Mercoledì 4 Novembre 2005

È il giorno dei morti. La mia fede mediocre mi trova esposto a precipitare nell’angoscia. Trovo uno spazio di pace gridando in silenzio: “Signore, non voglio morire. Voglio offrirti la vita”. Spero di poter fare una corsa alla tomba di mio padre e di mia madre, insieme, in attesa. Colloquiare con loro non è propriamente preghiera, ma è la bellezza di uno spazio tra loro, là dove la morte è vinta. E la memoria non è nostalgia ma vita eterna, che non è durare per sempre, che forse sarebbe noioso, ma raccolta di tutto nel presente di Dio.

Ritorno a giugno, mamma, al giorno del tuo funerale. E mi rincontro con quel gruppo di ebrei che dopo la Messa mi si stringe intorno e ringrazia per quello che ho detto di te, e del tuo amore per loro. Avevi custodito, anzi accresciuto, la tua passione di leggere. E Luca, il tuo figlio libraio, ti passava i libri nuovi. Tu leggevi e davi il tuo parere, perché in libreria potessero dare risposte a chi domandava per comperare. In questa “lettura d’anticipo” ti eri dedicata sempre più allo spazio dell’ebraismo. Era bello scambiarci pensieri, anche se tu eri ormai talmente esperta, che io soprattutto ascoltavo. Sulla narrativa ebraica contemporanea, quella israeliana e quella americana, non potevo che ascoltarti e interrogare. L’unica ombra nei nostri dialoghi era la tua amarezza, ma, diciamolo, la tua antipatia per il mondo tedesco. Era inutile farti notare che, malgrado l’inferno dello sterminio, il mondo germanico continua anche oggi ad esercitare un grande fascino sul mondo colto dell’ebraismo. Ma anche tu ti sentivi ferita: persone e intere famiglie ebree scomparse dall’antica comunità israelitica di Mantova, una comunità di così grande tradizione da avere persino una sua “lingua” speciale, un intreccio tra l’hiddish e la nostra parlata dialettale.

Era morto il Papa e tu mi avevi subito telefonato: “Secondo me, fanno quel Ratzinger…”. Ti chiedevo: “E tu che cosa ne pensi?”. “Secondo me va bene. Ho cominciato subito a pregare che sia lui”. “Ma è un tedesco”. “Si, ma penso che sappia e capisca tutto. Di strada ne farà, e ne farà fare alla Chiesa verso gli ebrei…”. E non era ancora stato eletto!

Sono venuto a Mantova il giorno in cui te ne sei andata, dopo la Messa. I tuoi figli ti avevano posto sopra il corpo il velo della sepoltura usato dai cristiani d’Oriente: le scritte in greco, il grande crocifisso, l’immagine di Gerusalemme. Adesso la tua passione per la fede che accomuna e radica le confessioni cristiane nella terra feconda della fede di Abramo si può pienamente dilatare. Nel filtro soave della tua persona anche il pensiero della morte in me s’intenerisce e il giorno dei morti diventa un appuntamento sereno, con molti, nella speranza ritrovata. Grazie.

Don Giovanni

 

 

Domenica 30 ottobre 2005

 “… dopo le molte cose che si sono dette sul problema del lungo Reno mi chiedo e le chiedo, don Giovanni, a quale punto siamo e che cosa succederà…”

Un lettore confuso

 

Caro signore, mi è piaciuta molto la sua firma, anonima ma molto stagliata. Anch’io sono confuso. Nello spazio della nostra rubrica voglio però provare a dirle quel poco di cui sono convinto. Poco che, se plausibile, poco non è! Mi riferisco innanzitutto all’evidenza di una sproporzione grottesca, quasi ridicola, tra il fatto dei rumeni lungo il Reno e la risonanza enorme – fino alla noia - che il provvedimento del nostro Sindaco ha avuto dappertutto e per più giorni. Ormai mi sembra chiaro che quello che veramente interessa non sono i rumeni, né, a ben vedere, la cultura e la politica di Bologna, ma tutto quello che può essere trasferito e utilizzato per l’incandescente campagna elettorale verso quella data di aprile ormai divenuta giorno dell’apocalissi e di soluzioni finali nella retorica della comunicazione.

Ma a partire da qui, la considerazione più dolorosa è che della gente del fiume non importa proprio niente a nessuno. Né a chi è contento per la legalità dello sgombero, né a chi per lo sgombero protesta in nome della solidarietà e dell’accoglienza. Una passeggiata lungo il fiume mostrerebbe che nulla è successo: sarebbero delusi i legalisti che scoprirebbero il molto rumore per nulla di un intervento violento ma quasi solo simbolico; e non meno delusi i solidaristi che vedrebbero come basta far passare un giorno perché tutto riprenda il suo corso di normale disperazione.

E a conferma di ambedue le delusioni, la vicenda di venerdì sera, un gesto violento e isolato che nulla risolve del problema globale e mette in evidenza l’astrattismo delle proteste solidaristiche. Una famiglia con quattro bambini cacciata via di sera, senza direzione né alternativa, da un rifugio abusivo nel quale erano riparati da un anno. Li ha accolti la sensibilità affettuosa del parroco della zona. Non che ci dispiaccia di doverci occupare di questa povera gente. Ma la mia incorreggibile maliziosità mi suggerisce maliziose domande sia verso i crociati della solidarietà, sia verso chi la solidarietà la rivendica, nella serena e severa certezza che lì vicino ci debba essere un parroco pronto a mettere insieme una tavola e un letto.

Buona domenica a tutti. Don Giovanni

 

 

Domenica 23 ottobre 2005

Caro don Giovanni, i suoi ultimi interventi sulla rubrica da lei curata ci hanno portati dentro al mondo spesso difficile e doloroso dei bambini. Le notizie che riceviamo ogni giorno nelle nostre case attraverso la televisione ci consegnano un'immagine desolante a livello mondiale. Anche nella mia famiglia, come lo era per chi le aveva scritto la settimana scorsa, se ne è parlato, e mi hanno chiesto di scriverle a nome di tutti i miei per chiederle se, oltre alla proposta dell'affido di cui lei parlava ci sono altre iniziative di carattere pubblico, alle quale partecipare con segni di solidarietà. Grazie e complimenti per quanto scrive di bello.           Lettera  firmata.

