unico evento. Si
tratta forse dell'evento pasquale di Gesù? Si tratta forse della morte e risurrezione
del Figlio di Dio? Il ver.36 conclude dicendo che "tutte queste cose
verranno (non "ricadranno") sopra questa generazione. Il sangue di
Abele e di Zaccaria e quello di tutti coloro che stanno tra loro ci accusa e ci
condanna, tutti e senza eccezione. Ma tutto è unificato in un evento. Tutto si
raccoglie in quel unico veramente giusto che è il Cristo del Signore. Nel
sangue di Cristo? Vedete voi!
mercoledì 12 ottobre 2005 Mt 23,23-32
23 Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e
trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la
misericordia e
25 Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno
sono pieni di rapina e d'intemperanza. 26 Fariseo cieco, pulisci prima
l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!
27 Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a
vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28
Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete
pieni d'ipocrisia e d'iniquità.
29 Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, 30
e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati
a loro per versare il sangue dei profeti; 31 e così testimoniate, contro
voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32 Ebbene,
colmate la misura dei vostri padri!
COMMENTO DI GIOVANNI
Oggi
ci incontriamo con i quattro "guai" che seguono ai tre di ieri. Il
primo, ai vers.23-24, si basa sul rapporto tra piccolo e grande, principale e
relativo. Il confronto tra i termini "menta, aneto e cumino" e
"giustizia, misericordia e fedeltà (alla lettera, fede)" è evidente.
Questa sproporzione non tiene conto dell' "analogia della fede", cioè
della proporzione e della gerarchia che la Parola di Dio chiarisce e definisce
tra i molteplici elementi della rivelazione e quindi della vita del credente.
Perso il contatto permanente e vivo con la Parola, e sostituita -
ipocritamente, dicevamo ieri - con precetti umani, si perde questa gerarchia,
questo ordine della realtà, e si rende primario quello che non lo è,
trascurando i dati principali dai quali deriva tutto il resto. Anche questo noi
possiamo concretamente verificarlo a partire dalla nostra stessa esperienza.
Il
"guai" dei vers.25-26 gioca sul rapporto tra "interno" ed
"esterno". La tensione tra i due elementi proseguirà in modo
crescente anche per il "guai" successivo. Dove al ver.26 la versione
italiana usa il termine "pulisci", nella lingua greca del Vangelo
compare il verbo "purificare". Questo mi pone un interrogativo, e
cioè mi domando se noi possiamo di fatto purificare o se la purificazione non
spetti solo a Dio e al Figlio di Dio. Si può tuttavia pensare che qui Gesù
faccia riferimento a riti di purificazione previsti dalla Legge, e quindi
rimproveri un atteggiamento che volutamente ignora il vero male da affrontare e
si limita a purificare l'esterno senza affrontare i veri problemi che sono
quelli che ci portiamo dentro di noi.
L'immagine
dei sepolcri ai vers.27-28 si riferisce in ogni modo a situazioni umanamente
inaffrontabili, e che solo Dio può sciogliere, perchè si tratta di morte! Qui
siamo al cuore del problema legato al farisaismo, cioè a quel non prendere atto
che il male, ai suoi livelli profondi, è mistero che sovrasta l'uomo e le sue
deboli forze, e che quindi solo Dio può salvare e liberare. Come vedete,
infatti, qui non viene rivendicata da Gesù l'ipotesi di un gesto o di un atto
di conversione che si possa compiere per sciogliere il dramma; qui non si può
che credere e invocare la salvezza da Colui che solo può salvare. I sepolcri
"sono"belli a vedersi, ma "sono" pieni di ossa di morti.
Solo il Signore può far risuscitare dalle mortali prigionie e dai sepolcri nei
quali siamo chiusi; solo Lui può chiamarci alla salvezza e alla vita nuova.
Il
"guai" dei vers.29-32 si tiene nel tema dei sepolcri, come in
contrapposizione con i versetti precedenti. Mentre bisognerebbe sperare nella risurrezione,
i farisei operano in direzione della morte. E non solo, come si vedrà nei testi
successivi, perchè continuano ad uccidere i profeti come hanno fatto i loro
padri, ma anche perchè innalzano i sepolcri ai profeti e adornano le tombe dei
giusti, apparentemente rinnegando le malefatte dei padri che hanno ucciso
questi uomini di Dio. Ma questi onori tardivi - vedo dappertutto lodi e onori
ecclesiastici verso il battutissimo don Milani! - non negano, ma anzi
confermano e si assimilano al misfatto operato dalla precedente generazione,
proprio perchè onorano il profeta "fuori tempo", quando cioè la sua
parola e la sua testimonianza sono storia del passato e non attualità bruciante
per il tempo presente. "Se fossimo vissuti al tempo...non si
saremmo...". Ma la Parola di Dio è donata da Lui nel tempo , nel presente.
Le Parole che oggi il Signore ci dona interpellano noi, oggi.
martedì 11 ottobre 2005 Mt 23,13-22
13 Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi
non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. 14
.
15 Guai a voi, scribi e farisei
ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e,
ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.
16 Guai a voi, guide cieche, che
dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio
si è obbligati. 17 Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il
tempio che rende sacro l'oro? 18 E dite ancora: Se si giura per l'altare
non vale, ma se si giura per l'offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. 19
Ciechi! Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? 20
Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; 21
e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita. 22
E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è
assiso.
COMMENTO DI GIOVANNI
Oggi
consideriamo i primi tre dei sette "guai" che il Signore indirizza ai
farisei. E' occasione per ricordare che sarebbe riduttivo considerare il
farisaismo come un movimento esistente ai tempi di Gesù, e basta. Si tratta
propriamente di una dimensione dello spirito umano, di un atteggiamento
interiore che Gesù è molto preoccupato di sottolineare e di evidenziare come un
dramma cui il credente - e chi in ogni modo ha un contatto con l'orizzonte di
Dio - è esposto. Anche quello che stiamo ascoltando ha dunque un bruciante
valore attuale che ognuno di noi può facilmente verificare nel suo stesso
animo! L'attributo "ipocrita" descrive un atteggiamento sottile e
penetrante che sostituisce al comandamento di Dio un criterio umano che
addirittura capovolge il senso della Parola divina. Al contrario, capovolgendo
i criteri e l'azione dei farisei si coglie l'intendimento di Dio nel suo
rapporto con il suo popolo e con l'intera umanità.
Contro
la volontà di Dio di aprire il regno dei cieli, il fariseo lo chiude, e
impedisce a sé e agli altri di entrarvi; infatti mentre la Parola libera, il
precetto giudaico "chiude", cioè conferma e enfatizza con la sua
precettistica ossessiva ben lontana dalla pura Parola divina, la schiavitù
della condizione umana, prigioniera del male e della morte. Così si può
cogliere, mi pare, dal ver.13. Il ver.15 sembra voler estendere questa
negatività dell'azione farisaica a tutta l'umanità. Il "proselito" è
infatti il pagano che si converte al giudaismo, ma che non fa che peggiorare la
sua situazione se tale conversione avviene per l'opera del fariseo, che appunto,
invece di liberarlo verso Dio, lo imprigiona in un precetto mondano.
Lo
scandalo supremo compiuto dalla precettistica e dalla casistica farisaica sta
nella sua aggressione al cuore della fede ebraica e ai suoi segni privilegiati:
il tempio e l'altare. I vers.16-22 riportano le aberrazioni farisaiche riguardo
all'impegno che una persona può assumere in riferimento alla santità del tempio
e dell'altare. Mi pare molto propria l'osservazione che il padre della Chiesa
Ilario fa, affermando che mentre i precetti della Legge e il culto che ne
derivava sono via di profezia e di preparazione verso il Signore Gesù, le
devianze farisaiche ne sono l'impedimento. Come dicevo, tutto questo può e deve
essere considerato per la sua bruciante attualità, a partire ciascuno da se
stesso e dai farisaismi che attentano la nostra fede.
lunedì 10 ottobre 2005 Mt 23,1-12
23:1 Allora Gesù si rivolse alla
folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 «Sulla cattedra di Mosè si sono
seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo,
ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano
infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non
vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno
per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le
frange; 6 amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe
7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare
"rabbì" dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare
"rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti
fratelli. 9 E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché
uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10 E non fatevi chiamare
"maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11
Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà
abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.
COMMENTO DI GIOVANNI
Entriamo
oggi nel cap.23 che si può dividere in tre parti: i vers.1-12, rivolti ai
discepoli e che oggi consideriamo; i vers.13-36, cioè la gran parte del
capitolo, rivolti ai farisei e agli scribi; e i vers.37-39 rivolti a
Gerusalemme. L'oggetto principale del capitolo è l'insegnamento di Gesù circa
l'atteggiamento interiore ed esterno di questi "capi" religiosi del
popolo, che Matteo amplia rispetto agli altri Vangeli e raccoglie in un unico
discorso.
Sembra
di cogliere che questa "cattedra di Mosè" non sia importante come
oggetto, quanto come segno di un'autorità spirituale. E sembra soprattutto che
quanto oggi il Signore insegna tolga legittimità a questa "cattedra",
dove qualcuno, in specie gli scribi che sono maestri delle Scritture, e gli
appartenenti al gruppo dei farisei, rigorosi osservanti della Legge, si
collocano con un'autorità spirituale che di fatto è un'usurpazione. L'interessante
per noi è osservare che questo non si pone solo sul piano di un giudizio
morale, ma evidenzia la sostanza della Parola come luogo e tempo dell'incontro
con Dio.
Così,
al ver.3 viene proclamato il valore assoluto della Parola che non viene scalfita
dai comportamenti umani, ma resta tale in qualunque circostanza. E' questo che
consente a Gesù di dare un'indicazione di umiltà e di pace alla folla e ai
discepoli: si può accogliere positivamente la Parola anche quando viene
proclamata da chi non le è fedele. L'invito del Signore è importante per tutta
la tradizione dei Padri ebrei, e anche per noi oggi; dice infatti, in ordine a
quanto scribi e farisei dicono: "fatelo e osservatelo (alla lettera,
custoditelo)", con quel primato della prassi, tipico della fede ebraica e
quindi cristiana, dove addirittura il fare precede anche la piena comprensione
e le ragioni che accompagnano la parola: facendo, si capisce! In ogni modo, la
parola conserva sempre le sua preziosità e verità, al di là delle circostanze
in cui viene affermata. E la prassi è rigorosamente affidata alla
responsabilità personale!
I
vers.4-7 esplicitano il comportamento negativo di questi cattivi maestri. Tale
negatività possiamo coglierla nell'osservare che essi hanno come fine del loro insegnamento
il potere sugli altri e l'onore che dagli altri cercano. Quindi, più
profondamente, l'assenza di un vero rapporto con Dio. Questo è importante
perchè chiarisce che il fine della Parola non è quello di generare una prassi
meritoria, ma soprattutto di essere l'ambito della comunione con Dio, là dove
si celebra e si realizza la "vita con Lui", un'esistenza umana
vissuta nella comunione tra Dio e l'uomo.
Nelle
indicazioni date ai discepoli ai vers.8-12 Gesù descrive la meravigliosa
fisionomia del popolo messianico, del popolo di Dio che nasce dalla sua persona
e dalla sua opera. Questo popolo non si identifica con una disegno gerarchico
dall'alto in basso, ma coglie l'assemblea credente come fatta da "tutti
fratelli"(ver.8). Il ver.9 precisa che non si tratta di una fratellanza
illuministica tipo i tre nipotini di Paperino, che appunto si qualificano come
"nipoti", ma di una condizione che nasce dalla paternità di Dio. Per
il ver.10 il nostro fratello Gesù è l'unico nostro maestro. I vers.11-12 esprimono
in poche parole incisive la prassi che da questo scaturisce per chi in questa
famiglia di Dio ha una responsabilità: quel abbassamento che suggerisce un
riferimento importante alla lavanda dei piedi di Giovanni 13.
sabato 8 ottobre 2005 Mt 22,41-46
41 Trovandosi i farisei riuniti
insieme, Gesù chiese loro: 42 «Che ne pensate del Messia? Di chi è
figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43 Ed egli a loro: «Come
finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?
45 Se dunque Davide lo chiama
Signore, come può essere suo figlio?». 46 Nessuno era in grado di
rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo.
COMMENTO DI GIOVANNI
Le
parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio sono la sintesi suprema di quanto
abbiamo ascoltato e celebrato in questo cap.22. La persona di Gesù è la
risposta piena, è il perfetto compimento di quel disegno nuziale cui Dio chiama
l'intera umanità. In Lui Dio e l'uomo pienamente e perfettamente si incontrano.
In Lui sono celebrate le nozze tra Dio e l'umanità. E' Lui quel Figlio alle cui
nozze siamo stati invitati ai vers.1-14 di questo capitolo; notate che nella
parabola dell'invito alle nozze non viene nominata la sposa, perchè c'è una
misteriosa coincidenza tra lei e gli invitati: l'umanità intera viene invitata,
attraverso l'annuncio evangelico e la potenza dello Spirito, ad entrare in
quella nuzialità che stabilisce e proclama la vita nuova in Dio. In Gesù
risplende l'uomo nuovo "restituito" a Dio, quello che nel problema
del censo e della moneta deve essere reso a Dio. Gesù è quello sposo vero e
nuovo che rende feconda la Sposa, la Chiesa e in lei l'intera umanità, per la
potenza di un amore più forte della morte. In Gesù si attua il mistero
dell'Amore, ed Egli stesso è quel duplice comandamento dell'amore annunciato ai
vers.34-40. Dunque, Egli è il Messia che Davide chiama "il mio
Signore". Vi consiglio di considerare il testo di Atti 2,29-36 dove tutto
questo appare nella conclusione del grande annuncio di Pietro la mattina di
Pentecoste.
Vorrei
a questo punto cercare di mettere in luce un'altra prospettiva di lettura del
nostro brano di oggi. Notate innanzi tutto che oggi non è il Signore ad essere
interrogato, ma è Lui a interrogare i farisei. Certamente Gesù è risposta a
tutti gli interrogativi dell'animo umano. Ma è Lui che peraltro pone
incessantemente interrogativi all'uomo, qui non a caso rappresentato dai farisei,
e cioè da un atteggiamento interiore che tende a dare una risposta a tutto, a
tutto "chiudere" in soluzioni statiche e definitive. Ma il Vangelo
non è la Legge! Il Vangelo è la Parola viva del Dio vivente, e per questo non
cessa mai d'interpellare l'uomo. La Chiesa non possiede la Parola, ma è il
Signore della Parola a porle continuamente domande e a porla in questione
attraverso il Vangelo che le impedisce di ridurre la Parola a formule e a
norme. In questo senso è bellissimo che il capitolo si concluda con le domande
di Gesù. E che anzi, al ver.46, dica che i farisei non possono rispondergli e
non osano interrogarlo: solo Lui, infatti, può rispondere, e solo Lui è capace
di fare della sua Parola un'incessante interrogazione allo spirito e alla storia
dell'uomo, di ogni persona e dell'intera umanità. Così è il Mistero: non
qualcosa che sta al di là delle possibilità di conoscere, ma la Parola di Dio
che impedisce di chiudere la conoscenza e l'esperienza umana della fede, della
speranza e dell'amore.
venerdì 7
ottobre 2005 Mt 22,34-40
34 Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si
riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per
metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è il più grande comandamento della
legge?». 37 Gli rispose: «Amerai il
Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la
tua mente. 38 Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. 39 E il
secondo è simile al primo: Amerai il
prossimo tuo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta
la Legge e i Profeti».
COMMENTO DI
GIOVANNI
La domanda che il dottore della legge, al di là
delle intenzioni, pone a Gesù non è inconsueta; i rabbi e le loro scuole sono
spesso caratterizzati da attenzioni e sottolineature della Parola di Dio che li
portano a gerarchizzare i contenuti della Legge, mettendo in evidenza quello
che è privilegiato nella loro esperienza. Dunque, "qual è il più grande
comandamento della legge?". A me sembra che la prima parte della risposta
di Gesù, con questo riferimento diretto alla prima norma del Decalogo, collochi
l'insegnamento di Gesù nel cuore della fede e della tradizione dei padri ebrei.
Per il nostro cammino nel cap.22 e nello svolgimento del tema nuziale come
centro e apice dell'esperienza cristiana siamo dunque all'esplicitazione piena
della via del Vangelo. Il ver.38 sigilla l'affermazione del Signore: "è il
più grande e il primo dei comandamenti".
La novità esplosiva è il proseguo del discorso, al
ver.39. Matteo si caratterizza rispetto ai paralleli di Marco 12,28-31 e di
Luca 10,25-28 con quel attributo "simile" che vuol dire proprio
l'assoluta similitudine del secondo comandamento al primo: "il secondo è
simile al primo". Questa è la novità sconvolgente dell'annuncio cristiano:
un accostamento quasi "pericoloso", un avvicinamento assoluto al
mistero di Dio. Tutto questo è ora non solo possibile ma assolutamente
necessario per un motivo preciso: l'incarnazione del Verbo, e dunque la persona
e l'opera del Figlio di Dio. Mi colpisce la sicurezza con la quale un padre
della Chiesa, Ilario di Poitiers, afferma che questo prossimo è Lui, Gesù. Mi
sembra importante che ricordiamo qui la parabola del Samaritano di Luca
10,29-37 dove il prossimo viene descritto prima di tutto come colui che
"si è fatto prossimo" all'uomo mezzo morto sulla strada; dunque,
proprio Lui, il Signore. Ed è la stessa parabola che invita chi è stato
visitato dall'amore compassionevole del Cristo a fare altrettanto, e cioè ad
accostarsi con la stessa compassione a chiunque incontriamo nella strada della
vita. Possiamo infine citare uno dei testi del Nuovo Testamento dove l'amore
del prossimo viene annunciato nell'orizzonte della reciprocità: "Lavatevi
i piedi gli uni gli altri" (Giovanni 13,1-11). Da quando Dio si è fatto
uomo, nell'uomo è nascosto e svelato Dio stesso. In qualsiasi persona ci
avvicina o noi avviciniamo: il nostro prossimo.
Il ver.40 ci offre un'altro termine anch'esso
proprio del solo Matteo: "dipendono", alla lettera
"dipende". Dice infatti, alla lettera: "In questi due
comandamenti l'intera legge dipende, e i profeti". Il verbo dipendere ha
come suo significato comune "pendere" e nel nuovo Testamento si
riferisce sempre alla crocifissione. In tal modo si può pensare a tutti i comandamenti
come frutto che pende dall'albero della Croce. E si può pensare anche che tutti
i comandamenti sono crocifissi, pendono dai due comandamenti dell'amore, nel
senso che, come dice Paolo, "pieno compimento della legge è l'amore";
cioè, chi ama adempie ogni comandamento.
giovedì 6
ottobre 2005 Mt 22,23-33
COMMENTO DI
GIOVANNI
Il cap.22, in termini crescenti, è l'annuncio delle
grandi nozze, quelle che uniscono ogni uomo e donna a Dio e al suo mistero
d'amore, quelle nozze che Gesù Cristo ci ha rivelato e donato nella sua persona
e nella sua opera culminante con
La grossolana parabola riferita a Gesù fa
riferimento a quella "legge del levirato" (Deuteronomio 25,5ss) che
poggia sulla tesi che l'unica via per "vivere al di là della morte"
sia la generazione di figli nei quali in qualche modo si continuerebbe a
vivere. Perciò il grande fine del matrimonio è questa generazione; ecco allora
la disposizione secondo la quale il fratello di un morto deve riparare
l'assenza di prole del defunto "suscitando una discendenza al suo
fratello"(ver.24).
Gesù coglie l'occasione di questa provocazione dei
sadducei per proclamare la vittoria sulla morte nella risurrezione, e quindi la
potenza dell'amore celebrato nelle nozze, potenza al di là della morte! Il
matrimonio si pone in tal modo non come precario riparo alla potenza
implacabile della morte che pone fine a tutti e a tutto, ma come segno -
sacramento - di quelle nozze eterne tra Dio e l'umanità, e ogni uomo e donna,
donate all'umanità stessa dalla Pasqua di Gesù, dove Egli entra nella morte,
suprema sanzione per il "peccato", cioè il male, la ferita
inguaribile della nostra creaturalità, ma vi entra nella sua perfetta comunione
figliale con Dio, in perfetta obbedienza al Padre, e in questo e per questo,
vince la morte, ne spezza il giogo, infrange le sue porte, e apre l'accesso
alla pienezza della vita nella pienezza dell'Amore divino.
Dio infatti non è "Dio dei morti, ma dei
vivi"(ver.32), Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che nella loro
fedeltà hanno profetizzato e celebrato il mistero di Gesù e per questo vivono
per sempre nella pienezza dell'amore di Dio. Le persone sposate vivono il
mistero delle nozze nel sacramento del matrimonio. Le persone consacrate nella
verginità per il Regno celebrano le nozze nella verginità, cioè nelle nozze che
li unisce già fin d'ora, senza segni, al Cristo, e che sono le nozze donate ad
ogni battezzato come segreto di una vita , quella appunto battesimale, che
vince
lunedì 3
ottobre 2005 Mt 22,15-22
15 Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di
coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque a lui i propri
discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e
insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non
guardi in faccia ad alcuno. 17 Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare
il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose:
«Ipocriti, perché mi tentate? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli
presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e
l'iscrizione?». 21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete
dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
COMMENTO DI GIOVANNI
La grande immagine che ci è stata data nella
parabola dell'invito alle nozze domina l'intero capitolo e rende ragione anche
della presenza di questo tema-problema del rapporto con Cesare e della
relazione tra questo rapporto e il rapporto con Dio. Le "ragioni" che
spingevano gli invitati a non aderire all'invito al banchetto sembrano
raccogliersi e problematizzarsi nel "dovere" verso Cesare, e quindi
si passa da un piano di egoismo e di indifferenza - "non se ne curarono e
andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari" diceva il ver.5 - ad
una questione etica di grande rilievo, esposta all'accusa di fare della fede un
privilegio e un'esenzione di fronte alle regole e ai doveri comuni.
