sabato 12 novembre 2005 Mt 27,1-10

 

27:1 Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire. 2 Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato.

3 Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani 4 dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». 5 Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi. 6 Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: «Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue». 7 E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri. 8 Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi. 9 Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, 10 e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Oggi, fatta eccezione per i due primi versetti, quello che ascoltiamo è del solo Matteo. In questi anni la descrizione della fine di Giuda mi ha spinto progressivamente a metterla accanto al testo che ieri ci parlava del tradimento di Pietro e del suo pianto. Vorrei dire che Giuda è stato più abbandonato a se stesso; così il suo pentimento è drammaticamente finito nel suicidio, a differenza di Pietro che nel dolore ha trovato la via del ravvedimento. Mi sembra importante anche sottolineare il rigoroso non-commento dell'evangelista sui fatti narrati. Nessuno sa dove sia Giuda adesso. Come non lo si sa di nessuno, perchè il giudizio è solo di Dio. Il testo spende parole forti per dire dell'animo di questo "traditore", del suo gesto di restituzione disperata del denaro, e della sua povera morte solitaria. Altro non voglio dire. Taccio e mi immergo nel mistero della divina misericordia. Mi chiedo chi tra coloro che oggi pregheranno sulle parole di questo testo evangelico non sentirà vicinissime a sé le parole che il Signore ci regala.

Mi sembra drammatica anche la cinica dissociazione dei sommi sacerdoti e degli anziani. In tutto questo mi permetto di ricordare che sarebbe illegittimo in ogni modo fare pensieri del tipo "questo non sarebbe successo se...", perchè quello che accade è in ogni modo l'adempimento del divino consiglio di salvezza universale. Né questo peraltro assolve qualcuno dalle sue personali responsabilità. Tutto, come dicevamo prima, è in ogni modo sigillato nel giudizio di Dio.

I Padri cristiani mettono in evidenza la forza simbolica che scaturisce dalla memoria dell'uso del denaro del tradimento: un'intuizione spirituale che mi sembra affascinante. Il prezzo del sangue di Gesù non entra nel tesoro del vecchio tempio, ma serve per dare sepoltura agli stranieri poveri. Il campo è addirittura immagine del mondo intero, comperato dal sangue del Signore, affinché tutti coloro che muoiono riposino in pace verso la pienezza della gloria futura. Un intreccio mirabile tra profezie di Geremia e di Zaccaria santifica quel luogo alle porte della città, dove in un antico monastero orientale sono tornate ad abitare monache russe. Ci ha aperto e accolto una giovanissima sorella molto distinta e nobilmente seria.

E Giuda dove è stato sepolto?

 

venerdì 11 novembre 2005 Mt 26,69-75

 

69 Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». 70 Ed egli negò davanti a tutti: «Non capisco che cosa tu voglia dire». 71 Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». 72 Ma egli negò di nuovo giurando: «Non conosco quell'uomo». 73 Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: «Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!». 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell'uomo!». E subito un gallo cantò. 75 E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: «Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». E uscito all'aperto, pianse amaramente.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il ver.69 ritrova Pietro dove l'avevamo lasciato al ver.58; questa osservazione vuole certificare che egli è testimone diretto del drammatico e importantissimo dialogo tra Gesù e il sommo sacerdote; era del resto quello che lui stesso voleva:"...si pose a sedere tra i servi per vedere la conclusione"(ver.58). Secondo Matteo sono due le serve che interpellano Pietro, questa, e la successiva al ver.71. Se guardiamo per un momento i testi paralleli degli altri Vangeli, e in particolare Giovanni 18,12-26 dove non si tratta di una serva, ma della "portinaia", e questa portinaia è il femminile di quel "guardiano" che in Giovanni 10 fa entrare il pastore nel recinto in quanto questi, diversamente dagli altri, entra attraverso la porta, ci viene da pensare - anche perchè secondo il parallelo di Marco si tratta di una "serva del sommo sacerdote" - che non sia una figura qualsiasi, ma forse il segno di quell' "Israele" che si appresta a riconoscere in Gesù il Messia e quindi nei discepoli i figli della nuova comunità messianica, forse dunque l'antica Figlia di Sion che si appresta a diventare la Sposa del Figlio. In ogni modo qui è interessante notare che entrambi le serve lo interpellano (quella del ver.69), o lo indicano (quella del ver.71) come uno che "era con Gesù": e questo è un modo semplice e forte per vedere tra Pietro e il Signore il legame profondo che li unisce. Dunque, una grande occasione di testimonianza per Pietro. Ma egli nega quello che dovrebbe confermare.

 

Infine, ed è la terza volta che Pietro viene interpellato, ad interpellarlo sono "i presenti" (alla lettera, "gli astanti", che sembrano i servi del ver.58 più che gli scatenati che ai vers.67-68 si avventano contro la persona di Gesù), e anche qui la provocazione non è da poco, perchè essi affermano una comunanza di linguaggio, di parlata, tra Pietro e il Signore. E questa volta la reazione negativa di questo è clamorosamente violenta. Secondo quanto Gesù gli aveva detto, "subito un gallo cantò".

 

Ed ecco allora il ver.75 che conclude mirabilmente non solo il nostro testo di oggi, ma l'intero capitolo 26. Un fatto minimo, il canto di un gallo, irrilevante per ogni altro, diventa per Pietro grembo della memoria:"E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù". Egli "uscì fuori"(da dove? forse da tutto ciò che aveva detto e fatto di male in quel cortile), e "pianse amaramente", dove questa amarezza esprime la consapevolezza del peccato e diventa principio del ravvedimento, quindi della salvezza. Così Pietro ha percorso tutto l'itinerario della salvezza: dalla Parola che ha ascoltato, e che non ha accolto confidando in se stesso, al peccato, che è sempre un "tradimento" della Parola di Dio, alla grazia della memoria, al dolore e al ravvedimento.

 

giovedì 10 novembre 2005 Mt 26,57-68

 

57 Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani. 58 Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.

59 I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte; 60 ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni. 61 Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni». 62 Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». 63 Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». 64 «Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:

d'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo

seduto alla destra di Dio,

e venire sulle nubi del cielo».

65 Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; 66 che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». 67 Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, 68 dicendo: «Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Entriamo oggi nel primo dei due grandi passaggi del Signore nella vicenda della sua passione: il confronto con i capi del suo popolo, e quello con il governatore romano. C'è anche Pietro, che però nella memoria evangelica di Matteo solo in un secondo tempo sarà confrontato con la sua fedeltà a Gesù. Il ver.58 sembra assumere rispetto a quest'ultimo una fisionomia quasi simbolica: lo segue da lontano, si siede con i servi, sembra essere uno spettatore più che un protagonista.

 

Quello che ascoltiamo dal ver.59 lo troveremo anche nell'interrogatorio davanti  a Pilato: non si cerca la giustizia, ma un modo di far morire l'innocente; ed è importante che venga detto che non si trova una ragione plausibile per condannarlo, se non attraverso testimonianze false. Anche la testimonianza portata da due testimoni concordi non sembra portare alla condanna a morte. Tutto questo mette ancor più in evidenza che è Gesù stesso ad aprire la strada alla sua Pasqua di morte e di gloria con la sua risposta al sommo sacerdote al ver.64.

 

Mi sembra di grande rilievo la domanda del sommo sacerdote al ver.63, che è soprattutto una domanda di annuncio, di testimonianza, sollecitata da Gesù. Siamo al cuore del problema messianico, siamo al grande quesito. Siamo nel centro dell'annuncio cristiano. Siamo nella domanda che si pone ad ogni persona credente, e, più o meno implicitamente, ad ogni persona che in qualche modo venga in contatto con la persona di Gesù. E' Gesù stesso che ha posto la domanda:"Voi, chi dite che io sia?"(Matteo 16,15). Siamo davanti al punto decisivo di tutta la storia: Gesù è uno dei tanti "uomini di Dio" che in tutte le culture e in tutti i fenomeni religiosi si sono manifestati, oppure è "il Cristo, il Figlio di Dio"? Dio è collocato, come le "religioni" (ma non l'ebraismo e il cristianesimo!) affermano, fuori dalla storia, oppure Dio abita con noi, è in mezzo a noi, ha addirittura assunto la carne dell'uomo? Dio è solo Dio o è anche "l'Uomo nuovo", l'Uomo Figlio di Dio?

 

La risposta del Signore al ver.64 è radicalmente esplicita. Vedremo che così non sarà davanti alla domanda del governatore circa la sua condizione di re. Qui anzi Gesù annuncia una presenza del Signore che è in qualche modo già ora. Citando infatti la profezia di Daniele e altri oracoli contenuti nelle Scritture, Egli premette un "d'ora innanzi..." che sembra porsi in quest'ultimo tempo della storia  nel quale noi siamo.

 

E' impressionante la continuità e il contrasto tra le supreme tematiche teologiche poste dall'interrogatorio, e la violenza che la risposta di Gesù scatena sia nella reazione del sommo sacerdote, sia nell'aggressione popolare e la derisione oltraggiosa della folla ai vers.65-68.

 

mercoledì 9 novembre 2005 Mt 26,47-56

 

47 Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo. 48 Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». 49 E subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. 50 E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. 51 Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.

52 Allora Gesù gli disse: «Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada. 53 Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? 54 Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». 55 In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato. 56 Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il segno scelto da Giuda per l'identificazione di Gesù conferma quanto già dicevamo circa la presenza e l'emersione dell'inimicizia dall'interno, dalla prossimità: il bacio come segno e via del tradimento (ver.48). L'altro elemento notevole evidenziato dal nostro testo, al ver.47, è la sproporzione tra l'apparato degli aggressori - "una gran folla con spade e bastoni" - e la mite persona dell'aggredito. Gesù piuttosto coglie questo fatto per ricordare la grande "battaglia" da Lui condotta:"Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato"(ver.55): con l'arma della Parola, contro il Maligno che tiene prigioniero il cuore dell'uomo. Il ver.50 ci conferma che Gesù è in realtà il grande protagonista di questa vicenda nella quale Egli sembra soccombere, e che invece è l'evento della definitiva liberazione dal Male e dalla Morte.

 

I vers.51-54 fanno memoria di un episodio che nel Vangelo secondo Matteo - solo qui! - sancisce la condanna definitiva di ogni metodo violento per affrontare e risolvere i problemi e i pericoli della storia di ciascuno e di tutti. Il "ritardo" dei discepoli rispetto al Vangelo del Maestro li vede ancora armati di spada, e quindi partecipi degli stessi criteri che caratterizzano la folla degli aggressori condotti da Giuda e mandati dai capi dei Giudei. Tutti i Vangeli concordano nel dire che il colpito di spada è il servo del sommo sacerdote (ver.51), e quindi un obiettivo di rilievo per colpire coloro che fanno guerra al Signore. Ma Gesù appunto rifiuta con assoluta determinazione l'uso di questa forza, e propone un detto proverbiale - non so dirvi se inventato da Lui  o da Lui raccolto nella tradizione di Israele - per dire che la violenza non è capace di generare se non la morte, e non solo la morte di chi viene colpito, ma anche quella dell'aggressore. La violenza è un sistema chiuso in se stesso e prigioniero della dura legge della Morte.

 

Ci possiamo domandare, con atteggiamento prudente, se con Gesù non avvenga un mutamento anche nel cielo. Le legioni di angeli, "più di dodici", un numero che indica la totalità, le dodici tribù, non vengono utilizzate. Il bello è che questo non contraddice "le Scritture", ma anzi ne è l'adempimento. Prima del Cristo un certo uso della forza, e quindi una presenza rilevante della "violenza" accompagnano la storia del popolo di Dio, anche se ogni battaglia affrontata da Israele era dominata dalla relazione con Dio e quindi dalla sua decisiva presenza-assenza nel conflitto, perchè Israele vince solo se Dio combatte per lui, non la sua destra, non la sua forza, ma la potenza di Dio stesso. Ora però questa potenza, ampiamente profetizzata dalle Scritture nel suo sconvolgente volto, deve affermarsi come obbedienza del Figlio sino alla Croce. Una potenza dunque che non toglie la vita ma la offre.

 

Il nostro brano si conclude con l'evento già annunciato da Gesù e respinto da Pietro e dai suoi compagni: "Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono". Qui dunque dobbiamo cogliere non solo il peccato di abbandono nei confronti del Signore, ma anche la nostra lontananza dall'unica vera potenza capace di sconfiggere il Male e la Morte.

 

martedì 8 novembre 2005 Mt 26,36-46

 

36 Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». 37 E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38 Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 39 E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». 40 Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? 41 Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 42 E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà». 43 E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. 44 E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45 Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. 46 Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Chiediamo al Signore che anche oggi ci conceda di ascoltare le sue Parole non solo come la memoria di eventi passati, ma anche e soprattutto come la rivelazione da parte di Gesù del mistero della vita, con le sue debolezze e le sue meraviglie, vita visitata, assunta, dal Figlio di Dio, perchè tutto sia riscattato e riempito della luce di Dio. Oggi questo è particolarmente importante, perchè attraversa pensieri, sentimenti e atteggiamenti che potrebbero restare confinati nell'orizzonte dell'umana debolezza, mentre l'assunzione di tutto ciò da parte di Gesù Cristo, ne fa meravigliosa rivelazione del cuore stesso di Dio, e possibilità per noi di celebrare nella povertà della nostra vita la pienezza del mistero dell'amore divino.

 

Segnalo due elementi di grande rilievo del ver.37: il dolore angoscioso del Signore, e il coinvolgimento in ciò di Pietro, Giacomo e Giovanni. C'è dunque un dolore divino! Ed è donata all'umanità la possibilità di vivere il dolore secondo Dio! Se considerate poi che al dolore è intrecciata l'angoscia, potete cogliere l'attualità assoluta di questo. In questi anni ho avvertito in modo crescente il pensiero che nell'orto degli ulivi il Signore abbia veramente vissuto tutto quello che dopo poco sarebbe accaduto nelle ore della croce e della morte. Su questa linea diventa di grande rilievo la sottolineatura di come sia importante la presenza dei più cari nell'ora dell'agonia. Il ver.38 dice la "direzione", la ragione e la prospettiva del dolore di Gesù: la morte. E dunque l'esigenza ancora più forte di un sostegno di comunione. Mi sembra importante a questo punto sottolineare che, come ascoltiamo ai vers.40 e 43, pare quasi inevitabile che un certo abbandono e una certa solitudine siano in ogni modo parte di quest'ora.

 

Il rimprovero rivolto a Pietro e ai suoi compagni per l'incapacità di vegliare assume un riferimento forte alla condizione umana in generale: lo spirito è pronto ma la carne è debole. Il rischio è cadere in tentazione. Quale tentazione? Forse quella di disperare. Così sembra diventare inscindibile l'esigenza di vegliare con il Cristo dell'agonia e quella di vegliare sulla propria stessa debolezza.

 

Al centro di tutto, la preghiera di Gesù al Padre. Mi sembra si debba dire che Egli manifesta con chiarezza un'ipotesi radicalmente diversa da quella che sembra avanzare; la possibilità cioè che sia allontanato da Lui il calice della passione e della morte. E' proprio questo che mette ancor più in evidenza l'altrettanto forte e determinante volontà di Gesù che si compia non la sua volontà, ma quella del Padre. La preghiera non è fatalismo, ma incontro vivo e drammatico; non è meccanicistica efficacia di riti e di parole, ma incontro supremo tra Dio e l'Uomo-Figlio di Dio. La preghiera è supremo e libero compiersi in noi della volontà divina. La preghiera è suprema grazia di comunione tra Dio e l'uomo.

 

lunedì 7 novembre 2005 Mt 26,31-35

 

31 Allora Gesù disse loro: «Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti:

Percuoterò il pastore

e saranno disperse le pecore del gregge,

32 ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea». 33 E Pietro gli disse: «Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai». 34 Gli disse Gesù: «In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte». 35 E Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Credo sia molto importante collegare fortemente le parole che oggi riceviamo dalla bontà del Signore con quelle che da Lui abbiamo ascoltato ai vers.20-25. Mentre qui dice "tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte..."(ver.31) allora diceva "uno di voi mi tradirà"; allora tutti si ponevano davanti a Lui con dolorosa umiltà; qui la reazione è molto diversa. Perchè? Forse proprio per quel "tutti", che genera l'inevitabile competizione tra loro e quindi tutto il rischio di reazioni orgogliose.

 

Tutto si accentua se si riflette che la citazione di Gesù da Zaccaria 13,7 di per sè coinvolgeva le pecore nella sorte del pastore, pastore che nella "lettura" che ne dà Gesù è Lui stesso; tutto poteva essere un loro coinvolgimento nel dramma della Passione, anche se con la segnalazione del peccato:"Vi scandalizzerete per causa mia in questa notte"; ma siamo ancora, forse, nella constatazione dell'umana debolezza più che di un vero peccato! Qui i confini sono sempre molto vaghi. Proprio per questo sarebbe necessario custodire una grande umiltà! Oltretutto l'annuncio dello scandalo è seguito dall'assicurazione che Egli risorgerà e li precederà in Galilea: un grande reinizio!

 

L' "eroismo" di Pietro è inevitabilmente connesso con l'orgoglio e, come dicevamo, con la competizione:"Anche se tutti si scandalizzassero di te, io..."(ver.33). Al ver.35 tutto si enfatizza:"Anche se dovessi morire con te..." La cosa è contagiosa, per cui "lo stesso dissero tutti gli altri discepoli". Siamo sempre sull'orlo di un rientro della natura ferita nel pretenzioso orgoglio della sua autosufficenza, che pretenderebbe di essere più forte della morte! ("anche se dovessi morire..."!).

 

Di fronte a tutto questo Gesù reagisce con l'umile ironia delle piccole cose della natura. Sarà il canto del gallo, istinto dettato dalla natura per l'imminenza della luce del giorno, a svelare le tenebre di un rinnegamento incapace di custodire la speranza dell'annuncio pasquale:"...dopo la mia risurrezione, vi precederò..."(ver.32).

 

sabato 5 novembre 2005 Mt 26,26-30

 

26 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». 27 Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. 29 Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio».

30 E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Mi sembra di notevole importanza il fatto che oggi il nostro brano esordisca con le parole "mentre essi mangiavano", come ieri, al ver.21, si diceva "mentre mangiavano...", e al ver.17 i discepoli gli avevano domandato: "Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?". Mangiare la Pasqua vuol dire mangiare l'agnello pasquale. In tal modo, tutto si collega profondamente: la celebrazione della Pasqua ebraica, che Gesù sta compiendo con i suoi discepoli, come memoria storica e perfetta attualizzazione dell'elezione di Israele e dell'intera opera di salvezza che Dio ha condotto per il suo popolo fin dal principio; l'attualità della storia che solo questa liturgia è capace di interpretare e di guidare verso la salvezza, e tale mi sembra il contenuto dei vers.20-25 con la domanda dei discepoli sul tradimento e il dramma di Giuda; e ora, il nuovo rito della nuova Pasqua, dove il nuovo è completamente immerso nell'antico in perfetta adesione, e contemporaneamente lo svela e lo compie nella persona e nell'opera del Signore.

 

Al centro di tutto sta Gesù e il suo sacrificio d'amore in perfetta obbedienza al Padre. Negli stessi gesti e nelle parole da Lui celebrati, la novità dirompente è quella espressa dalla rivelazione del suo corpo e del suo sangue perfettamente significati dal pane e dal vino che stanno sulla mensa pasquale ebraica, rito che ora ne compie perfettamente la portata profetica. Ora è certo che anche il tradimento di Giuda, pur con tutto il suo drammatico riferimento alla persona del traditore e al male che egli compie, viene di fatto svelato come interno all'atto salvifico di Dio nella persona del Figlio. La passione di Cristo non è la sconfitta di Cristo, ma la pienezza della sua potenza universale di salvezza; e potete chiedervi: "anche per Giuda?". Giovanni, nel suo Vangelo ricorderà le parole del profeta Zaccaria "contempleranno Colui che hanno trafitto".

 

Ma non basta! Non solo il passato e il presente si incontrano nella nuova Pasqua di Gesù. Anche il futuro si affaccia e si svela nelle sue parole e nel suo gesto, principio, questo, dell'assoluta speranza del cristianesimo. L'astensione dal vino, che Gesù annuncia al ver.29, "fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio", è la speranza cristiana, è la certezza che Dio conduce la storia verso il suo perfetto adempimento, ora anticipato e svelato nel segno liturgico. Si tratta dunque di un "appuntamento" che l'Eucaristia celebrata oggi rinnova e fissa per la fine dei tempi, fine già inaugurata da questa stessa celebrazione.

 

"dopo aver cantato l'inno..." dice il ver.30: essi escono per compiere quello che nel segno liturgico è stato già compiuto, così come in quel segno e nella sua "novità" rispetto al rito dei padri ebrei che essi stessi stavano celebrando, tutta la storia di Israele viene assunta e glorificata. Dunque tutta la Parola e tutta l'opera di Dio si raccolgono nella nuova Pasqua di Gesù, così come in essa viene inaugurata la nuova creazione - e la nuova storia - oramai non più solo per il popolo d'Israele, ma per tutta l'umanità chiamata a salvezza.

 

Ma a questo punto sento l'urgente bisogno di chiedere il vostro perdonno e la vostra pazienza per la banalità e la mediocrità che ho avuto la sfacciataggine di scrivere anche questa mattina! Spero solo che, arrabbiandovi un po' con me, siate spinti a procedere voi stessi nella vostra attenzione amante e nel vostro amante impegno verso La Parola, il Pane e lo Spirito che vi sono donati.

 

venerdì 4 novembre 2005 Mt 26,17-25

 

17 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?». 18 Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli». 19 I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.

20 Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. 21 Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». 22 Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». 23 Ed egli rispose: «Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. 24 Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!». 25 Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l'hai detto».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

A me piace molto la presenza nel nostro brano di oggi, al ver.17, del verbo "preparare": "Dove vuoi che ti prepariamo?", perchè in esso si rende presente tutta la lunga preparazione che Dio ha consegnato ai padri ebrei, alla loro fede, alla loro storia e alla loro preghiera. La stessa Città Santa che ospita la loro Pasqua, tutto è preparato per la Pasqua del Signore. Questa preparazione resta in certo modo perenne; forse si può dire anche di noi oggi, sia come preparazione concreta del segno liturgico, sia, più ampiamente, di tutta la nostra vita intesa come preparazione e prolungamento dell'Eucaristia.

 

Nella stessa direzione, mi piace molto quel "tale", così anonimo, e quindi tanto adatto a raccogliere l'intero popolo che ha preparato e ora attende l'adempimento di tutto con l'avvento del Messia del Signore e della sua opera di salvezza preparata dalla lunga "profezia" ebraica. Diventa quindi molto affettuoso e forte quello che Gesù gli manda a dire:"Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli". Grazie, Signore, che sei venuto tra noi in questa Cena consumata con i tuoi discepoli, presso i tuoi fratelli ebrei! E' la speranza della Pace!

 

Facciamoci molte domande davanti a questo "annuncio" del tradimento! Perchè? Che cosa significa per noi? Non sembra voler dire che viene fatto per evitare che avvenga quello che avverrà. Dunque, c'è anche per ognuno di noi l'esperienza di questo annuncio del nostro peccato, che qui non è rivelazione di un peccato commesso, ma, appunto, annuncio di un peccato che commetteremo? Domande sospese? Domande che hanno già una risposta dentro di noi? In ogni modo, una rivelazione davanti alla quale nessuno sembra potersi sottrarre. Nessuno che possa sentirsi esente dall'eventualità di essere lui! Terribile e meraviglioso dolore che accompagna il credente di ogni generazione: "Sono forse io, Signore?"(ver.22). Siamo ben lontani da una concezione razionalista del peccato, della libertà di ciascuno, della assoluta possibilità di "scegliere" di non peccare!

 

E vi devo confessare che non capisco bene neppure l'affermazione di Gesù:"…sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!". Forse sono pazzo, ma preferisco essere davanti al dramma della mia vita davanti a Lui, ancora una volta preferisco essere nelle sue mani, preferisco correre il rischio di una "lontananza da Lui", che tuttavia "grida" un "Lui" che malgrado tutto io amo. E Giuda, no? In ogni modo i verbi valgono anche per il Signore. E quindi di fatto io ci sono, noi ci siamo: avremmo potuto non essere nati, ma ora siamo qui! Con la nostra domanda dolorosa! Anche Giuda! Per lui, chi è Gesù? Una nota della TOB porta ad accorgersi che mentre gli altri lo chiamano "Signore", Giuda gli dice:"Rabbì, sono forse io?" e il termine "rabbì" Matteo lo usa in senso negativo, come abbiamo visto al cap.23. Lascio a voi capire anche questo, perchè io sono già abbastanza occupato a chiedermi chi Lui è per me! Per me Gesù è veramente il Signore? Lo spero, e mi unisco alla domanda degli altri:"Sono forse io, Signore?"

 

giovedì 3 novembre 2005 Mt 26,14-16

14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti 15 e disse: «Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. 16 Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Più esplicitamente che nel testo parallelo di Marco 14,10 qui si mette in evidenza con quel "allora" all'inizio del nostro brano la connessione con la vicenda della donna di Betania; pare quasi che l'onore da lei reso al Signore muova Giuda verso il dramma del suo tradimento.

 

Anche la sottolineatura della prossimità è importante:"uno dei dodici"! Il mistero del male ai suoi livelli più profondi agisce nella prossimità. Il ver.14 ritorna così ai propositi negativi verso Gesù dei vers.1-5 del capitolo. Il ver.15 sembra voler sottolineare l'importanza del denaro nel dramma di Giuda. Può essere utile a questo proposito considerare il brano di Matteo 27,3-10 che è proprio del solo Matteo e che tematizza ancora con forza l'importanza del denaro. Giuda entra ora, al ver.16, nello stesso atteggiamento insidioso dei sommi sacerdoti che abbiamo incontrato ai vers.4-5.

 

Le memorie di Luca e Giovanni sottolineano con forza il dominio del Maligno in questa vicenda. La sua preziosità nella memoria evangelica è in ogni modo quella dell'avvertimento di come il mistero e la potenza del male siano vicini e insidiosi.

 

lunedì 31 ottobre 2005 Mt 26,6-14

 

6 Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso, 7 gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa. 8 I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: «Perché questo spreco? 9 Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!». 10 Ma Gesù, accortosene, disse loro: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me. 11 I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete. 12 Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. 13 In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei».

14 Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Mi sembra molto bello accostare le parole che oggi il Signore ci regala a quelle che abbiamo ascoltato nei versetti precedenti, a quel potente "voi sapete" detto da Gesù ai discepoli al v. 2 riguardo alla nuova Pasqua che sta per compiersi con la passione e la morte del Figlio di Dio, provocata dalle trame dei sommi sacerdoti, ma in realtà pienezza della rivelazione e della divina potenza salvifica del Figlio di Dio.

Oggi di fatto quel "sapere" dei discepoli si rivelerà molto fragile, ma la sapienza che Gesù attribuiva loro viene assunta ora dal gesto di silenziosa e amante adorazione della donna di Betania. Questa è figura meravigliosa della Chiesa Sposa e Madre che si china su Gesù riconoscendo in Lui il vero Agnello e il Messia sofferente. L'unzione sembra essere insieme il riconoscimento di Gesù come Messia del Signore e, come Lui stesso dice al v. 12, la fede in Colui che la morte non può annientare e che fa della sua morte e sepoltura il grembo della salvezza e della vita nuova per l'intera umanità.

Per i discepoli che osservano l'avvenimento con occhi mondani il gesto della donna è spreco (alla lettera "perdita"), gesto sconsiderato cui contrapporre una monetizzazione a favore dei poveri. Difendendo il gesto della donna, Gesù non solo ne rivela il senso profondo, ma lo pone come atteggiamento privilegiato nei confronti dei poveri. Con quel "i poveri li avete sempre con voi" del v. 11 Egli, mi sembra, vuole affermare che essi, prima e più profondamente che persone da soccorrere, sono portatori di quel "mistero dei poveri" che la donna ha riconosciuto in Colui che si è fatto povero sino alla Croce per la salvezza del mondo.

La vera lotta contro la povertà esige dunque che essa sia riconosciuta come quella condizione ferita dell'umanità, condizione ineliminabile (li avete "sempre" con voi!), che il Cristo assume facendone luogo, santuario e grembo della salvezza e della vita nuova. Soccorrere il povero significa ormai, per il gesto della donna di Betania, riconoscere in lui il mistero della Presenza divina, segno privilegiato del Povero, che il Padre glorifica risuscitandolo da morte. Lì s'incontrano pienamente fede e carità.

 

sabato 29 ottobre 2005 Mt 26,1-5

 

26:1 Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: 2 «Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso».

3 Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, 4 e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. 5 Ma dicevano: «Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

L'esordio del ver.1 - "terminati tutti questi discorsi" - che ci collega fortemente a quanto Gesù ha detto nei cap.24-25, l'abbiamo incontrato già più volte a conclusione dei grandi discorsi nei quali il Vangelo secondo Matteo raccoglie insegnamenti del Signore che negli altri Vangeli sono più sparsi. Qui l'affermazione è di grande rilievo per le parole che Gesù dice, come di conseguenza ai discorsi già fatti. Soprattutto mi sembra molto forte quel "voi sapete" del ver.2, così esplicito e dichiarativo, impressionante per come Gesù raccoglie tutto il suo insegnamento nella sua Pasqua e nella sua passione che stanno ormai per compiersi. Come dicesse: tutto quello che vi ho detto ha come oggetto ultimo ed egemone la Pasqua. Ma la Pasqua ha ormai un contenuto nuovo, di cui la Pasqua dei padri ebrei è preparazione e profezia. Ormai Pasqua vuol dire la passione e la morte del Figlio dell'uomo. Questo "sapere" è la suprema "sapienza" della storia, è il vero ultimo segreto di ogni vicenda.