 

Rispondo a stretto giro di posta al suo biglietto per segnalare un'iniziativa che si svolgerà alla Montagnola tra pochi giorni, il 28 ottobre, venerdì prossimo. In una giornata dedicata ai segni della pace in qualche modo collegati al mio ufficio ecclesiale, al mattino presenteremo due iniziative di grande rilievo raccolte sotto un unico titolo "I bambini operatori di pace". Alle 10 il dott.Franco Riboldi, direttore dell'Azienda USL di Bologna parlerà di un impegno assunto dalla nostra Regione per far sì che bambini palestinesi malati vengano accolti in ospedali israeliani. Il risultato è stato ottenuto attraverso molte trattative delicate che hanno fatto incontrare medici e operatori sanitari dell'una e dell'altra parte. L'aiuto economico che parte da qui consente degenze che sarebbero impossibili e che per altro sono decisive per far emergere questi piccoli dai loro traumi. La seconda iniziative ci porta nel cuore dell'Africa, nella Missione Bolognese di Usokami in Tanzania. Giovanni Guaraldi medico docente all'Università di Modena e i suoi collaboratori presenteranno il progetto Dream per la lotta contro l'AIDS. Lo scopo è quello di far nascere bimbi sani da mamme colpite dalla malattia. Sono due esempi di come intorno ai bambini possano sorgere iniziative di solidarietà e di pace che portano gli adulti che sono intorno a loro, ad incontrarsi, a parlare, a studiare, a cercare, a spendere per operare insieme per il bene di questi piccoli. Ma anche da noi, nella nostra città, ci sono iniziative di ogni tipo per costruire  percorsi di crescita positiva per i bambini. E' chiaro che nessun ambito può sostituire una famiglia concorde e sapiente. Ma siccome le ferite anche qui sono molte, e in ogni modo in un mondo come il nostro il lavoro dei grandi lascia spesso i piccoli molto da soli, è necessario che ci siano questi luoghi di accoglienza operosa. A Bologna è in attuazione un piano che prevederebbe in ogni quartiere una grande collaborazione tra parrocchie, associazioni, centri sportivi e quant'altro, perchè insieme si possano cercare risposte e proposte per la crescita dei nostri adolescenti. Si tratta di imprese che richiedono un costo umano altissimo, che solo un forte volontariato può adeguatamente sostenere. Ecco, dunque, una piccola panoramica di occasioni piccole e grandi, vicine e lontane, attraverso le quali possiamo tutti dare una mano per affermare una cultura della famigliarità, una scoperta, o una riscoperta, da parte dei credenti come dei "laici", di quella passione di educare che ha sempre caratterizzato le grandi culture e le grandi civiltà.

Buona Domenica.  don Giovanni.

 

 

Domenica 16 ottobre 2005

Caro don Giovanni, quello che lei ha scritto la settimana scorsa sul problema di quella mamma separata dal suo bambino mi ha riempito di pensieri. Sono un marito e un padre di famiglia molto fortunato. Mia moglie è una persona meravigliosa, abbiamo tre figli ormai tutti studenti universitari, che fanno il loro dovere con buoni risultati. Due di loro sono già fidanzati con persone che mi sembrano positive. Questo per dirle come sono lontano da drammi come quelli di cui lei parlava. Noi fortunati, possiamo fare qualcosa?......lettera firmata

 

La frase della sua lunga lettera che ho riportato qui sopra mi sembra esprima bene tutto quello che di buono e di bello lei mi racconta, compreso il particolare della fede cristiana di sua moglie che, come mi dice, "sostituisce" il suo agnosticismo e tiene alto il segno del vostro matrimonio e della vostra vita famigliare. Che cosa si può fare per le persone che sembrano condannate a vivere in perenne travaglio e angoscia? Le dico subito: bisogna volere loro un gran bene. Non giudicare, ma cercare di capire. Non pensare di risolvere situazioni ma stabilire legami di amicizia e di condivisione. Se vuole, io avrei molto bisogno di trovare qualcuno cui far conoscere miei amici e amiche, ma potrei dire, miei poveri figli e figlie, per i quali sarebbe già importantissimo avere qualche volta un invito al pranzo domenicale o magari ad una piccola gita sulle nostre colline. E poi ci sono i loro bambini, quelli per i quali la scorsa settimana facevamo discorsi tanto gravi e dolorosi. Fare qualche volta con loro i compiti di scuola sarebbe occasione per un pomeriggio diverso; e pensi che questi sono talmente assetati, molto spesso di un babbo che non hanno mai avuto o che è scomparso, che a loro basta anche solo guardarci e ascoltarci; e magari arrivare a toccare timidamente la nostra mano, o a mettere pian piano la loro mano nella nostra se stiamo facendo due passi sotto i portici per andare a prendere un gelatino. Certo, non posso nasconderle che una famiglia come la sua è la famiglia ideale per ospitalità anche più impegnate, come ad esempio i giorni di scuola, per poi tornare dalla mamma a fine settimana. Una famiglia senza bambini piccoli, che potrebbero rappresentare una concorrenza e una rivalità affettiva, con tre figli grandi che sono come tre "zii", ognuno con il suo carattere e i suoi impegni che affascinano la nostra piccola o il nostro piccolo, una "mamma" meravigliosa come sua moglie, bravissima a dare baci e carezze...sono tutti regali meravigliosi, i più belli e i più importanti. Altri regali, altri giochi, ne hanno avuti. Ma regali belli come quelli che le dicevo...non sanno neanche che esistano! Non voglio catturarla, caro amico. Mi capisca: avendo attaccati al cuore personaggi come queste mamme e bambini, e avendo la gioia di amicizie importanti con gente come lei, è inevitabile che spesso mi trovi a sognare delle tavole grandi come ai miei tempi vedevo in certe cascine dove mio nonno mi portava con il biroccio attaccato a un bel cavallo bianco. Erano tavole lunghissime, che partivano da vicino al camino e arrivavano vicino alla porta di casa. E tanta gente intorno. E un vociare allegrissimo che il papà a capotavola zittiva quando entrava mio nonno, che era un personaggio importante. E subito si trovava un posto anche per noi due. Mi pare che spesso si mangiasse della polenta bollente, molto tenera, immersa a cucchiaiate nella tazza piena di latte freddo: una meraviglia che non gusto da quasi sessant'anni! A pensarci adesso, anche con tutti gli abbagli di una senile nostalgia, mi par di essere certo che lì nessuno era solo. Però, con tavole meno lunghe e con cibi più adatti ai gusti di oggi, quella festa affettuosa si potrebbe mettere insieme anche adesso.

Buona Domenica.     don Giovanni.