Il "tributo a Cesare" è stato interpretato
in molti modi nella tradizione cristiana, fino all'ipotesi equivoca e
pericolosa di un ottimistica armonia tra le due sfere e i due ambiti di vita e
di comportamento. Origene suggerisce anche l'ipotesi che Cesare rappresenti
addirittura la negatività presente in ogni persona e in ogni esperienza di
vita, e quindi la necessità di liberarsi di questo male per poter rendere a Dio
quello che è di Dio. Qui a noi basta sottolineare la gravità del problema
dovuta soprattutto alla quasi inevitabile idolatria, o meglio auto-idolatria,
cui il mondo è esposto; e nel mondo, in modo enfatico, il potere politico
inteso in senso ampio. In questo pericolo deve essere compresa anche la
tentazione da parte della comunità cristiana di porsi come "religione civile",
e cioè di arrogarsi il diritto e il dovere di guidare Cesare e di determinarne
le scelte; quando questo accade, inevitabilmente la comunità cristiana si
mondanizza, tradisce lo stesso messaggio evangelico e si espone alla stessa
auto-idolatria cui è esposta la mondanità.
E' dunque importante fissare bene il significato del
verbo che al ver.21 è reso con "rendete", cioè
"restituite", che corregge una versione tradizionale che dice
"date", e che si espone al rischio prima segnalato di un'armonia
quieta tra i due ambiti e i due poteri. Invece è decisivo che per rispondere il
Signore si serva della moneta e dell'immagine che vi è impressa. Serve a
chiarire che c'è un netto confine - non sempre facile a discernere - tra quello
che va restituito all'uno o all'altro. Così facendo Gesù impedisce che si
costruisca l'immagine di un cristiano doverosamente assente o ribelle di fronte
alle "regole" della vita civile intesa nel senso più ampio; e nello
stesso tempo mette in guardia di fronte al pericolo di attribuire a Cesare
quello che è solo di Dio. Non si può adorare Cesare! Non si può, per obbedire a
Cesare, aggredire e offuscare quell' "immagine e iscrizione" di Dio
che è impressa in ogni creatura e centralmente nella persona umana.
sabato 1 ottobre
2005 Mt 22,1-14
22:1 Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: 2 «Il regno dei
cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. 3 Egli
mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero
venire. 4 Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i
miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto;
venite alle nozze. 5 Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio
campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e
li uccisero.
7 Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli
assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: Il
banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; 9 andate ora ai
crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. 10
Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e
cattivi, e la sala si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali
e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, 12 gli disse: Amico, come
hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. 13 Allora il re
ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà
pianto e stridore di denti. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
COMMENTO DI
GIUSEPPE
La parabola di oggi è strettamente legata a quella
del testo precedente. Gesù si rivolge agli stessi destinatari, cioè sommi
sacerdoti, anziani del popolo e farisei (cf. Mt 21,23.45) nella stessa seconda
giornata del suo soggiorno nel tempio di Gerusalemme. I servi, citati ai vv. 3,
4, 6, 8 e 10, sono gli stessi inviati ai vignaioli omicidi.
Rispetto alla parabola precedente, si accentuano tre
elementi: gratuità, festosità e violenza.
I servi inviati oggi non chiedono infatti frutti
ricavabili da un lavoro svolto nella vigna, ma richiedono l’accettazione di un
invito alle nozze del figlio del re.
Nella vigna si lavora, mentre al banchetto si fa
festa.
Alla violenza degli invitati che rifiutano di
partecipare al banchetto preparato per loro risponde l’ira del re: l’invio
degli eserciti, la distruzione degli omicidi e l’incendio della città descritti
al v. 7 sembrano un’anticipazione di quanto leggeremo nel discorso escatologico
del cap. 24.
Sembrano esserci due condizioni per partecipare al
banchetto: la prima è di accettare l’invito ad entrare nella sala del
banchetto, anche se si è cattivi (cf. v. 10); la seconda è di portare l’abito
nuziale (cf. vv. 11-13).
L’accostamento della prima lettura della messa di
oggi, il racconto del naufragio di s. Paolo, suggerisce un parallelo tra la
sala del banchetto e la nave che va in avaria: poiché fuori dalla sala c’è
tenebra, pianto e stridore di denti e fuori dalla nave infuria la tempesta, si
deve stare insieme al riparo. S. Paolo riferisce di avere ricevuto da un angelo
la notizia che i suoi compagni di sventura gli sono stati datti tutti in dono
da Dio e che nessuno di loro si perderà (cf. At 27,24).
venerdì 30
settembre 2005 Mt 21,33-46
33 Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna
e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre,
poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34 Quando fu il tempo dei frutti, mandò
i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli
presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo
lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si
comportarono nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio
dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! 38 Ma quei vignaioli, visto il figlio,
dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità.
39 E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. 40 Quando dunque
verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». 41 Gli rispondono:
«Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che
gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42 E Gesù disse loro: «Non avete mai
letto nelle Scritture:
La pietra che i costruttori hanno scartata
è diventata testata d'angolo;
dal Signore è stato fatto questo
ed è mirabile agli occhi nostri?
43 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un
popolo che lo farà fruttificare. 44 Chi cadrà sopra questa pietra sarà
sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà».
45 Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che
parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo
considerava un profeta.
COMMENTO DI
FRANCESCO
1) Mandò i suoi servi da quei vignaioli a
ritirare il raccolto: l'immagine ricorda i tanti testi profetici
(soprattutto Geremia e alcuni profeti minori), nei quali Dio ricorda al suo
popolo di aver inviato premurosamente (lett. "ogni mattina") i suoi
servi i profeti per ammonire ed esortare il suo popolo; se i servi della
parabola odierna sono dunque i profeti, allora il frutto che il padrone della
vigna si attende non è tanto un'opera particolare, ma semplicemente
l'accoglienza della parola che ogni giorno Dio rivolge al suo popolo, in fasi
progressive, fino alla parola culminante e decisiva, che è quella del Figlio,
mandato per ultimo nella vigna.
2) Mi sembra molto bella l'espressione: Avranno rispetto
per mio figlio (negli altri vangeli è il figlio amato); il verbo
indica rispetto, pudore, rossore, riverenza: questo figlio mitissimo e inerme è
inviato per suscitare non sentimenti di paura, ma di compunzione del cuore.
3) L'espulsione del figlio dalla vigna e la sua
uccisione sono un evidente richiamo alla crocifissione e morte di Gesù fuori
dalla cinta delle mura della Gerusalemme di quel tempo. La lettera agli Ebrei
(13,12ss.) invita a uscire anche noi verso di lui fuori dell'accampamento,
portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile.
4) La pietra... è diventata testata d'angolo...
ed è mirabile agli occhi nostri: improvvisamente Gesù, citando il Salmo
117, ribalta una triste e amara storia di ingiustizia e violenza e ne dà una
lettura aperta alla speranza; nella pietra divenuta testata d'angolo
riconosciamo l'evento mirabile della risurrezione di Gesù e della nascita di un
nuovo popolo.
5) vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un
popolo che lo farà fruttificare: bisogna fare molta attenzione a non
pensare che qui si stia dicendo a Israele che il regno di Dio gli viene tolto e
viene dato alle Genti. In realtà il discorso è ancora tutto interno a Israele:
lo testimonia il fatto che i sommi sacerdoti e i farisei capirono che
parlava di loro (v. 45): Gesù sta dicendo che il regno sarà tolto solo ad
una parte ben precisa e minoritaria del popolo d'Israele, i capi religiosi che
non l'hanno accolto e sarà dato invece a quel nuovo popolo di piccoli e infermi
che gli aveva fatto festa nel suo ingresso in Gerusalemme (cfr. 21,14ss.).
mercoledì 28
settembre 2005 Mt 21,28-32
28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al
primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. 29 Ed egli
rispose: Sì, signore; ma non andò. 30 Rivoltosi al secondo, gli disse lo
stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. 31
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù
disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti
nel regno di Dio. 32 È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e
non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto.
Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti
per credergli.
COMMENTO FRANCESCO
1) "Che ve ne pare?... Chi dei due ha compiuto la
volontà del Padre?": come ieri ("Vi farò anch'io una
domanda..."), anche oggi Gesù pone delle domande; la Parola che ogni
giorno ci viene rivolta vuole introdurre nel nostro spirito qualche dubbio,
vincere la presunzione di sapere e di avere capito già tutto e di essere nel
giusto.
2) Anche oggi, come ieri, Gesù cita Giovanni Battista
come punto decisivo e ineliminabile della storia della salvezza: egli "è
venuto a voi nella via della giustizia"; chi vuole fare "la volontà
del padre" non può non tener conto del Precursore del Signore, sia per il
suo messaggio, sia per la sua "Passione"; è un invito a far tesoro
della memoria di tutti coloro che Dio ha mandato in mezzo a noi come segni
profetici della Sua presenza nella storia e che ci hanno trasmesso il dono
della fede.
3) ... rispose "Non ne ho voglia", ma poi,
pentitosi, ci andò: è il ricordo del figlio più giovane della parabola di Lc
15, che, dopo aver lasciato la casa del padre, si pente e ritorna, così come il
figlio, che prima dice "sì" e poi non va nella vigna, assomiglia al
fratello maggiore della parabola, che, pur essendo stato sempre nella casa del
padre e aver osservato tutti i comandamenti, non ha in realtà compreso e accolto
"la volontà del padre", che è la misericordia per i peccatori,
l'amore di Dio Padre per tutti i suoi figli.
martedì 27 settembre 2005 Mt
21,23-27
23
Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e
gli anziani del popolo e gli dissero: «Con quale autorità fai questo? Chi ti ha
dato questa autorità?». 24 Gesù rispose: «Vi farò anch'io una domanda e se voi
mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. 25 Il battesimo
di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Ed essi riflettevano
tra sé dicendo: «Se diciamo: "dal Cielo", ci risponderà: "perché
dunque non gli avete creduto?"; 26 se diciamo "dagli uomini",
abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». 27
Rispondendo perciò a Gesù, dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse
loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».
COMMENTO DI GIUSEPPE
Dopo l’ingresso solenne a Gerusalemme e la prima visita al tempio (cf.
21,1-17), e dopo l’inizio di una nuova giornata in città caratterizzato
dall’episodio del fico sterile e dal discorso ai discepoli sulla fede e la
preghiera (cf. 21,18-22), Gesù torna una seconda volta nel tempio ed insegna
(cf. v. 23a). La reazione immediata dei sommi sacerdoti e degli anziani del
popolo riguarda l’autorità con cui Gesù parla ed agisce (cf. v. 23b). Il
riferimento prossimo è alla cacciata di compratori e venditori, al
rovesciamento di tavoli e sedie (cf. v. 12) e ovviamente all’insegnamento
stesso di Gesù nel tempio. Alla domanda Gesù risponde con una contro domanda
(cf. vv. 24-25a), cui segue il ragionamento dei sacerdoti e degli anziani (cf.
vv. 25b-26) e la loro risposta (cf. v. 27a). Il racconto si conclude con la
risposta non risposta di Gesù a coloro che lo avevano interrogato (cf. v. 27b).
Sommi sacerdoti e anziani del popolo pongono a Gesù il problema della sua
autorità. Questa parola, che ricorre quattro volte nel breve brano di oggi,
indica propriamente non solo e tanto l’autorità morale delle parole e del
comportamento di Gesù quanto la sua potestà, la sua sovranità, il suo potere,
la sua potenza. Già in Mt 7,29 le folle erano rimaste colpite dall’insegnamento
di Gesù, forse non tanto per il suo contenuto quanto per il modo autorevole ed
efficace con cui Gesù parlava, un modo diverso, cioè migliore, di quello degli
scribi. In Mt 9,6 e 8 la stessa parola, tradotta potere, indica la possibilità
proveniente da Dio, data a Gesù e trasmessa agli uomini, di rimettere i
peccati. In Mt 10,1 Gesù trasmette ai dodici discepoli il potere di scacciare
gli spiriti immondi. Alla fine del Vangelo Gesù risorto riassume e commenta
così la propria vicenda terrena: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in
terra” (Mt 28,18). La morte e la risurrezione costituiscono Gesù in un’autorità
piena e definitiva: egli è il Signore dell’universo!
La lucidità estrema e drammatica del ragionamento dei sommi sacerdoti e
degli anziani del popolo li pone alle strette tra credere o morire (il
parallelo di Lc 20,6 precisa: “tutto il popolo ci lapiderà”). Piuttosto che
cedere alla prima o alla seconda ipotesi, gli interlocutori di Gesù
preferiscono non prendere una posizione chiara e si trincerano dietro ad un
prudente e laconico: “Non sappiamo”. Di qui la non risposta di Gesù che non è
il giochetto capriccioso di una persona che vuole fare l’offesa ma la conferma
del fatto che i misteri del Regno sono riservati ai piccoli e negati ai grandi
(cf. Mt 11,25; 18,3).
lunedì 26 settembre 2005 Mt
21,18-22
18 La
mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. 19 Vedendo un fico sulla
strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: «Non
nasca mai più frutto da te». E subito quel fico si seccò. 20 Vedendo ciò i
discepoli rimasero stupiti e dissero: «Come mai il fico si è seccato immediatamente?».
21 Rispose Gesù: «In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo
potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo
monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. 22 E tutto quello che
chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete».
COMMENTO DI FRANCESCO
1) Il rientro in città da parte di Gesù, dopo l'uscita da essa per
dimorare a Betania, mostra il desiderio del Signore di riprendere contatto con il
suo popolo. Questo desiderio è descritto in modo molto forte dall'espressione
"ebbe fame": l'amore di Dio nei confronti del suo popolo è debolezza,
bisogno, appassionato desiderio di una relazione d'amore, di una risposta di
fedeltà nuziale.
2) Altrettanto forte è la parola che Gesù rivolge al fico che non dà i
frutti attesi: "Non nasca mai più frutto da te", che suona come molto
severa. Si può ricordare una parabola parallela al cap. 13 di Luca, in cui
compare un vignaiolo che chiede al padrone del fico una proroga di un anno
ancora prima che esso venga tagliato.
3) La risposta di Gesù alla domanda di spiegazione dei discepoli stupiti
dall'immediato seccarsi del fico, anziché essere, come ci aspettavamo, un
commento che mettesse in evidenza la sterilità del fico, cioè il peccato di non
accoglienza di una parte di Israele nei confronti del Signore, è invece un
insegnamento sull'efficacia della preghiera fatta con fede, senza dubitare. Si
tratta di un segnale di speranza: la condanna rivolta al fico sterile non è
l'ultima parola; c'è ancora un estremo appello, che è la preghiera, segno di un
amore che non vuole mai cedere allo scoraggiamento, ma che con tenacia riaffida
tutto alla misericordia di Dio. Per questo Gesù torna a Gerusalemme: la sua
prossima Passione è la grande preghiera che egli rivolge al Padre per la
salvezza dei peccatori.
sabato 24 settembre 2005 Mt
21,12-17
12 Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 13 e disse loro: «La Scrittura dice:
La mia
casa sarà chiamata casa di preghiera
ma voi ne
fate una spelonca di ladri».
14 Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed
egli li guarì. 15 Ma
i sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli
che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide», si sdegnarono 16 e gli dissero: «Non senti
quello che dicono?». Gesù rispose loro: «Sì, non avete mai letto:
Dalla bocca
dei bambini e dei lattanti
ti sei
procurata una lode?».
17 E, lasciatili, uscì fuori dalla città, verso
Betània, e là trascorse la notte.
COMMENTO DI GIUSEPPE
Il racconto di oggi prosegue e
conclude quello di ieri, dove il Signore si avvicinava a Gerusalemme, veniva a
Betfage e, dopo aver mandato due suoi discepoli a prendere una cavalcatura,
entrava in città osannato dalle folle. Oggi il Signore entra “nel tempio”
(espressione ripetuta per tre volte ai vv. 12, 14 e 15), compie azioni, parla,
viene osannato dai “fanciulli” e risponde a sommi sacerdoti e scribi. Il v. 17
conclude la descrizione, incominciata all’inizio del cap. 21, dell’ingresso di
Gesù a Gerusalemme e nel tempio, informandoci di come finisce quella giornata
trascorsa in città.
Nei vv. 12-13 non si parla della
rabbia di Gesù ma si descrivono sue azioni e parole volte a mostrare che egli
intendeva annunciare la fine del tempo dei sacrifici. Il tempio non può più
essere usato come luogo per fare i sacrifici (comprare, vendere, cambiare moneta,
vendere colombe sono azioni necessarie per il culto) perché i profeti lo
chiamano casa del Signore, “casa di preghiera”.
Nel v. 14, diversamente dai
racconti paralleli di Marco, Luca e Giovanni, proprio in occasione della
cosiddetta purificazione del tempio si avvicinano a Gesù ciechi e storpi. I
ciechi richiamano il ministero pubblico di Gesù che in Mt inizia con due ciechi
(9,27-31) e finisce con i due ciechi di Gerico (20,29-34); a Giovanni Battista
in prigione Gesù manda a dire: “I ciechi vedono e gli storpi camminano” (11,5).
Nei vv. 15-16 veniamo a sapere
dal solo Mt che la liturgia dell’ingresso in città continua nel tempio, dove
protagonisti diventano i “fanciulli”. I fanciulli non sono i bambini o i
piccoli di Mt 18 ma infanti di pochi mesi che non sanno parlare e prendono
ancora il latte, come quelli uccisi da Erode in Mt 2. Gesù stesso è presentato
così da Mt 12,18 che cita Is 42,1 (in italiano è la parola “servo”).
venerdì 23 settembre 2005 Mt
21,1-11
21:1 Quando furono vicini a Gerusalemme
e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi
discepoli 2 dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte:
subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e
conduceteli a me. 3 Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete:
Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito». 4 Ora questo avvenne
perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta:
5 Dite alla figlia di Sion:
Ecco, il tuo re viene a te
mite, seduto su un'asina,
con un puledro figlio di bestia
da soma.
6 I discepoli andarono e fecero
quello che aveva ordinato loro Gesù: 7 condussero l'asina e il puledro,
misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8 La folla
numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami
dagli alberi e li stendevano sulla via. 9 La folla che andava innanzi e
quella che veniva dietro, gridava:
Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel
nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!
10 Entrato Gesù in Gerusalemme,
tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: «Chi è costui?». 11
E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea».
COMMENTO DI GIOVANNI
Gesù arriva nel centro del mondo e nel cuore della storia.
Tutte le contraddizioni e le ferite, tutte le speranze dell'umanità e del cosmo
sono raccolte in Gerusalemme, visitata dalle profezie, dalla Legge e dal culto
del Tempio, in attesa del Messia che ora giunge a lei. Suprema figura di
Israele, viene identificata e descritta da una donna, da una sposa e figlia
(ver.5).
I due animali, solo per Matteo sono due, sono riferiti alla
profezia di Zaccaria 9,9, unita, in questo ver.5, a Isaia 62,11, due testi
molto forti che vi consiglio di guardare un momento. Origene dice che essi
simboleggiano Israele e le genti. Bella e misteriosa è l'affermazione "il
Signore ne ha bisogno" del ver.3, che istintivamente mi fa pensare alla
natura umana, alla "carne", che il Figlio di Dio assume per entrare
pienamente nella nostra storia, nel nostro peccato e nella nostra attesa di
salvezza.
La folla numerosissima e la grande e festosa accoglienza di
Gesù è certamente dovuta a quanto Egli ha compiuto. A questo proposito, il
testo parallelo di Giovanni 12,12-19 (molto importante!) dice che la gente è
rimasta presa da un miracolo da Lui compiuto lì vicino, la risurrezione di
Lazzaro; e aggiunge che questa grande festa colpisce i farisei che osservano
che "il mondo gli è andato dietro". Tuttavia resta una nota misteriosa,
soprattutto se si pensa quanto rapidamente il Messia che ora viene
"osannato", sarà respinto e ucciso. Matteo insiste sul fatto delle
profezie e al ver.4 dice che questo avviene "perchè si adempisse ciò che
era stato annunziato dal profeta..."; dunque, forse, meno per una reale
consapevolezza, ma per come lo Spirito conduce la storia verso la sua pienezza.
Forse di ciò abbiamo conferma ai vers.10-11, nel dialogo tra una Gerusalemme
agitata e inconsapevole, e questa folla che qui sembra omologare Gesù tra i profeti.
giovedì 22 settembre 2005 Mt
20,29-34
29 Mentre uscivano da Gerico, una
gran folla seguiva Gesù. 30 Ed ecco che due ciechi, seduti lungo la
strada, sentendo che passava, si misero a gridare: «Signore, abbi pietà di noi,
figlio di Davide!». 31 La folla li sgridava perché tacessero; ma essi
gridavano ancora più forte: «Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!». 32
Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?». 33
Gli risposero: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». 34 Gesù si
commosse, toccò loro gli occhi e subito ricuperarono la vista e lo seguirono.
COMMENTO DI GIOVANNI
Ricorderete che stiamo considerando i cap.20-21, che iniziano
e terminano con un'immagine della vigna, come il viaggio e il grande ingresso
del Signore, e dei suoi con Lui, in Gerusalemme. Gerico è un'ultima tappa per i
pellegrini che salgono alla Città Santa. I testi paralleli di Mc.10,46-52 e
Lc.18,35-43 - come sempre molto illuminanti e utili - ci parlano di un solo
cieco, che secondo Marco si chiama Bartimeo ed è un mendicante. I due ciechi
che qui oggi si incontrano con Gesù vi ricorderanno altri due ciechi che al
cap.9 abbiamo incontrato in Galilea; il miracolo che Gesù aveva compiuto per
loro inaugurava un loro impetuoso annuncio della persona e dell'opera di Gesù.
I due ciechi di oggi, invece, sanati dal Signore, lo seguono verso Gerusalemme.
Rappresentano tutti noi che, per un miracolo di illuminazione, possiamo seguire
Gesù verso la sua e nostra Pasqua.