 

Mi sembra di enorme rilievo quel "allora" che lega il ver.3 ai primi due. Siccome è Pasqua e Gesù sarà consegnato e crocifisso, proprio per questo, "i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo...": siamo al confronto drammatico tra la cecità della storia e la sua illuminazione e salvezza da parte di Dio. La trama di morte nei confronti di Gesù di Nazaret appare come una "obbedienza" all'evento di salvezza e di vita che deve accadere! A questo proposito è importante dare un'occhiata a Giovanni 11,47-53 che esplicitamente afferma che in questo momento anche l'iniquità di un disegno di morte altro non è che evento profetico di salvezza.

 

Tutto questo viene confermato dal fatto che mentre la preoccupazione dei notabili di Israele è che questo, per motivi di ordine, avvenga "non durante la festa", tutto quanto avverrà in seguito è compimento della festa antica, nuova creazione, vita nuova, salvezza per l'intera umanità, e quindi "festa" suprema dell'incontro con Dio e l'umanità, vittoria radicale e definitiva sul male e sulla morte, inizio e compimento della grande riconciliazione tra Dio e l'umanità, grande festa della piena comunione con Dio e tra noi.

 

venerdì 28 ottobre 2005 Mt 25,31-46

 

31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Possiamo fare subito una considerazione di un certo rilievo. Le Parole che il Signore ci regala in questo giorno sono le ultime di un lungo, ininterrotto discorso fatto da Gesù dall'inizio del cap.24 fino appunto al brano di oggi. Entrando nel cap.26 avremo un'ulteriore sottolineatura di ciò con l'affermazione "Terminati tutti questi discorsi..." al ver.1. Se avrete un po' di tempo vi sarà di grande illuminazione riprendere l'ascolto intero di questi due capitoli che hanno per tema la fine del mondo.

 

Propriamente oggi non si può dire che Gesù narra una parabola, pur rimanendo molto forte il legame con tutto il cap.25 e con le due parabole delle vergini e dei talenti. Qui siamo davanti ad un annuncio diretto da parte del Signore. L'oggetto specifico di questo suo "ultimo" insegnamento è il giudizio finale su tutti i popoli della terra, dunque oltre i confini - ormai non geografici ma spirituali - del popolo messianico. Penso che si debba recepire in questo senso la domanda retorica con la quale sia i benedetti sia i maledetti affermano di non aver mai visto prima di quel momento il Signore Gesù.

 

Il legame profondo con le immagini dell'olio delle vergini e dei talenti consegnati ai servi sta qui: il Figlio di Dio, significato nell'olio e nei talenti, supremo dono divino ai suoi, si svela ora presente e celato nei poveri. La miseria dei poveri diventa così il mistero dei poveri, e il mistero del Povero, nascosto e presente nei poveri. Questi diventano dunque il "luogo" del giudizio divino. Avverto un riferimento forte alla parabola del ricco e del povero Lazzaro in Luca 16,19-31, dove Lazzaro subisce l'indifferente estraneità del ricco in assoluto silenzio, ma alla fine si rivela come l'evento giudicante nei confronti del ricco che sembra non essersi neppure accorto di lui. Tutto questo viene ora trasferito a livello universale. I poveri sono dunque rivelazione, "Vangelo" di Cristo, giudizio, in tutta la vicenda umana.

 

A questo punto è necessario porsi una domanda ulteriore su "questi miei fratelli più piccoli" citati ai vers.40 e 45. Senza darne un significato esclusivo possiamo chiederci se non si stia parlando in modo privilegiato di alcuni tra tutti i poveri e i piccoli del mondo. Ricordiamo l'affermazione di Gesù in Marco 9, 41 rivolta ai suoi discepoli: "Chiunque vi darà da bere un bicchier d'acqua nel mio nome perchè siete di Cristo, vi dico che non perderà la sua ricompensa". Viene da pensare che "questi più piccoli dei miei fratelli" siano allora i cristiani! Avendo seguito il Signore umile e povero, anch'essi sono entrati nel mistero di Colui che da ricco si è fatto povero per noi. E visitati e serviti da chi si è chinato su di loro sono divenuti via e luogo di salvezza.

 

giovedì 27 ottobre 2005 Mt 25,14-30

 

14 Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. 16 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. 20 Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 21 Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 22 Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 23 Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 24 Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 25 per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 26 Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 30 E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Come vi dicevo ieri, mi sembra possibile e bella una lettura profondamente unitaria di questo capitolo contenente tre immagini che descrivono la nuova vita donata da Dio in Gesù Cristo. L'elemento di continuità delle tre parti - oggi consideriamo la seconda - è il dono di Dio, significato dall'olio nella parabola delle vergini, e dai talenti nel brano che oggi ci è regalato dalla bontà di Dio. Nella prima immagine (vers.1-13) il dono era da accogliere e custodire, oggi l'immagine dei talenti promuove una vita impegnata a far fruttificare il dono che ci viene consegnato. Il verbo del ver.14 che dice la consegna dei talenti da parte del padrone è un verbo ricco di significato ed esprime una consegna, un affidamento che esalta la responsabilità piena che ognuno ha del dono che riceve.

 

Il termine "capacità" che compare al ver.15 nella versione italiana, propriamente è "potenza", e quindi esprime non solo e non tanto le doti di chi riceve i talenti, ma la potenza che Dio ha dato a ciascuno nel suo disegno di salvezza. E' interessante il parallelo di Marco 13,33-37, che al ver.34 dice come Dio abbia dato a ciascuno la potenza e un'opera da compiere, cioè come all'opera che Dio ha affidato a ciascuno corrisponda una potenza capace di realizzarla. Il punto per me più rilevante è quello che nella traduzione italiana dice, al ver.16, che il servo, ricevuti i talenti, andò subito a "impiegarli"; alla lettera, e con molta efficacia, il testo dice che "operò in essi"; si coglie molto bene che nei talenti è contenuta una potenza per cui chi "opera in essi" certamente porta frutto, e un frutto notevolissimo, che raddoppia ciò che il padrone ha consegnato sia al primo che al secondo servo. Mi sembra che il "solo" talento affidato al terzo servo non sia per dire che a questo ha dato meno, ma, quasi al contrario, per cogliere in quel solo talento tutto lo spessore e il valore del "dono di Dio" che forse è Gesù stesso. In ogni modo è certo che anche quello poteva fruttificare nella stessa proporzione degli altri.

 

Ai vers.21 e 23 mi sembra molto bella l'espressione "entra nella gioia del tuo padrone", che bene esprime l'esperienza personale di gioia per l'ingresso nel regno di Dio: invece di dire di entrare nel regno, dice infatti di entrare nella gioia! E' interessante anche il rapporto tra il "poco" della fedeltà dei servi e della loro opera, e la ricompensa della gioia del regno di Dio.

 

Da dove viene la paura del terzo servo non è facile dire; è certo che egli non coglie il fatto fondamentale, e cioè che il giudizio divino è del tutto proporzionato al dono che Egli fa a ciascuno. A questo punto la parabola non teme di enfatizzare la severità di tale giudizio con la ripresa da parte del padrone di quello che il servo aveva detto sul mietere dove non ha seminato e raccogliere dove non ha sparso, anche se sappiamo che molte volte si parla di Lui come del Seminatore che sparge il seme! Ma tutto questo vuole ancor più sottolineare la ricchezza e la potenza del dono affidato, e quindi la responsabilità personale di chi deve farlo fruttificare.

 

mercoledì 26 ottobre 2005 Mt 25,1-13

 

25:1 Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. 2 Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; 3 le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio; 4 le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi. 5 Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono. 6 A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! 7 Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. 8 E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono. 9 Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene. 10 Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. 11 Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici! 12 Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. 13 Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

La fecondità della lettura continua mi induce a considerare sempre più con una certa attenzione la "struttura" che caratterizza il nostro testo e che da una parte lo assimila alle altre memorie evangeliche, e dall'altra ne fa emergere l'originalità e la sua specifica fecondità per la vita cristiana. Per questo mi permetto di proporre una chiave unitaria di ascolto del cap.25. Certo, tenete conto che si tratta di una ipotesi che io faccio, ben consapevole che non è l'unica e che certamente altre letture saranno più appropriate e profonde. Del resto, sono molto d'accordo con un amico ebreo che vede un collegamento tra i fondamentalismi religiosi e un'assolutizzazione interpretativa del testo sacro. L'interpretazione è necessariamente "infinita", perchè tra l'altro, come diceva Gregorio Magno, il testo biblico "cresce con chi lo legge", e quindi anche in ciascuna anima c'è una dinamica interpretativa della Parola che si presenta come incessantemente nuova ed esigente una incessante conversione.

 

Ho pensato dunque di tentare un'interpretazione unitaria delle tre grandi immagini che caratterizzano il cap.25, le vergini con le loro lampade, i talenti affidati ai servi, e il giudizio finale su tutti i popoli della terra. Vi propongo allora di collocare tutte e tre le parti del capitolo nella grande e affascinante espressione usata da Gesù quando in Giovanni 4 dice alla donna di Samaria:"Se tu conoscessi il dono di Dio...". Mi sembra quindi che si parli sempre del dono di Dio: nei vers.1-13 del dono ricevuto e custodito, nei vers.14-30 del dono affidato alla nostra operosità, e nell'ultima parte, della potenza misteriosamente universale di questo dono. Nella parola "dono" vedrei dunque un significato vastissimo, dalla fede, speranza e carità, al dono della Vita nuova, alla Persona stessa dello Spirito Santo...

 

Il ver.3 dice che le vergini stolte addirittura "presero le lampade, ma non presero con sé olio". Poi si capisce che forse un po' ne avevano, perchè al ver.8 diranno alle vergini sapienti di dar loro dell'olio "perché le nostre lampade si spengono". Resta tuttavia l'impressione imbarazzante di queste lampade così inutili se non si ha l'olio per alimentarle. Mi viene da pensare all'ospite delle nozze in Mt.22,11-14 che "non indossava l'abito nuziale"; ed era andato alle nozze! C'è il senso di una negligenza, di una trascuratezza che si avvicina pericolosamente alla superbia e alla pretesa di bastare a se stessi. Perchè, invece, se c'è l'olio, si può anche dormire in questo ritardo dello sposo! Notiamo a questo punto la bellezza della fusione tra due immagini, il ritorno del padrone, e lo sposo che giunge nella notte, che fa di questa parabola di Matteo un "unicum" nella memoria biblica.

 

La vita del credente assume così la fisionomia splendida di un andare incontro allo sposo nel buio della notte rischiarato dalla luce della lampada, cioè da quel dono di Dio che riempie la lampada della nostra persona e della nostra vita; vita che è poca cosa, ma è meravigliosa se illuminata dal dono di Dio. Le vergini sagge non sono delle carognette. Il loro "no" alla richiesta delle stolte sottolinea la sostanza profondamente personale della relazione nuziale. Non so se il matrimonio è così sicuramente "naturale" come si dice, ma è certo che come sacramento e figura dell'amore tra Dio ed  ogni persona non può che essere così!

 

Lo smacco finale delle vergini rimaste fuori è descritto con divina efficacia dalle parole dello Sposo:"Non vi conosco". Nessuno spirito, neppure l'anima più sublime, può pretendere di essere "conosciuto" da Dio, se non per la potenza trasformante e  illuminante del dono di Dio. Mi permetto di consigliarvi un rapido sguardo a 1Co.1,17-25 dove sapienza e stoltezza sono al confronto tra di loro non secondo le sapienze del mondo ma secondo la mirabile sapienza di Dio svelata dalla Croce del Signore.

 

martedì 25 ottobre 2005 Mt 24,45-51

 

45 Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l'incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? 46 Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! 47 In verità vi dico: gli affiderà l'amministrazione di tutti i suoi beni. 48 Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, 49 e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, 50 arriverà il padrone quando il servo non se l'aspetta e nell'ora che non sa, 51 lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Con la parabola del servo si conclude il cap.24. Il capitolo successivo si manterrà nello stesso tema attraverso tre grandi immagini, tre grandi parabole. Ma oggi, in certo senso, l'insegnamento del Signore in ordine alla fine dei tempi arriva alla sua sintesi suprema, riguardo alla quale i testi successivi saranno conseguenza ed esplicitazione. Con la figura del servo vigilante ci viene data la chiarificazione suprema circa quel compito di "vigilare" affermato già al ver.42: "Vegliate, dunque". Vigilare, dice oggi il Signore, non è semplicemente aspettare. Dobbiamo chiederci "come aspettare", che cosa significhi aspettare, come si attui.

Consideriamo innanzitutto la rilevanza della responsabilità personale. Non penso infatti che in questo servo fidato e prudente preposto alla servitù si debba cogliere un personaggio o una mansione speciale. Ogni credente, in modi e misure diverse, è collocato nella grande responsabilità di una vigilanza che si attua nella carità! La carità è l'azione "apocalittica" per eccellenza! La fedeltà nella carità è il vero modo di attendere vigilando. Tale carità viene descritta con un'espressione molto bella: "dare il cibo al tempo dovuto", dove dare il cibo deve essere interpretato nel senso più ampio, e il tempo dovuto è quella interpretazione profonda del senso del tempo, come tempo non nostro, ma di Dio e del nostro prossimo; siamo vicinissimi quindi al duplice comandamento dell'amore. "Beato quel servo"(ver.46), perchè avrà colto nella verità e nell'efficacia l'annunzio della fine dei tempi. In espressione popolaresca si dice in italiano che l'amore "è la fine del mondo", proprio per dire che non c'è niente di più bello. Più di così non si può: è il senso profondo del Canto dell'Amore in 1Cor 13.

Qual è, al contrario, il pericolo? Il pericolo è legato al "ritardo" del Signore (ver.48). Nella sua seconda lettera, S. Pietro, al cap.3,9, risponde a chi si fa beffe di questa attesa apocalittica che il ritardo esprime il desiderio divino che ognuno si penta e trovi la via vera della vigilanza cristiana. Non vigilare vuol dire riappropriarsi del tempo come tempo nostro, per la nostra dissipazione, per il nostro cattivo uso. Come possiamo riprendere dal Libro della Sapienza cap.2, se il tempo non è dedicato a Dio e al prossimo, se il tempo è solo il breve tratto che ci è assegnato prima del nulla della morte, il tempo diventa l'orizzonte della violenza e della prevaricazione, l'amaro atteggiamento di chi non ha nulla da sperare. Come oramai vediamo bene, in una giusta interpretazione dell'apocalisse, perde ogni rilievo il problema di un "quando" nel tempo, perchè tutto diventa fede e fedeltà al Signore del Vangelo. E quindi pace.

 

lunedì 24 ottobre 2005 Mt 24,36-44

 

36 Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.

37 Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 38 Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, 39 e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. 40 Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. 41 Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.

42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il nostro testo di oggi si apre con un'affermazione apparentemente negativa (v. 36): la non conoscenza del tempo e dell'ora finale. Ma il coinvolgimento in questo "non sapere" anche degli angeli e del Figlio ci dà una luce, diremmo una spia, per coglierne la positività; infatti il senso profondo del brano è il supremo valore dell'ora presente, che esige di essere vissuta, qualunque ne sia la durata, nel suo essere sempre di fronte al dono e al giudizio di Dio.

Per dirci come tale ora, vissuta sempre come "ultima", vada vissuta, il Signore fa due esempi: la vicenda di Noè ai vv. 37-39 e la descrizione del giudizio ai vv. 40-41.

Riguardo a Noè, viene messa in evidenza la diversità: mentre tutti mangiano e bevono, prendono moglie e marito, Noè entra nell'arca che ha costruito. Dunque Noè si stacca dall'atteggiamento di tutti e pone un'azione radicalmente nuova, che diventa principio del giudizio divino: "... fino a quando entrò nell'arca... ". L'immagine del giudizio verso i due uomini nel campo (v. 40) e le due donne alla mola (v. 41) tende a sottolineare il giudizio diversificato in una condizione esternamente identica. Così, nella vicenda di Noè il Vangelo del Signore viene colto nella fisionomia di una vita nuova, mentre nel giudizio delle persone nel campo e alla mola si sottolinea il dato interiore di tale vita. La vita secondo il Vangelo è dunque assolutamente nuova in un orizzonte del tutto ordinario.

L'atteggiamento fondamentale richiesto al credente è indicato al v. 42: siccome "non sapete", "vegliate". La vigilanza non è l'inquietudine a l'angoscia di una apocalisse subita e attesa con paura, ma è il sentimento e l'atteggiamento nel quale si vive con assoluta preziosità ogni frammento della storia personale e collettiva. Se la nostra attenzione si concentrasse in un punto specifico e determinato del futuro, il "presente" della nostra vita sarebbe insignificante; invece ogni istante presente, e quindi ogni istante, è vissuto nella vigilanza nei confronti della venuta del Signore. Quando a Santa Teresina morente fu chiesto se non aveva paura del ladro che stava per giungere, ella rispose che lo aspettava con desiderio. Lei aveva ben colto le Parole che oggi celebriamo. Noi facciamo come possiamo.

 

sabato 22 ottobre 2005 Mt 24,32-35

 

32 Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. 33 Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è proprio alle porte. 34 In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada. 35 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Mi piace molto la prima affermazione del nostro testo: "Dal fico imparate la parabola". La parabola cioè viene detta come il "segreto" contenuto in una realtà; qui, il fico. Il Signore sembra volerci dire che c'è una dimensione superficiale delle cose, degli avvenimenti e delle persone, ma che dentro a tutti e a tutto c'è un mistero che riferisce tutto e tutti a quei livelli dell'esistenza dove Dio è presente e opera. La parabola non è dunque un esempio, o un'immagine, o una storia che vengono citati per spiegare qualcosa di più complesso e per renderlo accessibile. La parabola è il mistero di Dio che è nascosto e può e deve essere svelato; pena il vivere tutto come una parabola non spiegata, non svelata; vivere sempre solo la superficie delle cose senza mai entrare nel loro mistero; mistero divino.

 

La prossimità dell'estate viene rivelata dal fico quando ancora è lontana, fa ancora freddo, le giornate sono brevi, tutto è spoglio, nessuno pensa di cercare frutti. Ma invece i germogli ne annunciano la prossimità. E' dunque possibile sapere, e trarre da questo ogni conseguenza per la propria vita. Si può dire a tutti che l'estate è vicina. L'immagine del fico ha un limite rispetto alla realtà affermata dal ver.33, dove le cose sono poste molto più radicalmente. Infatti, i segni del germoglio primaverile sono orientati, e dunque coerenti con quanto sta per accadere. Siamo nell'orizzonte di conoscenze scientifiche e razionali. Invece, "tutte queste cose" che abbiamo visto negli ultimi giorni nel cap.24 sono razionalmente "opposte" all'evento della venuta del Cristo con la sua gloria. Questo "sapere" è divino e solo Dio lo può svelare. Non è sapienza umana. Non è conoscenza razionale o scientifica; e non perchè si tratti di cose irrazionali, ma al contrario: siamo davanti e dentro ad una "razionalità superiore" che solo come dono di Dio si può acquisire.

 

Noi siamo la generazione nuova, la generazione dei figli di Dio a motivo della Pasqua e del sacrificio d'amore dell'Unigenito Figlio. Adottati come figli di Dio per la fede e il Battesimo, siamo i destinatari e i testimoni delle cose ultime, cioè di tutto quello che, ancora immerso nel tempo vecchio, annuncia quello nuovo e finale. Ci sono dati i segni della sua presenza: il Signore non è lontano, è vicino. La fede lo conosce e lo riconosce già presente attraverso questi segni.

 

Secondo il ver.35 i cieli e la terra, cioè tutta questa creazione, passeranno. Ma questa generazione "non passerà", finché tutto non sia compiuto, perchè essa vive dentro quelle "parole" del Signore che "non passeranno" mai.

 

venerdì 21 ottobre 2005 Mt 24, 29-31

 

29 Subito dopo la tribolazione di quei giorni,

il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,

gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte.

30 Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria. 31 Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Mi par bene ricordare due criteri di interpretazione che, in modo forse non ordinato, ho già espresso. Innanzi tutto mi sembra che tutto il Vangelo, tutta la Sacra Scrittura, richiedano di essere ascoltati alla luce della Pasqua del Signore Gesù, e nella prospettiva del dono di questa Pasqua a tutta l'umanità e a tutta la creazione. Va' poi detto che la fine del mondo diventa speculazione faticosa e sterile quando si insiste a domandare una determinazione temporale degli eventi e una descrizione "scientifica" dei modi. Tutto invece è molto ricco e fecondo quando la fine del mondo viene collocata anch'essa nella prospettiva dell'avvenimento pasquale.

La "tribolazione" di cui ascoltiamo al ver.29 è la grande passione di tutta la storia e di tutta la creazione, cui segue "subito" la fine del sole, della luna e degli astri. Tutt'al contrario dall'essere una cattiva notizia, penso che oggi il Signore ci voglia dire che queste realtà, anche come simbolo di ogni realtà, spesso così pericolosamente potenti da diventare per l'impaurita condizione umana idoli di potenza, di magia, di dominio e che nella Parola di Dio e nella fede dei padri sono state collocate nella verità della loro esistenza, come "segni" della persona e dell'azione di Dio, ora possono finalmente "cedere" a Colui di cui sono stati segno, e che ora si manifesta in tutto il suo splendore. Contro ogni rischio idolatrico, questo "cadere" delle potenze davanti alla manifestazione di Dio in Gesù e nella sua Pasqua è decisivo per noi oggi, esposti come siamo ad arenarci su ogni idolo. La venuta finale del Figlio di Dio non è però la "morte" di questi "segni", ma la loro glorificazione, l'epifania della loro esistenza appunto come segno di Lui.

Secondo il ver.30 la comparsa del segno del Figlio di Dio, segno che viene spesso interpretato come la Croce di Cristo, o come il Cristo stesso, crocifisso e glorioso, è donata a tutta l'umanità: così preferisco interpretare l'espressione "tutte le tribù della terra". Il loro "battersi il petto" rivela che davanti allo splendore della gloria di Dio, davanti quindi al Signore della Pasqua, ogni creatura umana deve battersi il petto riconoscendo il "giudizio" che la morte-risurrezione del Figlio di Dio porta su ogni realtà. Le citazioni del "cielo" come luogo di tale manifestazione non è una precisazione geografica, ma il modo per dire che l'evento è sopra ogni altro evento e che ogni creatura è coinvolta in esso.

Infine, al ver.31, viene annunciata la grande convocazione degli eletti, cioè di tutti coloro che hanno esplicitamente conosciuto il Signore del Vangelo e sono entrati nel dono e nel dramma della fede. Siamo dunque in quell'ora del giudizio che in realtà celebriamo in ogni istante della nostra vita, e particolarmente quando ascoltiamo la Parola di Dio, e soprattutto quando questo avviene nella celebrazione della Liturgia, luogo e tempo della suprema potenza di tale Parola.

 

giovedì 20 ottobre 2005 Mt 24,26-28

 

26 Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: È in casa, non ci credete. 27 Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 28 Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il ver.26, con molta chiarezza, mette in guardia nei confronti di materializzazioni, visioni e miracolismi intorno alla persona del Signore. Mi sembra che Egli insista nell'appellarsi alla severità della nostra nuda fede, tanto povera, ma alla fine così assolutamente più preziosa di presunte comunicazioni dirette e manifestazioni straordinarie. Quanto è più ricca e profonda la nostra quotidiana celebrazione della Parola di Dio, pur intrisa inevitabilmente di tutti i nostri limiti!

L'immagine del ver.27 è meravigliosa. La presenza del Signore in mezzo a noi è descritta non come una sua apparizione diretta, ma piuttosto come la sua presenza luminosa e illuminante in tutto l'orizzonte della storia e del cosmo. Si tratta di un'esperienza che in certo modo ci viene concessa già fin d'ora nel dono della fede. Faccio l'esempio dei pochi versetti che oggi ci vengono regalati dalla bontà di Dio; ad una prima lettura mi sento intimidito, perplesso, o addirittura preoccupato: che cosa mi vuol dire, che cosa significano queste parole in se stesse prima di tutto, e all'interno del grande universo di tutta La Scrittura? E che cosa poi vorranno significare per la mia vita di ieri, di oggi e di domani? E per le Chiese? E per il mondo? Poi, un po' di preghiera, di ascolto di altre parole collegate a queste, un po' di invocazione..., piano piano illuminano e aprono la mente e il cuore; e addirittura, attraverso queste poche parole, tutto si illumina, come all'improvviso. Proprio come ci dice questo versetto.

Il ver.28 conferma e precisa l'immagine precedente. Non ci sarà per caso qualche realtà, una persona o un evento, o magari un pensiero che oggi grava su di me, che resteranno fuori da questa luce del Signore? Qualcosa di ormai morto e sepolto, qualcosa di dolorosamente dimenticato e ormai spento? No, perchè "dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi". L'immagine violenta fino all'imbarazzo esprime con efficacia l'impeto amante che porta il Signore a tutto assumere. Mi viene in mente una sua frase la sera di Pasqua secondo il testo di Luca 22,15: "Ho desiderato ardentemente mangiare questa Pasqua con voi...". Ogni più piccola e povera realtà gli è cara! Nulla Egli priva della sua visita amante e del suo desiderio di tutto assumere in Sé.

 

mercoledì 19 ottobre 2005 Mt 24,15-25

 

15 Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo - chi legge comprenda -, 16 allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, 17 chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, 18 e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 19 Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. 20 Pregate perché la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato.

21 Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall'inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà. 22 E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati. 23 Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete. 24 Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io ve l'ho predetto.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il ver.15 annuncia il supremo prevalere nel mondo dell'idolatria, e più precisamente dell'idolatria del potere politico, il capovolgimento delle relazioni essenziali, la sostituzione, non solo nella geografia dei luoghi, ma anche in quella dello spirito, dell'adorazione di Dio con l'adorazione dell'idolo: male supremo e supremo imperversare del male secondo la fede ebraico-cristiana. Il "luogo santo" è il tempio di Gerusalemme, ma è più diffusamente ogni luogo dove si deve adorare Dio e solo Lui, e quindi centralmente l'umanità stessa, il cuore dell'uomo.

 

I vers.16-20 indicano la reazione chiesta ai discepoli. Innanzi tutto la fuga; trovo molto illuminante il testo di Apocalisse 12,1-6, dove appare che la fuga è verso un luogo preparato da Dio nel deserto; è lo strapparsi radicale da una potenza negativa e fortemente invasiva; qui c'è un diritto, ma soprattutto un dovere di fuga! I vers.17-18 mi sembrano l'avvertimento e l'ammonizione a non cercare i rimedi e i provvedimenti propri di una situazione meno drammatica: ora ognuno è più povero e più abbandonato a se stesso. Bisogna sapere che la violenza della situazione aggredisce anche spazi preziosi della vicenda umana, come la gravidanza e il nutrimento dei piccoli, come dice il ver.19. Il ver.20 suggerisce un atteggiamento di totale umiltà, nella consapevolezza della propria fragilità. Dunque, ci troviamo all'opposto della figura dell'eroe!

 

A questo punto emerge una consapevolezza: stiamo celebrando nella nostra storia la passione di Cristo, la "tribolazione grande". Ai discepoli di Gesù è assegnato di seguirlo nel suo sacrificio d'amore. Questa è l'interpretazione nuova e profonda della tribolazione dell'esistenza. Non credo che si debba pensare necessariamente ad un'esperienza e ad una prova "riservata" ai credenti, ma piuttosto alla consapevolezza e alla "partecipazione" dei discepoli alle sofferenze del Cristo. Il ver.22 vuol forse dirci che l'elezione divina dei discepoli, e quindi anche la loro carità e la loro preghiera, abbrevieranno il tempo di questa universale "passione" della creazione e della storia umana.

 

Tutto questo esige, secondo i vers.23-25, una fede severa e spoglia, dove il vero unico miracolo e la più profonda presenza del mistero di Cristo è l'esistenza stessa, e questo con consapevolezza piena negli eletti, anch'essi tuttavia esposti all'inganno,  cioè ad interpretazioni diverse da quella che fa della Pasqua del Signore l'evento unico capace di interpretare e sostenere nella speranza anche le prove più drammatiche della vita. Il ver.25 ci ricorda che la grande grazia è proprio questa "pre-dizione" che il Vangelo ci dona, cioè questo "anticipo" evangelico sulla storia, che consente ed esige dai discepoli una vita consona a quella "fine di tutte le cose" che è la Pasqua di Gesù e l'attesa del suo ritorno.

 

martedì 18 ottobre 2005 Mt 24,9-14

 

9 Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10 Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. 11 Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12 per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. 13 Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. 14 Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Come ho cercato di dire in questi giorni, a me sembra che questi testi apocalittici non ci parlino tanto e solo di una fine temporale, quanto piuttosto della realtà in cui vivono il mondo e la comunità cristiana, evidentemente con pensieri e sentimenti molto diversi. A conferma di questo voglio mettere in evidenza un particolare molto importante che oggi si evidenzia nelle parole che il Signore ci regala; e cioè che molte affermazioni che i testi paralleli di Marco13 e di Luca 21 presentano a questo punto del discorso, per il nostro Matteo fanno parte del discorso di istruzione agli Apostoli che abbiamo trovato al cap.10. Mi sembra che questo confermi l'ipotesi che il Vangelo, e la vita secondo il Vangelo, sono "apocalittici", in quanto riflettono e annunciano quella "fine dei tempi" che la Croce e la Gloria di Gesù Cristo hanno inaugurato.

 

Mi sembra particolarmente impressionante nel testo di oggi l'intreccio tra le persecuzioni annunciate al ver.9 e il drammatico travaglio interno della stessa comunità cristiana. Il solo Matteo ricorda situazioni tanto drammatiche, culminanti con quel "raffreddarsi dell'amore" che sembra l'apice della crisi. Il rifiuto del mondo, il radicale insuccesso mondano della predicazione evangelica, si traducono in un dramma interno che provoca disgregazione nella famiglia dei credenti. Il ver.13 riserva la salvezza a coloro che persevereranno, verbo che esprime la pazienza-sopportazione che è prima di tutto del Signore Gesù. Dunque, questo non si riferisce ad un futuro imprecisato, ma è parte della nostra vicenda odierna. Questo è di enorme rilevanza, perchè peraltro tutto è compreso e contenuto nella Buona Notizia di Gesù, che non ignora la fatica e il peccato, ma li "comprende" e li avvolge della speranza evangelica.