 

Domenica 9 ottobre 2005

Carissimo don Giovanni, sono molto dispiaciuta per una mia amica con una vita difficile fino alla disperazione, alla quale i servizi della mia città, che non è Bologna e che non cito per delicatezza, hanno tolto il bambino di tre anni che è la sua unica consolazione. Adesso lei lo può vedere una volta alla settimana per poi rientrare desolata nella solitudine e nella fatica di una vita senza significato.....(Lettera firmata)

 

Cara Signora, il caso che lei cita è molto difficile, e purtroppo molto diffuso. In tutti questi anni di servizio negli spazi della carità ecclesiale, ma anche nella mia comune vita di cristiano e di prete, mi sono incontrato continuamente con la dolorosità di queste vicende. Proprio per questo, però, non posso non dirle con sincerità il mio pensiero, sperando di non addolorarla ulteriormente o di scandalizzarla. Vede, come è ben comprensibile, lei sente molto le ragioni e la desolazione di quella mamma rimasta sola. Ma è necessario pensare anche al piccolo che le è stato tolto; anzi è necessario pensare prima di tutto a lui  Ovviamente non so nulla della vicenda di cui lei mi scrive. Le posso dire però con franchezza che molte volte ho desiderato questo tipo di provvedimento, in situazioni nelle quali, per esperienza, vedevo chiaramente quello che poi quasi sempre è accaduto: passano gli anni, ma la fatica personale della mamma non aiuta il bambino, e quasi sempre lo ferisce; e spesso lo ferisce nel suo equilibrio interiore e psicologico. Si arriva  così ad un'età in cui questo disturbo della sua personalità si manifesta clamorosamente; e quel bambino è diventato un ragazzo molto difficile perchè molto ferito. La mamma stessa si accorge di non essere in grado di accompagnarlo ulteriormente; ma a quel punto la situazione è complessa, e sarà quasi impossibile trovare per lui una famiglia che da piccolo l'avrebbe accolto, ma che ora si spaventa davanti ad un compito arduo e doloroso. Questo per dirle che molto spesso, senza magari volerlo e programmarlo, quasi istintivamente  si piega il bene del bambino alla speranza di bene della sua mamma. Il minore è troppo poco difeso. Tra l'altro, anche nei casi in cui si opera la separazione dalla mamma, chi lo assume in affido è sottoposto a fatica noin piccola nel mantenimento di incontri e visite da parte della mamma. E anche questo, mi creda, anche per la gravità di certe ferite, è difficile dire che sia un vantaggio per questo piccolo. Talvolta una decisione dolorosa e persino rischiosa è più feconda di bene. Un bambino è un universo molto delicato, Lei lo sa. Quello che lui raccoglie e colloca nella sua mente e nel suo cuore è incalcolabile. Bisogna purtroppo essere poco fiduciosi verso i puri legami di sangue. Gli è che la diffusione del disagio e il numero esorbitante di casi difficili molto spesso non consente ai servizi di trovare soluzioni diverse da quella di una precaria convivenza tra un piccolino e la sua mamma ferita. Con questo non si viene a dire che i servizi funzionano sempre bene. Le decisioni sono in ogni modo da prendere in grande esiguità di tempi e di mezzi. Non posso dimenticare un piccolo bambino che dopo la Messa veniva a trovarmi per dire:"Giovanni, me la trovi una mamma?". Io non ci sono riuscito. Adesso non so dov'è e lo inseguo con il gemito della preghiera. 

 

Domenica 18 settembre 2005

..    Caro don Giovanni, volevo chiederle il suo pensiero su una considerazione che sento fare spesso sia da suoi confratelli sia da miei amici di parrocchia. Si fa osservare che c’è il rischio di ridurre la fede cristiana ad un volontariato e le parrocchie ad uffici di servizio sociale. E questo sarebbe colpa di una malintesa scelta di carità. Da quello che vedo intorno, vicino e lontano, a me non sembra proprio, ma mi interessa il suo parere di persona impegnata e responsabile in questo settore della  vita della Chiesa. Con stima e amicizia.      Una parrocchiana di S.PioX

 

Cara Signora estraggo dal cassetto il suo messaggio di tre mesi fa, che mi offre l’opportunità di ringraziare pubblicamente tutti quelli che generosamente e molto rapidamente hanno reagito al mio appello pubblicato in questa rubrica sul Carlino di lunedì scorso. Ieri mattina ho potuto consegnare alla mamma una grande cifra di denaro raccolto in soli tre giorni da varie fonti, tutte anonime. Sono rimasto commosso e ammirato e devo ringraziare anche da parte di questa famiglia che si è sentita amata e protetta. Tra l’altro è forse nata una possibilità di coinvolgimento di istituzioni che attraverso questa vicenda mi hanno detto la loro apertura a esaminare il caso di questo ragazzo. Fatti come questi io non riesco a circoscriverli nell’orizzonte di una qualsiasi filantropia: né per come si svolgono, né per le conseguenze che lasciano nel cuore e nel pensiero  delle persone, né per la risposta che Dio stesso dà ad essi. Per un credente, potersi chinare su un piccolo è il linguaggio proprio e desiderato della sua fede. Per chi si ritiene non credente constato che quasi sempre il desiderio dell’anonimato, unito alla scelta di una mediazione attraverso persone o istituzioni della comunità cristiana, esprime una misteriosa percezione del valore di un atto che rivolgendosi ad un Altro da questo Altro riceve una risposta e una provocazione, una domanda di senso:”Perché lo faccio?, “perché lo fai?” , “A chi lo fai?”. Negli anni mi è stato sempre più cara la grande immagine del Vangelo secondo Matteo, che descrive la fine dei tempi, così come sarà vissuta da tutti coloro che non hanno conosciuto Gesù e non lo hanno potuto scegliere né seguire. E’ quel testo di cui noi cristiani ci appropriamo dimenticando che a noi il Signore chiede ben di più! E’ quella Parola che il Signore della gloria dice per ricordare che i suoi piccoli fratelli affamati e assetati, nudi e ammalati e prigionieri lo hanno rappresentato lungo tutta la storia dell’umanità; e che chiunque si sia chinato su di loro, soccorrendo loro ha onorato in loro, senza saperlo, il Salvatore del mondo. Come per altro quella stessa Parola afferma che i piccoli fratelli di Gesù ignorati, abbandonati e colpiti dalla crudeltà o dall’indifferenza dell’uomo, sono giudizio severo verso un’umanità che come il ricco Epulone sembra neppure accorgersi del povero che gli è accanto. Può dunque darsi il caso che per qualcuno il punto di partenza sia una semplice volontariato, un’occasione episodica di solidarietà. Ma nel tempo, se si prolunga e si approfondisce, non manca di mostrare e svelare il suo significato più profondo e la nuova vita che ne scaturisce. Questa almeno è la mia esperienza, quella che anche in questi giorni si è ripetuta per il piccolo bolognese che molti hanno voluto visitare con il loro affetto. Con amicizia                 don Giovanni.