Una grande folla segue Gesù. Invece i due sono "seduti
lungo la strada": sembra che siano impediti per la loro cecità ad unirsi a
questa folla; sono "lungo la strada", ma questa strada non è per loro
una direzione, un viaggio, a motivo della loro cecità. Secondo il commento di
Origene ben rappresentano il popolo della Prima Alleanza che è lungo la strada
perchè ha ricevuto il dono delle profezie, ma non ha la luce per camminare
dietro al Messia. Ha la Legge, ma non la luce dello Spirito.
Nella loro storia, e più globalmente nella storia, passa
Gesù; e questo i due lo sentono (alla lettera il testo dice
"ascoltando": ascoltano e non vedono). Il nostro testo non dice di
loro che sono mendicanti, ma certamente sono capaci della fondamentale mendicità
della preghiera, cioè sanno fare della loro povertà un grido verso Dio. Questo
è il primo dato, concretissimo, della preghiera: "Signore , abbi pietà di
noi...". Colpisce molto l'ostacolo che la folla pone contro di loro.
Ricordate che anche i discepoli impedivano l'arrivo dei bambini da Gesù! E' il
misterioso, drammatico ostacolo che i grandi pongono ai piccoli, e i pretesi
giusti ai peccatori! Ma il Figlio di Dio, per i piccoli, i poveri e i peccatori
è venuto! E' meraviglioso il loro non arrendersi e gridare più forte: è la
forza, la perseveranza, la grande battaglia della preghiera, gridata verso Gesù
malgrado la violenza degli altri che li sgridano "perchè tacessero".
Ed ecco, meraviglioso, Gesù che si ferma e li chiama! E' il
momento della salvezza per loro! Regalo straordinario che oggi il Signore del
Vangelo ci offre, per ricordarci attraverso questi due che ognuno è chiamato,
che per ognuno il Signore si ferma sulla strada verso la pienezza della vita,
perchè ognuno sia interpellato e possa mettersi in cammino dietro a Lui.
Vogliono che i loro occhi si aprano, e Gesù ha compassione di loro. Come
dicevamo, il miracolo della luce non è ora per annunciarlo, ma per seguirlo.
martedì 20 settembre 2005 Mt
20,17-28
17 Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici
e lungo la via disse loro: 18
«Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato
ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte 19 e lo consegneranno ai pagani perché
sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà».
20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i
suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei
figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete
quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono:
«Lo possiamo». 23 Ed egli
soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi
sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è
stato preparato dal Padre mio».
24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due
fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili
a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i
grandi esercitano su di esse il potere. 26
Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si
farà vostro servo, 27 e colui
che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo,
che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in
riscatto per molti».
COMMENTO DI GIOVANNI
Confrontando questo terzo annuncio della sua Pasqua da parte
di Gesù con le parole che abbiamo già incontrato in Mt.16,21 e Mt.17,22
possiamo notare che qui vengono citati i "pagani" ai quali gli Ebrei
"lo consegneranno"(ver.19). Tutta l'umanità è colpevole della morte
del Figlio di Dio, e tutta l'umanità sarà salvata dalla sua morte. Il verbo
"consegnare" compare due volte: al ver.18 è in forma passiva:
"sarà consegnato ai sommi sacerdoti...". Da chi sarà consegnato?
Notate che il verbo significa anche tradire, ma anche trasmettere. Certo, ci
sono dei primi attori di questa consegna, e primo tra tutti Giuda. Ma Colui che
veramente consegna il Figlio è il Padre; sotto e dentro l'azione cattiva e la
responsabilità di chi lo tradisce, c'è il mistero positivo della volontà del
Padre che guida il Figlio al suo sacrificio d'amore per la salvezza del mondo.
Al ver.19 il verbo è presente in forma attiva; coloro che lo consegnano sono
gli Ebrei e quelli che lo ricevono sono i pagani: e anche qui, dentro l'orrore
di questa consegna verso una morte infame, c'è il segreto di una
"trasmissione" che consente a tutti i popoli di entrare nella grande
profezia di Israele e nel suo adempimento pieno nella persona di Gesù. Mi
sembra molto importante anche il fatto che, diversamente dai primi due annunzi
della sua passione e morte e risurrezione, oggi il Signore apra il discorso con
quel "Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme..." che convoca e
coinvolge i discepoli nell'evento supremo della salvezza. Del suo sacrificio
sono chiamati a divenire partecipi non solo come testimoni, ma soprattutto e
prima di tutto come "testimoni forti", come "martiri"
(martire vuol dire testimone).
Compare qui, ai vers.20-21, questa splendida figura materna
che chiede a Gesù il posto della gloria
per i suoi figli. Che cosa deve chiedere una madre per i suoi figli? Ma
qual'è la via di questa gloria? La madre, ogni madre, anche
Lo sdegno degli altri discepoli per le parole dei due
fratelli non è condiviso da Gesù che se mai prende occasione da questa reazione
negativa per darci un saggio meraviglioso di come la Pasqua non sia solo il
fatto specifico della morte-risurrezione, ma la luce e la guida di tutta la
storia di ogni persona e di tutti. Per questo Egli mette al centro della nostra
attenzione il problema delicatissimo (il più delicato?) del potere. Quel potere
che secondo Genesi 3 è stato la grande tentazione che il serpente ha potuto
insinuare nel cuore dei progenitori, ora viene riproposto alla luce della
Pasqua di Gesù, e quindi capovolto! Parlando di potere Gesù fa riferimento in
termini del tutto espliciti a quel potere di dominio sugli altri che è
principio di tanti mali e di tanto dolore. Notate che Egli non nega la realtà
di questo potere come recuperabile dalla luce evangelica: "colui che vorrà
diventare grande...", ma la via è opposta a quella che i meccanismi della
sete del potere ci fanno percorrere. La via è quella che li sta conducendo, che
ci sta conducendo, verso Gerusalemme e verso la Pasqua.
lunedì 19 settembre 2005 Mt
20,1-16
20:1 «Il regno dei cieli è simile a
un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la
sua vigna. 2 Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò
nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri
che stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: Andate anche voi
nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro:
Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7 Gli risposero: Perché
nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia
vigna.
8 Quando fu sera, il padrone della
vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando
dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio,
ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensavano
che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno.
11 Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12
Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che
abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone,
rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse
convenuto con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio
dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15 Non posso fare delle mie cose
quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16 Così
gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
COMMENTO DI GIOVANNI
Un'occhiata al testo latino e quindi alle ore del giorno
espresse con "ora terza, sesta..." mi fa pensare a questa chiamata
quotidiana nella vigna che è per noi la nostra preghiera, invito più volte
rinnovato ogni giorno da parte di Gesù a che entriamo nel mistero e nel dono
della sua Pasqua, dono che talvolta può essere anche "peso"(ver.12),
ma che è la vicenda sublime che ci rende partecipi della persona e dell'opera
del nostro caro Signore; operosità nella vigna che non può avere come unico
compenso che "un denaro al giorno"(ver.2), e cioè ancora Gesù stesso
che partecipa di noi come noi di Lui. Dono che stabilisce la nostra fraterna
comunione, e che deve anche affrontare la prova della tentazione contro la
carità: "O il tuo occhio è cattivo perchè io sono buono?"(ver.15).
Rischio di confronti e di gelosie, di competizioni e rivalità dentro la vigna!
Con questa parabola della vigna si apre il cap.20 e saremo
condotti sino alla fine del cap.21 dove troveremo l'altra parabola della vigna
(Mt.21,33-46): una rapida corsa in questi due capitoli vi immetterà nel loro
contenuto privilegiato, e cioè l'assunzione dei discepoli da parte di Gesù nel
suo cammino verso la sua e nostra Pasqua. Agostino dice che questi operai delle
diverse ore sono i padri, da Abramo a Mosè, ai profeti...Se si tiene questa
ipotesi noi siamo gli operai dell'ultima ora; e coloro che sono tentati di
cattiveria davanti alla bontà di Dio verso noi pagani compensati come coloro
che hanno portato il peso e il caldo della lunga preparazione, questi sono quei
figli di Israele che non sopportano l'apertura universale del Vangelo del Signore.
Ma penso che le letture possibili siano molte, fino a quella che vede ciascuno
di noi chiamato più volte durante la vita terrena ad entrare nella vigna di
Dio.
Mi sembra importante sottolineare come emerga dalla parabola
colta nel suo insieme che l'essere chiamati nella vigna contiene in certo senso
in sé stesso il compenso per il lavoro che vi si farà. Nell'accenno di protesta
del ver.7 - si tratta di coloro che trovati all'ultima ora e trattati un po'
rudemente dal padrone della vigna che chiede ragione di una giornata tutta
inoperosa, si giustificano dicendo: "..nessuno ci ha chiamati" - si
coglie bene il privilegio dell'elezione divina ad entrare nella vigna. Senza il
dono di questa chiamata non c'è ingresso nella vigna. Il termine che ai
vers.3.6 è reso con "disoccupati" e "oziosi", è alla
lettera "senza opera, inoperosi", parola preziosa che sottolinea la
centralità dell'opera nell'esperienza cristiana; la bellezza di un'opera che
Dio assegna a ciascuno nella vigna. Superamento di una contrapposizione tra
vita attiva e vita contemplativa: tutta la vita cristiana è convocata per
l'opera dello Spirito in noi; opera che può essere consumazione nella supplica
e nella lode, oppure consumazione nel servizio ai piccoli e ai poveri, oppure
umile nascondimento nell'amore fraterno e famigliare..., ma sempre opera di Dio
in noi, opera che Dio ci assegna nella sua vigna.
sabato 17 settembre 2005 Mt
19,23-30
23 Gesù allora disse ai suoi
discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei
cieli. 24 Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna
di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».
27 Allora Pietro prendendo la
parola disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa
dunque ne otterremo?». 28 E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che
mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto
sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le
dodici tribù di Israele. 29 Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o
sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento
volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.
30 Molti dei primi saranno ultimi e
gli ultimi i primi».
COMMENTO DI GIOVANNI
Mi sembra che la difficoltà del ricco ad entrare nel regno
dei cieli (ver.23) si leghi alla mancanza di quella povertà di spirito che è la
prima beatitudine proclamata da Gesù in Mt.5,3. Povertà in spirito più che ogni
altra povertà. E forse il giovane ricco incontrato nei versetti precedenti
proprio questa problema manifestava, anche con quella sua certa aggressività e
sicurezza di sé circa il suo cammino verso Dio. Voglio dire cioè che,
diversamente da come si è spesso inteso e proposto, la povertà in spirito è più
profonda e decisiva di ogni altra povertà che potrebbe suscitare sentimenti di
cupidigia e di rivendicazione. Ma vedete voi se questa ipotesi è accettabile.
Il ver.24 riferisce l'immagine del cammello e della cruna d'ago; è chiara
l'intenzione del Signore di portarci, attraverso la paradossalità
dell'immagine, al convincimento di una situazione di impossibilità. E tale è
infatti la reazione dei discepoli al ver.25. La tensione tra impossibile e
possibile del ver.26 mi ha riportato al testo dell'Annunciazione in Lc.1,26-38
e alla sua base veterotestamentaria in Genesi 18,14.
Mi sembra questa la punta del nostro brano di oggi, questo
gioco tra l'impossibile per gli uomini e il possibile a Dio. Ed è interessante
che questa tensione si risolva attraverso l'affermazione di Pietro al ver.27,
cioè da parte di uno di quelli che subito prima avevano dovuto constatare con
costernazione l'impossibilità umana di una scelta tanto radicale. Come può
avvenire che l'impossibile diventi possibile? Si deve pensare solo ad una
superiorità morale e all'eroicità di pochi? Non credo. Propongo quindi due
considerazioni. La prima è certamente quella del dono di Dio, per cui anche la
scelta umana più alta è sempre frutto di quel dono divino che rende possibile
l'impossibile. La seconda considerazione porta alla persona di Gesù come Egli
stesso afferma ai vers.28-29 con due espressioni: al ver.28 fa notare che essi
hanno lasciato tutto per seguire Lui, affascinati e convinti dalla sua persona
e dalla sua opera; al ver.29 dice che hanno tutto lasciato "per il mio
nome", cioè per Lui, avendo riconosciuto in Lui una ricchezza che
raccoglie ogni ricchezza. Dunque sempre di dono si tratta, e di un dono che si
sostanzia nella luce del Figlio di Dio.
Tutto questo nulla toglie alla difficoltà e al rischio di una
scelta radicale. E' difficile ad esempio pensare che il giovane ricco avesse
avuto da Gesù solo una ingiunzione moralmente altissima, senza il dono della
sua grazia. Chi ha compiuto il passo, come qui i discepoli colgono in se
stessi, lo ha potuto fare proprio per quel dono di Dio che rende possibile
l'impossibile. Verrebbe la tentazione - e ci si è caduti in pieno - di
concludere che si tratti di una via riservata a pochi, magari solo a chi vuole
essere perfetto come era nelle parole di Gesù al ver.21. Ma abbiamo visto che
si tratta di una "perfezione" che caratterizza ogni vita cristiana:
perfetto e cristiano tendono a dire la stessa cosa! E cioè una condizione
finale determinata dalla persona di Gesù Cristo e dalla sua chiamata alla
salvezza. Forse conviene pensare piuttosto che ci troviamo perennemente davanti
a questa esigenza di tutto lasciare per seguirlo. In un rapporto d'amore si è
sempre posti davanti alla gelosia divorante che caratterizza l'amore stesso
nelle sue dimensioni più profonde; immaginarsi quale rilievo questo abbia
nell'orizzonte dell'amore divino! Concludo con una piccola considerazione: ho
visto nella mia vita che quello che si lascia per Lui non solo non è perduto,
ma, consegnato per Lui, proprio allora diventa bello e fecondo per noi, senza
ruggine e tignola, in grande libertà e nuovo volto d'amore.
venerdì 16 settembre 2005 Mt
19,13-22
13 Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro
le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. 14 Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me,
perché di questi è il regno dei cieli». 15
E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.
16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che
cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». 17 Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno
solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Ed egli chiese: «Quali?». Gesù
rispose: «Non uccidere, non commettere
adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19 onora il padre e la
madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose;
che mi manca ancora?». 21 Gli
disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai
poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 22 Udito questo, il giovane se ne andò
triste; poiché aveva molte ricchezze.
COMMENTO DI GIOVANNI
L'importante e forte connessione con il testo precedente è
evidenziata dalla ripresa dell'espressione "regno dei cieli" che al
ver.12 era detta di coloro che per il regno dei cieli si erano fatti eunuchi, e
qui è detta per i bambini: "..di questi è il regno dei
cieli"(ver.14). Siamo dunque sempre all'interno della grande immagine
nuziale. Ad essa sono adatti i piccoli, di cui questi bambini sono segno e
presenza. Non lo erano i farisei che al ver.3 mettevano alla prova il Signore,
né i discepoli che rifiutavano le nozze così come erano presentate da Gesù. E
le rifiuterà il giovane ricco dei vers.16-22. Ma denunciano la loro lontananza
ancora gli stessi discepoli che al ver.13 "sgridavano" coloro che
portavano (un verbo forte che significa spesso "offrire") i bambini
al Signore perchè imponesse loro le mani e pregasse. Mi fa molto pensare quel
"lasciate che i bambini..." del ver.14, perchè so quanto sia facile
porre ostacoli al cammino privilegiato che viene riservato da Dio ai piccoli
per accedere a Lui. Il rischio è sempre quello di fare della fede una cosa per
grandi, per dotti e per virtuosi. Invece la fede è possibile sempre per ogni
persona che Dio chiami, ma in ogni modo è un cammino di "piccolezza",
e ognuno che entra in questa strada e in questa vita nuova ne ha l'accesso
attraverso una "piccolezza" della sua persona, o della sua vita, o
del suo cammino di conversione al Signore.
Di seguito ai bambini, ecco l'incontro di Gesù con questo
giovane ricco (è giovane solo nel testo evangelico secondo Matteo; nei
paralleli di Mc.10,17-31 e di Lc.18,18-30 che vi consiglio di considerare si
tratta di un adulto e addirittura di un capo che fin dalla giovinezza ha
osservato la Legge), e il dramma del suo essere "troppo grande" per
il regno dei cieli. Questo rischio di grandezza sembra affacciarsi già nelle
buone e pie intenzioni di "ottenere la vita eterna", forse da lui considerate
in modo preminente ed esclusivo come opera umana, opera sua: "..che cosa
devo fare di buono per ottenere la vita eterna?"(ver.16).
Mi sembra molto importante lo spostamento che il Signore
opera tra quello che il giovane vuole fare e Dio che bisogna incontrare:
"Perchè mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono..";
dunque, non cose buone da far noi, ma Dio buono che ci chiama e ci salva. In
ogni modo il discorso di Gesù prosegue secondo la logica della domanda che gli
è stata posta e che esprime efficacemente la struttura spirituale dell'ebreo
giusto; al punto che si può pensare a questo giovane come rappresentante e
segno di tutta un'economia di preparazione che di fronte all'evento culminante
si trova nella fatica. Ai precetti tratti dal Decalogo, Matteo aggiunge il
comandamento dell'amore del prossimo.
L'uomo si presenta come colui che ha compiuto sino in fondo
il suo cammino verso
giovedì 15 settembre 2005 Mt
19,1-12
19:1 Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò
nel territorio della Giudea, al di là del Giordano. 2 E lo seguì molta folla e colà egli guarì i malati.
3 Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla
prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per
qualsiasi motivo?». 4 Ed egli
rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: 5 Per questo l'uomo lascerà
suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola?
6 Così che non sono più due, ma
una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi». 7 Gli obiettarono: «Perché allora Mosè
ha ordinato di darle l'atto di ripudio e
mandarla via?». 8 Rispose
loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le
vostre mogli, ma da principio non fu così. 9 Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in
caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio».
10 Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione
dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». 11 Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro
ai quali è stato concesso. 12 Vi
sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono
alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono
fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».
COMMENTO DI GIOVANNI
Il cap.19 nel quale oggi entriamo è dedicato a descrivere il
legame che unisce al Signore e che unisce i discepoli tra loro e a tutti. Tale
legame, preziosissimo, ha la sua immagine più forte nella figura delle nozze. E
di questa tratta il nostro brano di oggi, che dunque non va visto solo come un
insegnamento morale di Gesù sul tema della fedeltà-indissolubilità del
matrimonio, ma appunto come grande annuncio del mistero d'amore tra Dio e ogni
persona, nelle diverse modalità di queste "nozze". L'occasione è data
da una domanda che i farisei gli rivolgono per mettere alla prova la sua
fedeltà alla grande tradizione ebraica e alla Parola. E' lecito che l'uomo
ripudi la propria moglie?
Il Signore risale al "principio"(cioè al disegno
originario di Dio; ver.4), e commenta il testo di Genesi in modo straordinario
e singolare. Si sottolinea la "diversità" uomo-donna: ha creato due
diversi, non due uguali. In ragione di questa diversità si danno le nozze!
Cogliamo subito un riferimento importantissimo al mistero di Dio che scende
verso la "diversità" assoluta della creatura umana e si unisce ad
essa. Ciò viene subito confermato e rafforzato con l'affermazione che "per
questo(!) l'uomo lascerà..."(ver.5); cioè viene qui definita una situazione
diversa da quello che è il costume più diffuso, per il quale è la donna ad
entrare nella vita e nella casa del marito. Qui è lui che deve lasciare la sua
famiglia e deve "incollare se stesso" alla donna (un'unione che
sembra poco naturale e poco facile). Subito dopo viene ricordata l'immagine
biblica circa l'assolutezza di questo legame ("una carne sola", un
"uno" fatto di due), e quello che prima era attribuito all'uomo, ora
trova Dio stesso come soggetto di un verbo forte e ancora "non
naturale": quello che Dio ha "congiunto" (termine che esprime un
aggiogamento, un porre i due sotto un unico giogo). La non separazione non
appare dunque come "naturale", ma assolutamente esigita da quello che
Dio ha compiuto e da quello che in questo Egli vuole rivelare e comunicare:
l'indissolubilità nuziale come segno forte, come immagine privilegiata
dell'amore con il quale Egli ama la creatura umana verso la quale scende e alla
quale si unisce. Un rapporto "innaturale", complesso, quasi sempre "in
crisi", ma assolutamente inscindibile. L'uomo non può separare
"quello che Dio ha congiunto", cioè Dio stesso all'umanità! La
separazione nega la qualità essenziale dell'amore divino. Si potrebbe dire che
in certo senso il peccato è sempre una "separazione", un ricupero
della propria triste individualità e della propria solitudine rispetto a Dio e
al suo amore.
L'obiezione dei farisei cita la disposizione mosaica del
libello di ripudio. Questo offre a Gesù l'occasione per insegnare che nella
storia tra Dio e l'umanità ci sono "tre tempi": quello "da
principio" che costituisce la prima affermazione del disegno divino; il
tempo della "durezza del cuore"(ver.8) e infine il tempo segnato e
riempito dal suo "io vi dico", cioè il tempo della pienezza e del
compimento, rispetto al quale la situazione descritta da Genesi è profezia, e
la disposizione mosaica è il soccorso divino alla ferita dell'umanità
"divorziata" da Dio. In Gesù il "principio" della creazione
si compie nella nuova creazione generata dalla sua Pasqua, che è sacrificio
d'amore ed eterna alleanza nuziale tra Dio e l'umanità. Il ver.9 fissa il
carattere permanente delle nozze umane come immagine e sacramento delle nozze
divine. Tutto considerato, a me pare che la spiegazione più semplice per
l'eccezione del "concubinato" sia quella che lo vede come un
"non-matrimonio", e quindi come un'unione non significativa del
mistero dell'amore di Dio.
La reazione dei discepoli è durissima e fortemente
maschilista: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non
conviene sposarsi"(ver.10). Gesù non rimprovera, ma approfitta della loro
difficoltà per chiarire ulteriormente: non si tratta di un evento puramente
naturale, non è una regola iscritta nella natura. Il matrimonio non è una
benedizione divina su un fatto umano. Esso è da Dio. E dunque è certamente
"violenza" rispetto ad una semplice unione naturale. L'immagine
violenta dell'eunuco che tale si è fatto "per il regno dei
cieli"(ver.12), non è in questo senso riferita esclusivamente ai vergini
per il regno, ma si estende anche agli sposi proprio per quello che prima è
stato detto.
martedì 13 settembre 2005 Mt
18,21-35
21 Allora Pietro gli si avvicinò e
gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca
contro di me? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico
fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
31 Visto quel che accadeva, gli
altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto
l'accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse:
Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33
Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto
pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini,
finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il mio Padre
celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro
fratello».