 

Il ver.14, anch'esso caratteristico del solo Matteo, proclama l'annuncio evangelico per "tutto il mondo". Ma non credo che si possa pensare ad un fatto che si verifica una volta per sempre, quanto piuttosto all'incessante fatica degli annunciatori del Vangelo sino al ritorno del Signore.

 

lunedì 17 ottobre 2005 Mt 24,4-8

 

4 Gesù rispose: «Guardate che nessuno vi inganni; 5 molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno. 6 Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. 7 Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; 8 ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

E' bene tenere in gran conto il primo avvertimento del Signore, in risposta alla sollecitazione ricevuta dai discepoli al ver.3 del testo precedente: "Dicci quando...quale sarà il segno...". Dice al ver.4: "Guardate che nessuno vi inganni", e ritorna lo stesso verbo al ver.5: "...e trarranno molti in inganno". Non è facile ora identificare con precisione di quale inganno si tratti, ma mi sembra che si tratti sempre di un inganno di interpretazione della storia, degli avvenimenti sia nella vicenda umana, sia nella creazione. E forse l'inganno ha sempre come oggetto una deviazione dalla speranza forte e semplice che il Signore del Vangelo ci ha donato.

 

Due volti dell'inganno sono annunciati oggi. Al ver.5 si preannuncia la manifestazione di pretesi "uomini di Dio" che si presenteranno come il Cristo. I vers.6-7 segnalano sventure della storia e disastri del creato che per la loro rilevanza sembreranno gridare la catastrofe finale. Contro gli inganni di false interpretazioni, il ver.8 offre una lettura imprevedibile e imprevista! Tutto questo è "l'inizio dei dolori". Ma questi dolori sono i dolori del parto! Mentre si penserebbe che sia l'imminenza della morte, Gesù afferma che siamo alle soglie della vita!

 

sabato 15 ottobre 2005 Mt 24,1-3

 

24:1 Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2 Gesù disse loro: «Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata».

3 Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Come reagendo alle ultime parole di Gesù nel cap.23 su Gerusalemme, i discepoli gli mostrano lo splendore del Tempio. Il ver.2 è la sua risposta, cioè un modo diverso e nuovo di "vedere". Questo dovremo tenerlo presente lungo tutto il cap.24. La creazione e la storia, alla luce della pasqua di Gesù, vanno viste in una nuova prospettiva. Per questo ci incontriamo con un verbo importante e delicato, reso qui nella versione italiana con "venga diroccata", che forse non è facile tradurre diversamente (si potrebbe rendere con "sarà sciolta"). Andatelo a vedere in Mt.5,17-19: è molto illuminante, perchè là il verbo è usato due volte, la prima per dire che il Cristo non è venuto "per abolire (questo è il nostro verbo), ma per dare compimento"(ver.17), e la seconda al ver.19, dove il verbo è reso in italiano con "trasgredirà". Dunque là si dice che Gesù non abroga, non distrugge, ma porta a pienezza. Trasferito nel nostro testo di oggi, ci aiuta a capirne il senso profondo. Il Tempio sarà effettivamente distrutto, ma ciò sarà il segno e l'evento che ne diranno la pienezza nel nuovo Tempio che è il Signore stesso. Quindi è una distruzione per l'edificazione piena. Non è il ripudio del passato, ma è il suo compimento, dove le due parole, la fine, e il fine, s'incontrano.

 

Sul Monte degli Ulivi i discepoli riprendono il discorso - vedono tutto come più da lontano e più nel suo insieme! - e il ver.3 ci regala altri due termini molto importanti, resi in italiano con "venuta e fine". "Venuta" è parola che dice insieme il venire e l'essere presente, e dunque descrive la venuta definitiva del Figlio di Dio. Con tale venuta coincide la "fine" di tutto ciò che è nel tempo, di tutta la creazione. Ma appunto, come ormai appare chiaro, tale fine non sarà annientamento ma pienezza, nuova creatura che non nega ma attua in pienezza la creazione. Tale nuova creazione è già iniziata con il dono del Vangelo e per la potenza dello Spirito Santo.

 

venerdì 14 ottobre 2005 Mt 23,37-39

 

37 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! 38 Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta! 39 Vi dico infatti che non mi vedrete più finché non direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Una "lettura" di queste parole che le applicasse solo al rifiuto del Messia da parte di Israele si rivelerebbe ben presto insufficiente. E questo per un motivo "interno" al dono delle Scritture, e cioè che la Parola è stata donata al popolo di Israele per la salvezza di tutti i popoli, salvezza che il Cristo di Dio inaugurerà destinando il suo Vangelo sino ai confini del mondo. La Parola è sempre perfettamente attuale e assolutamente universale. Per questo, nel dramma di Gerusalemme che uccide i profeti e lapida quelli che le sono inviati viene annunciato il dramma della fede di ogni uomo e di ogni popolo: il rifiuto del dono di Dio! Si può dunque dire che la storia della salvezza ha in ogni persona, o popolo, o cultura il suo passaggio obbligato in questo rifiuto. Pena una china farisaica di interpretazione del rapporto con Dio.

Questo dramma introduce la bellezza straziante dell'umilissima immagine della gallina che raccoglie i pulcini sotto le ali. Così Dio ha voluto molte volte lungo la storia dei figli di Israele, ma non hanno voluto! Siamo davanti a quello che già fin dal principio è accaduto: Dio vuole l'uomo ma l'uomo non vuole Dio. E sappiamo perchè non lo vuole: perchè è attratto dalla tentazione demoniaca di farsi lui stesso Dio, in competizione con Dio. Tutto questo è riposto nell' "io" di ogni persona, di ogni popolo, di ogni cultura. E' l'idolatria. E' l'autoidolatria. L'uomo "occupa" il Tempio, emargina Dio.

Ed ecco la sanzione terribile: la solitudine; la solitudine da Dio. "Ecco: la vostra casa vi sarà lasciata deserta". Come la gloria di Dio ha abbandonato il Tempio e si è esiliata (vedi ad esempio Ezechiele 11), tale la condizione in cui viene a trovarsi chi non ha voluto lasciarsi raccogliere sotto le ali del Signore. Quella casa deserta è il deserto dello spirito. La conversione - e la fede è strettamente connessa con la conversione, perchè con la fede l'uomo "ritorna" a quella comunione con Dio che è il segreto profondo del suo essere - si manifesta con la gioia di un'acclamazione, riconoscimento gioioso della signoria di Gesù, l'Inviato dal Padre per la salvezza di tutti e di tutto: "Benedetto Colui che viene nel nome del Signore", che non vuol dire solo e tanto che viene "a nome del Signore", ma che Egli stesso è il Signore.

 

giovedì 13 ottobre 2005 Mt 23,33-36

 

33 Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? 34 Perciò ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni ne ucciderete e crocifiggerete, altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città; 35 perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra, dal sangue del giusto Abele fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachìa, che avete ucciso tra il santuario e l'altare. 36 In verità vi dico: tutte queste cose ricadranno su questa generazione.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Avverto che questo testo enigmatico ha da dire molto di più di quello che io possa intendere nella mia poca fede. Del resto, è sempre così!

 

Propendo a ritenere che quel "come potrete..?" del ver.33 intenda porre realmente il problema della salvezza dei peccatori, e a non doversi interpretare come domanda retorica che affermi l'impossibilità della salvezza degli uccisori dei profeti. In questo senso diventa importante il "perciò" che apre il versetto successivo, il ver.34. Se questa ipotesi è plausibile, bisogna leggere tutto il seguito come un'operazione divina compiuta non per la condanna, ma per la salvezza dei peccatori! Proviamo a ipotizzare questa interpretazione, che consegno alla vostra preghiera e alla vostra riflessione, affinché possiate eventualmente metterla da parte.

 

Nessuna generazione di fedeli, ebrei e cristiani, è innocente. Ogni generazione credente è colpevole di rigettare coloro che il Signore manda come segni e voci privilegiate di Lui e del suo Vangelo. E questo va inteso non solo come responsabilità collettiva, ma anche come consapevolezza di ogni coscienza: abbiamo rifiutato e respinto violentemente l'uomo di Dio che era ammonizione per noi da parte del Signore. Ma il disegno divino raccoglie tutto il sangue versato in un unico evento. Dal sangue di Abele a quello dell'ultimo profeta, tutto, dice il ver.35, "venga su voi" (così, alla lettera, piuttosto che "ricada", che già dice condanna).

 

Dunque: tutto il sangue innocente (alla lettera, "giusto") versato si raccoglie. S'intende solo il sangue dei profeti, o alla fine semplicemente tutto il sangue versato? Tutto dunque si raccoglie in un unico evento. Si tratta forse dell'evento pasquale di Gesù? Si tratta forse della morte e risurrezione del Figlio di Dio? Il ver.36 conclude dicendo che "tutte queste cose verranno (non "ricadranno") sopra questa generazione. Il sangue di Abele e di Zaccaria e quello di tutti coloro che stanno tra loro ci accusa e ci condanna, tutti e senza eccezione. Ma tutto è unificato in un evento. Tutto si raccoglie in quel unico veramente giusto che è il Cristo del Signore. Nel sangue di Cristo? Vedete voi!

 

mercoledì 12 ottobre 2005 Mt 23,23-32

 

23 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. 24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!

25 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. 26 Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!

27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28 Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.

29 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, 30 e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; 31 e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32 Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Oggi ci incontriamo con i quattro "guai" che seguono ai tre di ieri. Il primo, ai vers.23-24, si basa sul rapporto tra piccolo e grande, principale e relativo. Il confronto tra i termini "menta, aneto e cumino" e "giustizia, misericordia e fedeltà (alla lettera, fede)" è evidente. Questa sproporzione non tiene conto dell' "analogia della fede", cioè della proporzione e della gerarchia che la Parola di Dio chiarisce e definisce tra i molteplici elementi della rivelazione e quindi della vita del credente. Perso il contatto permanente e vivo con la Parola, e sostituita - ipocritamente, dicevamo ieri - con precetti umani, si perde questa gerarchia, questo ordine della realtà, e si rende primario quello che non lo è, trascurando i dati principali dai quali deriva tutto il resto. Anche questo noi possiamo concretamente verificarlo a partire dalla nostra stessa esperienza.

 

Il "guai" dei vers.25-26 gioca sul rapporto tra "interno" ed "esterno". La tensione tra i due elementi proseguirà in modo crescente anche per il "guai" successivo. Dove al ver.26 la versione italiana usa il termine "pulisci", nella lingua greca del Vangelo compare il verbo "purificare". Questo mi pone un interrogativo, e cioè mi domando se noi possiamo di fatto purificare o se la purificazione non spetti solo a Dio e al Figlio di Dio. Si può tuttavia pensare che qui Gesù faccia riferimento a riti di purificazione previsti dalla Legge, e quindi rimproveri un atteggiamento che volutamente ignora il vero male da affrontare e si limita a purificare l'esterno senza affrontare i veri problemi che sono quelli che ci portiamo dentro di noi.

 

L'immagine dei sepolcri ai vers.27-28 si riferisce in ogni modo a situazioni umanamente inaffrontabili, e che solo Dio può sciogliere, perchè si tratta di morte! Qui siamo al cuore del problema legato al farisaismo, cioè a quel non prendere atto che il male, ai suoi livelli profondi, è mistero che sovrasta l'uomo e le sue deboli forze, e che quindi solo Dio può salvare e liberare. Come vedete, infatti, qui non viene rivendicata da Gesù l'ipotesi di un gesto o di un atto di conversione che si possa compiere per sciogliere il dramma; qui non si può che credere e invocare la salvezza da Colui che solo può salvare. I sepolcri "sono"belli a vedersi, ma "sono" pieni di ossa di morti. Solo il Signore può far risuscitare dalle mortali prigionie e dai sepolcri nei quali siamo chiusi; solo Lui può chiamarci alla salvezza e alla vita nuova.

 

Il "guai" dei vers.29-32 si tiene nel tema dei sepolcri, come in contrapposizione con i versetti precedenti. Mentre bisognerebbe sperare nella risurrezione, i farisei operano in direzione della morte. E non solo, come si vedrà nei testi successivi, perchè continuano ad uccidere i profeti come hanno fatto i loro padri, ma anche perchè innalzano i sepolcri ai profeti e adornano le tombe dei giusti, apparentemente rinnegando le malefatte dei padri che hanno ucciso questi uomini di Dio. Ma questi onori tardivi - vedo dappertutto lodi e onori ecclesiastici verso il battutissimo don Milani! - non negano, ma anzi confermano e si assimilano al misfatto operato dalla precedente generazione, proprio perchè onorano il profeta "fuori tempo", quando cioè la sua parola e la sua testimonianza sono storia del passato e non attualità bruciante per il tempo presente. "Se fossimo vissuti al tempo...non si saremmo...". Ma la Parola di Dio è donata da Lui nel tempo , nel presente. Le Parole che oggi il Signore ci dona interpellano noi, oggi.

 

martedì 11 ottobre 2005 Mt 23,13-22

 

13 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. 14 .

15 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.

16 Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. 17 Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? 18 E dite ancora: Se si giura per l'altare non vale, ma se si giura per l'offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. 19 Ciechi! Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? 20 Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; 21 e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita. 22 E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Oggi consideriamo i primi tre dei sette "guai" che il Signore indirizza ai farisei. E' occasione per ricordare che sarebbe riduttivo considerare il farisaismo come un movimento esistente ai tempi di Gesù, e basta. Si tratta propriamente di una dimensione dello spirito umano, di un atteggiamento interiore che Gesù è molto preoccupato di sottolineare e di evidenziare come un dramma cui il credente - e chi in ogni modo ha un contatto con l'orizzonte di Dio - è esposto. Anche quello che stiamo ascoltando ha dunque un bruciante valore attuale che ognuno di noi può facilmente verificare nel suo stesso animo! L'attributo "ipocrita" descrive un atteggiamento sottile e penetrante che sostituisce al comandamento di Dio un criterio umano che addirittura capovolge il senso della Parola divina. Al contrario, capovolgendo i criteri e l'azione dei farisei si coglie l'intendimento di Dio nel suo rapporto con il suo popolo e con l'intera umanità.

 

Contro la volontà di Dio di aprire il regno dei cieli, il fariseo lo chiude, e impedisce a sé e agli altri di entrarvi; infatti mentre la Parola libera, il precetto giudaico "chiude", cioè conferma e enfatizza con la sua precettistica ossessiva ben lontana dalla pura Parola divina, la schiavitù della condizione umana, prigioniera del male e della morte. Così si può cogliere, mi pare, dal ver.13. Il ver.15 sembra voler estendere questa negatività dell'azione farisaica a tutta l'umanità. Il "proselito" è infatti il pagano che si converte al giudaismo, ma che non fa che peggiorare la sua situazione se tale conversione avviene per l'opera del fariseo, che appunto, invece di liberarlo verso Dio, lo imprigiona in un precetto mondano.

 

Lo scandalo supremo compiuto dalla precettistica e dalla casistica farisaica sta nella sua aggressione al cuore della fede ebraica e ai suoi segni privilegiati: il tempio e l'altare. I vers.16-22 riportano le aberrazioni farisaiche riguardo all'impegno che una persona può assumere in riferimento alla santità del tempio e dell'altare. Mi pare molto propria l'osservazione che il padre della Chiesa Ilario fa, affermando che mentre i precetti della Legge e il culto che ne derivava sono via di profezia e di preparazione verso il Signore Gesù, le devianze farisaiche ne sono l'impedimento. Come dicevo, tutto questo può e deve essere considerato per la sua bruciante attualità, a partire ciascuno da se stesso e dai farisaismi che attentano la nostra fede.

 

lunedì 10 ottobre 2005 Mt 23,1-12

 

23:1 Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2 «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3 Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4 Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5 Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6 amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe 7 e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare "rabbì" dalla gente. 8 Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. 9 E non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10 E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11 Il più grande tra voi sia vostro servo; 12 chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Entriamo oggi nel cap.23 che si può dividere in tre parti: i vers.1-12, rivolti ai discepoli e che oggi consideriamo; i vers.13-36, cioè la gran parte del capitolo, rivolti ai farisei e agli scribi; e i vers.37-39 rivolti a Gerusalemme. L'oggetto principale del capitolo è l'insegnamento di Gesù circa l'atteggiamento interiore ed esterno di questi "capi" religiosi del popolo, che Matteo amplia rispetto agli altri Vangeli e raccoglie in un unico discorso.

 

Sembra di cogliere che questa "cattedra di Mosè" non sia importante come oggetto, quanto come segno di un'autorità spirituale. E sembra soprattutto che quanto oggi il Signore insegna tolga legittimità a questa "cattedra", dove qualcuno, in specie gli scribi che sono maestri delle Scritture, e gli appartenenti al gruppo dei farisei, rigorosi osservanti della Legge, si collocano con un'autorità spirituale che di fatto è un'usurpazione. L'interessante per noi è osservare che questo non si pone solo sul piano di un giudizio morale, ma evidenzia la sostanza della Parola come luogo e tempo dell'incontro con Dio.

 

Così, al ver.3 viene proclamato il valore assoluto della Parola che non viene scalfita dai comportamenti umani, ma resta tale in qualunque circostanza. E' questo che consente a Gesù di dare un'indicazione di umiltà e di pace alla folla e ai discepoli: si può accogliere positivamente la Parola anche quando viene proclamata da chi non le è fedele. L'invito del Signore è importante per tutta la tradizione dei Padri ebrei, e anche per noi oggi; dice infatti, in ordine a quanto scribi e farisei dicono: "fatelo e osservatelo (alla lettera, custoditelo)", con quel primato della prassi, tipico della fede ebraica e quindi cristiana, dove addirittura il fare precede anche la piena comprensione e le ragioni che accompagnano la parola: facendo, si capisce! In ogni modo, la parola conserva sempre le sua preziosità e verità, al di là delle circostanze in cui viene affermata. E la prassi è rigorosamente affidata alla responsabilità personale!

 

I vers.4-7 esplicitano il comportamento negativo di questi cattivi maestri. Tale negatività possiamo coglierla nell'osservare che essi hanno come fine del loro insegnamento il potere sugli altri e l'onore che dagli altri cercano. Quindi, più profondamente, l'assenza di un vero rapporto con Dio. Questo è importante perchè chiarisce che il fine della Parola non è quello di generare una prassi meritoria, ma soprattutto di essere l'ambito della comunione con Dio, là dove si celebra e si realizza la "vita con Lui", un'esistenza umana vissuta nella comunione tra Dio e l'uomo.

 

Nelle indicazioni date ai discepoli ai vers.8-12 Gesù descrive la meravigliosa fisionomia del popolo messianico, del popolo di Dio che nasce dalla sua persona e dalla sua opera. Questo popolo non si identifica con una disegno gerarchico dall'alto in basso, ma coglie l'assemblea credente come fatta da "tutti fratelli"(ver.8). Il ver.9 precisa che non si tratta di una fratellanza illuministica tipo i tre nipotini di Paperino, che appunto si qualificano come "nipoti", ma di una condizione che nasce dalla paternità di Dio. Per il ver.10 il nostro fratello Gesù è l'unico nostro maestro. I vers.11-12 esprimono in poche parole incisive la prassi che da questo scaturisce per chi in questa famiglia di Dio ha una responsabilità: quel abbassamento che suggerisce un riferimento importante alla lavanda dei piedi di Giovanni 13.

 

sabato 8 ottobre 2005 Mt 22,41-46

 

41 Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: 42 «Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». 43 Ed egli a loro: «Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo:

44 Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra,

finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?

45 Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». 46 Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Le parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio sono la sintesi suprema di quanto abbiamo ascoltato e celebrato in questo cap.22. La persona di Gesù è la risposta piena, è il perfetto compimento di quel disegno nuziale cui Dio chiama l'intera umanità. In Lui Dio e l'uomo pienamente e perfettamente si incontrano. In Lui sono celebrate le nozze tra Dio e l'umanità. E' Lui quel Figlio alle cui nozze siamo stati invitati ai vers.1-14 di questo capitolo; notate che nella parabola dell'invito alle nozze non viene nominata la sposa, perchè c'è una misteriosa coincidenza tra lei e gli invitati: l'umanità intera viene invitata, attraverso l'annuncio evangelico e la potenza dello Spirito, ad entrare in quella nuzialità che stabilisce e proclama la vita nuova in Dio. In Gesù risplende l'uomo nuovo "restituito" a Dio, quello che nel problema del censo e della moneta deve essere reso a Dio. Gesù è quello sposo vero e nuovo che rende feconda la Sposa, la Chiesa e in lei l'intera umanità, per la potenza di un amore più forte della morte. In Gesù si attua il mistero dell'Amore, ed Egli stesso è quel duplice comandamento dell'amore annunciato ai vers.34-40. Dunque, Egli è il Messia che Davide chiama "il mio Signore". Vi consiglio di considerare il testo di Atti 2,29-36 dove tutto questo appare nella conclusione del grande annuncio di Pietro la mattina di Pentecoste.

 

Vorrei a questo punto cercare di mettere in luce un'altra prospettiva di lettura del nostro brano di oggi. Notate innanzi tutto che oggi non è il Signore ad essere interrogato, ma è Lui a interrogare i farisei. Certamente Gesù è risposta a tutti gli interrogativi dell'animo umano. Ma è Lui che peraltro pone incessantemente interrogativi all'uomo, qui non a caso rappresentato dai farisei, e cioè da un atteggiamento interiore che tende a dare una risposta a tutto, a tutto "chiudere" in soluzioni statiche e definitive. Ma il Vangelo non è la Legge! Il Vangelo è la Parola viva del Dio vivente, e per questo non cessa mai d'interpellare l'uomo. La Chiesa non possiede la Parola, ma è il Signore della Parola a porle continuamente domande e a porla in questione attraverso il Vangelo che le impedisce di ridurre la Parola a formule e a norme. In questo senso è bellissimo che il capitolo si concluda con le domande di Gesù. E che anzi, al ver.46, dica che i farisei non possono rispondergli e non osano interrogarlo: solo Lui, infatti, può rispondere, e solo Lui è capace di fare della sua Parola un'incessante interrogazione allo spirito e alla storia dell'uomo, di ogni persona e dell'intera umanità. Così è il Mistero: non qualcosa che sta al di là delle possibilità di conoscere, ma la Parola di Dio che impedisce di chiudere la conoscenza e l'esperienza umana della fede, della speranza e dell'amore.

 

venerdì 7 ottobre 2005 Mt 22,34-40

 

34 Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». 37 Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. 39 E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

La domanda che il dottore della legge, al di là delle intenzioni, pone a Gesù non è inconsueta; i rabbi e le loro scuole sono spesso caratterizzati da attenzioni e sottolineature della Parola di Dio che li portano a gerarchizzare i contenuti della Legge, mettendo in evidenza quello che è privilegiato nella loro esperienza. Dunque, "qual è il più grande comandamento della legge?". A me sembra che la prima parte della risposta di Gesù, con questo riferimento diretto alla prima norma del Decalogo, collochi l'insegnamento di Gesù nel cuore della fede e della tradizione dei padri ebrei. Per il nostro cammino nel cap.22 e nello svolgimento del tema nuziale come centro e apice dell'esperienza cristiana siamo dunque all'esplicitazione piena della via del Vangelo. Il ver.38 sigilla l'affermazione del Signore: "è il più grande e il primo dei comandamenti".

 

La novità esplosiva è il proseguo del discorso, al ver.39. Matteo si caratterizza rispetto ai paralleli di Marco 12,28-31 e di Luca 10,25-28 con quel attributo "simile" che vuol dire proprio l'assoluta similitudine del secondo comandamento al primo: "il secondo è simile al primo". Questa è la novità sconvolgente dell'annuncio cristiano: un accostamento quasi "pericoloso", un avvicinamento assoluto al mistero di Dio. Tutto questo è ora non solo possibile ma assolutamente necessario per un motivo preciso: l'incarnazione del Verbo, e dunque la persona e l'opera del Figlio di Dio. Mi colpisce la sicurezza con la quale un padre della Chiesa, Ilario di Poitiers, afferma che questo prossimo è Lui, Gesù. Mi sembra importante che ricordiamo qui la parabola del Samaritano di Luca 10,29-37 dove il prossimo viene descritto prima di tutto come colui che "si è fatto prossimo" all'uomo mezzo morto sulla strada; dunque, proprio Lui, il Signore. Ed è la stessa parabola che invita chi è stato visitato dall'amore compassionevole del Cristo a fare altrettanto, e cioè ad accostarsi con la stessa compassione a chiunque incontriamo nella strada della vita. Possiamo infine citare uno dei testi del Nuovo Testamento dove l'amore del prossimo viene annunciato nell'orizzonte della reciprocità: "Lavatevi i piedi gli uni gli altri" (Giovanni 13,1-11). Da quando Dio si è fatto uomo, nell'uomo è nascosto e svelato Dio stesso. In qualsiasi persona ci avvicina o noi avviciniamo: il nostro prossimo.

 

Il ver.40 ci offre un'altro termine anch'esso proprio del solo Matteo: "dipendono", alla lettera "dipende". Dice infatti, alla lettera: "In questi due comandamenti l'intera legge dipende, e i profeti". Il verbo dipendere ha come suo significato comune "pendere" e nel nuovo Testamento si riferisce sempre alla crocifissione. In tal modo si può pensare a tutti i comandamenti come frutto che pende dall'albero della Croce. E si può pensare anche che tutti i comandamenti sono crocifissi, pendono dai due comandamenti dell'amore, nel senso che, come dice Paolo, "pieno compimento della legge è l'amore"; cioè, chi ama adempie ogni comandamento.

 

giovedì 6 ottobre 2005 Mt 22,23-33

 

23 In quello stesso giorno vennero a lui dei sadducei, i quali affermano che non c'è risurrezione, e lo interrogarono: 24 «Maestro, Mosè ha detto: Se qualcuno muore senza figli, il fratello ne sposerà la vedova e così susciterà una discendenza al suo fratello. 25 Ora, c'erano tra noi sette fratelli; il primo appena sposato morì e, non avendo discendenza, lasciò la moglie a suo fratello. 26 Così anche il secondo, e il terzo, fino al settimo. 27 Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. 28 Alla risurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? Poiché tutti l'hanno avuta». 29 E Gesù rispose loro: «Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio. 30 Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo. 31 Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio: 32 Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi». 33 Udendo ciò, la folla era sbalordita per la sua dottrina.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il cap.22, in termini crescenti, è l'annuncio delle grandi nozze, quelle che uniscono ogni uomo e donna a Dio e al suo mistero d'amore, quelle nozze che Gesù Cristo ci ha rivelato e donato nella sua persona e nella sua opera culminante con la sua Pasqua di morte e risurrezione. Nozze che sono totale abbandono di fede alla potenza dell'amore di Dio. Nell'indifferenza degli invitati alle nozze nella parabola del banchetto ai vers.1-14, e nell'obiezione posta dalle regole e dalle leggi del mondo rappresentate dal "tributo a Cesare dei vers.15-22, abbiamo visto che queste nozze non sono facili, anzi alle nostre forze non sono possibili in quanto la nostra natura ferita tende a chiuderci in noi stessi, nella paura e nell'aggressività. Oggi l'obiezione dei sadducei pone al Signore l'obiezione radicale, quella della morte, fine di tutto e sconfitta di ogni realtà e di ogni relazione, anche la più preziosa.

 

La grossolana parabola riferita a Gesù fa riferimento a quella "legge del levirato" (Deuteronomio 25,5ss) che poggia sulla tesi che l'unica via per "vivere al di là della morte" sia la generazione di figli nei quali in qualche modo si continuerebbe a vivere. Perciò il grande fine del matrimonio è questa generazione; ecco allora la disposizione secondo la quale il fratello di un morto deve riparare l'assenza di prole del defunto "suscitando una discendenza al suo fratello"(ver.24).

 

Gesù coglie l'occasione di questa provocazione dei sadducei per proclamare la vittoria sulla morte nella risurrezione, e quindi la potenza dell'amore celebrato nelle nozze, potenza al di là della morte! Il matrimonio si pone in tal modo non come precario riparo alla potenza implacabile della morte che pone fine a tutti e a tutto, ma come segno - sacramento - di quelle nozze eterne tra Dio e l'umanità, e ogni uomo e donna, donate all'umanità stessa dalla Pasqua di Gesù, dove Egli entra nella morte, suprema sanzione per il "peccato", cioè il male, la ferita inguaribile della nostra creaturalità, ma vi entra nella sua perfetta comunione figliale con Dio, in perfetta obbedienza al Padre, e in questo e per questo, vince la morte, ne spezza il giogo, infrange le sue porte, e apre l'accesso alla pienezza della vita nella pienezza dell'Amore divino.

 

Dio infatti non è "Dio dei morti, ma dei vivi"(ver.32), Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che nella loro fedeltà hanno profetizzato e celebrato il mistero di Gesù e per questo vivono per sempre nella pienezza dell'amore di Dio. Le persone sposate vivono il mistero delle nozze nel sacramento del matrimonio. Le persone consacrate nella verginità per il Regno celebrano le nozze nella verginità, cioè nelle nozze che li unisce già fin d'ora, senza segni, al Cristo, e che sono le nozze donate ad ogni battezzato come segreto di una vita , quella appunto battesimale, che vince la morte. Se, come penso, non sono stato chiaro, scrivetemi.

 

lunedì 3 ottobre 2005 Mt 22,15-22

 

15 Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. 17 Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». 21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 22 A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.

 

COMMENTO  DI GIOVANNI

 

La grande immagine che ci è stata data nella parabola dell'invito alle nozze domina l'intero capitolo e rende ragione anche della presenza di questo tema-problema del rapporto con Cesare e della relazione tra questo rapporto e il rapporto con Dio. Le "ragioni" che spingevano gli invitati a non aderire all'invito al banchetto sembrano raccogliersi e problematizzarsi nel "dovere" verso Cesare, e quindi si passa da un piano di egoismo e di indifferenza - "non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari" diceva il ver.5 - ad una questione etica di grande rilievo, esposta all'accusa di fare della fede un privilegio e un'esenzione di fronte alle regole e ai doveri comuni.