 

Domenica 11 settembre 2005

 Oggi vengo a trovare i miei amici lettori con in mano il cappello dell’elemosina. Lo dovrei fare sempre. E forse sarebbe più utile delle mie chiacchere.  Conosco bene però la carità impegnata dei bolognesi – la conosco per esperienza diretta! – e li voglio lasciare in pace nei loro molteplici impegni di solidarietà. Oggi però è un caso speciale. La difficoltà visita un nucleo famigliare di lavoratori, di gente inserita anche in responsabilità professionalmente non banali: Tutto dovrebbe funzionare come ha sempre funzionato. O meglio, come ha potuto camminare in una vita tutta tagliata dall’infermità rara e grave di un bambino,; oggi un ragazzo di sedici anni. Un fatto gravissimo di tipo cerebrale esige una terapia altrettanto grave sia come impegno, sia come costi, costi non sostenuti dalle strutture pubbliche, appunto perché troppo speciali. Qualcuno è già intervenuto generosamente ,. Anche una Fondazione bancaria. Ma è difficile poter dare cronicità a questi sostegni. Devo confessare a voi che io da solo non ce la faccio. Sono sostenuto sempre da molta brava gente, ma i miei doveri verso molti sono sempre superati dal crescere della fatica di molti. Voi capite bene che tra l’altro scrivere queste cose su un giornale è il massimo che mi posso permettere per non violare la riservatezza dolorosa di molte vicende. Credo che la morte della mia mamma mi porterà forse anche qualche risorsa economica. Ma non è ancora il tempo. Se a qualcuno di voi è rimasto qualcosa in tasca, sono sicuro che mi sarà mandato in soccorso alle mie inadempienze. Accanto alla malattia di questo ragazzo sta, come dicevo l’impegno di un’intera famiglia e in particolare il coraggio meraviglioso di una mamma che non vuole arrendersi. Se credete, potete far avere qualcosa al Carlino. Oppure al mio ufficio in Curia. Sono sempre pronto a parlare direttamente con chi volesse avere qualche informazione in più. La mamma mi ha consentito di dire anche il nome del ragazzo. Ma, almeno oggi, non ho il coraggio di scriverlo. E’ la prima volta che devo scrivere un messaggio di questo tipo. Perdonate l’imbarazzo che si autodenuncia nelle parole. Voglio sperare di non dovervi più cercare per urgenze di questo tipo. Non è la finalità della nostra rubrica. Né, penso , quello che vi aspettate di leggervi. Abbiate pazienza, e buona Domenica.    Don Giovanni.

 

Domenica 4 settembre 2005

Caro Giovanni, come sai non amo la televisione, ma i drammi di questi giorni, dall'Irak all'America, mi hanno incollato alla poltrona e al video. Davanti al trionfo della morte la mia mente è corsa un po' indietro, ad un'altra grande folla, quella dei ragazzi intorno al Papa a Colonia, un'immagine che, come sai, non facilita la strada ad un "non-credente ma assetato" come da sempre mi conosci. Eppure una domanda mi si è posta: c'è un ponte tra la grande riunione dei fedeli in Germania e le grandi tragedie collettive che interpellano l'intera umanità sul suo destino? La moltitudine dei fedeli del Papa può rappresentare qualcosa - oltre che per se stessa - anche per la grottesca tragedia dell'umanità? Non ho risposta ma la cerco. Intanto giro a te le mie domande. Con Amicizia. Federico.

 

Carissimo Federico, mi ha fatto piacere ricevere il tuo messaggio. Vedo che non desisti dalla tua appassionata ricerca che penso avrà alla fine un esito di grande luce e di grande pace. Certamente la grande assemblea di Colonia non è autoreferenziale, ma è tutta protesa verso le direzioni del mondo. Quei ragazzi che vengono da tutto il mondo - sì, anche dai paesi della fame e della violenza! - hanno portato a Colonia per la loro festa con il Papa tutto il loro mondo, quello più intimo a ciascuno di loro e quello più vasto verso il quale, proprio perchè giovani, provano fascino e paura, tentazione di evadere e attrazione appassionata. Che ci sia oggi un'assemblea della speranza, sia pure con tutti i suoi limiti, di fronte alle moltitudini raccolte nella disperazione, è sicuramente un segno grande di speranza. In ogni modo ho preferito farmi aiutare da chi a Colonia c'è stato come semplice partecipante. L'ho cercato nella casa di un accolito della mia parrocchia: una famiglia con nove figli,  da un Davidone primogenito a un Davidino ultimo arrivato. Su nove tra fratelli e sorelle, a Colonia ci sono andati in sei! Che è anche una bella spesa! Mi ha risposto Pietro, uno dei due gemelli, ottimo studente all'Università e valente musicista. "Allora, Pietro, prova a dirmi quello che ti ha più colpito di quello che hai ascoltato e visto". "Mi è rimasta impressa una delle ultime parole del Papa; quella raccomandazione a non praticare una "religione fai da te". Mi fa sperare in una Persona e in una Parola che noi non possiamo inventarci perchè è troppo grande e troppo bella. Mi fa sperare che abbiamo il coraggio di farci prendere per mano e portare dove noi non sapremmo andare: nella luce del Vangelo". Sono grato a Pietro che mi ha passato una memoria così alternativa ad un mondo che si è chiuso a Dio, che è così assetato di Dio, che è così prigioniero di una sua tragica autoidolatria senza strada. Ho pensato che forse questo ragazzo interpretava un punto tanto basso e cupo della vicenda umana, da esigere finalmente un grido. "Dal profondo a Te grido..", dice un Salmo della Bibbia. Penso che i giovani di Colonia, e le moltitudini che stanno dietro a loro, abbiano il compito di gridare verso Dio a nome dell'intera umanità. Il grido della supplica diventerà allora il grido della gioia e della lode.  Un abbraccio.  Giovanni della Dozza.

 

Domenica 14 agosto 2005

Carissimo don Giovanni, la ringrazio molto per le lettere che ha inviato da Gerusalemme le scorse settimane. Sono ebreo, e pur avendo perso la fede dei miei padri, mi sento del tutto immerso nella storia dello Stato d'Israele, anche per motivi di legame parentale: due miei fratelli sono cittadini Israeliani da trent'anni. Ho gradito che lei assumesse le fatiche, le speranze e le paure di tutti, senza "parteggiare". Per questo sono a chiederle non di esprimere un giudizio, ma di comunicare, se c'è, un pensiero di speranza che le sia suggerito dalla sua esperienza e magari dalla sua fede....Un lettore milanese del vostro sito.