COMMENTO DI GIOVANNI
L'importante domanda di Pietro sposta il discorso dai peccati
commessi contro Dio al male che ci facciamo tra di noi. E' interessante notare che
anche per questo Dio pretende in modo rigoroso lo stesso atteggiamento. E per
questo il racconto della parabola è in "due atti", proprio per
evidenziare che dal nostro straordinario rapporto con il Signore scaturisce
rigorosamente il nuovo volto delle relazioni tra noi. Siamo evidentemente molto
vicini al duplice comandamento dell'amore!
Ciò che mi sembra importante sottolineare è prima di tutto
questa duplice possibilità della giustizia divina. Tenete dunque ben fermo che
nessuno potrebbe obiettare davanti all'ipotesi che si debba con Dio pagare
tutto quello che gli si deve! Il Dio razionale è così! Il "dio" che è
creato dalla "paura religiosa" dell'uomo di fronte alla morte è così!
Come altrettanto ci è chiaro che la parabola non ci riferisce un caso singolo e
isolato, ma ci dice "come è Dio", e dunque come "si
comporta" con l'uomo. Perciò si potrebbe affermare che quel Dio che è il
Padre di Gesù Cristo "non è" secondo le tesi razionali intorno a Lui,
e quindi "non si comporta" di conseguenza. Il nostro Dio non è quello
che dovrebbe essere, ma, secondo quanto le profezie dei padri ebrei hanno
profetizzato e preparato e Gesù di Nazaret ha pienamente e definitivamente
rivelato e donato, Dio è quello descritto dal versetto centrale del nostro
brano, e cioè il ver.27, con i suoi tre "verbi" fondamentali per la
nostra fede e la nostra vita; li cito traducendoli alla lettera: aver
misericordia, liberare, rimettere il debito. Siamo al cuore della rivelazione
cristiana. Accenno di passaggio che la novità del Figlio di Dio è tale per cui
Egli per essa deve morire.
Dunque, Dio non è come gli altri dei, che sono quasi sempre
un'orrenda caricatura di Dio Padre, l'unico vero Dio. Ma Dio Padre sfugge a
tutte le possibilità , e dunque a tutte le errate illusioni, di poterlo
concepire e pensare con i meccanismi della nostra ragione. Si deve piuttosto
dire che ciò che di Lui Gesù Cristo ci rivela, consente, promuove ed esige una
sempre nuova e ben più profonda razionalità. Dico "sempre nuova",
perchè la "razionalità" cristiana non può mai assestarsi su dati
statici, in quanto la Parola di Dio è, tutta e sempre, antica e nuova: cioè,
quella Parola che è fin dal principio, incessantemente precede e guida la
storia, perchè quella Parola è il Signore Gesù Cristo. Quella Parola non è
raggiungibile dalla ragione umana. La ragione umana, in se stessa, senza il
dono della fede, arriva sempre, prima o poi, implacabilmente, a quel primo
volto di Dio, che oggi è descritto ai vers.23-25, e che è descritto per dire
che Dio non è così.
Da qui dunque proviene il dolore degli altri servi: nel
comportamento del loro collega essi vedono un ritorno all'indietro,
un'involuzione verso il "dio" concepito dalla natura ferita
dell'uomo, un dio che promuove e giustifica tante realtà, come l'assassinio, la
guerra, il divorzio, l'aborto, l'abisso che separa i ricchi dai poveri...,
tutte cose dalle quali il Signore Gesù ci ha definitivamente liberati, e alle
quali noi rischiamo sempre non solo di tornare, ma addirittura di ritenerle
possibili o persino buone. E siccome qualcuno potrebbe dire che almeno qualcuna
di quelle brutte cose le abbiamo proprio condannate, sento il dovere di
rispondere che una condanna non tratta dalla Parola di Dio ma da pretese evidenze
razionali, è molto fragile e sempre esposta a ritrattazioni e a ipocrisie. E'
importante continuare a celebrare ogni giorno, molte volte al giorno, la
preghiera al Padre che Gesù ci ha insegnato, tutta per intero, e quindi anche
dove esprime l'esigenza assoluta di far corrispondere la nostra giustizia alla
giustizia salvifica di Dio.
lunedì 12 settembre 2005 Mt
18,15-20
15 Se il tuo fratello commette una
colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato
il tuo fratello; 16 se non ti ascolterà, prendi con te una o due
persone, perché ogni cosa sia risolta
sulla parola di due o tre testimoni. 17 Se poi non ascolterà neppure
costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per
te come un pagano e un pubblicano.
COMMENTO DI GIOVANNI
Oggi e domani attraversiamo due testi che abbiamo incontrato
nelle ultime domeniche, e ancora una volta possiamo verificare quale grande
dono sia una lettura continua della Scrittura, per la quale possiamo sempre
immergere una parola e un brano in ciò che nel testo biblico precede e segue.
Così oggi riceviamo le parole che il Signore ci regala di seguito alla parabola
della pecora smarrita. Diventa chiara allora l'estensione della volontà
salvifica del Padre verso tutti, e quindi la chiamata di tutti i discepoli alla
responsabilità, all'impegno e al potere. Possiamo a questo punto accorgerci che
nella parabola della pecora, diversamente dal testo parallelo di Lc.15, non è
scontato e garantito che il pastore trovi la smarrita; dice al ver.13 "se
gli riesce di trovarla"; in verità credo sia meglio rendere alla lettera
con "se avverrà che la trovi...", che chiarisce meglio che non c'è un
limite di potere del pastore in questa ricerca, ma che tale
ricerca-ritrovamento passa necessariamente per l'assenso di chi, essendosi
perduto, ora deve accogliere e seguire chi lo ha ritrovato!
Siamo così già dentro al nostro brano di oggi, dove un
fratello celebra nei confronti del fratello lo stesso desiderio divino di non
lasciar andare perduto nessuno. Non è dunque un giudizio contro di lui, ma
l'amore per lui. Il triplice tentativo coinvolge prima di tutto la persona che
cerca il fratello smarrito in un rapporto diretto e franco. Poi il concorso di
alcuni che possano rendere più libera da ogni soggettività l'ammonizione.
Infine l'autorità che viene dall'assemblea. Tale autorità-autorevolezza che
cresce dal primo al terzo intervento non è legata a garanzie intellettuali, ma,
come precisano i vers.19-20, si tratta di una potenza spirituale intimamente
connessa con la comunione e con la forza che scaturisce dalla comunità e dalla
sua unanime preghiera.
Per tutto questo, il Signore concede ai suoi una
straordinaria possibilità di perdono (quella che in Matteo 16 era data a
Pietro). Non si tratta di un potere giuridico. Siamo nell'ambito della fede e
della forza dello Spirito. E' il potere di legare ciò che deve essere impedito
e di sciogliere tutto il bene che deve essere liberato e consegnato, o
riconsegnato, alla vita e all'esperienza dei figli di Dio.
Per quello che riguarda la conclusione del ver.17 -
"..sia per te come un pagano e un pubblicano" - io preferisco attenermi
ad un'interpretazione che non vede in questo la condanna o l'esclusione del
fratello che pecca, ma la sua consegna nelle mani di Dio; là dove non si vede
una possibilità umana di entrare nella prigionia del fratello, là dove questo
fratello sembra di fatto del tutto estraniato dal pensiero e dagli intendimenti
della comunità credente, e dunque resta in quelle "mani di Dio", cioè
in quel mistero che segna l'esistenza profonda di ogni persona, il perché della
sua esistenza, e quindi il filo che lega ogni uomo e ogni donna alla Persona di
Dio stesso, che non cessa di essere il Padre di ciascuno e di tutti.
sabato 10 settembre 2005 Mt
18,10-14
10 Guardatevi dal disprezzare uno
solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre
la faccia del Padre mio che è nei cieli. 11 [È venuto infatti il Figlio
dell'uomo a salvare ciò che era perduto]. 12 Che ve ne pare? Se un uomo
ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti,
per andare in cerca di quella perduta? 13 Se gli riesce di trovarla, in
verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si
erano smarrite. 14 Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda
neanche uno solo di questi piccoli.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il ver.10 ammonisce che non solo non bisogna scandalizzare i
piccoli che credono nel Signore, ma anche non li si deve
"disprezzare", trattar male. Ci troviamo ora di fronte a uno di quei
passaggi forti del Vangelo che ci dicono quanto la fede cambi le relazioni tra
le persone. Qui mi sembra si debba prendere atto che una persona non può più
essere considerata e trattata per quello che è, ma per come è cara al Signore
che l'ha creata e l'ha chiamata. C'è dunque un valore intrinseco e immutabile
in ogni persona, che non può essere scalfito né profanato da nessuno e per
nessun motivo. E' meravigliosa l'immagine che Gesù propone per dire tutto
questo:"...perché io vi dico che i loro angeli vedono sempre la faccia del
Padre mio che è nei cieli". Gli angeli sono segno della presenza di Dio
accanto a noi; ma qui si presentano come il segno permanente della presenza di
ogni persona al cospetto e al cuore di Dio Padre. E' un modo nuovo e
straordinario di considerare e trattare ogni persona!
Mi pare molto bella anche l'affermazione del ver.11 che
spesso viene considerato dagli esperti come non appartenente al nostro testo
(per questo anche qui sopra è messo tra parentesi, come lo è in molte edizioni
della Bibbia). Mi pare che queste parole aggiungano all'immagine degli angeli
la conferma della perenne azione salvifica di Dio. Gli angeli che "vedono
sempre la faccia del Padre mio" non sono in una condizione di statica
contemplazione, ma esprimono la vigilante presenza presso Dio del mistero e della
preziosità di ogni vicenda dell'umanità, e quindi l'incessante opera di
salvezza da parte di Lui.
Siamo abituati a considerare la piccola parabola della pecora
smarrita nella versione di Luca 15 che vi consiglio vivamente di considerare.
Là si parla della ricerca che il Signore fa del peccatore per ricondurlo a
casa. Qui si tratta ancora dei piccoli: "Così il Padre vostro celeste non
vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli"(ver.14). Mi pare
affascinante che la volontà salvifica di Dio accompagni sempre la vicenda di
ogni piccolo che peraltro, come la parabola stessa afferma, si perde - "ne
smarrisce una", dice al ver.12. Certo, il pastore smarrisce la pecora: ma
questo è l'orizzonte nel quale Dio manifesta l'amore di predilezione per ogni suo
figlio; un amore per il quale Dio sembra amare ciascuno più di tutti gli altri
- "le novantanove" lasciate sui monti! - , appunto un amore di
predilezione per il quale ogni figlio di Dio sperimenta l'Amore con il quale il
Padre ama il suo Unico Figlio. Perchè ciascuno di noi è amato "nel
Figlio"!
venerdì 9 settembre 2005 Mt
18,1-9
18:1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo:
«Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». 2 Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e
disse: 3 «In verità vi dico: se
non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno
dei cieli. 4 Perciò chiunque
diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
5 E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio,
accoglie me.
6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che
credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina
girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano
scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!
8 Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo,
taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo,
che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. 9 E se il tuo occhio ti è occasione di
scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un
occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco.
COMMENTO DI GIOVANNI
I cap.16 e 17 ci hanno annunciato il mistero della piccolezza
di Dio nel suo Figlio Gesù Cristo e il nostro coinvolgimento in tale
piccolezza. Ora, nei prossimi due capitoli, la nostra piccolezza viene
descritta in tutte le sue manifestazioni e in tutta la sua divina preziosità.
Esplicitamente il ver.1 vuole quindi collegarsi a quanto è stato detto nei
giorni scorsi, e pone una domanda che si presenta come conseguente a quanto
detto: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?". E qui il
Signore inaugura il suo grande insegnamento - che ha in Lui il paradigma
fondamentale - con l'intreccio tra la grandezza secondo Dio e quella piccolezza
che contempliamo pienamente realizzata nella persona e nell'opera del Figlio di
Dio.
Il Signore sposta il senso della domanda per esortare
direttamente ogni persona a percorrere la via della salvezza. E' necessario
"convertirsi" (il verbo usato è molto forte) alla piccolezza che Gesù
mostra esplicitamente nella persona di un bambino per entrare nel regno dei
cieli. E qui Egli afferma una specie di apparente "assurdo" molto
importante, dicendo che "chiunque diventerà piccolo...": quindi, nel
regno si può essere molti o al limite anche tutti, nel posto del più grande?
Sì, perchè ognuno, facendosi piccolo, si accosta e si unisce a Colui che è in
assoluto il più piccolo di tutti, e cioè il Cristo di Dio; ognuno, facendosi
piccolo può entrare nella pienezza della vita divina.
Il ver.5 offre anche una strada concreta per tutto ciò:
l'accoglienza di un bambino "in nome" di Gesù, cioè accogliere un
bambino come Gesù, a motivo di Gesù, è accogliere Gesù stesso!
Fate attenzione, perchè qui il discorso si sposta. Al ver.6
inizia un discorso sul tema dello scandalo. E non si parla più di bambini, o
perlomeno solo di bambini, ma di tutti i "piccoli che credono in me":
e questi sono i discepoli di Gesù di ogni età e condizione. Questo è
interessante perchè si afferma una coincidenza tra discepolato e piccolezza:
chi si fa discepolo, prende una decisione verso la piccolezza proprio perchè
segue Gesù che si è fatto piccolo nell'obbedienza al Padre sino alla Croce.
Dunque lo scandalo è lo scandalo che si mette in atto contro la
"piccolezza" che caratterizza e definisce la persona e la vita di
ogni discepolo. Il ver.7 afferma che "è inevitabile che avvengano
scandali": perchè questa necessità ineluttabile? Credo ancora a motivo del
Cristo, la cui persona e opera è il grande scandalo per tutte le sapienze
mondane, e quindi anche per il nostro istintivo modo di pensare e di agire,
inevitabilmente orientato, per la paura della morte, verso la crescita e non
verso la diminuzione.
I vers.8-9 pongono un ulteriore tema, almeno mi sembra, che
la versione italiana tende a celare. Quando infatti per due volte si legge
l'espressione "ti è occasione di scandalo", ritengo meglio rendere
alla lettera con "ti scandalizza"; e questo perchè credo che il
Signore voglia qui avvertirci del pericolo che noi scandalizziamo noi stessi -
"ti" scandalizza!! - , cioè scandalizziamo quel "piccolo"
che a motivo del nostro essere discepoli e fratelli di Gesù, è in ogni modo
dentro di noi. Tutti sappiamo bene come sia facile aggredire quell'uomo nuovo
che per sua misericordia Dio ha seminato in noi.
mercoledì 7 settembre 2005 Mt
17,22-27
22 Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: «Il
Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini 23 e lo uccideranno, ma il terzo
giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati.
24 Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori
della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa
per il tempio?». 25 Rispose:
«Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare,
Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri
figli o dagli altri?». 26
Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. 27 Ma perché non si scandalizzino, va'
al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi
troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te».
COMMENTO DI GIOVANNI
Possiamo domandarci quale sia il legame tra i vers.22-23 che
parlano del secondo annuncio che Gesù dà ai suoi discepoli circa la sua morte e
risurrezione e i vers.24-27 che riferiscono un episodio che il solo Matteo
ricorda nel suo Vangelo, cioè il problema intorno al pagamento della tassa per
il tempio.
Noteremo dunque che mentre nel primo annuncio della sua
Pasqua in Mt.16,21-23 il Signore parlava del suo essere ucciso dai capi del
popolo ebraico, qui Egli parla della sua consegna, più globalmente, "nelle
mani degli uomini"(ver.22); dunque un rapporto che sembra stabilirsi con
l'umanità in senso ampio, universale; non un problema interno alla storia, alla
fede o al pensiero degli ebrei, ma un fatto che coinvolge l'intera umanità, al
di là della sua consapevolezza. Vedremo come tutto questo si chiarirà
ulteriormente nel successivo annuncio in Mt.20,17-
Altra osservazione che mi sembra non priva di interesse è il
ricomparire di Pietro e il suo nuovo scambio di parole con Gesù. Ricordiamo al
cap.16 il suo riconoscimento di Gesù come il Figlio del Dio vivente, e il
rifiuto subito dopo della prospettiva di umiliazione e di morte che il Signore
annuncia. E', dicevamo, il punto focale della fede cristiana: accogliere
nell'umile persona di Gesù di Nazaret il Figlio di Dio, Dio stesso. Credere in
Gesù Dio e Uomo. Qui il nostro Pietro che lo ha visto nella gloria della
Trasfigurazione all'inizio del capitolo, tenta di attenersi alla "lezione"
ricevuta precedentemente, e afferma con sicurezza l'umile sottomissione del
Signore alla comune sorte e al comune dovere di tutti.
Il Signore interviene con l'esempio dei figli dei re per
affermare che la partecipazione di Cristo e dei cristiani alla comune vicenda
umana non può dimenticare quel segreto luminoso che scendendo dal monte della
Trasfigurazione Egli imponeva di non svelare se non al termine della vicenda
umana, che descriveva dicendo "...finché il Figlio dell'uomo non sia
risorto dai morti"(Mt.17,9). Spero di non aver fatto troppa confusione e
che si possa cogliere che l'episodio che oggi ci viene regalato dal Vangelo
vuol essere un insegnamento importante su come i cristiani devono vivere nel
mondo e nella storia la loro fede: con tutta l'umiltà del Figlio dell'Uomo, e
con tutta la consapevolezza, la dignità, la consolazione, direi addirittura la
regalità del Figlio di Dio, anch'essi, in Lui, figli di Dio. I figli dei re
sono esenti - "liberi" dice alla lettera il ver.26 - ma è necessario
che "paghino le tasse" come tutti gli altri, affinché questi
"non si scandalizzino"(ver.27). Quale sarebbe lo scandalo? Quello di
un'assimilazione alle strutture mondane, dove il potere esime dalla giustizia e
promuove il sopruso. Gesù chiede che lo splendore della vita nuova venga
celebrato in un orizzonte di umile presenza a tutte le situazioni ordinarie
della vita. Senza esenzioni!
C'è però anche il fatto del pesce e dunque il modo singolare
di questo pagamento. L'immagine graziosa sembra volerci suggerire che
"stare alle regole" di tutti essendo figli del grande unico Re, è
vissuto in un clima di tale ricchezza e gioia, da assegnare ad ogni evento una
nota di speranza e quasi un clima di gratuità. Tanto per fare un esempio
"difficile": i cristiani si ammalano e muoiono come tutti gli altri.
Ma ammalarsi da cristiani vuol dire poter vivere la malattia e la morte come la
grande porta verso la pienezza della Vita in Dio.
martedì 6 settembre 2005 Mt
17,14-21
14 Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo
15 che, gettatosi in ginocchio,
gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre
molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;
19 Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli
chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». 20 Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico:
se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte:
spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. 21 [Questa razza di demòni non si
scaccia se non con la preghiera e il digiuno]».
COMMENTO DI GIOVANNI
E' un grande regalo poter ascoltare le parole di oggi in
continuità con quelle di ieri sul monte della Trasfigurazione. Infatti al
ver.14 si dice "appena ritornati presso la folla...", in coerenza con
la necessità espressa dal Signore di proseguire il cammino verso Gerusalemme, e
quindi di non acconsentire alla richiesta di Pietro circa l'ipotesi di fermarsi
sul monte. Come a contrasto con la gloria della persona di Gesù sul monte, oggi
viene avanti questo figlio feritissimo presentato al Signore dalla supplica del
suo papà: "Signore, abbi pietà di mio figlio..."(ver.15).
Questo contrasto è molto importante perchè mostra quale sia
l'opera di Dio nei confronti dell'umanità ferita e prigioniera, qui
rappresentata da questo ragazzo ammalato: compiere in ciascuno quell’opera di
illuminazione e liberazione che porti ogni persona a riconoscersi e ad essere riconosciuta
come "figlio di Dio", secondo quanto diceva la Voce divina sul monte
di ieri. Tale è il mistero di questa umanità prigioniera del male e chiamata
alla libertà dei figli di Dio!
L'infermità di questo figlio è complessa: si presenta come
malattia ("è epilettico e soffre molto..." dice al ver.15), ma si
rivelerà come possesso demoniaco ("Gesù gli parlò severamente, e il
demonio uscì da lui" si dice al ver.18). Non possiamo qui affrontare un
tema tanto complesso. Diremo però che quando un malato è in ogni modo liberato
da ogni presenza del demonio, la sua situazione è "guarita", al punto
che se anche rimangono elementi di infermità e di sofferenza, questi sono ormai
segni della partecipazione alla Passione di Gesù e non più luogo dove domina lo
spirito del Male.
Non sappiamo che cosa abbiano tentato di fare i discepoli
interpellati dal padre del ragazzo. Certamente non sono riusciti a liberarlo.
Certamente non hanno pregato per lui. Il miracolo più importante che è sempre
la liberazione dal Maligno, e che talvolta si può accompagnare anche con la
guarigione fisica o psichica, si può ottenere solo con la preghiera e il
digiuno, come sappiamo dal ver.21. Liberata dal maligno, ogni esistenza, anche
quella che apparisse tristemente ferita a causa di una malattia, ormai
risplende della luce della Trasfigurazione, e anzi proprio perchè nella
"passione", manifesta in modo ancor più forte la passione di Gesù che
è la fonte della liberazione dell'uomo dal male e dalla morte.
lunedì 5 settembre 2005 Mt
17,1-13
17:1 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro; il
suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3 Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia,
che conversavano con lui. 4
Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare
qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5 Egli stava ancora parlando quando
una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva:
«Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.
Ascoltatelo». 6 All'udire ciò, i
discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7 Ma Gesù si avvicinò e, toccatili,
disse: «Alzatevi e non temete». 8
Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.