 

Il "tributo a Cesare" è stato interpretato in molti modi nella tradizione cristiana, fino all'ipotesi equivoca e pericolosa di un ottimistica armonia tra le due sfere e i due ambiti di vita e di comportamento. Origene suggerisce anche l'ipotesi che Cesare rappresenti addirittura la negatività presente in ogni persona e in ogni esperienza di vita, e quindi la necessità di liberarsi di questo male per poter rendere a Dio quello che è di Dio. Qui a noi basta sottolineare la gravità del problema dovuta soprattutto alla quasi inevitabile idolatria, o meglio auto-idolatria, cui il mondo è esposto; e nel mondo, in modo enfatico, il potere politico inteso in senso ampio. In questo pericolo deve essere compresa anche la tentazione da parte della comunità cristiana di porsi come "religione civile", e cioè di arrogarsi il diritto e il dovere di guidare Cesare e di determinarne le scelte; quando questo accade, inevitabilmente la comunità cristiana si mondanizza, tradisce lo stesso messaggio evangelico e si espone alla stessa auto-idolatria cui è esposta la mondanità.

 

E' dunque importante fissare bene il significato del verbo che al ver.21 è reso con "rendete", cioè "restituite", che corregge una versione tradizionale che dice "date", e che si espone al rischio prima segnalato di un'armonia quieta tra i due ambiti e i due poteri. Invece è decisivo che per rispondere il Signore si serva della moneta e dell'immagine che vi è impressa. Serve a chiarire che c'è un netto confine - non sempre facile a discernere - tra quello che va restituito all'uno o all'altro. Così facendo Gesù impedisce che si costruisca l'immagine di un cristiano doverosamente assente o ribelle di fronte alle "regole" della vita civile intesa nel senso più ampio; e nello stesso tempo mette in guardia di fronte al pericolo di attribuire a Cesare quello che è solo di Dio. Non si può adorare Cesare! Non si può, per obbedire a Cesare, aggredire e offuscare quell' "immagine e iscrizione" di Dio che è impressa in ogni creatura e centralmente nella persona umana.

 

sabato 1 ottobre 2005 Mt 22,1-14

 

22:1 Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse: 2 «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. 4 Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze. 5 Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.

7 Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. 10 Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, 12 gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

COMMENTO DI GIUSEPPE

 

La parabola di oggi è strettamente legata a quella del testo precedente. Gesù si rivolge agli stessi destinatari, cioè sommi sacerdoti, anziani del popolo e farisei (cf. Mt 21,23.45) nella stessa seconda giornata del suo soggiorno nel tempio di Gerusalemme. I servi, citati ai vv. 3, 4, 6, 8 e 10, sono gli stessi inviati ai vignaioli omicidi.

Rispetto alla parabola precedente, si accentuano tre elementi: gratuità, festosità e violenza.

I servi inviati oggi non chiedono infatti frutti ricavabili da un lavoro svolto nella vigna, ma richiedono l’accettazione di un invito alle nozze del figlio del re.

Nella vigna si lavora, mentre al banchetto si fa festa.

Alla violenza degli invitati che rifiutano di partecipare al banchetto preparato per loro risponde l’ira del re: l’invio degli eserciti, la distruzione degli omicidi e l’incendio della città descritti al v. 7 sembrano un’anticipazione di quanto leggeremo nel discorso escatologico del cap. 24.

Sembrano esserci due condizioni per partecipare al banchetto: la prima è di accettare l’invito ad entrare nella sala del banchetto, anche se si è cattivi (cf. v. 10); la seconda è di portare l’abito nuziale (cf. vv. 11-13).

L’accostamento della prima lettura della messa di oggi, il racconto del naufragio di s. Paolo, suggerisce un parallelo tra la sala del banchetto e la nave che va in avaria: poiché fuori dalla sala c’è tenebra, pianto e stridore di denti e fuori dalla nave infuria la tempesta, si deve stare insieme al riparo. S. Paolo riferisce di avere ricevuto da un angelo la notizia che i suoi compagni di sventura gli sono stati datti tutti in dono da Dio e che nessuno di loro si perderà (cf. At 27,24).

 

venerdì 30 settembre 2005 Mt 21,33-46

 

33 Ascoltate un'altra parabola: C'era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò a dei vignaioli e se ne andò. 34 Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. 35 Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono, l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. 36 Di nuovo mandò altri servi più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. 37 Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: Avranno rispetto di mio figlio! 38 Ma quei vignaioli, visto il figlio, dissero tra sé: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e avremo noi l'eredità. 39 E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. 40 Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a quei vignaioli?». 41 Gli rispondono: «Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo». 42 E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:

La pietra che i costruttori hanno scartata

è diventata testata d'angolo;

dal Signore è stato fatto questo

ed è mirabile agli occhi nostri?

43 Perciò io vi dico: vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare. 44 Chi cadrà sopra questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà».

45 Udite queste parabole, i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro e cercavano di catturarlo; ma avevano paura della folla che lo considerava un profeta.

 

COMMENTO DI FRANCESCO

 

1) Mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto: l'immagine ricorda i tanti testi profetici (soprattutto Geremia e alcuni profeti minori), nei quali Dio ricorda al suo popolo di aver inviato premurosamente (lett. "ogni mattina") i suoi servi i profeti per ammonire ed esortare il suo popolo; se i servi della parabola odierna sono dunque i profeti, allora il frutto che il padrone della vigna si attende non è tanto un'opera particolare, ma semplicemente l'accoglienza della parola che ogni giorno Dio rivolge al suo popolo, in fasi progressive, fino alla parola culminante e decisiva, che è quella del Figlio, mandato per ultimo nella vigna.

2) Mi sembra molto bella l'espressione: Avranno rispetto per mio figlio (negli altri vangeli è il figlio amato); il verbo indica rispetto, pudore, rossore, riverenza: questo figlio mitissimo e inerme è inviato per suscitare non sentimenti di paura, ma di compunzione del cuore.

3) L'espulsione del figlio dalla vigna e la sua uccisione sono un evidente richiamo alla crocifissione e morte di Gesù fuori dalla cinta delle mura della Gerusalemme di quel tempo. La lettera agli Ebrei (13,12ss.) invita a uscire anche noi verso di lui fuori dell'accampamento, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città stabile.

4) La pietra... è diventata testata d'angolo... ed è mirabile agli occhi nostri: improvvisamente Gesù, citando il Salmo 117, ribalta una triste e amara storia di ingiustizia e violenza e ne dà una lettura aperta alla speranza; nella pietra divenuta testata d'angolo riconosciamo l'evento mirabile della risurrezione di Gesù e della nascita di un nuovo popolo.

5) vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare: bisogna fare molta attenzione a non pensare che qui si stia dicendo a Israele che il regno di Dio gli viene tolto e viene dato alle Genti. In realtà il discorso è ancora tutto interno a Israele: lo testimonia il fatto che i sommi sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro (v. 45): Gesù sta dicendo che il regno sarà tolto solo ad una parte ben precisa e minoritaria del popolo d'Israele, i capi religiosi che non l'hanno accolto e sarà dato invece a quel nuovo popolo di piccoli e infermi che gli aveva fatto festa nel suo ingresso in Gerusalemme (cfr. 21,14ss.).

 

mercoledì 28 settembre 2005 Mt 21,28-32

 

28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna. 29 Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. 30 Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L'ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32 È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.

 

COMMENTO FRANCESCO

 

1) "Che ve ne pare?... Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?": come ieri ("Vi farò anch'io una domanda..."), anche oggi Gesù pone delle domande; la Parola che ogni giorno ci viene rivolta vuole introdurre nel nostro spirito qualche dubbio, vincere la presunzione di sapere e di avere capito già tutto e di essere nel giusto.

2) Anche oggi, come ieri, Gesù cita Giovanni Battista come punto decisivo e ineliminabile della storia della salvezza: egli "è venuto a voi nella via della giustizia"; chi vuole fare "la volontà del padre" non può non tener conto del Precursore del Signore, sia per il suo messaggio, sia per la sua "Passione"; è un invito a far tesoro della memoria di tutti coloro che Dio ha mandato in mezzo a noi come segni profetici della Sua presenza nella storia e che ci hanno trasmesso il dono della fede.

3) ... rispose "Non ne ho voglia", ma poi, pentitosi, ci andò: è il ricordo del figlio più giovane della parabola di Lc 15, che, dopo aver lasciato la casa del padre, si pente e ritorna, così come il figlio, che prima dice "sì" e poi non va nella vigna, assomiglia al fratello maggiore della parabola, che, pur essendo stato sempre nella casa del padre e aver osservato tutti i comandamenti, non ha in realtà compreso e accolto "la volontà del padre", che è la misericordia per i peccatori, l'amore di Dio Padre per tutti i suoi figli.

 

martedì 27 settembre 2005 Mt 21,23-27

 

23 Entrato nel tempio, mentre insegnava gli si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo e gli dissero: «Con quale autorità fai questo? Chi ti ha dato questa autorità?». 24 Gesù rispose: «Vi farò anch'io una domanda e se voi mi rispondete, vi dirò anche con quale autorità faccio questo. 25 Il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal cielo o dagli uomini?». Ed essi riflettevano tra sé dicendo: «Se diciamo: "dal Cielo", ci risponderà: "perché dunque non gli avete creduto?"; 26 se diciamo "dagli uomini", abbiamo timore della folla, perché tutti considerano Giovanni un profeta». 27 Rispondendo perciò a Gesù, dissero: «Non lo sappiamo». Allora anch'egli disse loro: «Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose».

 

COMMENTO DI GIUSEPPE

 

Dopo l’ingresso solenne a Gerusalemme e la prima visita al tempio (cf. 21,1-17), e dopo l’inizio di una nuova giornata in città caratterizzato dall’episodio del fico sterile e dal discorso ai discepoli sulla fede e la preghiera (cf. 21,18-22), Gesù torna una seconda volta nel tempio ed insegna (cf. v. 23a). La reazione immediata dei sommi sacerdoti e degli anziani del popolo riguarda l’autorità con cui Gesù parla ed agisce (cf. v. 23b). Il riferimento prossimo è alla cacciata di compratori e venditori, al rovesciamento di tavoli e sedie (cf. v. 12) e ovviamente all’insegnamento stesso di Gesù nel tempio. Alla domanda Gesù risponde con una contro domanda (cf. vv. 24-25a), cui segue il ragionamento dei sacerdoti e degli anziani (cf. vv. 25b-26) e la loro risposta (cf. v. 27a). Il racconto si conclude con la risposta non risposta di Gesù a coloro che lo avevano interrogato (cf. v. 27b).

Sommi sacerdoti e anziani del popolo pongono a Gesù il problema della sua autorità. Questa parola, che ricorre quattro volte nel breve brano di oggi, indica propriamente non solo e tanto l’autorità morale delle parole e del comportamento di Gesù quanto la sua potestà, la sua sovranità, il suo potere, la sua potenza. Già in Mt 7,29 le folle erano rimaste colpite dall’insegnamento di Gesù, forse non tanto per il suo contenuto quanto per il modo autorevole ed efficace con cui Gesù parlava, un modo diverso, cioè migliore, di quello degli scribi. In Mt 9,6 e 8 la stessa parola, tradotta potere, indica la possibilità proveniente da Dio, data a Gesù e trasmessa agli uomini, di rimettere i peccati. In Mt 10,1 Gesù trasmette ai dodici discepoli il potere di scacciare gli spiriti immondi. Alla fine del Vangelo Gesù risorto riassume e commenta così la propria vicenda terrena: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Mt 28,18). La morte e la risurrezione costituiscono Gesù in un’autorità piena e definitiva: egli è il Signore dell’universo!

La lucidità estrema e drammatica del ragionamento dei sommi sacerdoti e degli anziani del popolo li pone alle strette tra credere o morire (il parallelo di Lc 20,6 precisa: “tutto il popolo ci lapiderà”). Piuttosto che cedere alla prima o alla seconda ipotesi, gli interlocutori di Gesù preferiscono non prendere una posizione chiara e si trincerano dietro ad un prudente e laconico: “Non sappiamo”. Di qui la non risposta di Gesù che non è il giochetto capriccioso di una persona che vuole fare l’offesa ma la conferma del fatto che i misteri del Regno sono riservati ai piccoli e negati ai grandi (cf. Mt 11,25; 18,3).

 

lunedì 26 settembre 2005 Mt 21,18-22

 

18 La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. 19 Vedendo un fico sulla strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: «Non nasca mai più frutto da te». E subito quel fico si seccò. 20 Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: «Come mai il fico si è seccato immediatamente?». 21 Rispose Gesù: «In verità vi dico: Se avrete fede e non dubiterete, non solo potrete fare ciò che è accaduto a questo fico, ma anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. 22 E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete».

 

COMMENTO DI FRANCESCO

 

1) Il rientro in città da parte di Gesù, dopo l'uscita da essa per dimorare a Betania, mostra il desiderio del Signore di riprendere contatto con il suo popolo. Questo desiderio è descritto in modo molto forte dall'espressione "ebbe fame": l'amore di Dio nei confronti del suo popolo è debolezza, bisogno, appassionato desiderio di una relazione d'amore, di una risposta di fedeltà nuziale.

2) Altrettanto forte è la parola che Gesù rivolge al fico che non dà i frutti attesi: "Non nasca mai più frutto da te", che suona come molto severa. Si può ricordare una parabola parallela al cap. 13 di Luca, in cui compare un vignaiolo che chiede al padrone del fico una proroga di un anno ancora prima che esso venga tagliato.

3) La risposta di Gesù alla domanda di spiegazione dei discepoli stupiti dall'immediato seccarsi del fico, anziché essere, come ci aspettavamo, un commento che mettesse in evidenza la sterilità del fico, cioè il peccato di non accoglienza di una parte di Israele nei confronti del Signore, è invece un insegnamento sull'efficacia della preghiera fatta con fede, senza dubitare. Si tratta di un segnale di speranza: la condanna rivolta al fico sterile non è l'ultima parola; c'è ancora un estremo appello, che è la preghiera, segno di un amore che non vuole mai cedere allo scoraggiamento, ma che con tenacia riaffida tutto alla misericordia di Dio. Per questo Gesù torna a Gerusalemme: la sua prossima Passione è la grande preghiera che egli rivolge al Padre per la salvezza dei peccatori.

 

sabato 24 settembre 2005 Mt 21,12-17

 

12 Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe 13 e disse loro: «La Scrittura dice:

La mia casa sarà chiamata casa di preghiera

ma voi ne fate una spelonca di ladri».

14 Gli si avvicinarono ciechi e storpi nel tempio ed egli li guarì. 15 Ma i sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le meraviglie che faceva e i fanciulli che acclamavano nel tempio: «Osanna al figlio di Davide», si sdegnarono 16 e gli dissero: «Non senti quello che dicono?». Gesù rispose loro: «Sì, non avete mai letto:

Dalla bocca dei bambini e dei lattanti

ti sei procurata una lode?».

17 E, lasciatili, uscì fuori dalla città, verso Betània, e là trascorse la notte.

 

COMMENTO DI GIUSEPPE

 

Il racconto di oggi prosegue e conclude quello di ieri, dove il Signore si avvicinava a Gerusalemme, veniva a Betfage e, dopo aver mandato due suoi discepoli a prendere una cavalcatura, entrava in città osannato dalle folle. Oggi il Signore entra “nel tempio” (espressione ripetuta per tre volte ai vv. 12, 14 e 15), compie azioni, parla, viene osannato dai “fanciulli” e risponde a sommi sacerdoti e scribi. Il v. 17 conclude la descrizione, incominciata all’inizio del cap. 21, dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e nel tempio, informandoci di come finisce quella giornata trascorsa in città.

 

Nei vv. 12-13 non si parla della rabbia di Gesù ma si descrivono sue azioni e parole volte a mostrare che egli intendeva annunciare la fine del tempo dei sacrifici. Il tempio non può più essere usato come luogo per fare i sacrifici (comprare, vendere, cambiare moneta, vendere colombe sono azioni necessarie per il culto) perché i profeti lo chiamano casa del Signore, “casa di preghiera”.

 

Nel v. 14, diversamente dai racconti paralleli di Marco, Luca e Giovanni, proprio in occasione della cosiddetta purificazione del tempio si avvicinano a Gesù ciechi e storpi. I ciechi richiamano il ministero pubblico di Gesù che in Mt inizia con due ciechi (9,27-31) e finisce con i due ciechi di Gerico (20,29-34); a Giovanni Battista in prigione Gesù manda a dire: “I ciechi vedono e gli storpi camminano” (11,5).

 

Nei vv. 15-16 veniamo a sapere dal solo Mt che la liturgia dell’ingresso in città continua nel tempio, dove protagonisti diventano i “fanciulli”. I fanciulli non sono i bambini o i piccoli di Mt 18 ma infanti di pochi mesi che non sanno parlare e prendono ancora il latte, come quelli uccisi da Erode in Mt 2. Gesù stesso è presentato così da Mt 12,18 che cita Is 42,1 (in italiano è la parola “servo”).

 

venerdì 23 settembre 2005 Mt 21,1-11

 

21:1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli 2 dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. 3 Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito». 4 Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta:

5 Dite alla figlia di Sion:

Ecco, il tuo re viene a te

mite, seduto su un'asina,

con un puledro figlio di bestia da soma.

6 I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7 condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8 La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. 9 La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava:

Osanna al figlio di Davide!

Benedetto colui che viene nel nome del Signore!

Osanna nel più alto dei cieli!

10 Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: «Chi è costui?». 11 E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Gesù arriva nel centro del mondo e nel cuore della storia. Tutte le contraddizioni e le ferite, tutte le speranze dell'umanità e del cosmo sono raccolte in Gerusalemme, visitata dalle profezie, dalla Legge e dal culto del Tempio, in attesa del Messia che ora giunge a lei. Suprema figura di Israele, viene identificata e descritta da una donna, da una sposa e figlia (ver.5).

 

I due animali, solo per Matteo sono due, sono riferiti alla profezia di Zaccaria 9,9, unita, in questo ver.5, a Isaia 62,11, due testi molto forti che vi consiglio di guardare un momento. Origene dice che essi simboleggiano Israele e le genti. Bella e misteriosa è l'affermazione "il Signore ne ha bisogno" del ver.3, che istintivamente mi fa pensare alla natura umana, alla "carne", che il Figlio di Dio assume per entrare pienamente nella nostra storia, nel nostro peccato e nella nostra attesa di salvezza.

 

La folla numerosissima e la grande e festosa accoglienza di Gesù è certamente dovuta a quanto Egli ha compiuto. A questo proposito, il testo parallelo di Giovanni 12,12-19 (molto importante!) dice che la gente è rimasta presa da un miracolo da Lui compiuto lì vicino, la risurrezione di Lazzaro; e aggiunge che questa grande festa colpisce i farisei che osservano che "il mondo gli è andato dietro". Tuttavia resta una nota misteriosa, soprattutto se si pensa quanto rapidamente il Messia che ora viene "osannato", sarà respinto e ucciso. Matteo insiste sul fatto delle profezie e al ver.4 dice che questo avviene "perchè si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta..."; dunque, forse, meno per una reale consapevolezza, ma per come lo Spirito conduce la storia verso la sua pienezza. Forse di ciò abbiamo conferma ai vers.10-11, nel dialogo tra una Gerusalemme agitata e inconsapevole, e questa folla che qui sembra omologare Gesù tra i profeti.

 

giovedì 22 settembre 2005 Mt 20,29-34

 

29 Mentre uscivano da Gerico, una gran folla seguiva Gesù. 30 Ed ecco che due ciechi, seduti lungo la strada, sentendo che passava, si misero a gridare: «Signore, abbi pietà di noi, figlio di Davide!». 31 La folla li sgridava perché tacessero; ma essi gridavano ancora più forte: «Signore, figlio di Davide, abbi pietà di noi!». 32 Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?». 33 Gli risposero: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». 34 Gesù si commosse, toccò loro gli occhi e subito ricuperarono la vista e lo seguirono.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Ricorderete che stiamo considerando i cap.20-21, che iniziano e terminano con un'immagine della vigna, come il viaggio e il grande ingresso del Signore, e dei suoi con Lui, in Gerusalemme. Gerico è un'ultima tappa per i pellegrini che salgono alla Città Santa. I testi paralleli di Mc.10,46-52 e Lc.18,35-43 - come sempre molto illuminanti e utili - ci parlano di un solo cieco, che secondo Marco si chiama Bartimeo ed è un mendicante. I due ciechi che qui oggi si incontrano con Gesù vi ricorderanno altri due ciechi che al cap.9 abbiamo incontrato in Galilea; il miracolo che Gesù aveva compiuto per loro inaugurava un loro impetuoso annuncio della persona e dell'opera di Gesù. I due ciechi di oggi, invece, sanati dal Signore, lo seguono verso Gerusalemme. Rappresentano tutti noi che, per un miracolo di illuminazione, possiamo seguire Gesù verso la sua e nostra Pasqua.

 

Una grande folla segue Gesù. Invece i due sono "seduti lungo la strada": sembra che siano impediti per la loro cecità ad unirsi a questa folla; sono "lungo la strada", ma questa strada non è per loro una direzione, un viaggio, a motivo della loro cecità. Secondo il commento di Origene ben rappresentano il popolo della Prima Alleanza che è lungo la strada perchè ha ricevuto il dono delle profezie, ma non ha la luce per camminare dietro al Messia. Ha la Legge, ma non la luce dello Spirito.

 

Nella loro storia, e più globalmente nella storia, passa Gesù; e questo i due lo sentono (alla lettera il testo dice "ascoltando": ascoltano e non vedono). Il nostro testo non dice di loro che sono mendicanti, ma certamente sono capaci della fondamentale mendicità della preghiera, cioè sanno fare della loro povertà un grido verso Dio. Questo è il primo dato, concretissimo, della preghiera: "Signore , abbi pietà di noi...". Colpisce molto l'ostacolo che la folla pone contro di loro. Ricordate che anche i discepoli impedivano l'arrivo dei bambini da Gesù! E' il misterioso, drammatico ostacolo che i grandi pongono ai piccoli, e i pretesi giusti ai peccatori! Ma il Figlio di Dio, per i piccoli, i poveri e i peccatori è venuto! E' meraviglioso il loro non arrendersi e gridare più forte: è la forza, la perseveranza, la grande battaglia della preghiera, gridata verso Gesù malgrado la violenza degli altri che li sgridano "perchè tacessero".

 

Ed ecco, meraviglioso, Gesù che si ferma e li chiama! E' il momento della salvezza per loro! Regalo straordinario che oggi il Signore del Vangelo ci offre, per ricordarci attraverso questi due che ognuno è chiamato, che per ognuno il Signore si ferma sulla strada verso la pienezza della vita, perchè ognuno sia interpellato e possa mettersi in cammino dietro a Lui. Vogliono che i loro occhi si aprano, e Gesù ha compassione di loro. Come dicevamo, il miracolo della luce non è ora per annunciarlo, ma per seguirlo.

 

martedì 20 settembre 2005 Mt 20,17-28

 

17 Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici e lungo la via disse loro: 18 «Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte 19 e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà».

20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».

24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26 Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27 e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Confrontando questo terzo annuncio della sua Pasqua da parte di Gesù con le parole che abbiamo già incontrato in Mt.16,21 e Mt.17,22 possiamo notare che qui vengono citati i "pagani" ai quali gli Ebrei "lo consegneranno"(ver.19). Tutta l'umanità è colpevole della morte del Figlio di Dio, e tutta l'umanità sarà salvata dalla sua morte. Il verbo "consegnare" compare due volte: al ver.18 è in forma passiva: "sarà consegnato ai sommi sacerdoti...". Da chi sarà consegnato? Notate che il verbo significa anche tradire, ma anche trasmettere. Certo, ci sono dei primi attori di questa consegna, e primo tra tutti Giuda. Ma Colui che veramente consegna il Figlio è il Padre; sotto e dentro l'azione cattiva e la responsabilità di chi lo tradisce, c'è il mistero positivo della volontà del Padre che guida il Figlio al suo sacrificio d'amore per la salvezza del mondo. Al ver.19 il verbo è presente in forma attiva; coloro che lo consegnano sono gli Ebrei e quelli che lo ricevono sono i pagani: e anche qui, dentro l'orrore di questa consegna verso una morte infame, c'è il segreto di una "trasmissione" che consente a tutti i popoli di entrare nella grande profezia di Israele e nel suo adempimento pieno nella persona di Gesù. Mi sembra molto importante anche il fatto che, diversamente dai primi due annunzi della sua passione e morte e risurrezione, oggi il Signore apra il discorso con quel "Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme..." che convoca e coinvolge i discepoli nell'evento supremo della salvezza. Del suo sacrificio sono chiamati a divenire partecipi non solo come testimoni, ma soprattutto e prima di tutto come "testimoni forti", come "martiri" (martire vuol dire testimone).

 

Compare qui, ai vers.20-21, questa splendida figura materna che chiede a Gesù il posto della gloria  per i suoi figli. Che cosa deve chiedere una madre per i suoi figli? Ma qual'è la via di questa gloria? La madre, ogni madre, anche la Madre Chiesa, non può chiedere per i suoi figli che il dono della Pasqua, il loro battesimo e la loro fedeltà a Gesù sino alla fine e sino alla pienezza. Ormai il coinvolgimento di cui prima dicevamo è esplicito, e si pone anzi al centro dell'insegnamento del Signore. La Pasqua diventa il cuore della storia umana e il fuoco di ogni sapienza vera. E' il "compito" che raccoglie in sé ogni progetto, ogni obbedienza e ogni dovere. "Voi non sapete.." dice Gesù. E' così! Anche noi, oggi, non sappiamo! O meglio sappiamo, ma non sappiamo in che modo ci sarà posto innanzi il calice e come ci muoveremo in quel momento. L'affermazione dei due "Lo possiamo", è semplice e vera, o è orgogliosa e temeraria? Come per la richiesta della madre, io anche per loro sono portato a considerare positivamente parole e sentimenti che li muovono, pur nell'inevitabile inadeguatezza di ogni persona davanti al mistero dell'amore di Dio. Mi sembra molto importante l'affermazione del ver.23: la nostra prospettiva storica non può essere che la passione del Cristo in noi; la gloria che ne consegue per disposizione divina è rigorosamente al di là della morte, non è gloria di questo mondo.

 

Lo sdegno degli altri discepoli per le parole dei due fratelli non è condiviso da Gesù che se mai prende occasione da questa reazione negativa per darci un saggio meraviglioso di come la Pasqua non sia solo il fatto specifico della morte-risurrezione, ma la luce e la guida di tutta la storia di ogni persona e di tutti. Per questo Egli mette al centro della nostra attenzione il problema delicatissimo (il più delicato?) del potere. Quel potere che secondo Genesi 3 è stato la grande tentazione che il serpente ha potuto insinuare nel cuore dei progenitori, ora viene riproposto alla luce della Pasqua di Gesù, e quindi capovolto! Parlando di potere Gesù fa riferimento in termini del tutto espliciti a quel potere di dominio sugli altri che è principio di tanti mali e di tanto dolore. Notate che Egli non nega la realtà di questo potere come recuperabile dalla luce evangelica: "colui che vorrà diventare grande...", ma la via è opposta a quella che i meccanismi della sete del potere ci fanno percorrere. La via è quella che li sta conducendo, che ci sta conducendo, verso Gerusalemme e verso la Pasqua.

 

lunedì 19 settembre 2005 Mt 20,1-16

 

20:1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5 Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.

8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11 Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12 Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15 Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16 Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Un'occhiata al testo latino e quindi alle ore del giorno espresse con "ora terza, sesta..." mi fa pensare a questa chiamata quotidiana nella vigna che è per noi la nostra preghiera, invito più volte rinnovato ogni giorno da parte di Gesù a che entriamo nel mistero e nel dono della sua Pasqua, dono che talvolta può essere anche "peso"(ver.12), ma che è la vicenda sublime che ci rende partecipi della persona e dell'opera del nostro caro Signore; operosità nella vigna che non può avere come unico compenso che "un denaro al giorno"(ver.2), e cioè ancora Gesù stesso che partecipa di noi come noi di Lui. Dono che stabilisce la nostra fraterna comunione, e che deve anche affrontare la prova della tentazione contro la carità: "O il tuo occhio è cattivo perchè io sono buono?"(ver.15). Rischio di confronti e di gelosie, di competizioni e rivalità dentro la vigna!

 

Con questa parabola della vigna si apre il cap.20 e saremo condotti sino alla fine del cap.21 dove troveremo l'altra parabola della vigna (Mt.21,33-46): una rapida corsa in questi due capitoli vi immetterà nel loro contenuto privilegiato, e cioè l'assunzione dei discepoli da parte di Gesù nel suo cammino verso la sua e nostra Pasqua. Agostino dice che questi operai delle diverse ore sono i padri, da Abramo a Mosè, ai profeti...Se si tiene questa ipotesi noi siamo gli operai dell'ultima ora; e coloro che sono tentati di cattiveria davanti alla bontà di Dio verso noi pagani compensati come coloro che hanno portato il peso e il caldo della lunga preparazione, questi sono quei figli di Israele che non sopportano l'apertura universale del Vangelo del Signore. Ma penso che le letture possibili siano molte, fino a quella che vede ciascuno di noi chiamato più volte durante la vita terrena ad entrare nella vigna di Dio.