 

Scelgo tra gli altri il suo messaggio, per il vantaggio che in questa domenica traggo dalla memoria evangelica che caratterizza e protegge la Liturgia delle Chiese cattoliche in tutto il mondo. Si tratta dell'incontro emozionante e delicato di Gesù con la donna Cananea. Per me è inevitabile accogliere la Parola di Dio nell'orizzonte storico e geografico della Terra Santa, in quella regione del nord meno visitata dal pellegrino e così importante per l'incontro del Vangelo con i popoli pagani. Altre volte ho parlato più diffusamente in questa rubrica del rinascimento e della bella presenza a Gerusalemme delle molte confessioni cristiane che vicino, dentro e fuori dalla Basilica del Sepolcro di Cristo, celebrano nella diversità e nella comunione delle loro diverse tradizioni, la vittoria pasquale sul male e sulla morte. La "resistenza" che Gesù sembra opporre all'angosciata supplica della donna pagana esprime da una parte l'insostituibile compito del popolo della Prima Alleanza in ordine alla custodia di una profezia in ogni modo essenziale per chiunque da ogni terra e da ogni cultura voglia avvicinarsi al Messia del Signore; e dall'altra il travaglio inevitabile del passaggio da una fede che ha custodito gelosamente l'elezione di un popolo all'elezione altrettanto gelosa dell'intera umanità. Un travaglio che Dio paga con il sangue del Figlio. E qui sta tutta la mia speranza per l'oggi della Terra Santa e del mondo intero: l'essere questo Figlio di Israele non l'iniziatore di una nuova religione, ma Colui che Dio Padre ha mandato per illuminare i cammini di fede e gli abissi di non fede di tutti i popoli della terra. La donna Cananea oggi rappresenta questa intera umanità che presenta al Figlio di Davide, al Figlio di Maria e al Figlio di Dio, il suo incurabile male e il lumicino di una speranza che non vuole arrendersi alla logica della morte. Ho visto queste piccole comunità cristiane piegarsi con affetto, con commozione e con umile determinazione, sul conflitto tra i due popoli e sul loro dolore. E' certamente un invito ai figli d'Israele a riconoscere che la loro vocazione è ormai universale diaconìa di pace, perchè è stato abbattuto l'antico muro di separazione tra il popolo eletto e le genti. Ed è un invito ai discendenti delle antiche popolazioni della Terra Santa a prendere atto che la vocazione della Palestina, quella più profonda e grande, è d'essere Terra dove tutti i popoli devono convergere, incontrarsi, e celebrare il meraviglioso banchetto della pace messianica.    Pace a lei e a tutti.          don Giovanni. 

 

Domenica 4 agosto 2005

A Gerusalemme.

Visita di amicizia e di riconoscenza alla brava maestra ebrea che l'estate scorsa è venuta in Italia a tenere un corso di Ebraico modero. Vecchia conoscenza ormai, si sa che a casa sua anche un invito per la merenda diventa una cena squisita: le specialità importate dalla famiglia viennese della maestra si incrociano amabilmente con quelle irachene e marocchine trasmesse dalla famiglia di suo marito. L'incombente ritiro dei coloni da Gaza diventa presto argomento d'obbligo. " Si tratta di una rivoluzione per noi". Mai così divisi gli ebrei come in questo frangente. Persino le automobili portano strisce svolazzanti: azzurre, in minoranza, per approvare il ritiro, arancione per dire di no.

Di fatto, ci spiegano, una piccola maggioranza è a favore del provvedimento. Nessuno pensa che questo porterà la pace, ma una maggioranza in parte silenziosa, lo ritiene un passo avanti necessario. E allora, domandiamo noi, che cosa desiderare? Due stati o la speranza di una convivenza in qualche modo? Due Stati.  Perché è bene così. Ma Gerusalemme ? Come fare per quella città che è molto di più che una città ? Molto più di un simbolo. Gerusalemme è una fonte, un cuore, il Cuore! Forse bisogna ripensare all'antica proposta di Paolo VI che la voleva libera, aperta ed accogliente per tutti? Gerusalemme di tutti, e quindi internazionale? L'attributo le sta stretto ma forse, ... "qualcosa di Gerusalemme dobbiamo avere", dice la maestra. " I miei cugini - sono stata al loro matrimonio - rispondono "si lo voglio"  per dire che si accolgono nelle nozze. Noi, per sposarci, diciamo: “se ti dimentico, Gerusalemme... Anch'io e mio marito, e siamo non credenti, abbiamo detto cosi in quel giorno”. Piano piano scende un silenzio di rispetto, di commozione, di timore, nell'automobile che ci porta verso casa. Verso casa, ma non a casa. I nostri gentilissimi amici ebrei si fermano presso l'orto degli ulivi. Per loro andare oltre è pericoloso. La nostra casa a Gerusalemme Est è gia' troppo in là, vicino a quel muro che dice la divisione e l'ostilità. Intanto, mentre scrivo, due anziane signore palestinesi varcano la breccia nel muro del giardino delle suore che ci ospitano e chiedono come poter raggiungere le strade per la Città Santa: "Al Quds", "La Santa", dicono loro.

Buona domenica. Don Giovanni

 

 

 

Domenica 31 Luglio 2005

 

Una casa a Gerusalemme. Una piccola casa accanto al “Muro di separazione”. Il “pollaietto” l’abbiamo sempre chiamata, poiché tale era la sua destinazione, in questa parte del Monte degli Ulivi che digrada verso Betania, il villaggio di Lazzaro, Marta e Maria. Anche questa memoria è spezzata dal Muro: al di il santuario della tomba di Lazzaro, al di qua il ricordo della casa dei tre fratelli, dove Lazzaro risuscitato è commensale, Marta compie in pace la sua diaconia e Maria spezza ai piedi del Signore il suo sublime spreco di ammirazione e di amore. Oggi, 29 luglio, è la loro festa. E per noi di questo piccolo campo di lavoro, che prepara un posto per la vita e la preghiera di chi verrá poi, è istintivo accostare la fatica e il caldo della giornata alla speranza di un posto dove invitare Lui, il Signore della pace. Il Muro qui non  è completo perché una protesta della Santa Sede ha evidenziato il dramma di tre comunitá religiose presenti a Betania da gran tempo, al servizio di tutti e soprattutto della gente piú povera: le Suore della Caritá, i Padri Passionisti e le Suore della Nigrizia. Il Muro attraversa i loro giardini. Due sarebbero separate dalla loro gente di Betania, una dalla Cittá Santa. Cosí ci sono brecce nel muro. Ma presto saranno colmate. Come si sa, la prospettiva storica, il “dovere teologico” dei muri di separazione, è quello di essere abbattuti. Da Gerico a Berlino,  l’ abbattimento è tanto piú efficace quanto piú non avviene con le cannonate ma con la presenza della preghiera e con la sapienza dei pensieri. Lui, il nostro Signore, la nostra Pace, ha abbattuto il muro di separazione e ha aperto le strade del Vangelo a tutti i popoli della terra con il suo sacrificio d’amore. Che qualcuno stia sotto questo muro, e coltivi fraternitá dall’una e dall’altra parte della contesa mortale. E apprenda e pratichi la lingua dell’uno e dell’altro. E di entrambi ami le tradizioni e la cultura. E partecipi con affetto al dolore di ciascuno e di tutti. E con il dolore accompagni gli errori e i misfatti di questi e di quelli. E tenga tutti uniti nella preghiera. Ed esprima giudizi senza condanne a partire dalle vittime innocenti. Tutto questo è attualissima e desiderabile opportunitá. E dice la bellezza di un piccolo campo di lavoro a Gerusalemme.
Buona domenica. Don Giovanni