9 E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non
parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto
dai morti».
10 Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli
scribi dicono che prima deve venire Elia?». 11 Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. 12 Ma io vi dico: Elia è già venuto e non
l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il
Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro». 13 Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il
Battista.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il cap.16 ci ha portato dentro il dramma e la meraviglia
dell'umanità e della divinità di Gesù di Nazaret, Figlio dell'uomo e Figlio di
Dio. Siamo al cuore della nostra fede. Siamo al punto che fa della fede
cristiana un evento non confondibile con nessun altro fenomeno religioso: in
Gesù s'incontrano pienamente e per sempre Dio e la sua creatura prediletta.
Gesù è Dio e Uomo. Abbiamo visto come in Pietro la confessione della divinità e
il rifiuto della povertà creaturale si susseguono. Ora questo dramma
meraviglioso in certo senso si "fisicizza" nel miracolo della
Trasfigurazione che oggi celebriamo.
"In disparte, su un alto monte"(ver.1) colloca
l'evento che segue in uno spazio privilegiato, non comune: si può credo pensare
ad un ambito liturgico. Infatti la memoria cristiana dell'episodio lo ha sempre
collegato alla celebrazione del mistero pasquale che il popolo celebra in ogni
Liturgia. Anche la scelta dei tre sembra suggerire l'idea di un evento di per
sé non fruibile e non costruibile dall'uomo, un dono della misericordia divina,
un privilegio per chi ne è invitato.
Il verbo usato qui e nel parallelo di Marco 9,2 per dire
l'evento della trasfigurazione è usato due volte da Paolo. Esso indica una
trasformazione, cioè un cambiamento di forma. Nel nostro caso è l'illuminazione
dell'umanità di Gesù con la luce divina e la voce del Padre. La trasfigurazione
è dunque, come accennavo sopra, la "rivelazione", il farsi
miracolosamente visibile della realtà di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo.
Credere in Gesù Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo è il cuore della fede e
dell'esperienza cristiana. Il sole e la luce entrano nella descrizione
dell'avvenimento (ver.2).
Il testo parallelo di Luca 9,28-36 (anche oggi guardare un
momento ai paralleli di Marco e Luca, ma anche, in un contesto diverso, a
Giovanni 12,28-30, vi sarà prezioso), ci spiega quello che nel nostro brano, al
ver.3, resta implicito. Dice infatti Luca che l'oggetto delle parole tra Mosè
ed Elia e il Signore, è "la sua dipartita che avrebbe portato a compimento
a Gerusalemme". Intorno a Gesù si raccolgono dunque tutta la creazione,
rappresentata dalla luce e dal sole come immagine della gloria divina; e tutta
la storia che è stata profezia e preparazione di Lui, rappresentata qui da
Mosè, grande iniziatore della "Legge", e da Elia, primo dei grandi
profeti. Elia che è stato il primo, è nella fede dei padri ebrei quello
aspettato per ultimo, come immediato precursore del Messia. E questo sarà
confermato e spiegato nel nostro testo ai vers.10-13).
E' molto forte anche l'immagine delle tende e della tenda.
Essa sembra evocare l'intenzione di Davide di costruire una Casa per il Signore
in 2 Samuele 7, e l'annuncio che sarà il Signore a costruire una Casa per
l'intera umanità. Qui s'incontrano, ai vers.4-
sabato 3 settembre 2005 Mt
16,24-28
24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol
venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vorrà salvare la propria
vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Qual vantaggio infatti avrà l'uomo
se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa
l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? 27 Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo,
con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
COMMENTO DI GIOVANNI
Come già ieri accennavamo, l'evento pasquale di morte e
risurrezione di Gesù Cristo è veramente il principio della nuova creazione e
della nuova storia. Per questo noi ne veniamo radicalmente interpellati e
coinvolti sia a livello personale, come è evidente nelle parole che oggi
riceviamo dalla bontà di Dio, sia a livello della comunità cristiana in tutte
le sue forme e manifestazioni. Mi sembra che il mistero e la centralità
dell'amore e del comandamento dell'amore sia al cuore di questi versetti. Il
grande desiderio, il grande progetto è, come dice Gesù "venire dietro a
me", seguirlo, cioè, e quindi assimilare la nostra persona e la nostra
vita alla sua. A proposito delle parole "prenda la sua croce e mi
segua" sempre al ver.24, Origene dice che mentre secondo il Vangelo di
Giovanni Gesù è uscito portando da Sé la croce, gli altri Vangeli dicono che
Simone Cireneo l'ha portata; prendere la croce di Gesù e farla nostra, prendere
la sua parola, assumere e celebrare la sua obbedienza al Padre...questa è la
Croce di Cristo che noi possiamo prendere, ricevendola con quelle
determinazioni storiche che si attuano diversamente in ciascuno, ma che
esprimono tutte lo stesso evento della Pasqua del Signore.
Al ver.25 è propria del solo Matteo l'espressione "la
troverà" nell'affermazione di Gesù: "chi perderà la propria vita per
causa mia" "la troverà": perchè la vera unica via per realizzare
il nostro progetto esistenziale - che è in realtà quello che Dio ha per noi - è
quel "perdersi per amore, perdersi d'amore" che è al centro della
rivelazione cristiana e che è il cuore segreto della profezia dei padri ebrei.
Solo una vita concepita e vissuta come "offerta della vita" consente
di capire veramente che cosa la vita sia!
La nostra traduzione italiana esita nella traduzione del
termine che al ver.25 rende con il termine "vita", e al ver.26 con il
termine "anima". L'anima deve essere pensata nel linguaggio biblico
proprio come la vita nella sua più profonda sostanza. Pensarla
"filosoficamente" come la parte che sopravvive alla morte del corpo
non sempre semplifica il ragionamento. Penso quindi che il termine
"vita" possa essere il più adatto. Essa viene descritta come il
supremo bene di ciascuno: vale più del "mondo intero" secondo il
ver.26; e d'altra parte non abbiamo nessuna cosa che possa darci un possesso
personale e infinito di essa, se non appunto questo "perdersi" dietro
a Gesù che ci ha immesso nel suo cammino di morte e risurrezione, di offerta
della vita come nome nuovo della morte.
Tutto questo è veramente una nuova "prassi" come
Gesù afferma al ver.27. Così il termine letterale che l'italiano rende con "le
sue azioni". E' una concezione radicalmente nuova, una prassi nuova, nella
quale invece di difendersi ci si offre: questo, sempre secondo il ver.27, è il
giudizio con il quale saremo giudicati. Abbiamo in questo modo l'evidenza di
quanto sia inadeguata una morale cosiddetta naturale o razionale: sia perchè la
natura dell'uomo è ferita e quindi incapace concretamente di quello che magari
razionalmente può cogliere come giusto e vero; sia perchè la vita nuova in
Cristo si pone ben oltre quello che razionalmente possiamo vedere come buono.
E' il collegamento ad un'etica razionale più che all'etica evangelica che
scaturisce dalla persona del Signore, che spesso ha portato i cristiani su
posizioni molto deboli. Un'etica razionale può giustificare ad esempio una
guerra come legittima difesa; ma questo è difficile affermarlo se si tengono
ferme le parole che oggi ascoltiamo e celebriamo e che ci parlano della vita
come dono e offerta della vita.
venerdì 2 settembre 2005 Mt
16,21-23
21 Da allora Gesù cominciò a dire
apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto
da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e
risuscitare il terzo giorno. 22
Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne
scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu
mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
COMMENTO DI GIOVANNI
Evidentemente il Signore vuole che noi teniamo strettamente
collegato quello che Pietro non vorrebbe - e che anche noi difficilmente
sappiamo cogliere nel suo essenziale rapporto - e cioè quale nuovo volto
assumano la morte e la vita a motivo della persona e dell'opera tra noi e in
noi del Figlio di Dio. E' dunque significativo che sia lo stesso Pietro ad
accompagnare le generazioni cristiane in questa suprema fatica sapienziale e
morale: la sua opposizione all'esito esistenziale previsto e affermato da Gesù,
il rimprovero severo che egli riceve dal Maestro, l'annuncio lapidario della
sua Pasqua di morte e risurrezione, tutto questo ci porta al cuore
dell'esperienza cristiana. Consideriamo qualche passaggio di queste mirabili
parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio.
Gesù non solo "dice apertamente", come ascoltiamo
dalla versione italiana del ver.21, ma "cominciò a mostrare", e
dunque non solo con le parole, il contenuto e l'esito di ciò che sarebbe
accaduto. Tutto questo non è in contrasto con la rivelazione che Pietro ha
avuto dal Padre subito prima, ma anzi ne è la rivelazione suprema. Il cuore
della missione di Cristo è proprio
Al centro di tutto si pone il quesito e l'enigma del senso
della vita e della morte, il mistero del male e la sua sconfitta ad opera
dell'Amore. Siamo veramente alle sorgenti della nuova creazione. La morte come
principio della vita. La vita come offerta d'amore della vita stessa. La morte
non più come ultima parola dell'esistenza, ma la risurrezione da morte come
sostanza e sapienza della rigenerazione universale nella morte e risurrezione
del Figlio di Dio. Vi chiedo scusa per la totale inadeguatezza di quello che
scrivo e che sarà superato e corretto dalla vostra personale preghiera e dalla
sorprendente novità sapienziale che ognuno può concretamente sperimentare proprio
a partire dalla centralità di questo annuncio di Gesù.
Per questo non si deve pensare che il rimprovero del Signore
a Pietro sia enfatico. Qui si gioca infatti tutto il significato della vita di
Cristo, dei suoi discepoli, e di tutta l'umanità. Satana, il signore del male e
della morte, è l'antagonista fondamentale. Quello che il pensiero e l'istinto
profondo della natura ferita e prigioniera dell'uomo è il suo paradigma. La
totale negatività della morte e quindi la disperata caduta di senso e di speranza
per quello che riguarda la vita dell'uomo sono l'energia negativa che fin da
Caino ha fatto della morte la negativa potenza dell'uomo contro se stesso. La
morte invece è obbedienza a Dio, è offerta della vita e quindi principio della
vita.
giovedì 1 settembre 2005 Mt 16,13-20
13 Essendo giunto Gesù
nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi
dice che sia il Figlio dell'uomo?». 14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista,
altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Voi chi dite
che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né
il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti
dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte
degli inferi non prevarranno contro di essa.
COMMENTO DI GIOVANNI
Come anticipavamo ieri, il brano che oggi il Signore ci regala è l'apice
dell'insegnamento di questo capitolo, dedicato alla conoscenza e alla sapienza
della fede. Questa fede era esaltata di fronte alla pretesa di farisei e
sadducei di avere segni e prove del cielo sulla realtà e il mistero della
persona di Gesù (vers.1-4). La vicenda del pane dimenticato e del lievito dei farisei
e dei sadducei (vers.5-12) aveva dato occasione a Gesù di chiarire che la
conoscenza e la sapienza che scaturiscono dalla fede - e che sono la fede
stessa - non si possono conquistare né con i meriti morali né con le
razionalizzazioni mondane. Ora risplende pienamente la fonte della fede come
dono di Dio Padre.
Questo dono non è una novità che con Cristo nascerebbe dal nulla. La fede
ha generato e accompagnato tutta la storia della salvezza. Il fatto che Gesù
possa essere scambiato con Giovanni il Battista, Elia, Geremia e altri profeti
(ver.14) dice chiaramente come Egli si collochi nel solco di una tradizione
spirituale che Dio ha regalato ai padri ebrei e attraverso di loro all'intera
umanità. Questa storia divina ora giunge al suo apice nella persona e
nell'opera del Figlio di Dio. Riconoscere questo e trarne tutte le conseguenze
è dunque evento decisivo: "Voi chi dite che io sia?"(ver.15). Non più
la Legge e la profezia, non tanto i "segni" di Dio nella creazione,
ma Dio stesso si rende pienamente presente alla storia nella persona di suo
Figlio: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"(ver.16).
L'accoglienza di Lui, seguire Lui, la comunione d'amore con Lui...è
La confessione di Pietro non è un fatto umano, non è umana facoltà e
capacità, non è merito di intelligenza o di virtù: anzi, tutte queste cose sono
quel "lievito dei farisei e dei sadducei" dal quale bisogna
guardarsi. L'umile pescatore di Galilea si fa voce dei suoi compagni e indica
al mondo intero e a tutte le generazioni umane il punto assoluto dell'elezione
divina e il luogo della salvezza per ogni uomo e donna della terra. Su questa
"pietra" della fede si edifica la nuova comunità umana riconciliata e
sposata con Dio. In essa si rende presente la sapienza e la potenza di Dio. Il
compito che scaturisce dalla fede è quello di portare nella storia il giudizio
salvifico del Vangelo del Signore. "Legare" tutto ciò che è male e
morte, e "sciogliere", cioè liberare e manifestare tutto il dono di
Dio, è il compito storico che scaturisce e compete alla fede cristiana
(vers.18-19).
La Chiesa è edificata dal Signore: "su questa pietra edificherò la
mia chiesa". Quindi anche la Chiesa è puro dono di Dio. Umile realtà
storica, accoglie in sé tutti i limiti e gli errori dell'umanità ferita e
prigioniera, limiti ed errori che, come vedremo nello stesso Pietro, segnano la
vicenda di ogni persona. Eppure "le porte degli inferi non prevarranno
contro di essa"(ver.18). La Chiesa è dunque l'unica realtà storica dove le
ferite del peccatore non sono occasione e causa di condanna, ma principio di
salvezza, inizio e svolgimento di una strada nuova non più verso la morte ma
verso la pienezza della vita.
In un suo bellissimo commento, Origene ricorda quella "pietra"
spirituale che accompagnava e dissetava il popolo di Dio nel suo cammino nel
deserto verso
mercoledì 31 agosto 2005 Mt 16,5-12
5 Nel passare però
all'altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere il pane. 6 Gesù
disse loro: «Fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei
sadducei». 7 Ma essi parlavano tra loro e dicevano: «Non abbiamo preso il
pane!». 8 Accortosene, Gesù chiese: «Perché, uomini di poca fede, andate
dicendo che non avete il pane? 9 Non capite ancora e non ricordate i cinque
pani per i cinquemila e quante ceste avete portato via? 10 E neppure i sette
pani per i quattromila e quante sporte avete raccolto? 11 Come mai non capite
ancora che non alludevo al pane quando vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei
farisei e dei sadducei?». 12 Allora essi compresero che egli non aveva detto
che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei
sadducei.
COMMENTO DI GIOVANNI
Siamo entrati in questo cap.16 con la richiesta da parte dei farisei e
dei sadducei di un segno dal cielo. Il Signore oggi non si scosta dal tema di
ieri, anzi lo approfondisce, prendendo occasione da un fatto - "i
discepoli avevano dimenticato di prendere il pane"(ver.5) - e sviluppando
il discorso iniziato ieri che ci porterà domani fino alle sue parole a Pietro
al ver.17: "Beato te, Simone...". Mi sembra che Gesù ci stia portando
dentro il grande tema del dono, della totale gratuità della salvezza, e quindi
dell'autentico orizzonte della fede.
Al ver.6 Egli scosta i discepoli dalla loro preoccupazione immediata per
far loro cogliere il senso profondo della loro ansiosa conversazione. Il ver.7
ci mostra che essi non riescono ad abbandonare i loro pensieri e sembrano
lasciar cadere la provocazione del Maestro: "Fate ben attenzione e
guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei". Approfitto di questo
passaggio per ricordare con voi che farisei e sadducei sono due categorie di
persone molto diverse tra loro e in grande contrasto. I farisei sono scrupolosi
osservanti della Legge che considerano con molta serietà e che accettano nella
sua integrità (ricordiamo che Paolo è di origine farisaica!), anche se lo
scrupolo di essere letteralmente fedeli alla norma li porta a un moralismo
aggressivo che soffoca in loro un vero atto di fede. I sadducei hanno una
concezione mondanizzata della vita, sono compromessi con le logiche del potere,
e rifiutano ciò che esce dall'orizzonte della visibilità materiale, negando
l'esistenza di un mondo dello spirito e quindi la realtà della risurrezione dei
morti, tutto umiliando in una concezione intramondana. E' dunque ancor più
interessante cogliere il motivo per cui Gesù li accomuna nello stesso giudizio
negativo!
Per proseguire nel suo insegnamento Egli porta i discepoli - ai vers.8-10
- a ricordare i due grandi miracoli del pane e li provoca a considerarne la
sovrabbondanza attraverso il particolare dei molti resti che allora hanno
raccolto. E infine la conclusione rivelatrice della direzione impegnata verso
la quale li sta portando: la citazione di quei due fatti prodigiosi ha lo scopo
di evidenziare l'atteggiamento drammaticamente sbagliato che accomuna farisei e
sadducei non tanto e non solo in un giudizio di condanna, quanto
nell'infelicità di una posizione estranea alla fede. Il problema infatti
riguarda le loro concezioni, anzi, a questo punto la loro "comune"
dottrina, appunto la "dottrina dei farisei e dei sadducei"(ver.12); è
così che i discepoli arrivano a comprendere la delicatezza e l'importanza
assoluta di quanto Gesù viene dicendo. Proviamo anche noi a ipotizzare il
contenuto di un discorso che nel nostro testo resta implicito, e che forse è
aperto a diverse interpretazioni.
A me sembra che, confermando anche il problema del "segno dal
cielo" trattato ieri, appaia che l'errore drammatico che unisce farisei e
sadducei - ma tutti siamo almeno un po' farisei e sadducei! - è lo smarrimento
totale del "dono di Dio". I farisei per la loro tradizione
moralistica e scrupolosa e i sadducei per la loro mondanità di pensiero,
entrambi non conoscono e non riconoscono che fede e salvezza sono dono! Dono da
parte di Dio di una realtà e di una vita impossibile agli uomini, una
"vita nuova" che non si può né conquistare né rapire, ma che può
solamente essere ricevuta in dono. Proprio come quei pani che fondavano
visibilmente la storia salvifica del pieno e definitivo incontro tra la povertà
dell'uomo e la sovrabbondanza dell'amore di Dio per lui. Se si perde questo,
cade
martedì 30 agosto 2005 Mt 16,1-4
16:1 I farisei e i
sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse
loro un segno dal cielo. 2 Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo,
perché il cielo rosseggia; 3 e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è
rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete
distinguere i segni dei tempi? 4 Una generazione perversa e adultera cerca un
segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona». E lasciatili, se
ne andò.
COMMENTO DI GIOVANNI
Riprende qui, all'inizio del cap.16, memoria del grande
"riconoscimento" del Figlio di Dio attraverso il dono della fede, il
tema del "segno" che abbiamo trovato ampiamente sviluppato in
Mt.12,38-42; quello che allora veniva richiesto per "garantire" la
fede, ora viene chiesto come "prova" della persona di Gesù.
La risposta del Signore, prima di ritornare nuovamente sul tema del
"segno di Giona" - come appunto al cap.12 - rimprovera l'insincerità
dei farisei e dei sadducei attraverso l'esempio della "meterologia":
l'esperienza e il buon senso di una modesta scienza popolare consentono di
cogliere dalle manifestazioni della natura il "messaggio" che svelano
riguardo alla stagione e alle sue caratteristiche! Come a dire che i segni già
manifestati nella persona e nell'opera di Gesù sono il segno evidente del
"segreto" del Figlio di Dio. Dunque, non che il Signore non voglia
dare segni; ma di segni ne ha già dati! Qui vengono citati i "segni dei
tempi"(ver.3), senza ulteriori esplicitazioni; forse si possono intendere
come gli eventi che svelano il grande incontro tra la ferita mortale della
storia e la salvezza donata da Dio in pienezza nel mistero di Gesù Cristo.
Viene a questo punto ripresa l'immagine del "segno di Giona",
l'evento e - in certo senso - lo scandaloso "contro-segno" della
passione e della morte del Signore, e la gloria misteriosa della sua
risurrezione. Là veramente la fede splenderà come drammatico e splendente
evento di umile e forte accoglienza. E sappiamo che bisogna addirittura
aggiungere come proprio a partire da questo "segno di Giona", un
segno che è un "non-segno" e in certo senso il "naufragio"
di ogni segno razionalmente percepibile - e non perchè irrazionale, ma se mai
"sopra-razionale - è a partire da questo che tutta la creazione e tutta la
storia entrano nella loro nuova e piena intelligibilità.
sabato 27 agosto 2005 Mt 15,32-39
32 Allora Gesù chiamò a
sé i discepoli e disse: «Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni
mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni,
perché non svengano lungo la strada». 33 E i discepoli gli dissero: «Dove
potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?».
34 Ma Gesù domandò: «Quanti pani avete?». Risposero: «Sette, e pochi
pesciolini». 35 Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, 36 Gesù
prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i
discepoli li distribuivano alla folla. 37 Tutti mangiarono e furono saziati.
Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene. 38 Quelli che avevano
mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini. 39
Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.
COMMENTO DI GIOVANNI
La memoria di questo secondo "miracolo dei pani" chiude il
cap.15 dove, messo in evidenza il grande dramma del cuore dell'uomo, Gesù ci ha
ricordato l'esigenza assoluta di custodire e ricevere nella sua potenza e santità
la Parola di Dio, seme incorruttibile di rigenerazione e di fecondità; ci ha
annunciato, con la vicenda della madre cananea, la destinazione universale del
dono della salvezza e della vita nuova liberata dal male e dalla morte; infine,
ci ha reso testimoni della sua immensa opera nei confronti di un popolo di
malati.
Sembra sia guardando proprio a questa gente da Lui sanata che il Signore
sente compassione. Veniamo a sapere che "da tre giorni" stanno con
Lui (non dice che gli vengono dietro come traduce la versione italiana). Sono
un po' tentato di attribuire anche un significato simbolico a questa sosta di
tre giorni, durante la quale molti sono stati sanati dalle loro infermità e una
folla stupita ha glorificato Dio per le meraviglie operate da Gesù: non credo
sia illegittimo pensare che in quei "tre giorni" si nasconda
un'allusione alla Pasqua del Figlio di Dio, fonte e causa della salvezza del
mondo. Ci potremmo domandare allora come mai Egli senta compassione per questa
folla da Lui sanata, che potrebbe non avere più bisogno di un intervento
speciale. Ma, come accennavamo a proposito del testo precedente, la guarigione
di questa gente non è un prodigio isolato né un atto magico; è invece il
principio di una vita nuova generata e nutrita dalla comunione con Dio.