 

Mi sembra importante sottolineare come emerga dalla parabola colta nel suo insieme che l'essere chiamati nella vigna contiene in certo senso in sé stesso il compenso per il lavoro che vi si farà. Nell'accenno di protesta del ver.7 - si tratta di coloro che trovati all'ultima ora e trattati un po' rudemente dal padrone della vigna che chiede ragione di una giornata tutta inoperosa, si giustificano dicendo: "..nessuno ci ha chiamati" - si coglie bene il privilegio dell'elezione divina ad entrare nella vigna. Senza il dono di questa chiamata non c'è ingresso nella vigna. Il termine che ai vers.3.6 è reso con "disoccupati" e "oziosi", è alla lettera "senza opera, inoperosi", parola preziosa che sottolinea la centralità dell'opera nell'esperienza cristiana; la bellezza di un'opera che Dio assegna a ciascuno nella vigna. Superamento di una contrapposizione tra vita attiva e vita contemplativa: tutta la vita cristiana è convocata per l'opera dello Spirito in noi; opera che può essere consumazione nella supplica e nella lode, oppure consumazione nel servizio ai piccoli e ai poveri, oppure umile nascondimento nell'amore fraterno e famigliare..., ma sempre opera di Dio in noi, opera che Dio ci assegna nella sua vigna.

 

sabato 17 settembre 2005 Mt 19,23-30

23 Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. 24 Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». 25 A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare?». 26 E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».

27 Allora Pietro prendendo la parola disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne otterremo?». 28 E Gesù disse loro: «In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella nuova creazione, quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele. 29 Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna.

30 Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi».

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Mi sembra che la difficoltà del ricco ad entrare nel regno dei cieli (ver.23) si leghi alla mancanza di quella povertà di spirito che è la prima beatitudine proclamata da Gesù in Mt.5,3. Povertà in spirito più che ogni altra povertà. E forse il giovane ricco incontrato nei versetti precedenti proprio questa problema manifestava, anche con quella sua certa aggressività e sicurezza di sé circa il suo cammino verso Dio. Voglio dire cioè che, diversamente da come si è spesso inteso e proposto, la povertà in spirito è più profonda e decisiva di ogni altra povertà che potrebbe suscitare sentimenti di cupidigia e di rivendicazione. Ma vedete voi se questa ipotesi è accettabile. Il ver.24 riferisce l'immagine del cammello e della cruna d'ago; è chiara l'intenzione del Signore di portarci, attraverso la paradossalità dell'immagine, al convincimento di una situazione di impossibilità. E tale è infatti la reazione dei discepoli al ver.25. La tensione tra impossibile e possibile del ver.26 mi ha riportato al testo dell'Annunciazione in Lc.1,26-38 e alla sua base veterotestamentaria in Genesi 18,14.

 

Mi sembra questa la punta del nostro brano di oggi, questo gioco tra l'impossibile per gli uomini e il possibile a Dio. Ed è interessante che questa tensione si risolva attraverso l'affermazione di Pietro al ver.27, cioè da parte di uno di quelli che subito prima avevano dovuto constatare con costernazione l'impossibilità umana di una scelta tanto radicale. Come può avvenire che l'impossibile diventi possibile? Si deve pensare solo ad una superiorità morale e all'eroicità di pochi? Non credo. Propongo quindi due considerazioni. La prima è certamente quella del dono di Dio, per cui anche la scelta umana più alta è sempre frutto di quel dono divino che rende possibile l'impossibile. La seconda considerazione porta alla persona di Gesù come Egli stesso afferma ai vers.28-29 con due espressioni: al ver.28 fa notare che essi hanno lasciato tutto per seguire Lui, affascinati e convinti dalla sua persona e dalla sua opera; al ver.29 dice che hanno tutto lasciato "per il mio nome", cioè per Lui, avendo riconosciuto in Lui una ricchezza che raccoglie ogni ricchezza. Dunque sempre di dono si tratta, e di un dono che si sostanzia nella luce del Figlio di Dio.

 

Tutto questo nulla toglie alla difficoltà e al rischio di una scelta radicale. E' difficile ad esempio pensare che il giovane ricco avesse avuto da Gesù solo una ingiunzione moralmente altissima, senza il dono della sua grazia. Chi ha compiuto il passo, come qui i discepoli colgono in se stessi, lo ha potuto fare proprio per quel dono di Dio che rende possibile l'impossibile. Verrebbe la tentazione - e ci si è caduti in pieno - di concludere che si tratti di una via riservata a pochi, magari solo a chi vuole essere perfetto come era nelle parole di Gesù al ver.21. Ma abbiamo visto che si tratta di una "perfezione" che caratterizza ogni vita cristiana: perfetto e cristiano tendono a dire la stessa cosa! E cioè una condizione finale determinata dalla persona di Gesù Cristo e dalla sua chiamata alla salvezza. Forse conviene pensare piuttosto che ci troviamo perennemente davanti a questa esigenza di tutto lasciare per seguirlo. In un rapporto d'amore si è sempre posti davanti alla gelosia divorante che caratterizza l'amore stesso nelle sue dimensioni più profonde; immaginarsi quale rilievo questo abbia nell'orizzonte dell'amore divino! Concludo con una piccola considerazione: ho visto nella mia vita che quello che si lascia per Lui non solo non è perduto, ma, consegnato per Lui, proprio allora diventa bello e fecondo per noi, senza ruggine e tignola, in grande libertà e nuovo volto d'amore.

 

venerdì 16 settembre 2005 Mt 19,13-22

 

13 Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano. 14 Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli». 15 E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì.

16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». 17 Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19 onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». 21 Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 22 Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

L'importante e forte connessione con il testo precedente è evidenziata dalla ripresa dell'espressione "regno dei cieli" che al ver.12 era detta di coloro che per il regno dei cieli si erano fatti eunuchi, e qui è detta per i bambini: "..di questi è il regno dei cieli"(ver.14). Siamo dunque sempre all'interno della grande immagine nuziale. Ad essa sono adatti i piccoli, di cui questi bambini sono segno e presenza. Non lo erano i farisei che al ver.3 mettevano alla prova il Signore, né i discepoli che rifiutavano le nozze così come erano presentate da Gesù. E le rifiuterà il giovane ricco dei vers.16-22. Ma denunciano la loro lontananza ancora gli stessi discepoli che al ver.13 "sgridavano" coloro che portavano (un verbo forte che significa spesso "offrire") i bambini al Signore perchè imponesse loro le mani e pregasse. Mi fa molto pensare quel "lasciate che i bambini..." del ver.14, perchè so quanto sia facile porre ostacoli al cammino privilegiato che viene riservato da Dio ai piccoli per accedere a Lui. Il rischio è sempre quello di fare della fede una cosa per grandi, per dotti e per virtuosi. Invece la fede è possibile sempre per ogni persona che Dio chiami, ma in ogni modo è un cammino di "piccolezza", e ognuno che entra in questa strada e in questa vita nuova ne ha l'accesso attraverso una "piccolezza" della sua persona, o della sua vita, o del suo cammino di conversione al Signore.

 

Di seguito ai bambini, ecco l'incontro di Gesù con questo giovane ricco (è giovane solo nel testo evangelico secondo Matteo; nei paralleli di Mc.10,17-31 e di Lc.18,18-30 che vi consiglio di considerare si tratta di un adulto e addirittura di un capo che fin dalla giovinezza ha osservato la Legge), e il dramma del suo essere "troppo grande" per il regno dei cieli. Questo rischio di grandezza sembra affacciarsi già nelle buone e pie intenzioni di "ottenere la vita eterna", forse da lui considerate in modo preminente ed esclusivo come opera umana, opera sua: "..che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?"(ver.16).

 

Mi sembra molto importante lo spostamento che il Signore opera tra quello che il giovane vuole fare e Dio che bisogna incontrare: "Perchè mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono.."; dunque, non cose buone da far noi, ma Dio buono che ci chiama e ci salva. In ogni modo il discorso di Gesù prosegue secondo la logica della domanda che gli è stata posta e che esprime efficacemente la struttura spirituale dell'ebreo giusto; al punto che si può pensare a questo giovane come rappresentante e segno di tutta un'economia di preparazione che di fronte all'evento culminante si trova nella fatica. Ai precetti tratti dal Decalogo, Matteo aggiunge il comandamento dell'amore del prossimo.

 

L'uomo si presenta come colui che ha compiuto sino in fondo il suo cammino verso la pienezza. Gesù allora gli dice: "Se vuoi essere perfetto..."(ver.21). Penso che questo "perfetto" non debba essere inteso nel significato che noi attribuiamo alla perfezione e ai perfetti, come realtà e persone che in sé stesse sono e hanno tutto. Sarà forse utile ritornare a Matteo 5,48 dove i discepoli venivano invitati ad essere "perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" in un contesto dove la perfezione del Padre era descritta come il suo amore universale. Allora  il "perfetto" che Gesù propone al giovane come apice e superamento di quello che egli ha vissuto fino a quel momento è quella suprema vicenda d'amore - l'Amore, appunto - che è quel essere niente altro e quel avere nient'altro che quel Altro nel quale gettiamo la nostra vita. Cosa semplice per chi è niente e per chi non ha niente: i piccoli; più complessa per chi, come il nostro giovane, ha "molte ricchezze": una situazione che espone a solitario dolore, come è del nostro amico di oggi.

 

giovedì 15 settembre 2005 Mt 19,1-12

 

19:1 Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano. 2 E lo seguì molta folla e colà egli guarì i malati.

3 Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». 4 Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: 5 Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? 6 Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi». 7 Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?». 8 Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. 9 Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio».

10 Gli dissero i discepoli: «Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi». 11 Egli rispose loro: «Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. 12 Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il cap.19 nel quale oggi entriamo è dedicato a descrivere il legame che unisce al Signore e che unisce i discepoli tra loro e a tutti. Tale legame, preziosissimo, ha la sua immagine più forte nella figura delle nozze. E di questa tratta il nostro brano di oggi, che dunque non va visto solo come un insegnamento morale di Gesù sul tema della fedeltà-indissolubilità del matrimonio, ma appunto come grande annuncio del mistero d'amore tra Dio e ogni persona, nelle diverse modalità di queste "nozze". L'occasione è data da una domanda che i farisei gli rivolgono per mettere alla prova la sua fedeltà alla grande tradizione ebraica e alla Parola. E' lecito che l'uomo ripudi la propria moglie?

 

Il Signore risale al "principio"(cioè al disegno originario di Dio; ver.4), e commenta il testo di Genesi in modo straordinario e singolare. Si sottolinea la "diversità" uomo-donna: ha creato due diversi, non due uguali. In ragione di questa diversità si danno le nozze! Cogliamo subito un riferimento importantissimo al mistero di Dio che scende verso la "diversità" assoluta della creatura umana e si unisce ad essa. Ciò viene subito confermato e rafforzato con l'affermazione che "per questo(!) l'uomo lascerà..."(ver.5); cioè viene qui definita una situazione diversa da quello che è il costume più diffuso, per il quale è la donna ad entrare nella vita e nella casa del marito. Qui è lui che deve lasciare la sua famiglia e deve "incollare se stesso" alla donna (un'unione che sembra poco naturale e poco facile). Subito dopo viene ricordata l'immagine biblica circa l'assolutezza di questo legame ("una carne sola", un "uno" fatto di due), e quello che prima era attribuito all'uomo, ora trova Dio stesso come soggetto di un verbo forte e ancora "non naturale": quello che Dio ha "congiunto" (termine che esprime un aggiogamento, un porre i due sotto un unico giogo). La non separazione non appare dunque come "naturale", ma assolutamente esigita da quello che Dio ha compiuto e da quello che in questo Egli vuole rivelare e comunicare: l'indissolubilità nuziale come segno forte, come immagine privilegiata dell'amore con il quale Egli ama la creatura umana verso la quale scende e alla quale si unisce. Un rapporto "innaturale", complesso, quasi sempre "in crisi", ma assolutamente inscindibile. L'uomo non può separare "quello che Dio ha congiunto", cioè Dio stesso all'umanità! La separazione nega la qualità essenziale dell'amore divino. Si potrebbe dire che in certo senso il peccato è sempre una "separazione", un ricupero della propria triste individualità e della propria solitudine rispetto a Dio e al suo amore.

 

L'obiezione dei farisei cita la disposizione mosaica del libello di ripudio. Questo offre a Gesù l'occasione per insegnare che nella storia tra Dio e l'umanità ci sono "tre tempi": quello "da principio" che costituisce la prima affermazione del disegno divino; il tempo della "durezza del cuore"(ver.8) e infine il tempo segnato e riempito dal suo "io vi dico", cioè il tempo della pienezza e del compimento, rispetto al quale la situazione descritta da Genesi è profezia, e la disposizione mosaica è il soccorso divino alla ferita dell'umanità "divorziata" da Dio. In Gesù il "principio" della creazione si compie nella nuova creazione generata dalla sua Pasqua, che è sacrificio d'amore ed eterna alleanza nuziale tra Dio e l'umanità. Il ver.9 fissa il carattere permanente delle nozze umane come immagine e sacramento delle nozze divine. Tutto considerato, a me pare che la spiegazione più semplice per l'eccezione del "concubinato" sia quella che lo vede come un "non-matrimonio", e quindi come un'unione non significativa del mistero dell'amore di Dio.

 

La reazione dei discepoli è durissima e fortemente maschilista: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi"(ver.10). Gesù non rimprovera, ma approfitta della loro difficoltà per chiarire ulteriormente: non si tratta di un evento puramente naturale, non è una regola iscritta nella natura. Il matrimonio non è una benedizione divina su un fatto umano. Esso è da Dio. E dunque è certamente "violenza" rispetto ad una semplice unione naturale. L'immagine violenta dell'eunuco che tale si è fatto "per il regno dei cieli"(ver.12), non è in questo senso riferita esclusivamente ai vergini per il regno, ma si estende anche agli sposi proprio per quello che prima è stato detto.

 

martedì 13 settembre 2005 Mt 18,21-35

21 Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

23 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. 25 Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26 Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. 27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! 29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. 30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

31 Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33 Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

L'importante domanda di Pietro sposta il discorso dai peccati commessi contro Dio al male che ci facciamo tra di noi. E' interessante notare che anche per questo Dio pretende in modo rigoroso lo stesso atteggiamento. E per questo il racconto della parabola è in "due atti", proprio per evidenziare che dal nostro straordinario rapporto con il Signore scaturisce rigorosamente il nuovo volto delle relazioni tra noi. Siamo evidentemente molto vicini al duplice comandamento dell'amore!

 

Ciò che mi sembra importante sottolineare è prima di tutto questa duplice possibilità della giustizia divina. Tenete dunque ben fermo che nessuno potrebbe obiettare davanti all'ipotesi che si debba con Dio pagare tutto quello che gli si deve! Il Dio razionale è così! Il "dio" che è creato dalla "paura religiosa" dell'uomo di fronte alla morte è così! Come altrettanto ci è chiaro che la parabola non ci riferisce un caso singolo e isolato, ma ci dice "come è Dio", e dunque come "si comporta" con l'uomo. Perciò si potrebbe affermare che quel Dio che è il Padre di Gesù Cristo "non è" secondo le tesi razionali intorno a Lui, e quindi "non si comporta" di conseguenza. Il nostro Dio non è quello che dovrebbe essere, ma, secondo quanto le profezie dei padri ebrei hanno profetizzato e preparato e Gesù di Nazaret ha pienamente e definitivamente rivelato e donato, Dio è quello descritto dal versetto centrale del nostro brano, e cioè il ver.27, con i suoi tre "verbi" fondamentali per la nostra fede e la nostra vita; li cito traducendoli alla lettera: aver misericordia, liberare, rimettere il debito. Siamo al cuore della rivelazione cristiana. Accenno di passaggio che la novità del Figlio di Dio è tale per cui Egli per essa deve morire. La sua Pasqua è la fonte di tutto questo.

 

Dunque, Dio non è come gli altri dei, che sono quasi sempre un'orrenda caricatura di Dio Padre, l'unico vero Dio. Ma Dio Padre sfugge a tutte le possibilità , e dunque a tutte le errate illusioni, di poterlo concepire e pensare con i meccanismi della nostra ragione. Si deve piuttosto dire che ciò che di Lui Gesù Cristo ci rivela, consente, promuove ed esige una sempre nuova e ben più profonda razionalità. Dico "sempre nuova", perchè la "razionalità" cristiana non può mai assestarsi su dati statici, in quanto la Parola di Dio è, tutta e sempre, antica e nuova: cioè, quella Parola che è fin dal principio, incessantemente precede e guida la storia, perchè quella Parola è il Signore Gesù Cristo. Quella Parola non è raggiungibile dalla ragione umana. La ragione umana, in se stessa, senza il dono della fede, arriva sempre, prima o poi, implacabilmente, a quel primo volto di Dio, che oggi è descritto ai vers.23-25, e che è descritto per dire che Dio non è così.

 

Da qui dunque proviene il dolore degli altri servi: nel comportamento del loro collega essi vedono un ritorno all'indietro, un'involuzione verso il "dio" concepito dalla natura ferita dell'uomo, un dio che promuove e giustifica tante realtà, come l'assassinio, la guerra, il divorzio, l'aborto, l'abisso che separa i ricchi dai poveri..., tutte cose dalle quali il Signore Gesù ci ha definitivamente liberati, e alle quali noi rischiamo sempre non solo di tornare, ma addirittura di ritenerle possibili o persino buone. E siccome qualcuno potrebbe dire che almeno qualcuna di quelle brutte cose le abbiamo proprio condannate, sento il dovere di rispondere che una condanna non tratta dalla Parola di Dio ma da pretese evidenze razionali, è molto fragile e sempre esposta a ritrattazioni e a ipocrisie. E' importante continuare a celebrare ogni giorno, molte volte al giorno, la preghiera al Padre che Gesù ci ha insegnato, tutta per intero, e quindi anche dove esprime l'esigenza assoluta di far corrispondere la nostra giustizia alla giustizia salvifica di Dio.

 

lunedì 12 settembre 2005 Mt 18,15-20

15 Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; 16 se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. 17 Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. 18 In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. 19 In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. 20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Oggi e domani attraversiamo due testi che abbiamo incontrato nelle ultime domeniche, e ancora una volta possiamo verificare quale grande dono sia una lettura continua della Scrittura, per la quale possiamo sempre immergere una parola e un brano in ciò che nel testo biblico precede e segue. Così oggi riceviamo le parole che il Signore ci regala di seguito alla parabola della pecora smarrita. Diventa chiara allora l'estensione della volontà salvifica del Padre verso tutti, e quindi la chiamata di tutti i discepoli alla responsabilità, all'impegno e al potere. Possiamo a questo punto accorgerci che nella parabola della pecora, diversamente dal testo parallelo di Lc.15, non è scontato e garantito che il pastore trovi la smarrita; dice al ver.13 "se gli riesce di trovarla"; in verità credo sia meglio rendere alla lettera con "se avverrà che la trovi...", che chiarisce meglio che non c'è un limite di potere del pastore in questa ricerca, ma che tale ricerca-ritrovamento passa necessariamente per l'assenso di chi, essendosi perduto, ora deve accogliere e seguire chi lo ha ritrovato!

 

Siamo così già dentro al nostro brano di oggi, dove un fratello celebra nei confronti del fratello lo stesso desiderio divino di non lasciar andare perduto nessuno. Non è dunque un giudizio contro di lui, ma l'amore per lui. Il triplice tentativo coinvolge prima di tutto la persona che cerca il fratello smarrito in un rapporto diretto e franco. Poi il concorso di alcuni che possano rendere più libera da ogni soggettività l'ammonizione. Infine l'autorità che viene dall'assemblea. Tale autorità-autorevolezza che cresce dal primo al terzo intervento non è legata a garanzie intellettuali, ma, come precisano i vers.19-20, si tratta di una potenza spirituale intimamente connessa con la comunione e con la forza che scaturisce dalla comunità e dalla sua unanime preghiera.

 

Per tutto questo, il Signore concede ai suoi una straordinaria possibilità di perdono (quella che in Matteo 16 era data a Pietro). Non si tratta di un potere giuridico. Siamo nell'ambito della fede e della forza dello Spirito. E' il potere di legare ciò che deve essere impedito e di sciogliere tutto il bene che deve essere liberato e consegnato, o riconsegnato, alla vita e all'esperienza dei figli di Dio.

 

Per quello che riguarda la conclusione del ver.17 - "..sia per te come un pagano e un pubblicano" - io preferisco attenermi ad un'interpretazione che non vede in questo la condanna o l'esclusione del fratello che pecca, ma la sua consegna nelle mani di Dio; là dove non si vede una possibilità umana di entrare nella prigionia del fratello, là dove questo fratello sembra di fatto del tutto estraniato dal pensiero e dagli intendimenti della comunità credente, e dunque resta in quelle "mani di Dio", cioè in quel mistero che segna l'esistenza profonda di ogni persona, il perché della sua esistenza, e quindi il filo che lega ogni uomo e ogni donna alla Persona di Dio stesso, che non cessa di essere il Padre di ciascuno e di tutti.

 

sabato 10 settembre 2005 Mt 18,10-14

10 Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. 11 [È venuto infatti il Figlio dell'uomo a salvare ciò che era perduto]. 12 Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? 13 Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 14 Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il ver.10 ammonisce che non solo non bisogna scandalizzare i piccoli che credono nel Signore, ma anche non li si deve "disprezzare", trattar male. Ci troviamo ora di fronte a uno di quei passaggi forti del Vangelo che ci dicono quanto la fede cambi le relazioni tra le persone. Qui mi sembra si debba prendere atto che una persona non può più essere considerata e trattata per quello che è, ma per come è cara al Signore che l'ha creata e l'ha chiamata. C'è dunque un valore intrinseco e immutabile in ogni persona, che non può essere scalfito né profanato da nessuno e per nessun motivo. E' meravigliosa l'immagine che Gesù propone per dire tutto questo:"...perché io vi dico che i loro angeli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli". Gli angeli sono segno della presenza di Dio accanto a noi; ma qui si presentano come il segno permanente della presenza di ogni persona al cospetto e al cuore di Dio Padre. E' un modo nuovo e straordinario di considerare e trattare ogni persona!

 

Mi pare molto bella anche l'affermazione del ver.11 che spesso viene considerato dagli esperti come non appartenente al nostro testo (per questo anche qui sopra è messo tra parentesi, come lo è in molte edizioni della Bibbia). Mi pare che queste parole aggiungano all'immagine degli angeli la conferma della perenne azione salvifica di Dio. Gli angeli che "vedono sempre la faccia del Padre mio" non sono in una condizione di statica contemplazione, ma esprimono la vigilante presenza presso Dio del mistero e della preziosità di ogni vicenda dell'umanità, e quindi l'incessante opera di salvezza da parte di Lui.

 

Siamo abituati a considerare la piccola parabola della pecora smarrita nella versione di Luca 15 che vi consiglio vivamente di considerare. Là si parla della ricerca che il Signore fa del peccatore per ricondurlo a casa. Qui si tratta ancora dei piccoli: "Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli"(ver.14). Mi pare affascinante che la volontà salvifica di Dio accompagni sempre la vicenda di ogni piccolo che peraltro, come la parabola stessa afferma, si perde - "ne smarrisce una", dice al ver.12. Certo, il pastore smarrisce la pecora: ma questo è l'orizzonte nel quale Dio manifesta l'amore di predilezione per ogni suo figlio; un amore per il quale Dio sembra amare ciascuno più di tutti gli altri - "le novantanove" lasciate sui monti! - , appunto un amore di predilezione per il quale ogni figlio di Dio sperimenta l'Amore con il quale il Padre ama il suo Unico Figlio. Perchè ciascuno di noi è amato "nel Figlio"!

 

venerdì 9 settembre 2005 Mt 18,1-9

 

18:1 In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». 2 Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 3 «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.

5 E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.

6 Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. 7 Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!

8 Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno. 9 E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco.

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

I cap.16 e 17 ci hanno annunciato il mistero della piccolezza di Dio nel suo Figlio Gesù Cristo e il nostro coinvolgimento in tale piccolezza. Ora, nei prossimi due capitoli, la nostra piccolezza viene descritta in tutte le sue manifestazioni e in tutta la sua divina preziosità. Esplicitamente il ver.1 vuole quindi collegarsi a quanto è stato detto nei giorni scorsi, e pone una domanda che si presenta come conseguente a quanto detto: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?". E qui il Signore inaugura il suo grande insegnamento - che ha in Lui il paradigma fondamentale - con l'intreccio tra la grandezza secondo Dio e quella piccolezza che contempliamo pienamente realizzata nella persona e nell'opera del Figlio di Dio.

 

Il Signore sposta il senso della domanda per esortare direttamente ogni persona a percorrere la via della salvezza. E' necessario "convertirsi" (il verbo usato è molto forte) alla piccolezza che Gesù mostra esplicitamente nella persona di un bambino per entrare nel regno dei cieli. E qui Egli afferma una specie di apparente "assurdo" molto importante, dicendo che "chiunque diventerà piccolo...": quindi, nel regno si può essere molti o al limite anche tutti, nel posto del più grande? Sì, perchè ognuno, facendosi piccolo, si accosta e si unisce a Colui che è in assoluto il più piccolo di tutti, e cioè il Cristo di Dio; ognuno, facendosi piccolo può entrare nella pienezza della vita divina.

 

Il ver.5 offre anche una strada concreta per tutto ciò: l'accoglienza di un bambino "in nome" di Gesù, cioè accogliere un bambino come Gesù, a motivo di Gesù, è accogliere Gesù stesso!

 

Fate attenzione, perchè qui il discorso si sposta. Al ver.6 inizia un discorso sul tema dello scandalo. E non si parla più di bambini, o perlomeno solo di bambini, ma di tutti i "piccoli che credono in me": e questi sono i discepoli di Gesù di ogni età e condizione. Questo è interessante perchè si afferma una coincidenza tra discepolato e piccolezza: chi si fa discepolo, prende una decisione verso la piccolezza proprio perchè segue Gesù che si è fatto piccolo nell'obbedienza al Padre sino alla Croce. Dunque lo scandalo è lo scandalo che si mette in atto contro la "piccolezza" che caratterizza e definisce la persona e la vita di ogni discepolo. Il ver.7 afferma che "è inevitabile che avvengano scandali": perchè questa necessità ineluttabile? Credo ancora a motivo del Cristo, la cui persona e opera è il grande scandalo per tutte le sapienze mondane, e quindi anche per il nostro istintivo modo di pensare e di agire, inevitabilmente orientato, per la paura della morte, verso la crescita e non verso la diminuzione.

 

I vers.8-9 pongono un ulteriore tema, almeno mi sembra, che la versione italiana tende a celare. Quando infatti per due volte si legge l'espressione "ti è occasione di scandalo", ritengo meglio rendere alla lettera con "ti scandalizza"; e questo perchè credo che il Signore voglia qui avvertirci del pericolo che noi scandalizziamo noi stessi - "ti" scandalizza!! - , cioè scandalizziamo quel "piccolo" che a motivo del nostro essere discepoli e fratelli di Gesù, è in ogni modo dentro di noi. Tutti sappiamo bene come sia facile aggredire quell'uomo nuovo che per sua misericordia Dio ha seminato in noi.

 

mercoledì 7 settembre 2005 Mt 17,22-27

 

22 Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini 23 e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi furono molto rattristati.

24 Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?». 25 Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?». 26 Rispose: «Dagli estranei». E Gesù: «Quindi i figli sono esenti. 27 Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Possiamo domandarci quale sia il legame tra i vers.22-23 che parlano del secondo annuncio che Gesù dà ai suoi discepoli circa la sua morte e risurrezione e i vers.24-27 che riferiscono un episodio che il solo Matteo ricorda nel suo Vangelo, cioè il problema intorno al pagamento della tassa per il tempio.

 

Noteremo dunque che mentre nel primo annuncio della sua Pasqua in Mt.16,21-23 il Signore parlava del suo essere ucciso dai capi del popolo ebraico, qui Egli parla della sua consegna, più globalmente, "nelle mani degli uomini"(ver.22); dunque un rapporto che sembra stabilirsi con l'umanità in senso ampio, universale; non un problema interno alla storia, alla fede o al pensiero degli ebrei, ma un fatto che coinvolge l'intera umanità, al di là della sua consapevolezza. Vedremo come tutto questo si chiarirà ulteriormente nel successivo annuncio in Mt.20,17-19. Mi sembra che questo ampliamento di orizzonte attribuisca alla vicenda della tassa e del pesce un significato più ampio: il rapporto di Cristo, e dei cristiani qui rappresentati da Pietro, con l'intera vicenda dell'uomo.

 

Altra osservazione che mi sembra non priva di interesse è il ricomparire di Pietro e il suo nuovo scambio di parole con Gesù. Ricordiamo al cap.16 il suo riconoscimento di Gesù come il Figlio del Dio vivente, e il rifiuto subito dopo della prospettiva di umiliazione e di morte che il Signore annuncia. E', dicevamo, il punto focale della fede cristiana: accogliere nell'umile persona di Gesù di Nazaret il Figlio di Dio, Dio stesso. Credere in Gesù Dio e Uomo. Qui il nostro Pietro che lo ha visto nella gloria della Trasfigurazione all'inizio del capitolo, tenta di attenersi alla "lezione" ricevuta precedentemente, e afferma con sicurezza l'umile sottomissione del Signore alla comune sorte e al comune dovere di tutti.

 

Il Signore interviene con l'esempio dei figli dei re per affermare che la partecipazione di Cristo e dei cristiani alla comune vicenda umana non può dimenticare quel segreto luminoso che scendendo dal monte della Trasfigurazione Egli imponeva di non svelare se non al termine della vicenda umana, che descriveva dicendo "...finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti"(Mt.17,9). Spero di non aver fatto troppa confusione e che si possa cogliere che l'episodio che oggi ci viene regalato dal Vangelo vuol essere un insegnamento importante su come i cristiani devono vivere nel mondo e nella storia la loro fede: con tutta l'umiltà del Figlio dell'Uomo, e con tutta la consapevolezza, la dignità, la consolazione, direi addirittura la regalità del Figlio di Dio, anch'essi, in Lui, figli di Dio. I figli dei re sono esenti - "liberi" dice alla lettera il ver.26 - ma è necessario che "paghino le tasse" come tutti gli altri, affinché questi "non si scandalizzino"(ver.27). Quale sarebbe lo scandalo? Quello di un'assimilazione alle strutture mondane, dove il potere esime dalla giustizia e promuove il sopruso. Gesù chiede che lo splendore della vita nuova venga celebrato in un orizzonte di umile presenza a tutte le situazioni ordinarie della vita. Senza esenzioni!