 

Domenica 24 luglio 2005

 

Gerusalemme come la grande emorroissa. quando anche nei decenni passati sembravano aprirsi varchi di pace, il nostro don Giuseppe Dossetti ci diceva: "Non illudiamoci. Per queste strade si andrà di male in peggio". appunto, come la donna malata da lungo tempo che ha speso tutto il suo senza nulla ottenere. Un interminabile flusso di sangue. Solo Lui può salvarla. Come toccare almeno il lembo della sua veste? Ho visto un nuovo terribile gioco a "guardie e ladri" sulle pendici del Monte degli Ulivi tra due bande di ragazzi: ragazzi palestinesi che cercano di scavalcare il Muro della separazione per andare a lavorare; ragazzi ebrei vestiti da soldati israeliani che devono impedirglielo. questa mattina a me e al mio fratello Martino non l'hanno impedito e stiamo sudando intorno a un computer di Betania che si ostina a preferire la grafia araba. Intanto Lui, il Figlio di Dio, il nostro caro fratello Gesù che si e offerto per la salvezza di tutta l'umanità si sta recando verso la casa di un capo ebreo la cui figlia sta morendo o forse e gia morta. Solo Lui potrà fermare il flusso di sangue. Ne ho sentito l'annuncio e la speranza quando al canto del Muezzin dalle moschee e seguito il grande canto delle campane domenicali dei cristiani. Stanno tentando un assedio di preghiera e di carita per abbattere l'inimicizia e il conflitto. Ho camminato sotto alcune case grandi che i figli di san Francesco d'Assisi hanno costruito per i loro fratelli più piccoli e per le famiglie più povere. I miei fratelli e le mie sorelle stanno restaurando una piccola casa accanto al Muro. Vogliono unirsi anche loro alla grande supplica che tutte le comunità cristiane di Gerusalemme rivolgono al Signore perché venga fermato il sangue e dove regna la morte ritorni la vita. Quella nuova, nel Figlio di Dio.

don Giovanni

 

Domenica 17 luglio 2005

 

Caro don Giovanni, fin dall'inizio seguo la sua rubrica domenicale. Educata in una famiglia credente ho smarrito la fede lungo la mia lunga vita. Mi si sono presentate domande sempre più difficili, e non ho trovato risposte religiose che mi soddisfacessero. Quello che lei scrive mi attira perchè entra con umiltà nelle vicende di ogni giorno e mostra che ognuna è ricca e meritevole di essere guardata con attenzione. Le scrivo due righe dopo aver visto alla televisione il disastro di Londra, e le pongo una di quelle inutili domande difficili che avrei dovuto rassegnarmi a lasciare da parte ma che inevitabilmente mi rinascono dentro. "Perchè c'è il male?" e "Questo male che cosa è?" e ancora "È possibile affrontarlo e vincerlo?"...Domande che, ripeto, forse non si dovrebbero porre, ma che invadono continuamente la mia mente. Un caro saluto.  Virginia B.

 

Cara Signora Virginia, anche la mia nonna che è stata mia madrina di Battesimo si chiamava Virginia ed era nata in Argentina. Mi piace pensare che anche lei sia bella e dolce come la mia nonna. Credo che non si debbano mai censurare le domande che ci nascono nella mente e nel cuore. Ero un ragazzo quattordicenne, mi sembra, quando feci al mio papà una domanda:"Che cosa è pregare?" e lui mi rispose:"È fare a Dio le domande difficili". La sua è una domanda difficile che ho fatto a Dio più volte. La risposta di Dio non l'ho ancora saputa del tutto trovare. Mi sembra che in ogni modo Egli mi insegni che il Male si scrive con la maiuscola perchè è una cosa grande e misteriosa. In questa Domenica si ascolta nelle Chiese la parabola della zizzania che mi sembra ci dia una conferma in questo senso. Ho colto dalle Scritture anche la certezza che il Male che sembra avvolgere crudelmente la vicenda umana, preoccupa Dio e lo induce ad occuparsene. Mi sembra quindi di capire che il suo intervento nella nostra storia abbia il fine di liberarci da questo terribile aguzzino che ci tortura e ci tiene prigionieri. Per tenerci alle parole che oggi vengono proclamate nella Messa, sembra di poter dire che peraltro Egli è potente e il Male viene vinto. Viene vinto dalla potenza del Bene. Il supremo Bene di Dio è l'Amore, e il Signore Gesù e il suo sacrificio d'amore per tutti noi è l'evento supremo di questo Amore che salva. Pensare di strappare la zizzania subito è un errore pericoloso. Preoccuparsi di gettare subito il seme prezioso nella terra e il lievito nella farina affinchè tutto fermenti è saggezza. Davanti a Londra e a tutte le sventure piccole e grandi, la strada giusta è quella della buona battaglia della fede, è seminare ampiamente quel Bene che la Parola di Dio che è Spirito e Vita può comunicare anche all'animo più cupo. Quindi coraggio. Come Dio stesso suggerisce combattiamo il Male con il Bene, che è questo nostro meraviglioso Signore in mezzo a noi.

Buona Domenica. don Giovanni.

 

Domenica 10 luglio 2005

 

Ho letto recentemente il suo "Cose di questo mondo" e la grande onda di memorie che lei vi riporta mi ha consegnato a ricordi di un passato che guardo con nostalgia. È domenica mentre le scrivo. Sono appena tornato da messa con mia moglie, noi due, contenti ma soli. Tanti anni fa eravamo in molti, perchè c'erano con noi i nostri sei figli. Poi ognuno ha preso la sua strada. Tante vicende li hanno portati lontani, e non solo da questa Messa insieme, ma proprio dalla Messa. Probabilmente noi abbiamo sbagliato tante cose. Però non posso non accorgermi che la grande assemblea di quegli anni è diventata, almeno nella nostra parrocchia , una piccola assemblea di anziani. E devo aggiungere che, per quello che riguarda i miei figli, quattro su sei sono assenti da questa assemblea non per caduta della fede, ma per drammi della loro vita matrimoniale. Le ho fatto solo una piccola confidenza per unire alle sue memorie le mie e per sentirmi in buona compagnia, anche se so bene che lei è stato più fortunato o più benedetto di me.    Un lettore amico.