Dicevamo ieri che i ciechi, per esempio, non è che non siano più ciechi, ma
essendo sempre nella povertà della loro condizione, godono della luce del
Signore che li ha invasi e li accompagna. Così io penso di spiegare la
preoccupazione di Gesù circa la loro debolezza se Egli li lasciasse partire, li
congedasse, senza nutrirli. Singolare condizione della vita cristiana,
singolare e meravigliosa: proprio perchè visitata da Dio, non può più rimanere
senza di Lui!
A questo punto è necessario tener conto delle diversità che qui notiamo
rispetto al primo miracolo dei pani di Matteo 14,13-21. Là sembrava che di per
sé il miracolo non fosse così assolutamente necessario, e i discepoli avevano
preso l'iniziativa verso Gesù per dirgli di congedare la folla perchè andasse a
procurarsi pane nei villaggi circostanti; ma il Signore aveva voluto compiere
quel miracolo che dunque sembrava avere un significato soprattutto simbolico; e
noi vi abbiamo colto un'immagine della Eucaristia, banchetto liturgico che significa
e realizza il misterioso "necessario" per tutti: essere in ogni modo
nutriti dall'Amore di Dio. Adesso però, nelle parole che oggi il Signore ci
regala, la necessità è denunciata dal Signore stesso che dice ai discepoli di
non volere "rimandarli digiuni, perchè non svengano lungo la
strada"(ver.32). Tutto questo mi ha portato a pensare che mentre nel primo
miracolo il Signore volesse porre innanzi tutto il segno e il dono del Pane del
Cielo della Parola che è cibo essenziale per la vita nuova, qui il Signore
parli di quel pane necessario che "continua" il Pane dell'Eucaristia
nella storia personale e collettiva di coloro che nei "tre giorni"
pasquali del loro battesimo di morte-risurrezione sono stati rigenerati: questo
Pane è
venerdì 26 agosto 2005 Mt 15,29-31
29 Allontanatosi di là,
Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là. 30
Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi
e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. 31 E la
folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi
raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava
il Dio di Israele.
COMMENTO DI GIOVANNI
E' interessante la "storia" del verbo che compare nel nostro
testo di oggi al ver.30: "li guarì". In origine il verbo significa
"servire"; quindi entra nel linguaggio medico, dove il servizio è la
cura, è la terapia; infine, con Gesù, entra decisamente nel suo risvolto pieno
e finale, e diventa appunto "guarire". Mi sembra bello custodire
tutti questi significati che bene descrivono nella loro connessione la suprema
diaconia del Cristo che è venuto a darci la sua vita per condurci alla
salvezza.
Se questo viene tenuto molto chiaro, è evidente che Lui è il vero unico
medico della vita umana. Questo forse spiega l'uso di un verbo che in italiano
è reso al ver.30 con "li deposero", per dire di quelle folle che sono
venute sul monte di Dio con molti malati. Il verbo, molto forte, direbbe che "li
gettarono" ai suoi piedi. Mi sembra che ne nasca un suggerimento potente
circa il fatto che la cosa migliore che si può fare è "gettare ai suoi
piedi" i nostri fratelli, come evidentemente noi abbiamo bisogno che i
nostri fratelli ci gettino ai piedi del Signore; gettare, come ieri la madre
cananea, con la sua travolgente preghiera, gettava la sua figlia indemoniata ai
piedi di Gesù.
E' molto importante ancora una volta prendere atto che noi non siamo i
salvatori di nessuno, ma siamo i testimoni dell'opera di salvezza che il
Signore compie su tutti coloro che gli portiamo nelle grandi vie della carità
fraterna e della preghiera; e su noi stessi che a Lui non arriveremmo se altri
non ci portassero e non ci gettassero ai suoi piedi. Liberiamoci da tutte le
opacità che ci impedissero di accorgerci di tutto questo "con
stupore" come è detto al ver.31. Questo versetto sembra voler suggerire
che il parlare dei muti come il vederci dei ciechi non diventa mai un fatto
"naturale", o per lo meno un "dato di fatto" a partire
dall'intervento miracoloso del Signore; esso resta perennemente un prodigio:
sono muti, eppure parlano, sono ciechi, ma ci vedono. Perchè tutto quello che
accade loro non è loro, ma del Signore che opera in loro. E noi non possiamo
che essere sempre stupiti delle meraviglie che Dio compie in noi e nei nostri
fratelli.
giovedì 25 agosto 2005 Mt 15,21-28
21 Partito di là, Gesù
si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva
da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide.
Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rivolse
neppure una parola.
Allora i discepoli gli
si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24 Ma egli
rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di
Israele». 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore,
aiutami!». 26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo
ai cagnolini». 27 «È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si
cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù
le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri».
E da quel istante sua figlia fu guarita.
COMMENTO DI GIOVANNI
Per noi che abbiamo la grazia di una "lectio continua" della
Scrittura e, in questi mesi, di questo cammino nel Vangelo secondo Matteo, è
importante notare la rilevanza del testo di oggi in connessione con tutto
quello che il Signore ci ha donato in precedenza e particolarmente in questo
cap.15. Abbiamo ascoltato negli ultimi giorni il grande insegnamento di Gesù
riguardo all'incontro salvifico tra Lui e il suo Vangelo da una parte e il
nostro cuore malato dall'altra. L'incontro con la donna cananea assume il
valore di una dilatazione universale del dramma del cuore umano e il bisogno
altrettanto universale di una salvezza che solo Dio può donare con la potenza
della sua Parola. Anche questa donna, che qui dunque viene in qualche modo a
rappresentare l'intera umanità al di là del popolo eletto, si trova nel dramma
del male più radicale ("Mia figlia è crudelmente tormentata dal
demonio": è chiaramente quella ferita e prigionia del cuore che veniva
indicata al ver.19 del brano precedente), male dal quale solo Dio può salvarla.
Ci incontriamo con la "resistenza" di Gesù di fronte alla
richiesta di questa donna straniera. Tre affermazioni, forti fino alla durezza,
esprimono tale resistenza: "...Egli non le rivolse neppure una parola
(alla lettera: non rispose a lei parola)"(ver.23); "Non sono stato
inviato che alle pecore perdute della casa di Israele"(ver.24); abbiamo
trovato questa espressione nelle istruzioni da Lui date ai Dodici in Mt.10,6);
"Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai
cagnolini"(ver.26). Io non riesco a ricevere queste parole come sintomo di
una situazione che dovrà essere lasciata per una destinazione universale del
Vangelo della salvezza. Credo invece che questo "privilegio" di
Israele sia perenne, ma nell'orizzonte dello Spirito, nel senso che la grande
economia della profezia e della salvezza affidata da Dio a Israele, è,
spiritualmente, via d'obbligo per tutta l'umanità, rispetto alla quale il
popolo della Prima Alleanza è segno privilegiato e maestro necessario
dell'incontro tra la povertà dell'uomo e la potenza salvifica dell'amore di
Dio. Israele consegna all'intera umanità questo paradigma essenziale della
salvezza, così assolutamente contrario alle concezioni religiose istintive che
prevedono non un Dio che si piega verso l'umanità, ma un'umanità che si
autodivinizza innalzandosi verso Dio (ma questo è in modo assoluto il
"peccato originale"!). La fede che Gesù trova in questa donna è
quindi in realtà la "fede di Israele", o addirittura una
"misura" di fede che, come diceva al centurione di Mt.8,10, non ha
mai trovato in Israele. Ma si tratta appunto di quella fede che ha segnato e
accompagnato tutta la storia del popolo del Signore fin dalla liberazione
dall'Egitto e persino dentro alla potenza creatrice di Dio, che ancora Israele
considera nella prospettiva della salvezza. La fede di Israele resta dunque
quel dato originario che è l'orizzonte nel quale si compie la salvezza
dell'intera umanità. A dire che non c'è salvezza se non per chi ha bisogno di
essere salvato. Vi ricordo il mirabile versetto del Sal.50(51),14 "Rendimi
la gioia di essere salvato" che Girolamo nella sua traduzione dal testo
ebraico rende con "Rendimi la gioia del tuo Gesù", giocando sul significato
del nome Gesù, che vuol dire "Dio salva". Diceva Pio XI che ogni
cristiano deve essere spiritualmente giudeo.
Questa donna cananea viene dunque a rappresentare la Chiesa delle genti,
la speranza della salvezza per tutti i popoli, la necessità che il Vangelo sia
portato sino ai confini della terra. La straordinaria risposta della donna sul
tema del pane ai cagnolini ci regala anche il meraviglioso e altrettanto
essenziale intreccio tra fede e umiltà.
martedì 23 agosto 2005 Mt 15,10-20
10 Poi riunita la folla
disse: «Ascoltate e intendete! 11 Non quello che entra nella bocca rende impuro
l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!».
12 Allora i discepoli
gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel
sentire queste parole?». 13 Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata
piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. 14 Lasciateli! Sono ciechi e
guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno
in un fosso!». 15 Pietro allora gli disse: «Spiegaci questa parabola». 16 Ed
egli rispose: «Anche voi siete ancora senza intelletto? 17 Non capite che tutto
ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? 18
Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo
l'uomo. 19 Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli
adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. 20
Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le
mani non rende immondo l'uomo».
COMMENTO DI GIOVANNI
Le parole importantissime che oggi il Signore ci regala sono in forma di
parabola, come comprendiamo dalla domanda di Pietro a Gesù al ver.15:
"Spiegaci questa parabola". La parabola è quella espressa da Gesù al ver.11,
e da Lui spiegata ai vers.17-20. Altre due piccole parabole sono dette ai
vers.13-14, entrambe per esprimere la condanna radicale da parte del Signore
della dottrina farisaica. Questa condanna è bene tenerla molto presente perchè
al rischio dello spirito farisaico siamo sempre esposti. Il conflitto tra il
pensiero dei farisei e quello di Cristo si presenta qui come assoluto. Infatti,
per quello che i discepoli riferiscono a Gesù, "i farisei si sono
scandalizzati" per le parole di Gesù al ver.11: "Non quello che entra
nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro
l'uomo".
La discussione di ieri sul puro e l'impuro diventa oggi il discorso
fondamentale sul problema del male, e su ciò che il Figlio di Dio è venuto a
sanare e liberare. La denuncia che ieri veniva fatta sulla devianza dalla
Parola di Dio causata dalle tradizioni degli uomini, diventa oggi il grande
tema del cuore umano, il grande malato, il grande prigioniero del male, la
fonte quindi di ogni cosa cattiva, ciò che deve essere visitato dal grande
Medico, venuto per sanare e liberare dal Male e dalla Morte la creatura amata e
perduta.
Tutto questo è molto delicato e prezioso per la nostra generazione che
vive in un mondo convinto e preoccupato di difendere l'uomo da ogni esperienza
negativa. Il che ha una sua verità, ma diventa inganno terribile se ci si
dimentica che il problema non è esterno all'uomo, ma intimo a lui. E' dal cuore
dell'uomo che esce il male che, passando per la sua bocca, rende immondo l'uomo.
Ogni cosa, in se stessa, non è né bene né male: il bene e il male vengono
"decisi" dal cuore e nel cuore dell'uomo. Ma è proprio questo cuore
ad essere prigioniero del mistero del male. E' proprio il nostro povero cuore
che il Signore è venuto a liberare e a trarre a Sé.
Possiamo allora cogliere la connessione profonda tra il tema della
Parola, fonte e seme incorruttibile di salvezza, e il tema del cuore dell'uomo,
destinazione privilegiata della Parola, l'unica potenza capace di rigenerare la
stirpe ferita della creatura prediletta da Dio.
lunedì 22 agosto 2005 Mt 15,1-9
15:1 In quel tempo
vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: 2
«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non
si lavano le mani quando prendono cibo!». 3 Ed egli rispose loro: «Perché voi
trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? 4 Dio ha
detto:
Onora il padre e la madre
e inoltre:
Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte.
5 Invece voi asserite:
Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a
Dio, 6 non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato
la parola di Dio in nome della vostra tradizione. 7 Ipocriti! Bene ha profetato
di voi Isaia, dicendo:
8 Questo popolo mi onora con le labbra
ma il suo cuore è lontano da me.
9 Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini».
COMMENTO DI GIOVANNI
La risposta data ai discepoli di Giovanni in Mt.9,14-17, e il miracolo dei
pani in Mt.14,13-21 hanno collocato il segno della Cena al cuore della fede di
Gesù Cristo: è la sua presenza tra il suo popolo e nella storia dell'intera
umanità ad esigere tutto questo. Il nostro brano di oggi ci mostra che anche le
disposizioni divine custodite dalla Legge e dalle profezie devono essere
purificate proprio per cogliere con luminosità come tutto si compia ora nella
persona e nell'opera del Figlio di Dio.
E' subito evidente che farisei e scribi fanno grande una cosa piccola. La
risposta del Signore mostra con chiarezza che purtroppo è gente come loro a
umiliare le meraviglie esigentissime della Parola di Dio con
"aggiunte" inutili, e, quel che è peggio, gravemente lesive della via
tracciata da Dio per il suo popolo, negazioni drammatiche della Parola stessa.
Egli dunque volutamente sposta il discorso su un piano di grande rilievo per
denunciare clamorosamente come aggiungere e togliere qualcosa dalla Parola sia
principio di mali incontrollabili. I vers.2-3 giocano su uno "scambio"
di termini tra la domanda farisaica e la risposta di Gesù: alla loro accusa
circa la trasgressione della tradizione degli antichi da parte dei discepoli,
Egli ribatte con la contro domanda accusatoria circa il fatto che loro
trasgrediscono il comandamento di Dio con la loro tradizione! Trasgressione e
tradizione vengono chiarite e strappate
dallo stravolgimento delle disposizioni cattive decise dagli uomini; non solo
decise, ma addirittura imposte o fatte passare per "tradizione degli
antichi". Qui il discorso è molto delicato perchè è non solo innegabile ma
anche del tutto necessario che l'incontro con la Parola di Dio avvenga nel
solco di una tradizione spirituale trasmessa dalle generazioni dei credenti; ma
è evidente che tale tradizione non può essere che assertiva nei confronti della
Parola che la tradizione deve rigorosamente servire. Non voglio addentrarmi
troppo in un tema che esigerebbe ben altra competenza della mia; mi limito qui
a notare che nella sua risposta Gesù non riprende l'espressione "tradizione
degli antichi", ma parla di "vostra tradizione".
Citando il comandamento del Decalogo sull'onore da rendere al Padre e
alla Madre (Esodo 20,12), Gesù denuncia l'affermata degradazione di esso
attraverso l'inganno di una falsa "sacralità". Approfitto di quanto
stiamo ascoltando dal Signore per ricordare che la fede ebraico cristiana non è
mai umiliazione dell'umanità, ma sempre sua illuminazione e pienezza, anche
quando razionalmente, o nel ciclone degli avvenimenti, parrebbe chiedere
qualcosa di disumano o almeno di svalutante la realtà dell'uomo nella creazione
e nella storia. "Così - dice Gesù - avete annullato la Parola di Dio in
nome della vostra tradizione"(ver.6). Citando a questo proposito le
Scritture profetiche Egli mostra lo smacco del rapporto con la Parola di Dio.
La citazione di Isaia è interessante e Origene nel suo commento al nostro testo
suggerisce di fare lettura ampliata di Isaia 29, dove si vede bene che non si
tratta di un singolo grave peccato da parte del popolo, ma di una condizione di
cecità interiore del tutto generalizzata e umanamente invalicabile.
sabato 20 agosto 2005 Mt 14,34-36
34 Compiuta la
traversata, approdarono a Genèsaret. 35 E la gente del luogo, riconosciuto
Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati, 36
e lo pregavano di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello. E quanti lo
toccavano guarivano.
COMMENTO DI GIOVANNI
Oggi la bontà di Dio ci porta al termine di questo cap.14 nel quale si è
manifestata la fisionomia profonda della comunità messianica come comunità di
salvezza. Il mondo ha bisogno di essere salvato, e per questo il Figlio di Dio
è venuto tra noi. Ci piaceva ieri cogliere nell'invocazione di Pietro
"Signore, salvami!" la rivelazione semplice e radicale della condizione
di ogni persona, il grido che sale verso Dio e il suo incontrarsi con l'opera
di salvezza che Gesù Cristo è venuto a compiere. Ribadiamo che in questo
bisogno di essere salvati non c'è distinzione tra male fisico o morale, tra
innocenza e colpa. Semplicemente, abbiamo urgente necessità di essere tratti
fuori dalle prigioni negative che tengono incatenata l'esistenza.
In questo orizzonte, diventa importante il verbo riconoscere;
"riconosciuto Gesù" dice il ver.35. Mi sembra si intenda un
riconoscimento profondo della sua Persona e della sua missione. Intendo quindi
questo riconoscimento come la porta della fede. Questa gente che lo riconosce
diventa il principio di un movimento di convocazione che riguarda persone che
forse ancora lo devono riconoscere; diversamente dalla versione italiana che
scrive "diffuse la notizia", il testo qui dice un più secco e più
significativo "mandò", che sottintende la buona notizia del Signore
presente tra quella gente e introduce l'espressione "gli portarono tutti i
malati", che esprime bene l'azione che si svolge per raccogliere intorno a
Gesù tutti coloro per i quali è venuto. Ci sono convocazioni riservate ai
giusti, o ai sani, o ai fortunati. La convocazione ecclesiale riguarda
"tutti i malati". Mi piace molto che non ci siano né un esame né una
visita previa che selezioni la gente.
A questo punto i giochi provvidenzialmente si confondono e ci si può
domandare chi sia il soggetto di quei due verbi del ver.36: "lo
pregavano...lo toccavano". Si può ragionevolmente pensare che i malati
sappiano ormai prendere l'iniziativa. Tuttavia il soggetto potrebbe essere
ancora quelli che lo avevano riconosciuto e avevano mandato per tutta la
regione l'annuncio e l'invito a convenire intorno al Signore. Forse infatti non
c'è proprio nessuno che inviti altri intorno a Gesù Cristo senza averne lui
bisogno per primo.
Il desiderio e la necessità di "toccare almeno l'orlo del suo
mantello"(ver.36) è la conferma che l'incontro con Gesù non è l'incontro
con una dottrina o con un codice etico, ma con la persona concreta del Signore
e l'inizio di un viaggio e di una vita nuova con Lui e dietro a Lui.
venerdì 19 agosto 2005 Mt 14,28-33
28 Pietro gli disse:
«Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 29 Ed egli disse:
«Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò
verso Gesù. 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad
affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù stese la mano, lo
afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32 Appena
saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si
prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».
COMMENTO DI GIOVANNI
"Se sei tu...": possiamo interrogarci sulla portata di questa
richiesta. Pietro mette alla prova il Signore? Oppure esprime la semplicità e
l'intensità del suo rapporto con Lui? Di fatto Gesù accetta la sua richiesta.
Il senso globale dell'episodio, ricordato dal solo Vangelo secondo Matteo, è
quello di precisare ancora una volta la sostanza e la fisionomia profonda
dell'atto di fede. Esso esige un coinvolgimento pieno da parte del credente.
Non è un atto magico. E' sempre un evento di conversione e di comunione con
Dio. E questo è espresso con efficacia dall'espressione "andò verso
Gesù"(ver.29): non è una qualsiasi acquisizione di facoltà superiori, ma è
la potenza che Dio dona perchè sia possibile e piena la relazione con Lui. In
questo senso, si potrebbe dire che la fede è ben rappresentata in senso
generale da questo "camminare sulle acque" che esprime con efficacia
una condizione e un'azione non possibile agli uomini e puro dono di Dio. Anche
in quel discendere dalla barca da parte di Pietro (ver.29) potremmo cogliere il
segnale della fisionomia personale della fede che pone ognuno in una certa
responsabile solitudine davanti al Signore.
Dove al ver.30 è detto in italiano che "per la violenza del vento
s'impaurì", alla lettera dice "vedendo il vento s'impaurì". Dove
si può cogliere quella misura insufficiente della fede che Gesù gli rimprovera?
Nel fatto di aver "visto" il vento? Nella paura che ne consegue? In
questo principio di annegamento? Nel grido "Signore, salvami!"? Dove
possiamo individuare la causa del duplice rimprovero di Gesù: "Uomo di
poca fede, perchè hai dubitato?"(ver31)? Vedete voi se non sia possibile
raccogliere tutto questo nell'unica vicenda della fede: fede che è sempre la
nostra "poca fede"; fede che è sempre intervento salvifico di Dio
sulla nostra condizione misera. Sarebbe possibile parlare di fede senza dire
che essa è sempre "salvezza dalla nostra poca fede"? Personalmente
non mi è facile pensare ad un tranquillo tragitto di Pietro sulle acque. Anche
se, come mi sembra giusto, si vuole stabilire un legame tra questo episodio e
l'attraversamento del Mar Rosso da parte dei padri ebrei, non si deve cogliere
quel antico capitale evento come un evento che Dio compie dentro alla poca fede
del suo popolo? La fede non è forse "sempre salvezza"? Vedete voi. Io
vi rimando a Matteo 28,17 dove il "dubitare" ritorna, ed è l'unico
altro luogo dove il verbo dubitare è presente in tutto il Nuovo Testamento; e
questa volta è attribuito ad alcuni dei discepoli, o forse a tutti, che lo
adorano ma dubitano. Forse il dubbio è inevitabilmente interno alla fede? Forse
dunque la fede è sempre "miracolo" e "dono"?
giovedì 18 agosto 2005 Mt 14,22-27
22 Subito dopo ordinò ai
discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli
avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a
pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. 24 La barca
intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa
del vento contrario. 25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando
sul mare. 26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e
dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 27 Ma subito Gesù
parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura».