 

C'è però anche il fatto del pesce e dunque il modo singolare di questo pagamento. L'immagine graziosa sembra volerci suggerire che "stare alle regole" di tutti essendo figli del grande unico Re, è vissuto in un clima di tale ricchezza e gioia, da assegnare ad ogni evento una nota di speranza e quasi un clima di gratuità. Tanto per fare un esempio "difficile": i cristiani si ammalano e muoiono come tutti gli altri. Ma ammalarsi da cristiani vuol dire poter vivere la malattia e la morte come la grande porta verso la pienezza della Vita in Dio.

 

martedì 6 settembre 2005 Mt 17,14-21

14 Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo 15 che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua; 16 l'ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». 17 E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui». 18 E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.

19 Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». 20 Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. 21 [Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno]».

COMMENTO DI GIOVANNI

 

E' un grande regalo poter ascoltare le parole di oggi in continuità con quelle di ieri sul monte della Trasfigurazione. Infatti al ver.14 si dice "appena ritornati presso la folla...", in coerenza con la necessità espressa dal Signore di proseguire il cammino verso Gerusalemme, e quindi di non acconsentire alla richiesta di Pietro circa l'ipotesi di fermarsi sul monte. Come a contrasto con la gloria della persona di Gesù sul monte, oggi viene avanti questo figlio feritissimo presentato al Signore dalla supplica del suo papà: "Signore, abbi pietà di mio figlio..."(ver.15).

 

Questo contrasto è molto importante perchè mostra quale sia l'opera di Dio nei confronti dell'umanità ferita e prigioniera, qui rappresentata da questo ragazzo ammalato: compiere in ciascuno quell’opera di illuminazione e liberazione che porti ogni persona a riconoscersi e ad essere riconosciuta come "figlio di Dio", secondo quanto diceva la Voce divina sul monte di ieri. Tale è il mistero di questa umanità prigioniera del male e chiamata alla libertà dei figli di Dio!

 

L'infermità di questo figlio è complessa: si presenta come malattia ("è epilettico e soffre molto..." dice al ver.15), ma si rivelerà come possesso demoniaco ("Gesù gli parlò severamente, e il demonio uscì da lui" si dice al ver.18). Non possiamo qui affrontare un tema tanto complesso. Diremo però che quando un malato è in ogni modo liberato da ogni presenza del demonio, la sua situazione è "guarita", al punto che se anche rimangono elementi di infermità e di sofferenza, questi sono ormai segni della partecipazione alla Passione di Gesù e non più luogo dove domina lo spirito del Male.

 

Non sappiamo che cosa abbiano tentato di fare i discepoli interpellati dal padre del ragazzo. Certamente non sono riusciti a liberarlo. Certamente non hanno pregato per lui. Il miracolo più importante che è sempre la liberazione dal Maligno, e che talvolta si può accompagnare anche con la guarigione fisica o psichica, si può ottenere solo con la preghiera e il digiuno, come sappiamo dal ver.21. Liberata dal maligno, ogni esistenza, anche quella che apparisse tristemente ferita a causa di una malattia, ormai risplende della luce della Trasfigurazione, e anzi proprio perchè nella "passione", manifesta in modo ancor più forte la passione di Gesù che è la fonte della liberazione dell'uomo dal male e dalla morte.

 

lunedì 5 settembre 2005 Mt 17,1-13

17:1 Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2 E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3 Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4 Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: «Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5 Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo». 6 All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7 Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: «Alzatevi e non temete». 8 Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.

9 E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».

10 Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 11 Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. 12 Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro». 13 Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Il cap.16 ci ha portato dentro il dramma e la meraviglia dell'umanità e della divinità di Gesù di Nazaret, Figlio dell'uomo e Figlio di Dio. Siamo al cuore della nostra fede. Siamo al punto che fa della fede cristiana un evento non confondibile con nessun altro fenomeno religioso: in Gesù s'incontrano pienamente e per sempre Dio e la sua creatura prediletta. Gesù è Dio e Uomo. Abbiamo visto come in Pietro la confessione della divinità e il rifiuto della povertà creaturale si susseguono. Ora questo dramma meraviglioso in certo senso si "fisicizza" nel miracolo della Trasfigurazione che oggi celebriamo.

 

"In disparte, su un alto monte"(ver.1) colloca l'evento che segue in uno spazio privilegiato, non comune: si può credo pensare ad un ambito liturgico. Infatti la memoria cristiana dell'episodio lo ha sempre collegato alla celebrazione del mistero pasquale che il popolo celebra in ogni Liturgia. Anche la scelta dei tre sembra suggerire l'idea di un evento di per sé non fruibile e non costruibile dall'uomo, un dono della misericordia divina, un privilegio per chi ne è invitato.

 

Il verbo usato qui e nel parallelo di Marco 9,2 per dire l'evento della trasfigurazione è usato due volte da Paolo. Esso indica una trasformazione, cioè un cambiamento di forma. Nel nostro caso è l'illuminazione dell'umanità di Gesù con la luce divina e la voce del Padre. La trasfigurazione è dunque, come accennavo sopra, la "rivelazione", il farsi miracolosamente visibile della realtà di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Credere in Gesù Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo è il cuore della fede e dell'esperienza cristiana. Il sole e la luce entrano nella descrizione dell'avvenimento (ver.2).

 

Il testo parallelo di Luca 9,28-36 (anche oggi guardare un momento ai paralleli di Marco e Luca, ma anche, in un contesto diverso, a Giovanni 12,28-30, vi sarà prezioso), ci spiega quello che nel nostro brano, al ver.3, resta implicito. Dice infatti Luca che l'oggetto delle parole tra Mosè ed Elia e il Signore, è "la sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme". Intorno a Gesù si raccolgono dunque tutta la creazione, rappresentata dalla luce e dal sole come immagine della gloria divina; e tutta la storia che è stata profezia e preparazione di Lui, rappresentata qui da Mosè, grande iniziatore della "Legge", e da Elia, primo dei grandi profeti. Elia che è stato il primo, è nella fede dei padri ebrei quello aspettato per ultimo, come immediato precursore del Messia. E questo sarà confermato e spiegato nel nostro testo ai vers.10-13).

 

E' molto forte anche l'immagine delle tende e della tenda. Essa sembra evocare l'intenzione di Davide di costruire una Casa per il Signore in 2 Samuele 7, e l'annuncio che sarà il Signore a costruire una Casa per l'intera umanità. Qui s'incontrano, ai vers.4-6, l'immagine delle tende e quella della nube che come una tenda li avvolge. Il timore dei discepoli non credo vada inteso solo come paura, ma anche e soprattutto come "timore di Dio", cioè consapevolezza di essere alla presenza di Dio.

 

sabato 3 settembre 2005 Mt 16,24-28

 

24 Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26 Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? 27 Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 28 In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nel suo regno».

 

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Come già ieri accennavamo, l'evento pasquale di morte e risurrezione di Gesù Cristo è veramente il principio della nuova creazione e della nuova storia. Per questo noi ne veniamo radicalmente interpellati e coinvolti sia a livello personale, come è evidente nelle parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio, sia a livello della comunità cristiana in tutte le sue forme e manifestazioni. Mi sembra che il mistero e la centralità dell'amore e del comandamento dell'amore sia al cuore di questi versetti. Il grande desiderio, il grande progetto è, come dice Gesù "venire dietro a me", seguirlo, cioè, e quindi assimilare la nostra persona e la nostra vita alla sua. A proposito delle parole "prenda la sua croce e mi segua" sempre al ver.24, Origene dice che mentre secondo il Vangelo di Giovanni Gesù è uscito portando da Sé la croce, gli altri Vangeli dicono che Simone Cireneo l'ha portata; prendere la croce di Gesù e farla nostra, prendere la sua parola, assumere e celebrare la sua obbedienza al Padre...questa è la Croce di Cristo che noi possiamo prendere, ricevendola con quelle determinazioni storiche che si attuano diversamente in ciascuno, ma che esprimono tutte lo stesso evento della Pasqua del Signore.

 

Al ver.25 è propria del solo Matteo l'espressione "la troverà" nell'affermazione di Gesù: "chi perderà la propria vita per causa mia" "la troverà": perchè la vera unica via per realizzare il nostro progetto esistenziale - che è in realtà quello che Dio ha per noi - è quel "perdersi per amore, perdersi d'amore" che è al centro della rivelazione cristiana e che è il cuore segreto della profezia dei padri ebrei. Solo una vita concepita e vissuta come "offerta della vita" consente di capire veramente che cosa la vita sia!

 

La nostra traduzione italiana esita nella traduzione del termine che al ver.25 rende con il termine "vita", e al ver.26 con il termine "anima". L'anima deve essere pensata nel linguaggio biblico proprio come la vita nella sua più profonda sostanza. Pensarla "filosoficamente" come la parte che sopravvive alla morte del corpo non sempre semplifica il ragionamento. Penso quindi che il termine "vita" possa essere il più adatto. Essa viene descritta come il supremo bene di ciascuno: vale più del "mondo intero" secondo il ver.26; e d'altra parte non abbiamo nessuna cosa che possa darci un possesso personale e infinito di essa, se non appunto questo "perdersi" dietro a Gesù che ci ha immesso nel suo cammino di morte e risurrezione, di offerta della vita come nome nuovo della morte.

 

Tutto questo è veramente una nuova "prassi" come Gesù afferma al ver.27. Così il termine letterale che l'italiano rende con "le sue azioni". E' una concezione radicalmente nuova, una prassi nuova, nella quale invece di difendersi ci si offre: questo, sempre secondo il ver.27, è il giudizio con il quale saremo giudicati. Abbiamo in questo modo l'evidenza di quanto sia inadeguata una morale cosiddetta naturale o razionale: sia perchè la natura dell'uomo è ferita e quindi incapace concretamente di quello che magari razionalmente può cogliere come giusto e vero; sia perchè la vita nuova in Cristo si pone ben oltre quello che razionalmente possiamo vedere come buono. E' il collegamento ad un'etica razionale più che all'etica evangelica che scaturisce dalla persona del Signore, che spesso ha portato i cristiani su posizioni molto deboli. Un'etica razionale può giustificare ad esempio una guerra come legittima difesa; ma questo è difficile affermarlo se si tengono ferme le parole che oggi ascoltiamo e celebriamo e che ci parlano della vita come dono e offerta della vita.

 

venerdì 2 settembre 2005 Mt 16,21-23

21 Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. 22 Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». 23 Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».

COMMENTO DI GIOVANNI

 

Evidentemente il Signore vuole che noi teniamo strettamente collegato quello che Pietro non vorrebbe - e che anche noi difficilmente sappiamo cogliere nel suo essenziale rapporto - e cioè quale nuovo volto assumano la morte e la vita a motivo della persona e dell'opera tra noi e in noi del Figlio di Dio. E' dunque significativo che sia lo stesso Pietro ad accompagnare le generazioni cristiane in questa suprema fatica sapienziale e morale: la sua opposizione all'esito esistenziale previsto e affermato da Gesù, il rimprovero severo che egli riceve dal Maestro, l'annuncio lapidario della sua Pasqua di morte e risurrezione, tutto questo ci porta al cuore dell'esperienza cristiana. Consideriamo qualche passaggio di queste mirabili parole che oggi riceviamo dalla bontà di Dio.

 

Gesù non solo "dice apertamente", come ascoltiamo dalla versione italiana del ver.21, ma "cominciò a mostrare", e dunque non solo con le parole, il contenuto e l'esito di ciò che sarebbe accaduto. Tutto questo non è in contrasto con la rivelazione che Pietro ha avuto dal Padre subito prima, ma anzi ne è la rivelazione suprema. Il cuore della missione di Cristo è proprio la sua Pasqua. Si deve addirittura dire che solo la sua morte e risurrezione ci fanno comprendere il significato ultimo di ogni sua opera e parola, così come solo questo compie e svela il perfetto adempimento da parte sua di tutto il cammino di attesa e di profezia del popolo della Prima Alleanza. Ma non solo! Quello che il Signore annuncia di Sé è il volto, il significato e lo scopo di ogni esistenza umana e il segreto cosmico che la stessa creazione porta dentro di sé.

 

Al centro di tutto si pone il quesito e l'enigma del senso della vita e della morte, il mistero del male e la sua sconfitta ad opera dell'Amore. Siamo veramente alle sorgenti della nuova creazione. La morte come principio della vita. La vita come offerta d'amore della vita stessa. La morte non più come ultima parola dell'esistenza, ma la risurrezione da morte come sostanza e sapienza della rigenerazione universale nella morte e risurrezione del Figlio di Dio. Vi chiedo scusa per la totale inadeguatezza di quello che scrivo e che sarà superato e corretto dalla vostra personale preghiera e dalla sorprendente novità sapienziale che ognuno può concretamente sperimentare proprio a partire dalla centralità di questo annuncio di Gesù.

 

Per questo non si deve pensare che il rimprovero del Signore a Pietro sia enfatico. Qui si gioca infatti tutto il significato della vita di Cristo, dei suoi discepoli, e di tutta l'umanità. Satana, il signore del male e della morte, è l'antagonista fondamentale. Quello che il pensiero e l'istinto profondo della natura ferita e prigioniera dell'uomo è il suo paradigma. La totale negatività della morte e quindi la disperata caduta di senso e di speranza per quello che riguarda la vita dell'uomo sono l'energia negativa che fin da Caino ha fatto della morte la negativa potenza dell'uomo contro se stesso. La morte invece è obbedienza a Dio, è offerta della vita e quindi principio della vita.

giovedì 1 settembre 2005 Mt 16,13-20

13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

COMMENTO DI GIOVANNI

Come anticipavamo ieri, il brano che oggi il Signore ci regala è l'apice dell'insegnamento di questo capitolo, dedicato alla conoscenza e alla sapienza della fede. Questa fede era esaltata di fronte alla pretesa di farisei e sadducei di avere segni e prove del cielo sulla realtà e il mistero della persona di Gesù (vers.1-4). La vicenda del pane dimenticato e del lievito dei farisei e dei sadducei (vers.5-12) aveva dato occasione a Gesù di chiarire che la conoscenza e la sapienza che scaturiscono dalla fede - e che sono la fede stessa - non si possono conquistare né con i meriti morali né con le razionalizzazioni mondane. Ora risplende pienamente la fonte della fede come dono di Dio Padre.

Questo dono non è una novità che con Cristo nascerebbe dal nulla. La fede ha generato e accompagnato tutta la storia della salvezza. Il fatto che Gesù possa essere scambiato con Giovanni il Battista, Elia, Geremia e altri profeti (ver.14) dice chiaramente come Egli si collochi nel solco di una tradizione spirituale che Dio ha regalato ai padri ebrei e attraverso di loro all'intera umanità. Questa storia divina ora giunge al suo apice nella persona e nell'opera del Figlio di Dio. Riconoscere questo e trarne tutte le conseguenze è dunque evento decisivo: "Voi chi dite che io sia?"(ver.15). Non più la Legge e la profezia, non tanto i "segni" di Dio nella creazione, ma Dio stesso si rende pienamente presente alla storia nella persona di suo Figlio: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente"(ver.16). L'accoglienza di Lui, seguire Lui, la comunione d'amore con Lui...è la fede. E' la salvezza. Gesù è il Dio Salvatore del mondo.

La confessione di Pietro non è un fatto umano, non è umana facoltà e capacità, non è merito di intelligenza o di virtù: anzi, tutte queste cose sono quel "lievito dei farisei e dei sadducei" dal quale bisogna guardarsi. L'umile pescatore di Galilea si fa voce dei suoi compagni e indica al mondo intero e a tutte le generazioni umane il punto assoluto dell'elezione divina e il luogo della salvezza per ogni uomo e donna della terra. Su questa "pietra" della fede si edifica la nuova comunità umana riconciliata e sposata con Dio. In essa si rende presente la sapienza e la potenza di Dio. Il compito che scaturisce dalla fede è quello di portare nella storia il giudizio salvifico del Vangelo del Signore. "Legare" tutto ciò che è male e morte, e "sciogliere", cioè liberare e manifestare tutto il dono di Dio, è il compito storico che scaturisce e compete alla fede cristiana (vers.18-19).

La Chiesa è edificata dal Signore: "su questa pietra edificherò la mia chiesa". Quindi anche la Chiesa è puro dono di Dio. Umile realtà storica, accoglie in sé tutti i limiti e gli errori dell'umanità ferita e prigioniera, limiti ed errori che, come vedremo nello stesso Pietro, segnano la vicenda di ogni persona. Eppure "le porte degli inferi non prevarranno contro di essa"(ver.18). La Chiesa è dunque l'unica realtà storica dove le ferite del peccatore non sono occasione e causa di condanna, ma principio di salvezza, inizio e svolgimento di una strada nuova non più verso la morte ma verso la pienezza della vita.

In un suo bellissimo commento, Origene ricorda quella "pietra" spirituale che accompagnava e dissetava il popolo di Dio nel suo cammino nel deserto verso la Terra Promessa.

mercoledì 31 agosto 2005 Mt 16,5-12

5 Nel passare però all'altra riva, i discepoli avevano dimenticato di prendere il pane. 6 Gesù disse loro: «Fate bene attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei». 7 Ma essi parlavano tra loro e dicevano: «Non abbiamo preso il pane!». 8 Accortosene, Gesù chiese: «Perché, uomini di poca fede, andate dicendo che non avete il pane? 9 Non capite ancora e non ricordate i cinque pani per i cinquemila e quante ceste avete portato via? 10 E neppure i sette pani per i quattromila e quante sporte avete raccolto? 11 Come mai non capite ancora che non alludevo al pane quando vi ho detto: Guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei?». 12 Allora essi compresero che egli non aveva detto che si guardassero dal lievito del pane, ma dalla dottrina dei farisei e dei sadducei.

COMMENTO DI GIOVANNI

Siamo entrati in questo cap.16 con la richiesta da parte dei farisei e dei sadducei di un segno dal cielo. Il Signore oggi non si scosta dal tema di ieri, anzi lo approfondisce, prendendo occasione da un fatto - "i discepoli avevano dimenticato di prendere il pane"(ver.5) - e sviluppando il discorso iniziato ieri che ci porterà domani fino alle sue parole a Pietro al ver.17: "Beato te, Simone...". Mi sembra che Gesù ci stia portando dentro il grande tema del dono, della totale gratuità della salvezza, e quindi dell'autentico orizzonte della fede.

Al ver.6 Egli scosta i discepoli dalla loro preoccupazione immediata per far loro cogliere il senso profondo della loro ansiosa conversazione. Il ver.7 ci mostra che essi non riescono ad abbandonare i loro pensieri e sembrano lasciar cadere la provocazione del Maestro: "Fate ben attenzione e guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei". Approfitto di questo passaggio per ricordare con voi che farisei e sadducei sono due categorie di persone molto diverse tra loro e in grande contrasto. I farisei sono scrupolosi osservanti della Legge che considerano con molta serietà e che accettano nella sua integrità (ricordiamo che Paolo è di origine farisaica!), anche se lo scrupolo di essere letteralmente fedeli alla norma li porta a un moralismo aggressivo che soffoca in loro un vero atto di fede. I sadducei hanno una concezione mondanizzata della vita, sono compromessi con le logiche del potere, e rifiutano ciò che esce dall'orizzonte della visibilità materiale, negando l'esistenza di un mondo dello spirito e quindi la realtà della risurrezione dei morti, tutto umiliando in una concezione intramondana. E' dunque ancor più interessante cogliere il motivo per cui Gesù li accomuna nello stesso giudizio negativo!

Per proseguire nel suo insegnamento Egli porta i discepoli - ai vers.8-10 - a ricordare i due grandi miracoli del pane e li provoca a considerarne la sovrabbondanza attraverso il particolare dei molti resti che allora hanno raccolto. E infine la conclusione rivelatrice della direzione impegnata verso la quale li sta portando: la citazione di quei due fatti prodigiosi ha lo scopo di evidenziare l'atteggiamento drammaticamente sbagliato che accomuna farisei e sadducei non tanto e non solo in un giudizio di condanna, quanto nell'infelicità di una posizione estranea alla fede. Il problema infatti riguarda le loro concezioni, anzi, a questo punto la loro "comune" dottrina, appunto la "dottrina dei farisei e dei sadducei"(ver.12); è così che i discepoli arrivano a comprendere la delicatezza e l'importanza assoluta di quanto Gesù viene dicendo. Proviamo anche noi a ipotizzare il contenuto di un discorso che nel nostro testo resta implicito, e che forse è aperto a diverse interpretazioni.

A me sembra che, confermando anche il problema del "segno dal cielo" trattato ieri, appaia che l'errore drammatico che unisce farisei e sadducei - ma tutti siamo almeno un po' farisei e sadducei! - è lo smarrimento totale del "dono di Dio". I farisei per la loro tradizione moralistica e scrupolosa e i sadducei per la loro mondanità di pensiero, entrambi non conoscono e non riconoscono che fede e salvezza sono dono! Dono da parte di Dio di una realtà e di una vita impossibile agli uomini, una "vita nuova" che non si può né conquistare né rapire, ma che può solamente essere ricevuta in dono. Proprio come quei pani che fondavano visibilmente la storia salvifica del pieno e definitivo incontro tra la povertà dell'uomo e la sovrabbondanza dell'amore di Dio per lui. Se si perde questo, cade la fede. Il Vangelo viene ridotto a Legge e la rivelazione divina, la Parola di Dio, viene soffocata in una pretesa razionalistica che svuota ragioni e contenuti della fede stessa. Il rischio per la comunità credente è alto, perchè la "religione" è di per sé il tentativo istintivo da parte dell'uomo di impadronirsi di Dio, della sua potenza e della sua sapienza, quindi della sua "santità"! Ma questo, per un ebreo e per un cristiano è "il" peccato originale, è la radice di tutto il male. Meglio dunque, come Gesù raccomanda, fare attenzione e guardarsene.

martedì 30 agosto 2005 Mt 16,1-4

16:1 I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. 2 Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; 3 e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? 4 Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona». E lasciatili, se ne andò.

COMMENTO DI GIOVANNI

Riprende qui, all'inizio del cap.16, memoria del grande "riconoscimento" del Figlio di Dio attraverso il dono della fede, il tema del "segno" che abbiamo trovato ampiamente sviluppato in Mt.12,38-42; quello che allora veniva richiesto per "garantire" la fede, ora viene chiesto come "prova" della persona di Gesù.

La risposta del Signore, prima di ritornare nuovamente sul tema del "segno di Giona" - come appunto al cap.12 - rimprovera l'insincerità dei farisei e dei sadducei attraverso l'esempio della "meterologia": l'esperienza e il buon senso di una modesta scienza popolare consentono di cogliere dalle manifestazioni della natura il "messaggio" che svelano riguardo alla stagione e alle sue caratteristiche! Come a dire che i segni già manifestati nella persona e nell'opera di Gesù sono il segno evidente del "segreto" del Figlio di Dio. Dunque, non che il Signore non voglia dare segni; ma di segni ne ha già dati! Qui vengono citati i "segni dei tempi"(ver.3), senza ulteriori esplicitazioni; forse si possono intendere come gli eventi che svelano il grande incontro tra la ferita mortale della storia e la salvezza donata da Dio in pienezza nel mistero di Gesù Cristo.

Viene a questo punto ripresa l'immagine del "segno di Giona", l'evento e - in certo senso - lo scandaloso "contro-segno" della passione e della morte del Signore, e la gloria misteriosa della sua risurrezione. Là veramente la fede splenderà come drammatico e splendente evento di umile e forte accoglienza. E sappiamo che bisogna addirittura aggiungere come proprio a partire da questo "segno di Giona", un segno che è un "non-segno" e in certo senso il "naufragio" di ogni segno razionalmente percepibile - e non perchè irrazionale, ma se mai "sopra-razionale - è a partire da questo che tutta la creazione e tutta la storia entrano nella loro nuova e piena intelligibilità.

sabato 27 agosto 2005 Mt 15,32-39

32 Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: «Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada». 33 E i discepoli gli dissero: «Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?». 34 Ma Gesù domandò: «Quanti pani avete?». Risposero: «Sette, e pochi pesciolini». 35 Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, 36 Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla. 37 Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene. 38 Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini. 39 Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.

COMMENTO DI GIOVANNI

La memoria di questo secondo "miracolo dei pani" chiude il cap.15 dove, messo in evidenza il grande dramma del cuore dell'uomo, Gesù ci ha ricordato l'esigenza assoluta di custodire e ricevere nella sua potenza e santità la Parola di Dio, seme incorruttibile di rigenerazione e di fecondità; ci ha annunciato, con la vicenda della madre cananea, la destinazione universale del dono della salvezza e della vita nuova liberata dal male e dalla morte; infine, ci ha reso testimoni della sua immensa opera nei confronti di un popolo di malati.

Sembra sia guardando proprio a questa gente da Lui sanata che il Signore sente compassione. Veniamo a sapere che "da tre giorni" stanno con Lui (non dice che gli vengono dietro come traduce la versione italiana). Sono un po' tentato di attribuire anche un significato simbolico a questa sosta di tre giorni, durante la quale molti sono stati sanati dalle loro infermità e una folla stupita ha glorificato Dio per le meraviglie operate da Gesù: non credo sia illegittimo pensare che in quei "tre giorni" si nasconda un'allusione alla Pasqua del Figlio di Dio, fonte e causa della salvezza del mondo. Ci potremmo domandare allora come mai Egli senta compassione per questa folla da Lui sanata, che potrebbe non avere più bisogno di un intervento speciale. Ma, come accennavamo a proposito del testo precedente, la guarigione di questa gente non è un prodigio isolato né un atto magico; è invece il principio di una vita nuova generata e nutrita dalla comunione con Dio. Dicevamo ieri che i ciechi, per esempio, non è che non siano più ciechi, ma essendo sempre nella povertà della loro condizione, godono della luce del Signore che li ha invasi e li accompagna. Così io penso di spiegare la preoccupazione di Gesù circa la loro debolezza se Egli li lasciasse partire, li congedasse, senza nutrirli. Singolare condizione della vita cristiana, singolare e meravigliosa: proprio perchè visitata da Dio, non può più rimanere senza di Lui!

A questo punto è necessario tener conto delle diversità che qui notiamo rispetto al primo miracolo dei pani di Matteo 14,13-21. Là sembrava che di per sé il miracolo non fosse così assolutamente necessario, e i discepoli avevano preso l'iniziativa verso Gesù per dirgli di congedare la folla perchè andasse a procurarsi pane nei villaggi circostanti; ma il Signore aveva voluto compiere quel miracolo che dunque sembrava avere un significato soprattutto simbolico; e noi vi abbiamo colto un'immagine della Eucaristia, banchetto liturgico che significa e realizza il misterioso "necessario" per tutti: essere in ogni modo nutriti dall'Amore di Dio. Adesso però, nelle parole che oggi il Signore ci regala, la necessità è denunciata dal Signore stesso che dice ai discepoli di non volere "rimandarli digiuni, perchè non svengano lungo la strada"(ver.32). Tutto questo mi ha portato a pensare che mentre nel primo miracolo il Signore volesse porre innanzi tutto il segno e il dono del Pane del Cielo della Parola che è cibo essenziale per la vita nuova, qui il Signore parli di quel pane necessario che "continua" il Pane dell'Eucaristia nella storia personale e collettiva di coloro che nei "tre giorni" pasquali del loro battesimo di morte-risurrezione sono stati rigenerati: questo Pane è la Carità. Parola e Carità sono evidentemente inscindibili. Sono l'unico Pane di Dio dato agli uomini, perchè se ne nutrano e in Esso comunichino. Per questo, io credo, i pani sono sette, a significare la creazione e il tempo, a dire che ogni giorno deve essere nutrito dalla Carità divina e fraterna. E se mi chiedete perchè nel primo miracolo i pani erano cinque...fatto trenta, faccio trentuno, e vi dico che quel cinque mi ha fatto pensare ai cinque Libri della Torà, e dunque alla Parola della Legge che in Gesù diventa "carne", Pane di vita eterna. E se dei primi pezzi avanzati c'erano dodici ceste a significare la predicazione apostolica (cioè i Dodici), qui ne restano sette, appunto per dire che di questo pane della carità abbiamo bisogno sino alla fine, perchè dell'Amore di Dio e del prossimo si nutre questa meravigliosa, potente e fragile vita nuova che abbiamo misteriosamente ricevuta dalla misericordia di Dio. Ma, siccome è farina del mio sacco, non dovete fidarvi: meglio quello che viene dalla vostra preghiera.

venerdì 26 agosto 2005 Mt 15,29-31

29 Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là. 30 Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì. 31 E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele.

COMMENTO DI GIOVANNI

E' interessante la "storia" del verbo che compare nel nostro testo di oggi al ver.30: "li guarì". In origine il verbo significa "servire"; quindi entra nel linguaggio medico, dove il servizio è la cura, è la terapia; infine, con Gesù, entra decisamente nel suo risvolto pieno e finale, e diventa appunto "guarire". Mi sembra bello custodire tutti questi significati che bene descrivono nella loro connessione la suprema diaconia del Cristo che è venuto a darci la sua vita per condurci alla salvezza.

Se questo viene tenuto molto chiaro, è evidente che Lui è il vero unico medico della vita umana. Questo forse spiega l'uso di un verbo che in italiano è reso al ver.30 con "li deposero", per dire di quelle folle che sono venute sul monte di Dio con molti malati. Il verbo, molto forte, direbbe che "li gettarono" ai suoi piedi. Mi sembra che ne nasca un suggerimento potente circa il fatto che la cosa migliore che si può fare è "gettare ai suoi piedi" i nostri fratelli, come evidentemente noi abbiamo bisogno che i nostri fratelli ci gettino ai piedi del Signore; gettare, come ieri la madre cananea, con la sua travolgente preghiera, gettava la sua figlia indemoniata ai piedi di Gesù.