 

Non pensi, caro lettore amico, che io abbia avuto meno guai. Magari un po' diversi, ma simili quanto basta perchè quando nella Messa prego per i figli di Dio ovunque dispersi, la mia testa e il mio cuore si riempiano di volti e di vicende. Questa mattina pregavo uin compagnia di quel centurione di Cararnao che nel Vangelo secondo Matteo chiede la guarigione di un suo servo, e dice a Gesù :"Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito". Questo ufficiale romano mi ha portato vicino a tanti miei cari che in qualche modo devono dire a Gesù quella stessa frase. E una grande porta della preghiera mi si è aperta davanti. Forse rischiamo di far troppo corta la misericordia del Padre. Ho in mente un mio figliolo che a settembre sposa. Ma è la seconda volta, e lo sposalizio si fa necessariamente dal Sindaco di Milano, dove abita sua moglie. Tutti e due questi ragazzi hanno la fede. Sono anzi riemersi nel loro cuore tesori del loro passato lasciati un po' cadere, ma ora reilluminati dalla loro storia semplice e buona. I loro papà e le loro mamme patiscono per l'esilio di questi ragazzi. Io credo che con semplicità, con umiltà e letizia potremmo accompagnare questo loro momento con una bella preghiera, insieme a loro e per loro. La Parola di Dio può compiere dei viaggi e visitare spazi e cuori che, con i limiti richiesti dalla giustizia e dalla disciplina, possono realmente essere riempiti dalla sapienza e dalla potenza del Vangelo. Come vede, le rispondo con cose piccole. Credo sia però compito privilegiato di noi anziani del popolo di Dio trovare un posto per ognuno dei figli, per confermarli che, pur nelle difficoltà della vita,  la paternità di Dio, la maternità della chiesa li lascia soli. Anzi, voglio anch'io, come Gesù davanti al centurione romano, potermi stupire per la loro fede.             Buona Domenica. don Giovanni

 

Domenica 3 luglio 2005

 

Bel posto in Puglia. Mare trasparente e sabbia per bambini nelle terre d'origine del mio fratello Nicola. Vacanze di parrocchia con famiglie della Dozza, di Sammartini e della Caritas. Consumo in totale protezione affettiva lo strappo della morte della mia mamma. Ovviamente in spiaggia siamo signori: dal multicolore delle pelli alle ferite di ogni genere portate con grande disinvoltura, qui è impossibile l'anonimato ma in cambio è viva la simpatia di un arenile del sud dove anche il più piccolo trova ancora un posto cordiale che l'accoglie. Quando siamo a tavola nella bella casa della Diocesi di Ugento il tavolo da settanta fatto a "u" mi suggerisce implacabilmente la forma di un grembo materno da cui, forse scioccamente, mi sento avvolto e protetto. Mi sono ricordato in questi giorni di alcuni "nonni" che nell'ora del loro congedo dalla terra ho sentito invocare la mamma. Si va al giudizio del Signore ritornando alla terra come ritornando al grembo dell'inizio. Tra tutti i volti e i cuori, tra tutte le storie importanti sedute a tavola e sguazzanti nelle acque trasparenti dello Ionio, ce n'è uno che mi sembra straordinario. Solo qui l'ho conosciuto. Un ragazzino, diciamo bulgaro per confonderne l'identificazione, mi sembra di quattordici anni. Solo. Ma qui con noi per l'affetto di una famigliola deliziosa che cerca di tenerselo vicino. Ha un nome bello e solenne: Nicolai. Ma i mesi molti e lunghi del suo vagabondare nella città gli hanno suggerito un nome "di carriera", nome di calciatore, diciamo  Boniperti per nasconderlo nella mia cronologia. "Come ti chiami?" "Boniperti". "Boniperti, vieni in acqua". "Boniperti, dove sono Martino e Tommaso?"."Boniperti, dammi una mano ad apparecchiare". E lui mitissimo, simpatico. Mi piace dire, buono. Che cosa fa Boniperti in città? È all'elemosina del semaforo. Però quest'anno ha ceduto ad un contratto d'affetto. "In qualche famiglia ti diamo la questua che ti occorre, ma tu vai a scuola". Che mistero la vita! Che divino mistero. La mia vita e quella di questo ragazzino. Io vecchio addolorato per la partenza di una vecchissima mamma, e lui come un pesciolino isolato nell'acquario del nostro affetto cristiano. Vedo che alla benedizione del pranzo e della cena fa il segno della Croce, ma non ho avuto ancora il coraggio di osservarlo bene, per vedere se lo fa dritto o rovescio, come dice Giulia. Se è cattolico o ortodosso. In ogni modo, un figlio di Dio. E come tale, un universo. Un divino capolavoro di vita. Una vita fragile fragile nelle misure del mondo, eppure tutta scritta nel Libro di Dio. Passa vicino al più malato di noi, e lo accarezza. E mi par proprio di capire che sia la tenera carezza del Padre che si fa presente in quella piccola mano capace d'amore. Ogni vita vale davvero molto. E all'Onnipotente piace raccogliersi e celarsi, e manifestarsi, nel frammento e nella scintilla della carezza del piccolo Boniperti. Buona Domenica a tutti voi.     don Giovanni.

 

Domenica 19 giugno 2005

 