COMMENTO DI GIOVANNI
Come ieri notavamo che Gesù aveva voluto quella mensa miracolosa pur non
dandosi situazioni di emergenza, così oggi è spontaneo notare una certa
"artificiosità" del miracolo apparentemente "inutile" in
quel suo camminare sulle acque dopo aver costretto i discepoli ad una faticosa
traversata senza di Lui. Da qui sembra nascere l'opportunità di una lettura del
nostro brano di oggi in chiave simbolica. Potremmo dire che Gesù crea
appositamente queste circostanze per mostrare l'altro volto della fede: come
ieri emergeva fortemente la fede come dono, oggi sembra affermata la fede come
responsabilità e quindi come, in certo modo, solitudine.
Tale solitudine è peraltro annunciata attraverso un'altra
"solitudine" che esprime tutta la potenza con la quale il Signore
accompagna la storia degli uomini e in particolare dei suoi discepoli. Dopo
averli costretti infatti a imbarcarsi per questa traversata notturna (ver.22),
il ver.23 per due volte sottolinea la sua solitudine sul monte a pregare. E'
appunto l'immagine meravigliosa di una storia che da una parte è in certo modo
consegnata ai limiti e alla responsabilità degli uomini, ma dall'altra è
seguita e protetta dalla preghiera di Gesù. Gustiamo dunque la profondità e
l'eloquenza di tale immagine della fede immersa nella fatica della storia. In
questo senso il brano di oggi è strettamente connesso a quello di ieri: dal
dono e dalla totale gratuità del banchetto dei pani e dei pesci ad un volto
dell'esistenza che non concede esenzioni, che magari accentua le difficoltà,
che espone ai rischi, e che tuttavia non è abbandonata da Dio.
Di questa traversata stupisce il fatto che i discepoli ne portano tutta
la fatica, ma non sembrano impauriti o impressionati dalla difficoltà, dalle
contrarietà. Lo saranno piuttosto dalla sua venuta "strana". Mi sembra
possa suggerirci che la povera nostra fede spesso oscilla tra un'aspettativa
irresponsabile nei confronti di Dio, ed uno "spavento" e un pensiero
di "irrealtà" ("E' un fantasma!"(ver.26)) quando Egli si
affaccia alla nostra vita per ricordarci che la fede ci consente di vivere le
fatiche dell'esistenza nella serena certezza dei suoi esiti positivi. Per
questo cammino sulle acque si può ben vedere che non si tratta di miracolismi
in sospetto di magia e di inutili prodigi, se si tien conto del potente retroterra
dell'immagine, la memoria della traversata del mare nell'uscita dall'Egitto. Vi
consiglio al proposito la rapida lettura di alcuni versetti: Sapienza 14,3;
Salmo 76(77),20-21; Isaia 43,16-17. Il segno che Gesù oggi ci regala è dunque
la memoria di quella reinterpretazione radicale dell'esistenza umana che
descrive la vita come una strada sulle acque del nostro battesimo per passare
dalla schiavitù del peccato e della morte alla Terra nuova del pellegrinaggio
verso la Casa di nostro Padre.
Non è un fantasma! Al contrario, si tratta della rivelazione suprema
della vita nuova che abbiamo ricevuto in dono. Mi sembra molto bello che tutto
infine si raccolga in Lui: "Coraggio, sono io, non abbiate
paura"(ver.27). E' Lui
mercoledì 17 agosto 2005 Mt 14,13-21
13 Udito ciò, Gesù partì
di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla,
saputolo, lo seguì a piedi dalle città. 14 Egli, sceso dalla barca, vide una
grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15 Sul far
della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto
ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da
mangiare». 16 Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da
mangiare». 17 Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». 18 Ed
egli disse: «Portatemeli qua». 19 E dopo aver ordinato alla folla di sedersi
sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo,
pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli
li distribuirono alla folla. 20 Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono
via dodici ceste piene di pezzi avanzati. 21 Quelli che avevano mangiato erano
circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
COMMENTO DI GIOVANNI
Quel "udito ciò" del ver.13 collega il nostro brano di oggi
alle parole che ieri abbiamo ricevuto dalla bontà del Signore a proposito del
martirio del Battista. Origene interpreta il ritirarsi del Signore nel deserto
come un'indicazione a evitare pericoli quando si può. Resta che, terminata con
Giovanni l'epoca della profezia, Gesù inaugura in modo più diretto la realtà
nuova del popolo messianico nel quale si adempiono tutte le promesse divine.
Ancora Origene, con la sua lettura sempre fortemente simbolica, vede nel
deserto dove Gesù si ritira lo spazio delle nazioni. Ci troviamo in ogni modo
davanti a questo grande raccogliersi di una folla che provoca la compassione
divina di Gesù e la sua azione sanante: un popolo di malati che Egli guarisce.
Come già abbiamo detto altre volte questo primo miracolo dei pani -
troveremo il secondo alla fine del cap.15 - non sembra provocato da una stretta
necessità di sopravvivenza come vedremo appunto per la successiva occasione.
Qui Gesù sembra volere questa cena miracolosa anche se la gente sarebbe in
grado di arrangiarsi e "comprarsi da mangiare" nei villaggi, come
suggeriscono i discepoli al ver.15. Possiamo in questo cogliere nel Signore la
precisa volontà di raccogliere questa gente in un banchetto
"liturgico" della sua misericordia, un banchetto che deve nutrire non
solo e non tanto, almeno qui, una fame di cibo, ma una fame più profonda della
condizione umana.
Così appaiono esplicitamente liturgici - ma certo la liturgia è sempre
strettamente connessa con le vicende e i gesti della vita comune di cui è la
fonte salvifica - sia il comando alla folla di sedersi, sia la benedizione e la
frazione dei pani e dei pesci con lo sguardo al cielo, sia la distribuzione del
cibo alla folla tramite i discepoli. La sazietà provocata da quei pani spezzati
non impedisce che si portino via dodici ceste - il numero degli apostoli e
delle antiche tribù nelle quali è suddiviso il popolo di Dio - di pezzi
avanzati.
martedì 16 agosto 2005 Mt 14,1-12
14:1 In quel tempo il
tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. 2 Egli disse ai suoi
cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la
potenza dei miracoli opera in lui».
3 Erode aveva arrestato
Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di
Erodìade, moglie di Filippo suo fratello. 4 Giovanni infatti gli diceva: «Non
ti è lecito tenerla!». 5 Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo
perché lo considerava un profeta.
6 Venuto il compleanno
di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode 7 che
egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. 8 Ed
essa, istigata dalla madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di
Giovanni il Battista». 9 Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e
dei commensali ordinò che le fosse data 10 e mandò a decapitare Giovanni nel
carcere. 11 La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla,
ed ella la portò a sua madre. 12 I suoi discepoli andarono a prendere il
cadavere, lo seppellirono e andarono a informarne Gesù.
COMMENTO DI GIOVANNI
Penso sia di grande rilievo l'esordio del nostro brano di oggi dove, ai
vers.1-2, si parla di questo "scambio di persona" tra Gesù e Giovanni
Battista. Questo infatti ci dice non solo e non tanto la perfetta testimonianza
che Giovanni rende al Signore, come del resto è evidente da questa memoria del
suo martirio, quanto la perfetta continuità tra la fede dei padri e
l'obbedienza di Gesù, e insieme la "novità" presente nel Cristo
evidenziata dal discorso sulla risurrezione e dalla "potenza dei
miracoli" che Egli manifesta, diversamente dal Battista di cui si dice in
Giovanni 10,41 che "non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che
Giovanni ha detto di costui era vero". In questo senso ci troviamo davanti ad una svolta nella memoria
evangelica secondo Matteo: la morte del Battista dice infatti anche la
conclusione dell'economia della preparazione e della profezia e l'inizio pieno
della nuova era messianica. Dico questo in riferimento anche a quanto mi sembra
possiamo trarre dal nostro testo.
Il martirio del Battista avviene intorno ad un problema di etica
matrimoniale. Riguarda dunque anche la condizione femminile. Penso che, sotto
la drammaticità dell'avvenimento in rapporto alla banalità delle sue cause, noi
possiamo cogliere la centralità dell'immagine nuziale che la fede dei padri
ebrei ha custodito come segno del rapporto tra Dio e il suo popolo, e la
pienezza che tali nozze conseguono e manifestano con la venuta del Figlio.
Ricordiamo a tale proposito che già in Matteo 9,14-17 il tema delle nozze era
presente nel dialogo con i discepoli di Giovanni per affermare la novità e la
pienezza della nuova economia della salvezza nella nuzialità con il Cristo
Sposo.
Dunque, nella frase di accusa "non ti è lecito tenerla"
(addirittura, alla lettera, "averla"!) sta il rimprovero profetico e
la causa della morte di Giovanni. Si potrebbe forse dire che in questa fedeltà
alle nozze nell'attesa della loro pienezza in Cristo sta tutto il significato
della Prima Alleanza e il suo compito nei confronti del Messia. Per tale
testimonianza Giovanni, ultimo dei profeti, muore martire. Con lui termina il
tempo dell'attesa e si inaugura la pienezza della relazione nuziale tra Dio e
l'umanità, come forse vedremo nei prossimi giorni.
La vicenda umiliata, violenta e seduttrice rappresentata da Erodiade e da
sua figlia dice una condizione della donna, e dell'intera umanità da loro
rappresentata, che il Figlio di Dio è venuto a mutare. Non più aggiogata a un
Dio sposo violento, essa entra nella nuova condizione nella quale lo Sposo si
rende festosamente presente, chiama a Sé la sposa amata, e per lei pone
sabato 13 agosto 2005 Mt 13,53-58
53 Terminate queste
parabole, Gesù partì di là 54 e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga
e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove mai viene a costui questa
sapienza e questi miracoli? 55 Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua
madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?
56 E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte
queste cose?». 57 E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un
profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58 E non fece
molti miracoli a causa della loro incredulità.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il testo precedente ci ha congedato con la figura di quello
scriba-discepolo del regno dei cieli, e l'episodio di oggi ci aiuta a capire
quello che il Signore ieri ci diceva; soprattutto se volete considerare per un
momento il brano parallelo di Luca 4,16-30. La sua patria è Nazaret. Giovanni
Crisostomo afferma che non si può pensare qui a Cafarnao, sua patria adottiva,
perchè a Cafarnao di miracoli ne ha compiuti molti. A questo proposito mi
sembra inopportuna la versione italiana quando al ver.54 riferisce lo stupore
della gente per "questa sapienza e questi miracoli". E' vero che il
termine "potenza" spesso indica i miracoli, ma forse qui è opportuno
lasciare il termine nel suo significato immediatamente letterale di "potenze",
pensando forse, oltre che ad una "potenza" della predicazione di
Gesù, che in ogni modo "colpiva" i cuori, anche a quel miracolo di
primaria importanza che è la cacciata degli spiriti impuri, che si compie
spesso non con gesti speciali da parte di Gesù, ma con la semplice forza insita
nella sua predicazione. Di essa dunque stupiscono la sapienza e la potenza.
A contrasto di tutto ciò, i concittadini del Signore hanno ben in mente
l'ordinaria e umile fisionomia del suo ambito famigliare. Sanno bene (!!) di
chi è figlio, e conoscono tutti i suoi parenti. L'istinto a rigettare ogni
ipotesi di riconoscimento di una realtà nuova e straordinaria nasce da questo
incrocio tra un segno indiscutibilmente straordinario e l'analisi della realtà
che essi pensano di poter fare in modo oggettivo. A questo si aggiunge in altri
luoghi della memoria evangelica - si può considerare ancora il testo parallelo
di Luca - l'istinto di impossessamento di una situazione che potrebbe giovare
in modo privilegiato all'ambiente di appartenenza. Un misto insomma di stupore,
forse di invidia, e di delusione. Possiamo chiederci se in questo rifiuto da
parte dei compaesani non sia nascosto il rifiuto ben più grande che il Figlio
di Dio subisce proprio a motivo della sua "carne", e quindi allo
scandalo che deriva dal suo inabissarsi nella povertà della condizione umana.
Al ver.57 Gesù si limita ad accostare la sua vicenda alla sorte dei profeti
rifiutati e respinti dai loro vicini e dai loro contemporanei.
Il suo non compiere miracoli del ver.58 sembra come una sanzione per la
loro incredulità. Nel testo parallelo di Marco 6,1-6, che vi consiglio di
considerare, ciò appare come una impossibilità di Gesù a motivo della loro
incredulità. Così si chiude il cap.13, forse per avvertire che la grande
avventura della Parola di Dio in Gesù Cristo è appunto la suprema potenza
divina liberata nella storia dell'umanità, e nello stesso tempo che questo non
le assicura il successo mondano. Anzi! Tutto resta rigorosamente raccolto nel
mistero del Dono di Dio.
venerdì 12 agosto 2005 Mt 13,44-52
44 Il regno dei cieli è
simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di
nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45 Il regno dei cieli è
simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di
grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
47 Il regno dei cieli è
simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci.
48 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i
pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del
mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno
nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
51 Avete capito tutte
queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni
scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che
estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
COMMENTO DI GIOVANNI
Sembra esserci una convergenza totale verso questo "regno dei
cieli" la cui descrizione viene oggi portata a termine dal Signore con le
immagini del tesoro, della perla, della rete e di quello scriba discepolo del
regno e del suo tesoro. Sia gli uomini, sia Dio, tutti appaiono intensamente
operosi in questa suprema impresa della storia.
Le due prime immagini, quella del tesoro e quella della perla, ai
vers.44-46, si richiamano tra loro per le similitudini e le diversità. Rispetto
al mercante che cerca perle preziose, l'uomo del campo ci regala una
particolare immagine della scoperta del tesoro: egli infatti sembra,
diversamente dal mercante, trovare quello che non cerca! Per quanto riguarda il
dono di Dio, si deve dire che in certo modo è sempre così, perchè in ogni modo
resta assoluta la sproporzione tra ogni eventuale ricerca e ciò che viene
trovato. Per il tesoro nel campo si deve dunque affermare che il tesoro sembra
venire incontro a quel uomo che non lo cerca, quasi fosse il tesoro a cercare e
a trovare lui. Il mercante si presenta invece come un tenace e paziente
ricercatore, e la sua scoperta è come l'esito finale di questo lungo
itinerario. Possiamo chiederci se dunque l'uomo del campo rappresenta i pagani
mentre il mercante sarebbe il simbolo della fede e della sapienza dei padri
ebrei riguardo al Messia. Credo che convenga tenersi leggeri in queste
distinzioni, perchè infine il tesoro e la perla sono sempre una scoperta del
tutto straordinaria rispetto anche alla ricerca più sapiente; e peraltro non
v'è forse persona al mondo che più o meno consapevolmente non vada in cerca
della perla preziosa.
Resta il fatto che la scoperta merita in modo esigente di tutto lasciare
per avere quello che si è trovato. Si tratta di un innamoramento supremo. Il
ver.44 sottolinea che è la gioia - e non la virtù del distacco dai beni! - a
guidare l'uomo del campo che tutto vende per comperare quel campo. Per lui si
deve dire anche il particolare prezioso e misterioso di quel nascondere quello
che era nascosto e che lui ha trovato. Mi sembra essere parte di quella gelosia
e di quella segreta intimità che caratterizza le relazioni più preziose. E'
interessante anche il fatto che egli per avere il tesoro comperi il campo: mi
sembra di vedere che ognuno ha il suo tesoro nascosto in un campo; forse il
campo non l'avrebbe comperato o penserebbe di venderlo: ma il campo vale il
tesoro che contiene. Anche se ti sembra modesto o talvolta addirittura sgradito
(!!), pensa che senza quel campo non avresti neppure il tesoro nascosto in
esso.
Ugualmente grande sembra essere l'impegno di Dio, che non ha bisogno di
cercare i suoi pesci, ma che appare determinato a prendere tutti quelli che può
(ed è pescatore non mediocre, e rete piuttosto larga!!). Ritorna qui l'azione
privilegiata del tempo che viviamo. Per ora Dio vuole pescare tutto quello che
si può. La cernita la faranno gli angeli - loro e non il diavolo - alla fine. E
per noi è meglio essere pescati piuttosto che ignorati. Almeno sappiamo che
anche per noi Dio ha gettato la sua rete: e non è poco!
I vers.51-52 sono la conclusione di tutto il testo delle parabole, dal
ver.1 a qui. E' meravigliosa la figura dello scriba-discepolo del regno dei
cieli, perchè stabilisce per ogni discepolo del Signore la comunione profonda
con le cose antiche della Prima Alleanza e con quelle nuove che sono compimento
e adempimento delle antiche. E il bello è che tutto questo è diventato farina
del suo sacco, cioè "il suo tesoro", la sua stessa persona visitata
in modo mirabile dal Signore e dal dono della sua Parola che è Spirito e Vita.
giovedì 11 agosto 2005 Mt 13,36-43
36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi
discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania
nel campo». 37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il
Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del
regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l'ha
seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i
mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si
brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio
dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli
scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace
ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti
splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!
COMMENTO DI GIOVANNI
Facciamo tesoro del ver.36 del nostro brano di oggi per riaffermare il
senso delle parabole. Facendo riferimento ai vers.34-35 che concludevano il
testo di ieri ricordiamo che Gesù presenta la creazione e la storia come una
grande parabola che Egli è venuto a svelare. Una spiegazione che rimane
nascosta ai sapienti di questo mondo e che viene donata ai piccoli, ai
discepoli, appunto. Così, in questo ver.36, in un clima di intimità e di
riservatezza, i discepoli domandano al Signore di essere illuminati sulla
parabola della zizzania.
La spiegazione si concentra sul tema del giudizio finale, diversamente
dall'esposizione della stessa parabola, dove veniva indicato soprattutto
l'atteggiamento da tenere nei confronti della zizzania nel corso del tempo. Nel
tempo non è consentito un giudizio da parte nostra, perchè il giudizio è
collocato rigorosamente alla fine e rigorosamente è riservato a Dio. Alla fine,
sembra dirci il nostro testo, si chiariranno tutta la realtà e tutte le
responsabilità. Da questo possiamo trarre una conseguenza molto importante:
senza Dio, senza il suo Cristo, senza la Pasqua del Signore, tutto sarebbe
avvolto e immerso in un comune destino di morte. Dio invece riempie creazione e
storia della sua luce, e in particolare illumina la vita umana di
partecipazione diretta al mistero di Dio, e quindi alla responsabilità che fin da
principio Dio ha assegnato all'uomo. Contro una concezione legata a un destino
ineluttabile o ad una sorte da decifrare con l'oroscopo, la fede svela la
partecipazione e la responsabilità dell'uomo nei confronti della creazione e
della storia, e conferma l'assoluta distinzione tra l'uomo e ogni altra
creatura, nei confronti degli angeli stessi.
Come sempre quando il Vangelo ci parla della fine dei tempi, anche oggi
ci troviamo davanti non a cupe previsioni , ma alla grazia della Buona Notizia,
nella quale il Signore ci chiama a salvezza svelando il segreto della storia.
Mentre infatti gli uomini e le loro culture tendono a costruire un giudizio e
una giustizia che razionalizza il potere dei forti, la Parola di Dio afferma
che la storia è sottomessa al giudizio di Dio, il giusto e santo giudizio di
Dio, difensore del bene e a condanna di ogni male che noi uomini accettiamo o
addirittura giustifichiamo. La Parola di Dio "anticipa" il giudizio
divino in vista della conversione. E' Vangelo perchè impedisce che davanti al
giudizio divino ci troviamo senza averne avuto notizia e senza aver avuto dal
Signore la grazia di una vita nuova, una vita di conversione e di accoglienza
del dono di Dio. E tutto questo non solo per essere trovati nella luce serena
del Cristo alla fine della nostra esistenza, ma anche perchè fin d'ora possiamo
vivere la meravigliosa vita nuova, la vita di Dio in noi.
Vorrei in particolare dire qualcosa circa il "seme" che è stato
seminato sia da Dio sia dal diavolo. L'affermazione che questo seme sono da una
parte i figli del regno e dall'altra i figli del maligno (ver.38), conferma
quello che avevamo già osservato, e cioè il potere assoluto di coinvolgimento
da parte del seme buono, ma qui veniamo a sapere anche del potere del seme del
maligno. Nel seme dunque viene visto non solo quello che viene seminato, ma
anche l'uomo che lo riceve. Tutto quindi concorre a sottolineare una
responsabilità della storia che invita ciascuno di noi a guardare con crescente
meraviglia alla grazia del Signore che ci chiama, e a desiderare che non ci sia
nessuno costretto a vivere questo breve spazio del tempo senza la gioia e la
bellezza del dono evangelico.
Resta infine da sottolineare che questo tempo è rigorosamente e solo il
tempo del dono e della misericordia di Dio, ed è aberrante, da qualsiasi parte
venga, sostituirsi al giudizio finale di Dio, dimenticando che il nostro
compito attuale è quello di chiedere, desiderare e favorire in tutti i modi,
l'accesso di ciascuno e di tutti, persone, culture, fedi religiose alla via
nuova della salvezza e della pace.
mercoledì 10 agosto 2005 Mt 13,24-35
24 Un'altra parabola
espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato
del buon seme nel suo campo. 25 Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico,
seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26 Quando poi la messe fiorì e
fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. 27 Allora i servi andarono dal
padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo
campo? Da dove viene dunque la zizzania? 28 Ed egli rispose loro: Un nemico ha
fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? 29
No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa
sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme
fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete
prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece
riponetelo nel mio granaio».
31 Un'altra parabola
espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa,
che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i
semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un
albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
33 Un'altra parabola
disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha
preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
34 Tutte queste cose
Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35
perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:
Aprirò la mia bocca in parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione
del mondo.
COMMENTO DI GIOVANNI
Vale la pena considerare le tre parabole di oggi nella loro compresenza e
nella loro successione. Bisogna peraltro dire che ognuna delle tre è di grande
rilievo e meriterebbe una meditazione a sé. Possiamo dire che l'annuncio
globale che emerge dal testo di oggi è quello della "alterità", e di
un'alterità non solo accostata, ma addirittura, almeno inizialmente, avversa.