E' molto importante ancora una volta prendere atto che noi non siamo i salvatori di nessuno, ma siamo i testimoni dell'opera di salvezza che il Signore compie su tutti coloro che gli portiamo nelle grandi vie della carità fraterna e della preghiera; e su noi stessi che a Lui non arriveremmo se altri non ci portassero e non ci gettassero ai suoi piedi. Liberiamoci da tutte le opacità che ci impedissero di accorgerci di tutto questo "con stupore" come è detto al ver.31. Questo versetto sembra voler suggerire che il parlare dei muti come il vederci dei ciechi non diventa mai un fatto "naturale", o per lo meno un "dato di fatto" a partire dall'intervento miracoloso del Signore; esso resta perennemente un prodigio: sono muti, eppure parlano, sono ciechi, ma ci vedono. Perchè tutto quello che accade loro non è loro, ma del Signore che opera in loro. E noi non possiamo che essere sempre stupiti delle meraviglie che Dio compie in noi e nei nostri fratelli.

giovedì 25 agosto 2005 Mt 15,21-28

21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola.

Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24 Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». 26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». 27 «È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quel istante sua figlia fu guarita.

COMMENTO DI GIOVANNI

Per noi che abbiamo la grazia di una "lectio continua" della Scrittura e, in questi mesi, di questo cammino nel Vangelo secondo Matteo, è importante notare la rilevanza del testo di oggi in connessione con tutto quello che il Signore ci ha donato in precedenza e particolarmente in questo cap.15. Abbiamo ascoltato negli ultimi giorni il grande insegnamento di Gesù riguardo all'incontro salvifico tra Lui e il suo Vangelo da una parte e il nostro cuore malato dall'altra. L'incontro con la donna cananea assume il valore di una dilatazione universale del dramma del cuore umano e il bisogno altrettanto universale di una salvezza che solo Dio può donare con la potenza della sua Parola. Anche questa donna, che qui dunque viene in qualche modo a rappresentare l'intera umanità al di là del popolo eletto, si trova nel dramma del male più radicale ("Mia figlia è crudelmente tormentata dal demonio": è chiaramente quella ferita e prigionia del cuore che veniva indicata al ver.19 del brano precedente), male dal quale solo Dio può salvarla.

Ci incontriamo con la "resistenza" di Gesù di fronte alla richiesta di questa donna straniera. Tre affermazioni, forti fino alla durezza, esprimono tale resistenza: "...Egli non le rivolse neppure una parola (alla lettera: non rispose a lei parola)"(ver.23); "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele"(ver.24); abbiamo trovato questa espressione nelle istruzioni da Lui date ai Dodici in Mt.10,6); "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini"(ver.26). Io non riesco a ricevere queste parole come sintomo di una situazione che dovrà essere lasciata per una destinazione universale del Vangelo della salvezza. Credo invece che questo "privilegio" di Israele sia perenne, ma nell'orizzonte dello Spirito, nel senso che la grande economia della profezia e della salvezza affidata da Dio a Israele, è, spiritualmente, via d'obbligo per tutta l'umanità, rispetto alla quale il popolo della Prima Alleanza è segno privilegiato e maestro necessario dell'incontro tra la povertà dell'uomo e la potenza salvifica dell'amore di Dio. Israele consegna all'intera umanità questo paradigma essenziale della salvezza, così assolutamente contrario alle concezioni religiose istintive che prevedono non un Dio che si piega verso l'umanità, ma un'umanità che si autodivinizza innalzandosi verso Dio (ma questo è in modo assoluto il "peccato originale"!). La fede che Gesù trova in questa donna è quindi in realtà la "fede di Israele", o addirittura una "misura" di fede che, come diceva al centurione di Mt.8,10, non ha mai trovato in Israele. Ma si tratta appunto di quella fede che ha segnato e accompagnato tutta la storia del popolo del Signore fin dalla liberazione dall'Egitto e persino dentro alla potenza creatrice di Dio, che ancora Israele considera nella prospettiva della salvezza. La fede di Israele resta dunque quel dato originario che è l'orizzonte nel quale si compie la salvezza dell'intera umanità. A dire che non c'è salvezza se non per chi ha bisogno di essere salvato. Vi ricordo il mirabile versetto del Sal.50(51),14 "Rendimi la gioia di essere salvato" che Girolamo nella sua traduzione dal testo ebraico rende con "Rendimi la gioia del tuo Gesù", giocando sul significato del nome Gesù, che vuol dire "Dio salva". Diceva Pio XI che ogni cristiano deve essere spiritualmente giudeo.

Questa donna cananea viene dunque a rappresentare la Chiesa delle genti, la speranza della salvezza per tutti i popoli, la necessità che il Vangelo sia portato sino ai confini della terra. La straordinaria risposta della donna sul tema del pane ai cagnolini ci regala anche il meraviglioso e altrettanto essenziale intreccio tra fede e umiltà.

martedì 23 agosto 2005 Mt 15,10-20

10 Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! 11 Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!».

12 Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: «Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?». 13 Ed egli rispose: «Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. 14 Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!». 15 Pietro allora gli disse: «Spiegaci questa parabola». 16 Ed egli rispose: «Anche voi siete ancora senza intelletto? 17 Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? 18 Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo. 19 Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. 20 Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l'uomo».

COMMENTO DI GIOVANNI

Le parole importantissime che oggi il Signore ci regala sono in forma di parabola, come comprendiamo dalla domanda di Pietro a Gesù al ver.15: "Spiegaci questa parabola". La parabola è quella espressa da Gesù al ver.11, e da Lui spiegata ai vers.17-20. Altre due piccole parabole sono dette ai vers.13-14, entrambe per esprimere la condanna radicale da parte del Signore della dottrina farisaica. Questa condanna è bene tenerla molto presente perchè al rischio dello spirito farisaico siamo sempre esposti. Il conflitto tra il pensiero dei farisei e quello di Cristo si presenta qui come assoluto. Infatti, per quello che i discepoli riferiscono a Gesù, "i farisei si sono scandalizzati" per le parole di Gesù al ver.11: "Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo".

La discussione di ieri sul puro e l'impuro diventa oggi il discorso fondamentale sul problema del male, e su ciò che il Figlio di Dio è venuto a sanare e liberare. La denuncia che ieri veniva fatta sulla devianza dalla Parola di Dio causata dalle tradizioni degli uomini, diventa oggi il grande tema del cuore umano, il grande malato, il grande prigioniero del male, la fonte quindi di ogni cosa cattiva, ciò che deve essere visitato dal grande Medico, venuto per sanare e liberare dal Male e dalla Morte la creatura amata e perduta.

Tutto questo è molto delicato e prezioso per la nostra generazione che vive in un mondo convinto e preoccupato di difendere l'uomo da ogni esperienza negativa. Il che ha una sua verità, ma diventa inganno terribile se ci si dimentica che il problema non è esterno all'uomo, ma intimo a lui. E' dal cuore dell'uomo che esce il male che, passando per la sua bocca, rende immondo l'uomo. Ogni cosa, in se stessa, non è né bene né male: il bene e il male vengono "decisi" dal cuore e nel cuore dell'uomo. Ma è proprio questo cuore ad essere prigioniero del mistero del male. E' proprio il nostro povero cuore che il Signore è venuto a liberare e a trarre a Sé.

Possiamo allora cogliere la connessione profonda tra il tema della Parola, fonte e seme incorruttibile di salvezza, e il tema del cuore dell'uomo, destinazione privilegiata della Parola, l'unica potenza capace di rigenerare la stirpe ferita della creatura prediletta da Dio.

lunedì 22 agosto 2005 Mt 15,1-9

15:1 In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: 2 «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!». 3 Ed egli rispose loro: «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? 4 Dio ha detto:

Onora il padre e la madre

e inoltre:

Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte.

5 Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio, 6 non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. 7 Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:

8 Questo popolo mi onora con le labbra

ma il suo cuore è lontano da me.

9 Invano essi mi rendono culto,

insegnando dottrine che sono precetti di uomini».

COMMENTO DI GIOVANNI

La risposta data ai discepoli di Giovanni in Mt.9,14-17, e il miracolo dei pani in Mt.14,13-21 hanno collocato il segno della Cena al cuore della fede di Gesù Cristo: è la sua presenza tra il suo popolo e nella storia dell'intera umanità ad esigere tutto questo. Il nostro brano di oggi ci mostra che anche le disposizioni divine custodite dalla Legge e dalle profezie devono essere purificate proprio per cogliere con luminosità come tutto si compia ora nella persona e nell'opera del Figlio di Dio.

E' subito evidente che farisei e scribi fanno grande una cosa piccola. La risposta del Signore mostra con chiarezza che purtroppo è gente come loro a umiliare le meraviglie esigentissime della Parola di Dio con "aggiunte" inutili, e, quel che è peggio, gravemente lesive della via tracciata da Dio per il suo popolo, negazioni drammatiche della Parola stessa. Egli dunque volutamente sposta il discorso su un piano di grande rilievo per denunciare clamorosamente come aggiungere e togliere qualcosa dalla Parola sia principio di mali incontrollabili. I vers.2-3 giocano su uno "scambio" di termini tra la domanda farisaica e la risposta di Gesù: alla loro accusa circa la trasgressione della tradizione degli antichi da parte dei discepoli, Egli ribatte con la contro domanda accusatoria circa il fatto che loro trasgrediscono il comandamento di Dio con la loro tradizione! Trasgressione e tradizione vengono chiarite e  strappate dallo stravolgimento delle disposizioni cattive decise dagli uomini; non solo decise, ma addirittura imposte o fatte passare per "tradizione degli antichi". Qui il discorso è molto delicato perchè è non solo innegabile ma anche del tutto necessario che l'incontro con la Parola di Dio avvenga nel solco di una tradizione spirituale trasmessa dalle generazioni dei credenti; ma è evidente che tale tradizione non può essere che assertiva nei confronti della Parola che la tradizione deve rigorosamente servire. Non voglio addentrarmi troppo in un tema che esigerebbe ben altra competenza della mia; mi limito qui a notare che nella sua risposta Gesù non riprende l'espressione "tradizione degli antichi", ma parla di "vostra tradizione".

Citando il comandamento del Decalogo sull'onore da rendere al Padre e alla Madre (Esodo 20,12), Gesù denuncia l'affermata degradazione di esso attraverso l'inganno di una falsa "sacralità". Approfitto di quanto stiamo ascoltando dal Signore per ricordare che la fede ebraico cristiana non è mai umiliazione dell'umanità, ma sempre sua illuminazione e pienezza, anche quando razionalmente, o nel ciclone degli avvenimenti, parrebbe chiedere qualcosa di disumano o almeno di svalutante la realtà dell'uomo nella creazione e nella storia. "Così - dice Gesù - avete annullato la Parola di Dio in nome della vostra tradizione"(ver.6). Citando a questo proposito le Scritture profetiche Egli mostra lo smacco del rapporto con la Parola di Dio. La citazione di Isaia è interessante e Origene nel suo commento al nostro testo suggerisce di fare lettura ampliata di Isaia 29, dove si vede bene che non si tratta di un singolo grave peccato da parte del popolo, ma di una condizione di cecità interiore del tutto generalizzata e umanamente invalicabile.

sabato 20 agosto 2005 Mt 14,34-36

34 Compiuta la traversata, approdarono a Genèsaret. 35 E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati, 36 e lo pregavano di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano.

COMMENTO DI GIOVANNI

Oggi la bontà di Dio ci porta al termine di questo cap.14 nel quale si è manifestata la fisionomia profonda della comunità messianica come comunità di salvezza. Il mondo ha bisogno di essere salvato, e per questo il Figlio di Dio è venuto tra noi. Ci piaceva ieri cogliere nell'invocazione di Pietro "Signore, salvami!" la rivelazione semplice e radicale della condizione di ogni persona, il grido che sale verso Dio e il suo incontrarsi con l'opera di salvezza che Gesù Cristo è venuto a compiere. Ribadiamo che in questo bisogno di essere salvati non c'è distinzione tra male fisico o morale, tra innocenza e colpa. Semplicemente, abbiamo urgente necessità di essere tratti fuori dalle prigioni negative che tengono incatenata l'esistenza.

In questo orizzonte, diventa importante il verbo riconoscere; "riconosciuto Gesù" dice il ver.35. Mi sembra si intenda un riconoscimento profondo della sua Persona e della sua missione. Intendo quindi questo riconoscimento come la porta della fede. Questa gente che lo riconosce diventa il principio di un movimento di convocazione che riguarda persone che forse ancora lo devono riconoscere; diversamente dalla versione italiana che scrive "diffuse la notizia", il testo qui dice un più secco e più significativo "mandò", che sottintende la buona notizia del Signore presente tra quella gente e introduce l'espressione "gli portarono tutti i malati", che esprime bene l'azione che si svolge per raccogliere intorno a Gesù tutti coloro per i quali è venuto. Ci sono convocazioni riservate ai giusti, o ai sani, o ai fortunati. La convocazione ecclesiale riguarda "tutti i malati". Mi piace molto che non ci siano né un esame né una visita previa che selezioni la gente.

A questo punto i giochi provvidenzialmente si confondono e ci si può domandare chi sia il soggetto di quei due verbi del ver.36: "lo pregavano...lo toccavano". Si può ragionevolmente pensare che i malati sappiano ormai prendere l'iniziativa. Tuttavia il soggetto potrebbe essere ancora quelli che lo avevano riconosciuto e avevano mandato per tutta la regione l'annuncio e l'invito a convenire intorno al Signore. Forse infatti non c'è proprio nessuno che inviti altri intorno a Gesù Cristo senza averne lui bisogno per primo.

Il desiderio e la necessità di "toccare almeno l'orlo del suo mantello"(ver.36) è la conferma che l'incontro con Gesù non è l'incontro con una dottrina o con un codice etico, ma con la persona concreta del Signore e l'inizio di un viaggio e di una vita nuova con Lui e dietro a Lui.

venerdì 19 agosto 2005 Mt 14,28-33

28 Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».

COMMENTO DI GIOVANNI

"Se sei tu...": possiamo interrogarci sulla portata di questa richiesta. Pietro mette alla prova il Signore? Oppure esprime la semplicità e l'intensità del suo rapporto con Lui? Di fatto Gesù accetta la sua richiesta. Il senso globale dell'episodio, ricordato dal solo Vangelo secondo Matteo, è quello di precisare ancora una volta la sostanza e la fisionomia profonda dell'atto di fede. Esso esige un coinvolgimento pieno da parte del credente. Non è un atto magico. E' sempre un evento di conversione e di comunione con Dio. E questo è espresso con efficacia dall'espressione "andò verso Gesù"(ver.29): non è una qualsiasi acquisizione di facoltà superiori, ma è la potenza che Dio dona perchè sia possibile e piena la relazione con Lui. In questo senso, si potrebbe dire che la fede è ben rappresentata in senso generale da questo "camminare sulle acque" che esprime con efficacia una condizione e un'azione non possibile agli uomini e puro dono di Dio. Anche in quel discendere dalla barca da parte di Pietro (ver.29) potremmo cogliere il segnale della fisionomia personale della fede che pone ognuno in una certa responsabile solitudine davanti al Signore.

Dove al ver.30 è detto in italiano che "per la violenza del vento s'impaurì", alla lettera dice "vedendo il vento s'impaurì". Dove si può cogliere quella misura insufficiente della fede che Gesù gli rimprovera? Nel fatto di aver "visto" il vento? Nella paura che ne consegue? In questo principio di annegamento? Nel grido "Signore, salvami!"? Dove possiamo individuare la causa del duplice rimprovero di Gesù: "Uomo di poca fede, perchè hai dubitato?"(ver31)? Vedete voi se non sia possibile raccogliere tutto questo nell'unica vicenda della fede: fede che è sempre la nostra "poca fede"; fede che è sempre intervento salvifico di Dio sulla nostra condizione misera. Sarebbe possibile parlare di fede senza dire che essa è sempre "salvezza dalla nostra poca fede"? Personalmente non mi è facile pensare ad un tranquillo tragitto di Pietro sulle acque. Anche se, come mi sembra giusto, si vuole stabilire un legame tra questo episodio e l'attraversamento del Mar Rosso da parte dei padri ebrei, non si deve cogliere quel antico capitale evento come un evento che Dio compie dentro alla poca fede del suo popolo? La fede non è forse "sempre salvezza"? Vedete voi. Io vi rimando a Matteo 28,17 dove il "dubitare" ritorna, ed è l'unico altro luogo dove il verbo dubitare è presente in tutto il Nuovo Testamento; e questa volta è attribuito ad alcuni dei discepoli, o forse a tutti, che lo adorano ma dubitano. Forse il dubbio è inevitabilmente interno alla fede? Forse dunque la fede è sempre "miracolo" e "dono"?

giovedì 18 agosto 2005 Mt 14,22-27

22 Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. 24 La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura».

COMMENTO DI GIOVANNI

Come ieri notavamo che Gesù aveva voluto quella mensa miracolosa pur non dandosi situazioni di emergenza, così oggi è spontaneo notare una certa "artificiosità" del miracolo apparentemente "inutile" in quel suo camminare sulle acque dopo aver costretto i discepoli ad una faticosa traversata senza di Lui. Da qui sembra nascere l'opportunità di una lettura del nostro brano di oggi in chiave simbolica. Potremmo dire che Gesù crea appositamente queste circostanze per mostrare l'altro volto della fede: come ieri emergeva fortemente la fede come dono, oggi sembra affermata la fede come responsabilità e quindi come, in certo modo, solitudine.

Tale solitudine è peraltro annunciata attraverso un'altra "solitudine" che esprime tutta la potenza con la quale il Signore accompagna la storia degli uomini e in particolare dei suoi discepoli. Dopo averli costretti infatti a imbarcarsi per questa traversata notturna (ver.22), il ver.23 per due volte sottolinea la sua solitudine sul monte a pregare. E' appunto l'immagine meravigliosa di una storia che da una parte è in certo modo consegnata ai limiti e alla responsabilità degli uomini, ma dall'altra è seguita e protetta dalla preghiera di Gesù. Gustiamo dunque la profondità e l'eloquenza di tale immagine della fede immersa nella fatica della storia. In questo senso il brano di oggi è strettamente connesso a quello di ieri: dal dono e dalla totale gratuità del banchetto dei pani e dei pesci ad un volto dell'esistenza che non concede esenzioni, che magari accentua le difficoltà, che espone ai rischi, e che tuttavia non è abbandonata da Dio.

Di questa traversata stupisce il fatto che i discepoli ne portano tutta la fatica, ma non sembrano impauriti o impressionati dalla difficoltà, dalle contrarietà. Lo saranno piuttosto dalla sua venuta "strana". Mi sembra possa suggerirci che la povera nostra fede spesso oscilla tra un'aspettativa irresponsabile nei confronti di Dio, ed uno "spavento" e un pensiero di "irrealtà" ("E' un fantasma!"(ver.26)) quando Egli si affaccia alla nostra vita per ricordarci che la fede ci consente di vivere le fatiche dell'esistenza nella serena certezza dei suoi esiti positivi. Per questo cammino sulle acque si può ben vedere che non si tratta di miracolismi in sospetto di magia e di inutili prodigi, se si tien conto del potente retroterra dell'immagine, la memoria della traversata del mare nell'uscita dall'Egitto. Vi consiglio al proposito la rapida lettura di alcuni versetti: Sapienza 14,3; Salmo 76(77),20-21; Isaia 43,16-17. Il segno che Gesù oggi ci regala è dunque la memoria di quella reinterpretazione radicale dell'esistenza umana che descrive la vita come una strada sulle acque del nostro battesimo per passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla Terra nuova del pellegrinaggio verso la Casa di nostro Padre.

Non è un fantasma! Al contrario, si tratta della rivelazione suprema della vita nuova che abbiamo ricevuto in dono. Mi sembra molto bello che tutto infine si raccolga in Lui: "Coraggio, sono io, non abbiate paura"(ver.27). E' Lui la salvezza. E' Lui la vita nuova. E' Lui questa "via sul mare" che ci conduce a salvezza. Fare memoria e celebrare tutto questo nelle navigazioni affaticate della vita è privilegio e compito di ogni discepolo del Signore.

mercoledì 17 agosto 2005 Mt 14,13-21

13 Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città. 14 Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15 Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16 Ma Gesù rispose: «Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare». 17 Gli risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci!». 18 Ed egli disse: «Portatemeli qua». 19 E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. 20 Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. 21 Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

COMMENTO DI GIOVANNI

Quel "udito ciò" del ver.13 collega il nostro brano di oggi alle parole che ieri abbiamo ricevuto dalla bontà del Signore a proposito del martirio del Battista. Origene interpreta il ritirarsi del Signore nel deserto come un'indicazione a evitare pericoli quando si può. Resta che, terminata con Giovanni l'epoca della profezia, Gesù inaugura in modo più diretto la realtà nuova del popolo messianico nel quale si adempiono tutte le promesse divine. Ancora Origene, con la sua lettura sempre fortemente simbolica, vede nel deserto dove Gesù si ritira lo spazio delle nazioni. Ci troviamo in ogni modo davanti a questo grande raccogliersi di una folla che provoca la compassione divina di Gesù e la sua azione sanante: un popolo di malati che Egli guarisce.

Come già abbiamo detto altre volte questo primo miracolo dei pani - troveremo il secondo alla fine del cap.15 - non sembra provocato da una stretta necessità di sopravvivenza come vedremo appunto per la successiva occasione. Qui Gesù sembra volere questa cena miracolosa anche se la gente sarebbe in grado di arrangiarsi e "comprarsi da mangiare" nei villaggi, come suggeriscono i discepoli al ver.15. Possiamo in questo cogliere nel Signore la precisa volontà di raccogliere questa gente in un banchetto "liturgico" della sua misericordia, un banchetto che deve nutrire non solo e non tanto, almeno qui, una fame di cibo, ma una fame più profonda della condizione umana.

Così appaiono esplicitamente liturgici - ma certo la liturgia è sempre strettamente connessa con le vicende e i gesti della vita comune di cui è la fonte salvifica - sia il comando alla folla di sedersi, sia la benedizione e la frazione dei pani e dei pesci con lo sguardo al cielo, sia la distribuzione del cibo alla folla tramite i discepoli. La sazietà provocata da quei pani spezzati non impedisce che si portino via dodici ceste - il numero degli apostoli e delle antiche tribù nelle quali è suddiviso il popolo di Dio - di pezzi avanzati.

martedì 16 agosto 2005 Mt 14,1-12

14:1 In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù. 2 Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui».

3 Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodìade, moglie di Filippo suo fratello. 4 Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla!». 5 Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta.

6 Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode 7 che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. 8 Ed essa, istigata dalla madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». 9 Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data 10 e mandò a decapitare Giovanni nel carcere. 11 La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre. 12 I suoi discepoli andarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informarne Gesù.

COMMENTO DI GIOVANNI

Penso sia di grande rilievo l'esordio del nostro brano di oggi dove, ai vers.1-2, si parla di questo "scambio di persona" tra Gesù e Giovanni Battista. Questo infatti ci dice non solo e non tanto la perfetta testimonianza che Giovanni rende al Signore, come del resto è evidente da questa memoria del suo martirio, quanto la perfetta continuità tra la fede dei padri e l'obbedienza di Gesù, e insieme la "novità" presente nel Cristo evidenziata dal discorso sulla risurrezione e dalla "potenza dei miracoli" che Egli manifesta, diversamente dal Battista di cui si dice in Giovanni 10,41 che "non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero". In questo senso ci troviamo  davanti ad una svolta nella memoria evangelica secondo Matteo: la morte del Battista dice infatti anche la conclusione dell'economia della preparazione e della profezia e l'inizio pieno della nuova era messianica. Dico questo in riferimento anche a quanto mi sembra possiamo trarre dal nostro testo.

Il martirio del Battista avviene intorno ad un problema di etica matrimoniale. Riguarda dunque anche la condizione femminile. Penso che, sotto la drammaticità dell'avvenimento in rapporto alla banalità delle sue cause, noi possiamo cogliere la centralità dell'immagine nuziale che la fede dei padri ebrei ha custodito come segno del rapporto tra Dio e il suo popolo, e la pienezza che tali nozze conseguono e manifestano con la venuta del Figlio. Ricordiamo a tale proposito che già in Matteo 9,14-17 il tema delle nozze era presente nel dialogo con i discepoli di Giovanni per affermare la novità e la pienezza della nuova economia della salvezza nella nuzialità con il Cristo Sposo.

Dunque, nella frase di accusa "non ti è lecito tenerla" (addirittura, alla lettera, "averla"!) sta il rimprovero profetico e la causa della morte di Giovanni. Si potrebbe forse dire che in questa fedeltà alle nozze nell'attesa della loro pienezza in Cristo sta tutto il significato della Prima Alleanza e il suo compito nei confronti del Messia. Per tale testimonianza Giovanni, ultimo dei profeti, muore martire. Con lui termina il tempo dell'attesa e si inaugura la pienezza della relazione nuziale tra Dio e l'umanità, come forse vedremo nei prossimi giorni.

La vicenda umiliata, violenta e seduttrice rappresentata da Erodiade e da sua figlia dice una condizione della donna, e dell'intera umanità da loro rappresentata, che il Figlio di Dio è venuto a mutare. Non più aggiogata a un Dio sposo violento, essa entra nella nuova condizione nella quale lo Sposo si rende festosamente presente, chiama a Sé la sposa amata, e per lei pone la vita. Di tutto questo il Battista è stato profeta e testimone. Il Cristo si pone nel solco di tale testimonianza sino a venir "scambiato" come uno dei profeti e come Giovanni; e la trascende portandola a pienezza con la sua Pasqua di morte e di risurrezione.

sabato 13 agosto 2005 Mt 13,53-58

53 Terminate queste parabole, Gesù partì di là 54 e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? 55 Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?». 57 E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58 E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.

COMMENTO DI GIOVANNI

Il testo precedente ci ha congedato con la figura di quello scriba-discepolo del regno dei cieli, e l'episodio di oggi ci aiuta a capire quello che il Signore ieri ci diceva; soprattutto se volete considerare per un momento il brano parallelo di Luca 4,16-30. La sua patria è Nazaret. Giovanni Crisostomo afferma che non si può pensare qui a Cafarnao, sua patria adottiva, perchè a Cafarnao di miracoli ne ha compiuti molti. A questo proposito mi sembra inopportuna la versione italiana quando al ver.54 riferisce lo stupore della gente per "questa sapienza e questi miracoli". E' vero che il termine "potenza" spesso indica i miracoli, ma forse qui è opportuno lasciare il termine nel suo significato immediatamente letterale di "potenze", pensando forse, oltre che ad una "potenza" della predicazione di Gesù, che in ogni modo "colpiva" i cuori, anche a quel miracolo di primaria importanza che è la cacciata degli spiriti impuri, che si compie spesso non con gesti speciali da parte di Gesù, ma con la semplice forza insita nella sua predicazione. Di essa dunque stupiscono la sapienza e la potenza.

A contrasto di tutto ciò, i concittadini del Signore hanno ben in mente l'ordinaria e umile fisionomia del suo ambito famigliare. Sanno bene (!!) di chi è figlio, e conoscono tutti i suoi parenti. L'istinto a rigettare ogni ipotesi di riconoscimento di una realtà nuova e straordinaria nasce da questo incrocio tra un segno indiscutibilmente straordinario e l'analisi della realtà che essi pensano di poter fare in modo oggettivo. A questo si aggiunge in altri luoghi della memoria evangelica - si può considerare ancora il testo parallelo di Luca - l'istinto di impossessamento di una situazione che potrebbe giovare in modo privilegiato all'ambiente di appartenenza. Un misto insomma di stupore, forse di invidia, e di delusione. Possiamo chiederci se in questo rifiuto da parte dei compaesani non sia nascosto il rifiuto ben più grande che il Figlio di Dio subisce proprio a motivo della sua "carne", e quindi allo scandalo che deriva dal suo inabissarsi nella povertà della condizione umana. Al ver.57 Gesù si limita ad accostare la sua vicenda alla sorte dei profeti rifiutati e respinti dai loro vicini e dai loro contemporanei.

Il suo non compiere miracoli del ver.58 sembra come una sanzione per la loro incredulità. Nel testo parallelo di Marco 6,1-6, che vi consiglio di considerare, ciò appare come una impossibilità di Gesù a motivo della loro incredulità. Così si chiude il cap.13, forse per avvertire che la grande avventura della Parola di Dio in Gesù Cristo è appunto la suprema potenza divina liberata nella storia dell'umanità, e nello stesso tempo che questo non le assicura il successo mondano. Anzi! Tutto resta rigorosamente raccolto nel mistero del Dono di Dio.

 

venerdì 12 agosto 2005 Mt 13,44-52

44 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

45 Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

47 Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

51 Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

COMMENTO DI GIOVANNI

Sembra esserci una convergenza totale verso questo "regno dei cieli" la cui descrizione viene oggi portata a termine dal Signore con le immagini del tesoro, della perla, della rete e di quello scriba discepolo del regno e del suo tesoro. Sia gli uomini, sia Dio, tutti appaiono intensamente operosi in questa suprema impresa della storia.

Le due prime immagini, quella del tesoro e quella della perla, ai vers.44-46, si richiamano tra loro per le similitudini e le diversità. Rispetto al mercante che cerca perle preziose, l'uomo del campo ci regala una particolare immagine della scoperta del tesoro: egli infatti sembra, diversamente dal mercante, trovare quello che non cerca! Per quanto riguarda il dono di Dio, si deve dire che in certo modo è sempre così, perchè in ogni modo resta assoluta la sproporzione tra ogni eventuale ricerca e ciò che viene trovato. Per il tesoro nel campo si deve dunque affermare che il tesoro sembra venire incontro a quel uomo che non lo cerca, quasi fosse il tesoro a cercare e a trovare lui. Il mercante si presenta invece come un tenace e paziente ricercatore, e la sua scoperta è come l'esito finale di questo lungo itinerario. Possiamo chiederci se dunque l'uomo del campo rappresenta i pagani mentre il mercante sarebbe il simbolo della fede e della sapienza dei padri ebrei riguardo al Messia. Credo che convenga tenersi leggeri in queste distinzioni, perchè infine il tesoro e la perla sono sempre una scoperta del tutto straordinaria rispetto anche alla ricerca più sapiente; e peraltro non v'è forse persona al mondo che più o meno consapevolmente non vada in cerca della perla preziosa.

Resta il fatto che la scoperta merita in modo esigente di tutto lasciare per avere quello che si è trovato. Si tratta di un innamoramento supremo. Il ver.44 sottolinea che è la gioia - e non la virtù del distacco dai beni! - a guidare l'uomo del campo che tutto vende per comperare quel campo. Per lui si deve dire anche il particolare prezioso e misterioso di quel nascondere quello che era nascosto e che lui ha trovato. Mi sembra essere parte di quella gelosia e di quella segreta intimità che caratterizza le relazioni più preziose. E' interessante anche il fatto che egli per avere il tesoro comperi il campo: mi sembra di vedere che ognuno ha il suo tesoro nascosto in un campo; forse il campo non l'avrebbe comperato o penserebbe di venderlo: ma il campo vale il tesoro che contiene. Anche se ti sembra modesto o talvolta addirittura sgradito (!!), pensa che senza quel campo non avresti neppure il tesoro nascosto in esso.

Ugualmente grande sembra essere l'impegno di Dio, che non ha bisogno di cercare i suoi pesci, ma che appare determinato a prendere tutti quelli che può (ed è pescatore non mediocre, e rete piuttosto larga!!). Ritorna qui l'azione privilegiata del tempo che viviamo. Per ora Dio vuole pescare tutto quello che si può. La cernita la faranno gli angeli - loro e non il diavolo - alla fine. E per noi è meglio essere pescati piuttosto che ignorati. Almeno sappiamo che anche per noi Dio ha gettato la sua rete: e non è poco!

I vers.51-52 sono la conclusione di tutto il testo delle parabole, dal ver.1 a qui. E' meravigliosa la figura dello scriba-discepolo del regno dei cieli, perchè stabilisce per ogni discepolo del Signore la comunione profonda con le cose antiche della Prima Alleanza e con quelle nuove che sono compimento e adempimento delle antiche. E il bello è che tutto questo è diventato farina del suo sacco, cioè "il suo tesoro", la sua stessa persona visitata in modo mirabile dal Signore e dal dono della sua Parola che è Spirito e Vita.

 

giovedì 11 agosto 2005 Mt 13,36-43

36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

COMMENTO DI GIOVANNI

Facciamo tesoro del ver.36 del nostro brano di oggi per riaffermare il senso delle parabole. Facendo riferimento ai vers.34-35 che concludevano il testo di ieri ricordiamo che Gesù presenta la creazione e la storia come una grande parabola che Egli è venuto a svelare. Una spiegazione che rimane nascosta ai sapienti di questo mondo e che viene donata ai piccoli, ai discepoli, appunto. Così, in questo ver.36, in un clima di intimità e di riservatezza, i discepoli domandano al Signore di essere illuminati sulla parabola della zizzania.

La spiegazione si concentra sul tema del giudizio finale, diversamente dall'esposizione della stessa parabola, dove veniva indicato soprattutto l'atteggiamento da tenere nei confronti della zizzania nel corso del tempo. Nel tempo non è consentito un giudizio da parte nostra, perchè il giudizio è collocato rigorosamente alla fine e rigorosamente è riservato a Dio. Alla fine, sembra dirci il nostro testo, si chiariranno tutta la realtà e tutte le responsabilità. Da questo possiamo trarre una conseguenza molto importante: senza Dio, senza il suo Cristo, senza la Pasqua del Signore, tutto sarebbe avvolto e immerso in un comune destino di morte. Dio invece riempie creazione e storia della sua luce, e in particolare illumina la vita umana di partecipazione diretta al mistero di Dio, e quindi alla responsabilità che fin da principio Dio ha assegnato all'uomo. Contro una concezione legata a un destino ineluttabile o ad una sorte da decifrare con l'oroscopo, la fede svela la partecipazione e la responsabilità dell'uomo nei confronti della creazione e della storia, e conferma l'assoluta distinzione tra l'uomo e ogni altra creatura, nei confronti degli angeli stessi.

Come sempre quando il Vangelo ci parla della fine dei tempi, anche oggi ci troviamo davanti non a cupe previsioni , ma alla grazia della Buona Notizia, nella quale il Signore ci chiama a salvezza svelando il segreto della storia. Mentre infatti gli uomini e le loro culture tendono a costruire un giudizio e una giustizia che razionalizza il potere dei forti, la Parola di Dio afferma che la storia è sottomessa al giudizio di Dio, il giusto e santo giudizio di Dio, difensore del bene e a condanna di ogni male che noi uomini accettiamo o addirittura giustifichiamo. La Parola di Dio "anticipa" il giudizio divino in vista della conversione. E' Vangelo perchè impedisce che davanti al giudizio divino ci troviamo senza averne avuto notizia e senza aver avuto dal Signore la grazia di una vita nuova, una vita di conversione e di accoglienza del dono di Dio. E tutto questo non solo per essere trovati nella luce serena del Cristo alla fine della nostra esistenza, ma anche perchè fin d'ora possiamo vivere la meravigliosa vita nuova, la vita di Dio in noi.

Vorrei in particolare dire qualcosa circa il "seme" che è stato seminato sia da Dio sia dal diavolo. L'affermazione che questo seme sono da una parte i figli del regno e dall'altra i figli del maligno (ver.38), conferma quello che avevamo già osservato, e cioè il potere assoluto di coinvolgimento da parte del seme buono, ma qui veniamo a sapere anche del potere del seme del maligno. Nel seme dunque viene visto non solo quello che viene seminato, ma anche l'uomo che lo riceve. Tutto quindi concorre a sottolineare una responsabilità della storia che invita ciascuno di noi a guardare con crescente meraviglia alla grazia del Signore che ci chiama, e a desiderare che non ci sia nessuno costretto a vivere questo breve spazio del tempo senza la gioia e la bellezza del dono evangelico.

Resta infine da sottolineare che questo tempo è rigorosamente e solo il tempo del dono e della misericordia di Dio, ed è aberrante, da qualsiasi parte venga, sostituirsi al giudizio finale di Dio, dimenticando che il nostro compito attuale è quello di chiedere, desiderare e favorire in tutti i modi, l'accesso di ciascuno e di tutti, persone, culture, fedi religiose alla via nuova della salvezza e della pace.

 

mercoledì 10 agosto 2005 Mt 13,24-35

24 Un'altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25 Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26 Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. 27 Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? 28 Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? 29 No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».

31 Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».

33 Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».

34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:

Aprirò la mia bocca in parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

COMMENTO DI GIOVANNI

Vale la pena considerare le tre parabole di oggi nella loro compresenza e nella loro successione. Bisogna peraltro dire che ognuna delle tre è di grande rilievo e meriterebbe una meditazione a sé. Possiamo dire che l'annuncio globale che emerge dal testo di oggi è quello della "alterità", e di un'alterità non solo accostata, ma addirittura, almeno inizialmente, avversa. Così emerge dalla parabola della zizzania. E' però interessante considerare l'evoluzione di tutto questo appunto nella successione delle tre immagini: dall'inimicizia annunciata dalla prima si passa al confronto affermato dalla seconda per dire che ciò che inizialmente è tanto piccolo, cioè il regno dei cieli significato dal granellino di senapa, diventerà più grande degli altri legumi sino a poter dare riparo agli uccelli del cielo (vers.31-32). Questi uccelli sono, secondo il senso di questa citazione da Ezechiele 17 (il testo è molto interessante e vi consiglio di dargli un'occhiata), i popoli della terra. Infine, la terza immagine annuncia addirittura il rapporto positivo con questa alterità considerata come tutta fermentata dal lievito nascosto (è la radice del verbo reso in italiano con "impastato" al ver.33) in essa.

Quindi anche l'atteggiamento dei figli del Regno che al ver.27 vengono chiamati servi del padrone di casa ha tutta una sua evoluzione positiva. Ai vers.27-30 vengono fermati circa la loro ipotesi di sradicare la zizzania. Al ver.32 si dà l'assicurazione che la piccolezza del Regno diventerà grandezza. Al ver.33 si dice che il rapporto con questa alterità sarà pienamente positivo con l'esito finale di una fermentazione di tutta la grande massa di farina per l'azione fermentatrice del lievito. Quindi c'è un passaggio straordinario dall'inimicizia peraltro giustificata dalla reale inimicizia di chi ha seminato la zizzania, inimicizia alla quale si sostituisce un atteggiamento di paziente convivenza (ver.30) sino alla fine dei tempi, alla serena certezza che il piccolo seme sarà la pianta più grande e quindi la più adatta a dare un vero riparo a tutti i popoli simboleggiati dagli uccelli del cielo, e infine al grande obiettivo della fermentazione di tutta la storia attraverso l'umile e radicale offerta significata da quel lievito nascosto nella farina e capace di far fermentare tutta la massa (ver.33).

Sarebbe sbagliato concludere da tutto questo che il male e il mistero del male non vengono giudicati. Ma questo giudizio non si compie nella sterile e dannosa aggressività delle sapienze mondane che volendo estirpare il male in realtà lo moltiplicano, perchè reagiscono al male con il male. Il giudizio divino si compie reagendo al male con quel bene che ha la sua fonte e il suo apice nella Croce del Signore e nel suo sacrificio d'amore. E' l'Amore che distrugge il Peccato e salva il peccatore.

I vers.34-35 riprendono il discorso sul genere letterario delle parabole che ai vers.11-15 di questo capitolo affermava la decisione divina di aprire in modo privilegiato il rapporto con il Regno di Dio nei confronti dei suoi piccoli discepoli confondendo le sapienze del mondo. Qui viene confermata la scelta di Gesù riguardo al parlare in parabole e si dice, mi sembra, che le parabole e la loro spiegazione svelano il mistero e i misteri che sono nascosti nella realtà delle cose e del tempo.

 

martedì 9 agosto 2005 Mt 13,18-23

18 Voi dunque intendete la parabola del seminatore: 19 tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. 20 Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, 21 ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato. 22 Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. 23 Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta».

COMMENTO DI GIOVANNI

La spiegazione della parabola del seminatore descrive il grande "dramma" della Parola nel suo incontro con l'umanità e la sua condizione ferita. A sottolineare in modo mirabile questo dramma, quando nel nostro testo di oggi si parla dei diversi terreni e dunque dell'esito della seminagione, si parla del terreno, del seme, e quindi di chi ascolta la Parola, in modo strettamente unitario, e cioè si afferma che "il seme seminato lungo la strada" è la vicenda di chi "ascolta la parola del regno e non la comprende"(ver.19); vale a dire che il coinvolgimento del seme con il terreno è totale, sono in ogni modo un unico evento, fino a dire che seme e terreno entrano nella stessa avventura, Parola e chi la riceve sono come un'unica realtà! E così è per tutti i terreni, ai vers.20.22. 23: si tratta sempre dell'incontro tra Parola (il seme) e ogni persona (terreno seminato) che diventano il "seme seminato".

Io non riesco ad accettare un'interpretazione rigidamente etica del testo, perchè mi sembra che, a partire dal "maligno" del ver.19, si parli sempre di forze negative che dominano l'uomo e la sua esperienza, forze dalle quali mai esplicitamente si dice che avrebbe potuto liberarsi se avesse voluto. E quindi non mi sembra facile affermare che sono elementi negativi che positivamente l'uomo ha introdotto nella sua vita. Il "dramma" della Parola è il suo incontro con la fragilità della condizione umana, che tale è anche quando la Parola viene accolta "con gioia"(ver.20).

 L'unico punto sul quale forse si può cogliere una partecipazione e una responsabilità di chi ascolta è quel verbo "comprendere", presente ai vers.18 e 23, in quanto l'origine profonda del termine non è circoscritta in un significato puramente intellettuale-razionale, come per noi è il "comprendere". Il verbo vuol affermare un "mettere insieme", un convivere dell'uomo e della Parola di Dio, che mi ricorda il "rimanere" dei tralci nella vite, e quindi dell'uomo in Cristo, che dice la fedeltà di un vincolo di comunione con la Parola che noi consideriamo dono supremo da parte del Signore e impegno primario per ciascuno di noi. Dunque un comprendere che suggerisce la perseveranza di un ascolto nella fede e nel pentimento. E anche nella lode!

 

lunedì 8 agosto 2005 Mt 13,1-17

13:1 Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.

3 Egli parlò loro di molte cose in parabole.

E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7 Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda».

10 Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?».

11 Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 12 Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 13 Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. 14 E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:

Voi udrete, ma non comprenderete,

guarderete, ma non vedrete.

15 Perché il cuore di questo popolo

si è indurito, son diventati duri di orecchi,

e hanno chiuso gli occhi,

per non vedere con gli occhi,

non sentire con gli orecchi

e non intendere con il cuore e convertirsi,

e io li risani.

16 Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. 17 In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!

 

COMMENTO DI GIOVANNI

Il nostro brano contiene due parti distinte, ma fortemente connesse: la parabola del seminatore e il motivo dell'uso delle parabole. Il tutto con una premessa ugualmente importante. Quindi: vers.1-3, la premessa; vers.3-9, la parabola; vers.10-17, il perchè delle parabole.

Richiamo alla vostra attenzione, al ver.1, il verbo "uscì". Non dice che uscì di casa, e infatti mi sembra si tratti di un evento ben più rilevante, confermato infatti dallo stesso verbo al ver.3, dove si dice che "il seminatore uscì a seminare". Mi sembra si possa dire che il Figlio "uscì" dal Padre per venire a seminare! Al ver.3 viene sottolineata l'importanza delle parabole con l'affermazione che in esse "Egli parlò di molte cose". Quindi, un insegnamento di grande respiro e di grande importanza.

I vers.3-9 ci annunciano che la seminagione è stata abbondante, anzi sovrabbondante, del tutto sproporzionata alla reale produttività dei terreni. Come uno spreco! Amo molto il testo di Salmo 111(112),9 dove in italiano è detto "dona largamente ai poveri", ma alla lettera il testo dice "sperperò, diede ai poveri". Quasi tutti i terreni non daranno frutto. Anche la terra buona, che darà frutto, ne darà molto, ma anche molto meno. Le cose di Dio vanno "così, così"! Possiamo permetterci di chiederci come mai? Forse si può cogliere in questo la meravigliosa sproporzione tra l'amore di Dio per noi e la reale possibilità nostra di accoglierlo. Ognuno, e ogni chiesa, ben conosce questa mirabile sproporzione!

I vers.10-17 ci illuminano circa l'uso del genere letterario delle parabole. Perchè? E qui veniamo a sapere che ci sono due gruppi di persone: i discepoli e questi generici "loro" di cui si dice al ver.10. Provare a capire chi sono questi "loro" è importante per capire chi è il vero discepolo. Dal testo, dalle parole di Gesù e dalla sua citazione di Isaia, io traggo la conclusione che questi "loro" sono l'uomo mondano che è in ciascuno di noi, caratterizzato non tanto da molti peccati, quanto da uno: la pretesa di vedere, di udire, di capire. E quindi l'annullamento di quello che sta al cuore della relazione tra noi e Dio: il Dono, cioè la Grazia. Tutta la nostra relazione con Dio è dono di Dio; in ogni suo aspetto. Tutto viene da Lui. E' l'infrangersi di ogni orgoglio umano, anche quello più zelante e devoto nei confronti di Dio stesso. E' l'abbattimento di ogni idolo, perchè l'esito finale dell'idolatria è l'autoidolatria, e quindi il tentativo dell'uomo - è questo il peccato originale! - di impadronirsi di Dio, di usurparne la persona e la presenza.

venerdì 5 agosto 2005 Mt 12,43-50

43 Quando lo spirito immondo esce da un uomo, se ne va per luoghi aridi cercando sollievo, ma non ne trova. 44 Allora dice: Ritornerò alla mia abitazione, da cui sono uscito. E tornato la trova vuota, spazzata e adorna. 45 Allora va, si prende sette altri spiriti peggiori ed entra a prendervi dimora; e la nuova condizione di quell'uomo diventa peggiore della prima. Così avverrà anche a questa generazione perversa».
46 Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. 47 Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». 48 Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 49 Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; 50 perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre».

COMMENTO FRANCESCO

Oggi Gesù torna sull'argomento dell'altroieri, la liberazione dell'uomo dal potere dello spirito del male; al v. 28 infatti aveva detto: "Se con lo Spirito di Dio io caccio i demoni, allora è giunto a voi il regno di Dio", qualificando così il regno di Dio non come una realtà sociologica, visibile, ma come un evento spirituale, che si compie nel segreto dei cuori per la parola e l'opera del Signore Gesù e dello Spirito del Padre. Con la ripresa odierna Gesù avverte che questo evento di liberazione va accolto e custodito da parte dell'uomo, pena il rischio di ritorni alla situazione precedente o addirittura a una condizione ancora peggiore (non più uno, ma sette demoni!). Sembra che per evitare ciò non si debba lasciare la "casa" del proprio cuore "vuota" (il termine indica una condizione di ozio, di disimpegno e ricorda il precetto sapienziale della tradizione monastica di farsi trovare sempre impegnati nel lavoro o nella preghiera).

La seconda parte del testo di oggi racconta della visita a Gesù da parte della madre e dei fratelli. Il vangelo fa notare che questa visita avviene proprio mentre Gesù sta parlando e quindi si presenta come un disturbo all'opera più importante del Signore: il dono della sua Parola agli uomini, come da diversi giorni, anzi settimane, stiamo ascoltando dal vangelo secondo Matteo. Per di più il testo insiste nel far notare che i parenti di Gesù stanno "fuori", cioè non si fanno coinvolgere nella comunità dei discepoli in ascolto del Maestro. A questi discepoli Gesù conferisce il nome di suoi familiari (fratello, sorella e madre): essi nell'ascoltare e nel "fare la volontà" del Padre sono la nuova famiglia di Gesù. Si può notare che in questa famiglia, non più unita da legami di carne e sangue, ma tutta "spirituale", non è citato il padre, perché è quello dei cieli e neanche i figli, perché tutti, Gesù compreso, in essa sono, prima di ogni altro titolo, figli di Dio e l'uno dell'altro.

 

giovedì 4 agosto 2005 Mt 12,33-42

33 Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l'albero. 34 Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. 35 L'uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. 36 Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; 37 poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato».

38 Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». Ed egli rispose: 39 «Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. 40 Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. 41 Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona! 42 La regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone!

 

COMMENTO GIUSEPPE

Le parole di oggi sono la continuazione di quelle di ieri: il discorso di Gesù è particolarmente rivolto ai farisei, che sono accompagnati al v. 38 anche da alcuni scribi, ma si estende evidentemente anche a persone della folla presente (cf. v. 46), e arriva fino al v. 45 compreso.

La prima notizia dell’odierno Vangelo è che gli interlocutori di Gesù (= farisei, scribi, folla, e oggi noi) sono sostanzialmente cattivi: “albero e frutto cattivo” (letteralmente marcio) al v. 33, “voi che siete cattivi” al v. 34, “l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive” al v. 35, “una generazione perversa (letteralmente cattiva) e adultera pretende un segno” al v. 39. Gesù, come già Giovanni Battista (cf. Mt 3,7), dice senza mezzi termini a tutti: “Razza di vipere” (v. 34). Se è così, è impossibile che un tale albero produca frutti buoni cioè che una tale persona dica parole buone. I farisei che accusavano Gesù dicendo: “Costui scaccia i demoni in nome di Beelzebùl, principe dei demoni” (v. 24) dimostrano con le loro stesse parole l’implacabile verità della severa sentenza di Gesù.

La seconda notizia dell’odierno Vangelo è che alla generazione cattiva e adultera viene offerto il segno di Giona. L’unica possibilità che un albero possa fare un buon frutto cioè che una persona possa dire una parola buona è il cambiamento della sua natura, da cattiva a buona. La speranza di un tale cambiamento radicale è stata data da Giona, inghiottito e rigettato da un grosso pesce, dai Niniviti che si convertirono alla sua predicazione, dall’anonima regina del sud che venne da lontano per ascoltare la sapienza di Salomone, e finalmente da Gesù stesso, che è più di Giona e di Salomone. Il suo passaggio dalla morte alla vita, la sua pasqua, è la speranza più concreta che ogni persona, per quanto cattiva e adultera, possa cambiare la propria natura, morendo e risorgendo, e possa perciò produrre frutti degni di conversione.

 

mercoledì 3 agosto 2005 Mt 12,22-32

22 In quel tempo gli fu portato un indemoniato, cieco e muto, ed egli lo guarì, sicché il muto parlava e vedeva. 23 E tutta la folla era sbalordita e diceva: «Non è forse costui il figlio di Davide?». 24 Ma i farisei, udendo questo, presero a dire: «Costui scaccia i demòni in nome di Beelzebùl, principe dei demòni».

25 Ma egli, conosciuto il loro pensiero, disse loro: «Ogni regno discorde cade in rovina e nessuna città o famiglia discorde può reggersi. 26 Ora, se satana scaccia satana, egli è discorde con se stesso; come potrà dunque reggersi il suo regno? 27 E se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri figli in nome di chi li scacciano? Per questo loro stessi saranno i vostri giudici. 28 Ma se io scaccio i demòni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il regno di Dio. 29 Come potrebbe uno penetrare nella casa dell'uomo forte e rapirgli le sue cose, se prima non lo lega? Allora soltanto gli potrà saccheggiare la casa. 30 Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde. 31 Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. 32 A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.

COMMENTO FRANCESCO

1) L'affermazione più bella del vangelo di oggi mi è sembrata "è giunto in mezzo a voi il regno di Dio": non solo "si è fatto vicino", come aveva detto all'inizio (cap. 4), ma "è giunto", o forse meglio "vi ha prevenuto"; il regno di Dio è dunque una realtà già presente in mezzo a noi!

2) Il segno della presenza attuale di questo regno è la liberazione, compiuta da Gesù, del cuore dell'uomo dal male, da quell'"uomo forte" che lo tiene prigioniero in una condizione che è descritta dall'immagine di un uomo cieco e muto: Gesù gli dona di "vedere" con gli occhi di Dio e di "parlare" con le parole di Dio (mi viene in mente l'ultimo segno del rito del battesimo, l'apertura degli occhi, delle labbra e delle orecchie).

3) Gesù compie questa liberazione con lo "Spirito di Dio": questi è così importante che se qualcuno parlerà male del "Figlio dell'uomo" gli sarà perdonato, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata. Qual è questa bestemmia contro lo Spirito? Credo che sia l'indurimento del cuore di fronte alle opere buone che lo Spirito compie nelle persone e negli avvenimenti, che induce non solo a non riconoscere queste opere, ma addirittura a scambiarle con opere del Maligno: è un ammonimento severo a non "demonizzare", come si suol dire oggi, mai nessuno.

 

martedì 2 agosto 2005 Mt 12,9-21

9 Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga. 10 Ed ecco, c'era un uomo che aveva una mano inaridita, ed essi chiesero a Gesù: «È permesso curare di sabato?». Dicevano ciò per accusarlo. 11 Ed egli disse loro: «Chi tra voi, avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non l'afferra e la tira fuori? 12 Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche di sabato». 13 E rivolto all'uomo, gli disse: «Stendi la mano». Egli la stese, e quella ritornò sana come l'altra. 14 I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo.

15 Ma Gesù, saputolo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli guarì tutti, 16 ordinando loro di non divulgarlo, 17 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta Isaia:

18 Ecco il mio servo che io ho scelto;

il mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto.

Porrò il mio spirito sopra di lui

e annunzierà la giustizia alle genti.

19 Non contenderà, né griderà,

né si udrà sulle piazze la sua voce.

20 La canna infranta non spezzerà,

non spegnerà il lucignolo fumigante,

finché abbia fatto trionfare la giustizia;

21 nel suo nome spereranno le genti.

COMMENTO DI GIUSEPPE

Il brano di oggi sviluppa due elementi già presenti all’inizio del cap. 12: la crescita del contrasto con i farisei e l’esaltazione della misericordia come senso fondamentale della missione affidata da compiere dal Padre al Figlio.

La crescita del contrasto con i farisei è indicata dal modo con cui viene chiamata la sinagoga dei giudei (“nella loro sinagoga”: v. 9, cioè la sinagoga dei giudei è dominata dalla corrente dei farisei), dalla finalità della loro domanda (“per accusarlo”: v. 10) e soprattutto dalla decisione presa ufficialmente di uccidere Gesù: “I farisei però, usciti, tennero consiglio contro di lui per toglierlo di mezzo” (v. 14). In questo modo si conferma che i dotti e gli intelligenti a cui alludeva Gesù nella sua preghiera al Padre sono i farisei, ai quali sono tenuti nascosti i misteri del regno dei cieli (cf. Mt 11,25).

Contestualmente l’esaltazione della misericordia emerge dalla risposta di Gesù ai farisei e dalla lunga citazione di Is 42,1-4 come il senso fondamentale della missione del figlio di Dio sulla terra. Per Gesù di Nazareth non si può avere alcun dubbio circa la maggiore dignità di un uomo rispetto ad un animale e quindi sulla necessità di fare del bene in giorno di sabato (cf. v. 12). Ai suoi occhi quell’uomo malato cronico in realtà è unico ed ha urgenza di essere salvato immediatamente da un pericolo mortale (la traduzione italiana tralascia la bella espressione del v. 11: “avendo una sola pecora”). Solo l’evangelista Matteo porta la lunga citazione del primo canto del servo di YHWH per spiegare il senso fondamentale della missione di Gesù: egli è il servo (parola che significa anche “figlio”) scelto, prediletto e oggetto del compiacimento del Padre, investito dalla Spirito per portare a tutti i popoli la giustizia cioè il giudizio di Dio. Tale giudizio si esprime con la misericordia non solo verso un uomo malato incontrato da Gesù di sabato in sinagoga, simbolo evidente di Israele, ma anche verso le genti “che lo seguirono ed egli guarì tutti” (v. 15) perché tutti gli uomini, preziosi e unici ai suoi occhi, sono mortalmente ammalati e in pericolo di vita. In questo senso l’ultimo v. di Is e del Vangelo di oggi (“nel suo nome spereranno le genti”) è la buona notizia seminata nel cuore di ogni creatura.

 

lunedì 1 agosto 2005 Mt 12,1-8

12:1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

 

COMMENTO FRANCESCO

Il tema con cui si apre questo nuovo capitolo del vangelo secondo Matteo è quello della legge, dei comandamenti, simbolicamente riassunti dalla legge del sabato. I discepoli di Gesù trasgrediscono il riposo sabbatico cogliendo le spighe e i farisei ne chiedono spiegazione a Gesù. Il quale riprende la stessa citazione del profeta Osea, che aveva fatto per giustificare la sua comunanza di tavola con i peccatori, Misericordia io voglio e non sacrificio, arricchendola stavolta con una precisazione, rappresentata dall'accenno alla fame, fame dei discepoli di Gesù, ma anche del re Davide e di quelli che erano con lui: misericordia vuol dire in questo caso tenere conto delle persone, anche nelle loro esigenze più semplici e concrete; la legge si deve piegare davanti all'uomo bisognoso.

Un'altra motivazione addotta da Gesù per giustificare il comportamento dei suoi discepoli riguarda il sacerdozio: Davide e i suoi compagni non erano sacerdoti, eppure si cibarono dei pani destinati ai soli sacerdoti. Questo indica che c'è una profezia dell'estensione del sacerdozio a tutto il popolo di Dio: l'affermazione è già presente nell'Antico Testamento (Es 19,6 Voi sarete per me un regno di sacerdoti) e giungerà a pienezza con il Nuovo (1Pt 1,9 Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale).

Infine, l'ultima e più forte giustificazione addotta da Gesù al comportamento dei suoi è Lui stesso: Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio e per questo il Figlio dell'uomo è signore del sabato.

In conclusione, l'avvento di Gesù rappresenta una nuova interpretazione della legge, nella direzione della misericordia per l'uomo bisognoso, dell'elevazione della sua dignità regale e dell'orientamento di tutto e tutti alla glorificazione del Figlio dell'uomo Gesù Cristo.

 

sabato 30 luglio 2005 Mt 11,25-30

25 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

 

COMMENTO FRANCESCO

Il cap. 11 del vangelo secondo Matteo si conclude con questa bellissima preghiera di lode, che il Signore Gesù innalza al Padre e che possiamo anche noi imparare facilmente a memoria per ripeterla spesso. Gesù ringrazia il Padre per il dono della sua Parola.

Ci preoccupa un po', tuttavia, il fatto che questo dono sia nascosto ad alcuni. Un Padre della Chiesa stamattina spiegava che non si tratta però di un arbitrio, di un'ingiustizia da parte di Dio, ma di un fatto automatico: la Parola rimane nascosta a chi indurisce il cuore e rifiuta di lasciarsi istruire e correggere da essa: questi sono i "sapienti e intelligenti", coloro che, come gli scribi e farisei dei tempi di Gesù, credevano di sapere tutto e di essere giusti e quindi di non aver bisogno di uno che li istruisse e correggesse (cfr. Gv 9: "Voi dite: Ci vediamo. Il vostro peccato dunque rimane"). Invece i piccoli e i semplici, quelli che sanno di essere dei poveretti e di sbagliare spesso, comprendono il vangelo e se ne rallegrano.

Nella seconda parte del testo Gesù ricorda la rivelazione più grande che ci è venuto a portare, quella di un Dio che è Padre: è un po' un riassunto di tutto il discorso della montagna, con le sue conseguenze intorno all'amore fraterno, perfino verso i nemici,  e quindi alla pace con tutti.

La terza ed ultima parte contiene un invito molto consolante, rivolto a tutti quelli che si sentono stanchi (dunque proprio a tutti, nessuno escluso), ricordando che il vero motivo della stanchezza è un'errata interpretazione della Legge, legalistica, che rende troppo pesanti i comandamenti. Il rimedio è imparare da Lui, mite e umile di cuore, cioè accogliere docilmente ogni Parola che ci invia, come Lui ha fatto con il Padre, fino alla Passione. 

 

 

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