Così emerge dalla parabola della zizzania. E' però interessante considerare
l'evoluzione di tutto questo appunto nella successione delle tre immagini:
dall'inimicizia annunciata dalla prima si passa al confronto affermato dalla
seconda per dire che ciò che inizialmente è tanto piccolo, cioè il regno dei
cieli significato dal granellino di senapa, diventerà più grande degli altri
legumi sino a poter dare riparo agli uccelli del cielo (vers.31-32). Questi
uccelli sono, secondo il senso di questa citazione da Ezechiele 17 (il testo è
molto interessante e vi consiglio di dargli un'occhiata), i popoli della terra.
Infine, la terza immagine annuncia addirittura il rapporto positivo con questa
alterità considerata come tutta fermentata dal lievito nascosto (è la radice
del verbo reso in italiano con "impastato" al ver.33) in essa.
Quindi anche l'atteggiamento dei figli del Regno che al ver.27 vengono
chiamati servi del padrone di casa ha tutta una sua evoluzione positiva. Ai
vers.27-30 vengono fermati circa la loro ipotesi di sradicare
Sarebbe sbagliato concludere da tutto questo che il male e il mistero del
male non vengono giudicati. Ma questo giudizio non si compie nella sterile e
dannosa aggressività delle sapienze mondane che volendo estirpare il male in
realtà lo moltiplicano, perchè reagiscono al male con il male. Il giudizio
divino si compie reagendo al male con quel bene che ha la sua fonte e il suo
apice nella Croce del Signore e nel suo sacrificio d'amore. E' l'Amore che
distrugge il Peccato e salva il peccatore.
I vers.34-35 riprendono il discorso sul genere letterario delle parabole
che ai vers.11-15 di questo capitolo affermava la decisione divina di aprire in
modo privilegiato il rapporto con il Regno di Dio nei confronti dei suoi
piccoli discepoli confondendo le sapienze del mondo. Qui viene confermata la
scelta di Gesù riguardo al parlare in parabole e si dice, mi sembra, che le
parabole e la loro spiegazione svelano il mistero e i misteri che sono nascosti
nella realtà delle cose e del tempo.
martedì 9 agosto 2005 Mt 13,18-23
18 Voi dunque intendete
la parabola del seminatore: 19 tutte le volte che uno ascolta la parola del
regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel
suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20 Quello che è stato
seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie
con gioia, 21 ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una
tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato.
22 Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la
preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed
essa non dà frutto. 23 Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la
parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il
sessanta, ora il trenta».
COMMENTO DI GIOVANNI
La spiegazione della parabola del seminatore descrive il grande
"dramma" della Parola nel suo incontro con l'umanità e la sua
condizione ferita. A sottolineare in modo mirabile questo dramma, quando nel
nostro testo di oggi si parla dei diversi terreni e dunque dell'esito della
seminagione, si parla del terreno, del seme, e quindi di chi ascolta la Parola,
in modo strettamente unitario, e cioè si afferma che "il seme seminato
lungo la strada" è la vicenda di chi "ascolta la parola del regno e
non la comprende"(ver.19); vale a dire che il coinvolgimento del seme con
il terreno è totale, sono in ogni modo un unico evento, fino a dire che seme e
terreno entrano nella stessa avventura, Parola e chi la riceve sono come
un'unica realtà! E così è per tutti i terreni, ai vers.20.22. 23: si tratta
sempre dell'incontro tra Parola (il seme) e ogni persona (terreno seminato) che
diventano il "seme seminato".
Io non riesco ad accettare un'interpretazione rigidamente etica del
testo, perchè mi sembra che, a partire dal "maligno" del ver.19, si
parli sempre di forze negative che dominano l'uomo e la sua esperienza, forze
dalle quali mai esplicitamente si dice che avrebbe potuto liberarsi se avesse
voluto. E quindi non mi sembra facile affermare che sono elementi negativi che
positivamente l'uomo ha introdotto nella sua vita. Il "dramma" della
Parola è il suo incontro con la fragilità della condizione umana, che tale è
anche quando la Parola viene accolta "con gioia"(ver.20).
L'unico punto sul quale forse si può cogliere una partecipazione e
una responsabilità di chi ascolta è quel verbo "comprendere",
presente ai vers.18 e
lunedì 8 agosto 2005
Mt 13,1-17
13:1 Quel giorno Gesù
uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno
a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre
tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
3 Egli parlò loro di
molte cose in parabole.
E disse: «Ecco, il
seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla
strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra parte cadde in luogo
sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non
era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si
seccò. 7 Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono.
8 Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il
sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda».
10 Gli si avvicinarono
allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?».
11 Egli rispose: «Perché
a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.
12 Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto
anche quello che ha. 13 Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo
non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. 14 E così si adempie per
loro la profezia di Isaia che dice:
Voi udrete, ma non comprenderete,
guarderete, ma non vedrete.
15 Perché il cuore di questo popolo
si è indurito, son diventati duri di orecchi,
e hanno chiuso gli occhi,
per non vedere con gli occhi,
non sentire con gli orecchi
e non intendere con il cuore e convertirsi,
e io li risani.
16 Ma beati i vostri
occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono.
COMMENTO DI GIOVANNI
Il nostro brano contiene due parti distinte, ma fortemente connesse: la
parabola del seminatore e il motivo dell'uso delle parabole. Il tutto con una
premessa ugualmente importante. Quindi: vers.1-3, la premessa; vers.3-9, la
parabola; vers.10-17, il perchè delle parabole.
Richiamo alla vostra attenzione, al ver.1, il verbo "uscì". Non
dice che uscì di casa, e infatti mi sembra si tratti di un evento ben più
rilevante, confermato infatti dallo stesso verbo al ver.3, dove si dice che
"il seminatore uscì a seminare". Mi sembra si possa dire che il
Figlio "uscì" dal Padre per venire a seminare! Al ver.3 viene
sottolineata l'importanza delle parabole con l'affermazione che in esse
"Egli parlò di molte cose". Quindi, un insegnamento di grande respiro
e di grande importanza.
I vers.3-9 ci annunciano che la seminagione è stata abbondante, anzi
sovrabbondante, del tutto sproporzionata alla reale produttività dei terreni.
Come uno spreco! Amo molto il testo di Salmo 111(112),9 dove in italiano è
detto "dona largamente ai poveri", ma alla lettera il testo dice
"sperperò, diede ai poveri". Quasi tutti i terreni non daranno frutto.
Anche la terra buona, che darà frutto, ne darà molto, ma anche molto meno. Le
cose di Dio vanno "così, così"! Possiamo permetterci di chiederci
come
I vers.10-17 ci illuminano circa l'uso del genere letterario delle
parabole. Perchè? E qui veniamo a sapere che ci sono due gruppi di persone: i
discepoli e questi generici "loro" di cui si dice al ver.10. Provare
a capire chi sono questi "loro" è importante per capire chi è il vero
discepolo. Dal testo, dalle parole di Gesù e dalla sua citazione di Isaia, io
traggo la conclusione che questi "loro" sono l'uomo mondano che è in
ciascuno di noi, caratterizzato non tanto da molti peccati, quanto da uno: la
pretesa di vedere, di udire, di capire. E quindi l'annullamento di quello che
sta al cuore della relazione tra noi e Dio: il Dono, cioè
venerdì 5 agosto 2005 Mt 12,43-50
43
Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando
sollievo, ma non ne trova. 44
Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito. E tornato la
trova vuota, spazzata e adorna. 45
Allora va, si prende sette altri spiriti peggiori ed entra a prendervi dimora; e
la nuova condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà
anche a questa generazione perversa».
46 Mentre egli
parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in
disparte, cercavano di parlargli. 47
Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono
parlarti». 48 Ed
egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei
fratelli?». 49 Poi
stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli;
50 perché chiunque
fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella
e madre».
COMMENTO
FRANCESCO
Oggi Gesù torna sull'argomento dell'altroieri, la
liberazione dell'uomo dal potere dello spirito del male; al v. 28 infatti aveva
detto: "Se con lo Spirito di Dio io caccio i demoni, allora è giunto a voi
il regno di Dio", qualificando così il regno di Dio non come una realtà
sociologica, visibile, ma come un evento spirituale, che si compie nel segreto
dei cuori per la parola e l'opera del Signore Gesù e dello Spirito del Padre.
Con la ripresa odierna Gesù avverte che questo evento di liberazione va accolto
e custodito da parte dell'uomo, pena il rischio di ritorni alla situazione
precedente o addirittura a una condizione ancora peggiore (non più uno, ma
sette demoni!). Sembra che per evitare ciò non si debba lasciare la
"casa" del proprio cuore "vuota" (il termine indica una
condizione di ozio, di disimpegno e ricorda il precetto sapienziale della tradizione
monastica di farsi trovare sempre impegnati nel lavoro o nella preghiera).
La seconda parte del testo di oggi racconta della visita a Gesù da parte della madre e dei fratelli. Il vangelo fa notare che questa visita avviene proprio mentre Gesù sta parlando e quindi si presenta come un disturbo all'opera più importante del Signore: il dono della sua Parola agli uomini, come da diversi giorni, anzi settimane, stiamo ascoltando dal vangelo secondo Matteo. Per di più il testo insiste nel far notare che i parenti di Gesù stanno "fuori", cioè non si fanno coinvolgere nella comunità dei discepoli in ascolto del Maestro. A questi discepoli Gesù conferisce il nome di suoi familiari (fratello, sorella e madre): essi nell'ascoltare e nel "fare la volontà" del Padre sono la nuova famiglia di Gesù. Si può notare che in questa famiglia, non più unita da legami di carne e sangue, ma tutta "spirituale", non è citato il padre, perché è quello dei cieli e neanche i figli, perché tutti, Gesù compreso, in essa sono, prima di ogni altro titolo, figli di Dio e l'uno dell'altro.
giovedì 4 agosto 2005
Mt 12,33-42
33 Se prendete un
albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo,
anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. 34 Razza di vipere, come potete
dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza
del cuore.
38 Allora alcuni
scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere
un segno». Ed egli rispose: 39
«Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà
dato, se non il segno di Giona profeta. 40
Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce,
così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. 41 Quelli di Nìnive si alzeranno a
giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono
alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona! 42 La regina del sud si leverà a giudicare
questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità della
terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone!
COMMENTO GIUSEPPE
Le
parole di oggi sono la continuazione di quelle di ieri: il discorso di Gesù è
particolarmente rivolto ai farisei, che sono accompagnati al v. 38 anche da
alcuni scribi, ma si estende evidentemente anche a persone della folla presente
(cf. v. 46), e arriva fino al v. 45 compreso.
La
prima notizia dell’odierno Vangelo è che gli interlocutori di Gesù (= farisei,
scribi, folla, e oggi noi) sono sostanzialmente cattivi: “albero e frutto
cattivo” (letteralmente marcio) al v. 33, “voi che siete cattivi” al v. 34, “l’uomo
cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive” al v. 35, “una generazione
perversa (letteralmente cattiva) e adultera pretende un segno” al v. 39. Gesù,
come già Giovanni Battista (cf. Mt 3,7), dice senza mezzi termini a tutti:
“Razza di vipere” (v. 34). Se è così, è impossibile che un tale albero produca
frutti buoni cioè che una tale persona dica parole buone. I farisei che
accusavano Gesù dicendo: “Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebùl,
principe dei demoni” (v. 24) dimostrano con le loro stesse parole l’implacabile
verità della severa sentenza di Gesù.
La
seconda notizia dell’odierno Vangelo è che alla generazione cattiva e adultera
viene offerto il segno di Giona. L’unica possibilità che un albero possa fare
un buon frutto cioè che una persona possa dire una parola buona è il
cambiamento della sua natura, da cattiva a buona. La speranza di un tale
cambiamento radicale è stata data da Giona, inghiottito e rigettato da un
grosso pesce, dai Niniviti che si convertirono alla sua predicazione,
dall’anonima regina del sud che venne da lontano per ascoltare la sapienza di
Salomone, e finalmente da Gesù stesso, che è più di Giona e di Salomone. Il suo
passaggio dalla morte alla vita, la sua pasqua, è la speranza più concreta che
ogni persona, per quanto cattiva e adultera, possa cambiare la propria natura,
morendo e risorgendo, e possa perciò produrre frutti degni di conversione.
mercoledì 3 agosto
2005 Mt 12,22-32
25 Ma egli,
conosciuto il loro pensiero, disse loro: «Ogni regno discorde cade in rovina e
nessuna città o famiglia discorde può reggersi. 26 Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con
se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? 27 E se io scaccio i demòni in nome
di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro
stessi saranno i vostri giudici. 28
Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra
voi il regno di Dio. 29
Come potrebbe uno penetrare nella casa dell'uomo forte e rapirgli le sue cose,
se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa. 30 Chi non è con me è contro di
me, e chi non raccoglie con me, disperde. 31 Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia
sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà
perdonata.
COMMENTO FRANCESCO
1)
L'affermazione più bella del vangelo di oggi mi è sembrata "è giunto in
mezzo a voi il regno di Dio": non solo "si è fatto vicino", come
aveva detto all'inizio (cap. 4), ma "è giunto", o forse meglio
"vi ha prevenuto"; il regno di Dio è dunque una realtà già presente
in mezzo a noi!
2)
Il segno della presenza attuale di questo regno è la liberazione, compiuta da
Gesù, del cuore dell'uomo dal male, da quell'"uomo forte" che lo
tiene prigioniero in una condizione che è descritta dall'immagine di un uomo
cieco e muto: Gesù gli dona di "vedere" con gli occhi di Dio e di
"parlare" con le parole di Dio (mi viene in mente l'ultimo segno del
rito del battesimo, l'apertura degli occhi, delle labbra e delle orecchie).
3)
Gesù compie questa liberazione con lo "Spirito di Dio": questi è così
importante che se qualcuno parlerà male del "Figlio dell'uomo" gli
sarà perdonato, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata.
Qual è questa bestemmia contro lo Spirito? Credo che sia l'indurimento del
cuore di fronte alle opere buone che lo Spirito compie nelle persone e negli
avvenimenti, che induce non solo a non riconoscere queste opere, ma addirittura
a scambiarle con opere del Maligno: è un ammonimento severo a non
"demonizzare", come si suol dire oggi, mai nessuno.
martedì 2 agosto 2005
Mt 12,9-21
9 Allontanatosi di
là, andò nella loro sinagoga. 10
Ed ecco, c'era un uomo che aveva una mano inaridita, ed essi chiesero a Gesù:
«È permesso curare di sabato?». Dicevano ciò per accusarlo. 11 Ed egli disse loro: «Chi tra voi,
avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non l'afferra e
la tira fuori? 12
Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del
bene anche di sabato». 13
E rivolto all'uomo, gli disse: «Stendi la mano». Egli la stese, e quella
ritornò sana come l'altra. 14
I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo.
15 Ma Gesù,
saputolo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli guarì tutti, 16 ordinando loro di non
divulgarlo, 17 perché
si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia:
18 Ecco il mio
servo che io ho scelto;
il
mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.
Porrò
il mio spirito sopra di lui
e
annunzierà la giustizia alle genti.
19 Non
contenderà, né griderà,
né
si udrà sulle piazze la sua voce.
20 La canna
infranta non spezzerà,
non
spegnerà il lucignolo fumigante,
finché
abbia fatto trionfare la giustizia;
21 nel suo nome
spereranno le genti.
COMMENTO DI GIUSEPPE
Il brano di oggi
sviluppa due elementi già presenti all’inizio del cap. 12: la crescita del
contrasto con i farisei e l’esaltazione della misericordia come senso
fondamentale della missione affidata da compiere dal Padre al Figlio.
La crescita del
contrasto con i farisei è indicata dal modo con cui viene chiamata la sinagoga
dei giudei (“nella loro sinagoga”: v. 9, cioè la sinagoga dei giudei è
dominata dalla corrente dei farisei), dalla finalità della loro domanda (“per
accusarlo”: v. 10) e soprattutto dalla decisione presa ufficialmente di
uccidere Gesù: “I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per
toglierlo di mezzo” (v. 14). In questo modo si conferma che i dotti e gli
intelligenti a cui alludeva Gesù nella sua preghiera al Padre sono i farisei,
ai quali sono tenuti nascosti i misteri del regno dei cieli (cf. Mt 11,25).
Contestualmente
l’esaltazione della misericordia emerge dalla risposta di Gesù ai farisei e
dalla lunga citazione di Is 42,1-4 come il senso fondamentale della missione
del figlio di Dio sulla terra. Per Gesù di Nazareth non si può avere alcun
dubbio circa la maggiore dignità di un uomo rispetto ad un animale e quindi
sulla necessità di fare del bene in giorno di sabato (cf. v. 12). Ai suoi occhi
quell’uomo malato cronico in realtà è unico ed ha urgenza di essere salvato
immediatamente da un pericolo mortale (la traduzione italiana tralascia la
bella espressione del v. 11: “avendo una sola pecora”). Solo
l’evangelista Matteo porta la lunga citazione del primo canto del servo di YHWH
per spiegare il senso fondamentale della missione di Gesù: egli è il servo
(parola che significa anche “figlio”) scelto, prediletto e oggetto del
compiacimento del Padre, investito dalla Spirito per portare a tutti i popoli
la giustizia cioè il giudizio di Dio. Tale giudizio si esprime con la
misericordia non solo verso un uomo malato incontrato da Gesù di sabato in
sinagoga, simbolo evidente di Israele, ma anche verso le genti “che lo
seguirono ed egli guarì tutti” (v. 15) perché tutti gli uomini, preziosi e
unici ai suoi occhi, sono mortalmente ammalati e in pericolo di vita. In questo
senso l’ultimo v. di Is e del Vangelo di oggi (“nel suo nome spereranno le
genti”) è la buona notizia seminata nel cuore di ogni creatura.
lunedì 1 agosto 2005
Mt 12,1-8
12:1
In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli
ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i
farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è
lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello
che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella
casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a
lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge
che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia
sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio.
7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio,
non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è
signore del sabato».
COMMENTO FRANCESCO
Il
tema con cui si apre questo nuovo capitolo del vangelo secondo Matteo è quello
della legge, dei comandamenti, simbolicamente riassunti dalla legge del sabato.
I discepoli di Gesù trasgrediscono il riposo sabbatico cogliendo le spighe e i
farisei ne chiedono spiegazione a Gesù. Il quale riprende la stessa citazione
del profeta Osea, che aveva fatto per giustificare la sua comunanza di tavola
con i peccatori, Misericordia io voglio e non sacrificio, arricchendola
stavolta con una precisazione, rappresentata dall'accenno alla fame,
fame dei discepoli di Gesù, ma anche del re Davide e di quelli che erano con
lui: misericordia vuol dire in questo caso tenere conto delle persone, anche
nelle loro esigenze più semplici e concrete; la legge si deve piegare davanti
all'uomo bisognoso.
Un'altra
motivazione addotta da Gesù per giustificare il comportamento dei suoi
discepoli riguarda il sacerdozio: Davide e i suoi compagni non erano
sacerdoti, eppure si cibarono dei pani destinati ai soli sacerdoti. Questo
indica che c'è una profezia dell'estensione del sacerdozio a tutto il popolo di
Dio: l'affermazione è già presente nell'Antico Testamento (Es 19,6 Voi
sarete per me un regno di sacerdoti) e giungerà a pienezza con
il Nuovo (1Pt 1,9 Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale).
Infine,
l'ultima e più forte giustificazione addotta da Gesù al comportamento dei suoi
è Lui stesso: Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio
e per questo il Figlio dell'uomo è signore del sabato.
In
conclusione, l'avvento di Gesù rappresenta una nuova interpretazione della
legge, nella direzione della misericordia per l'uomo bisognoso, dell'elevazione
della sua dignità regale e dell'orientamento di tutto e tutti alla
glorificazione del Figlio dell'uomo Gesù Cristo.
sabato 30 luglio 2005
Mt 11,25-30
28 Venite a me,
voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di
voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro
per le vostre anime. 30
Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».
COMMENTO FRANCESCO
Il
cap. 11 del vangelo secondo Matteo si conclude con questa bellissima preghiera
di lode, che il Signore Gesù innalza al Padre e che possiamo anche noi imparare
facilmente a memoria per ripeterla spesso. Gesù ringrazia il Padre per il dono
della sua Parola.
Ci
preoccupa un po', tuttavia, il fatto che questo dono sia nascosto ad alcuni. Un
Padre della Chiesa stamattina spiegava che non si tratta però di un arbitrio,
di un'ingiustizia da parte di Dio, ma di un fatto automatico: la Parola rimane
nascosta a chi indurisce il cuore e rifiuta di lasciarsi istruire e correggere
da essa: questi sono i "sapienti e intelligenti", coloro che, come
gli scribi e farisei dei tempi di Gesù, credevano di sapere tutto e di essere
giusti e quindi di non aver bisogno di uno che li istruisse e correggesse (cfr.
Gv 9: "Voi dite: Ci vediamo. Il vostro peccato dunque rimane").
Invece i piccoli e i semplici, quelli che sanno di essere dei poveretti e di
sbagliare spesso, comprendono il vangelo e se ne rallegrano.
Nella
seconda parte del testo Gesù ricorda la rivelazione più grande che ci è venuto
a portare, quella di un Dio che è Padre: è un po' un riassunto di tutto il
discorso della montagna, con le sue conseguenze intorno all'amore fraterno,
perfino verso i nemici, e quindi alla pace con tutti.
La
terza ed ultima parte contiene un invito molto consolante, rivolto a tutti
quelli che si sentono stanchi (dunque proprio a tutti, nessuno escluso),
ricordando che il vero motivo della stanchezza è un'errata interpretazione
della Legge, legalistica, che rende troppo pesanti i comandamenti. Il rimedio è
imparare da Lui, mite e umile di cuore, cioè accogliere docilmente ogni Parola
che ci invia, come Lui ha fatto con il Padre, fino alla Passione.
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