Carissimo Luciano, una settimana fa a quest'ora nella nostra chiesa di campagna ti abbiamo presentato alla comunità del Paradiso testimoniando che avevi terminato con grande onore la corsa della tua vita terrena di cristiano e che meritavi veramente una bella festa  nel cielo del Signore. Quando il Pastore buono ti ha preso sulle spalle noi ci siamo sentiti orfani perchè tu hai ben giocato in mezzo a noi la parte del Padre: è impossibile non sentire un gran vuoto nel cuore. Ho visto però con quale bel corteo il Signore giusto giudice ti è venuto incontro. Da Santa Teresina a don Giuseppe, dal tuo amico Angelo a S.Francesco, a mio papà. Da piccolo, forse anche perchè c'era la guerra, avevo una gran paura quando un nonno del paese se ne andava. Quanto fu importante un bel discorsetto che mi fece uno dei vecchietti che stavano quel giorno per strada sotto la finestra di un altro vecchietto che stava per morire, e io ero triste e impaurito. La mia mamma gli aveva detto che avevo paura della morte e lui solennemente mi spiegò che la morte non poteva venire adesso, perchè si stava aspettando il prete che veniva con i chierici e le candele a dire la preghiera. Ma dopo quella preghiera la morte non poteva più venire perchè venivano prima gli angeli e i santi a prendersi il loro vecchietto. La mamma poi completava la faccenda spiegandomi   che il prete avrebbe detto al vecchietto una parola strana che voleva dire "parti pure adesso", tranquillo, perchè sei già nelle mani del Signore. Da quel giorno non mi sono più dimenticato quello che mi avevano detto, e ho cominciato a trovare pace. Quando ti ho accompagnato al cimitero e ho buttato una zolla di terra sulla tua cassa ero in pace, quasi contento. Avevo in mente quelli che ti venivano a prendere insieme agli angeli. E la festa che stavano preparando per te. Ho detto a tuo figlio Vincenzo che quel giorno il Paradiso faceva un bel guadagno. Ma in fondo anche noi. Adesso infatti comincio a trovarti spesso tra i versetti del Vangelo di Matteo e ti trovo puntualmente nella Comunione. Oggi scrivo a te per via della mia vecchia mamma. Appena tu sei partito lei ha cominciato a dire che adesso toccava a lei. Che bisognava cambiare residenza... E in questi giorni scende, scende verso la sua debolezza. Ti scrivo perchè sono certo capirai che per questa partenza di lei mi sento meno tranquillo. Guardo il suo grembo e penso alla terra da cui sono nato. Lei era giovanissima e molto bella; io ero piccolo e bruttissimo; e neanche sono migliorato. Lei, troppo  bella, aveva un po' vergogna della mia bruttezza e mi teneva un po' nascosto. Ma quando eravamo soli - me lo raccontò molti anni dopo - mi tirava fuori dal nascondiglio e con pietosa bugia mi chiamava il suo tesoro meraviglioso, il suo bambino bello. Lei  bella è rimasta. Ma adesso è stanca. Fa la comunione tutti i giorni e risponde bene a tutta la preghiera. Ma è stanca. Te l'affido. Arrivederci.       Giovanni

 

Domenica 12 giugno 2005

 

Sono le volte in cui mi chiedo con stupore se e come le "cose di questo mondo", come da anni intitola la nostra rubrica domenicale, non siano ormai sempre anche "cose dell'altro mondo" per come il "mondo" di Dio ha invaso il mondo degli uomini e non sia più possibile pensare ad uno spazio della creazione e della storia non visitato da Lui. Questo mi tornava nella mente e nel cuore martedì sera nella grande Chiesa di S.Martino quando mi ha preso per mano l'attacco del Requiem di Mozart eseguito dalla nuova orchestra bolognese formata da giovani concertisti europei guidati dal grande Claudio Abbado. Lui, il maestro, sempre più affilato e sorprendente nella sua interpretazione,sempre più immerso nella genialità mozartiana oscillante tra pienezza e dolore, tra gioia e passione. Aiutavo ogni tanto il mio caro amico Maurizio il siciliano a ritrovare il segno delle parole stampate sull'elegante foglio del programma; lui, il piccolo ferito di Vittoria in provincia di Ragusa, vissuto tra noi per qualche anno mentre al Rizzoli cercavano di ricostruire la sua fisicità sconnessa che ospita una meravigliosa compostezza mediterranea e lo sguardo dolce di chi è riuscito ad accogliere la sua infermità non più come una violenza subìta,ma come una parte di . Prima dell'inizio avevo manifestato la mia preoccupazione agli amici dell'orchestra: come avrebbe reagito un pubblico così vario davanti ad un'opera di quella profondità e complessità? Bambini e anziani, persone del carcere e abitanti della piazza, ospiti del dormitorio e della mensa...Qualcuno aveva chiesto:mi metto il vestito bello per il concerto di questa sera? La chiesa piena. E la disposizione data dal maestro di assegnare i posti migliori ai più poveri di quel pubblico di poveri. Perchè tanto spreco? Come mai dare bellezza ai poveri che cercano le vie faticose della sopravvivenza quotidiana? Quale vantaggio per loro essere radunati per un'ora di musica divinamente ardua? Tutti pensieri che prima, e subito prima, si erano affacciati. Ma tutto è svanito dal primo momento di quella musica. Sì, non c'è stata solo la meraviglia della musica per l'arte degli esecutori, nella chiesa di S.Martino. C'è stata anche l'intensa bellezza di un auditorio affascinato, rapito, fatto riposare , portato alla commozione. Siate buoni, cari lettori, e non pensate che tutto questo sia solo prodotto della mia fantasiosa e ingenua immaginazione. È che l'altra sera si è resa evidente la presenza di quel mistero che sempre accompagna, quasi sempre non colto e non accolto, gli eventi piccoli e grandi della vita. In realtà si è realizzato una grande incontro martedì sera: tra Mozart, Abbado e i suoi giovani musicisti; ma anche tra loro, e la memoria evangelica e liturgica del testo sacro, e quell'assemblea inconsueta di piccoli, di figli prediletti del Signore, di povera gente ferita nel corpo, o nella mente, o nello spirito. E questo l'ho percepito e inseguito con crescente commozione sino a quelle ultime parole del Requiem, ultima preghiera a Dio perchè tutto sia riportato alla vita, tutto e tutti. Perchè, canta appunto l'ultima battuta, "Tu sei pietoso": "Quia tu pius es". Ed era l'ultima carezza che il mistero della luce e della pace donava alla

nostra assemblea strana e meravigliosa.         Buona Domenica. don Giovanni.

 

Domenica 5 giugno 2005

 

Carissimo don Giovanni, ho letto sull’Avvenire di Bologna il suo articolo che lancia il progetto mamma e bambino per consentire che mamme africane sieropositive possano generare bambini immuni dalla malattia, e loro stesse rafforzate contro l?AIDS. la ringrazio per questa iniziativa che rende possibile a gente come me un gesto concreto di solidarietà. Questa mi sembra una vera adozione a distanza. A chi possiamo recapitare la nostra offerta?

Una mamma di San Lazzaro con la sua famiglia.

 

Cara mamma, e cara la sua famiglia tutta, dal mio articolo su BO7 è caduta la frase in cui dicevo che avremmo chiesto alla nostra Caritas di aprire un conto corrente per questa iniziativa che a me sembra molto bella. Siccome qualcuno ha chiesto in questi giorni la stessa cosa, al più presto provvederemo. Si, è bello poter aiutare, poter essere partecipi di questo dramma, e veder fiorire un piccolo segno di speranza. Piccolo, veramente! Non possiamo nasconderci che in Africa il male è dilagato in maniera impressionante. Lei saprà che l’egoismo occidentale ha chiuso ogni possibilità per i paesi poveri di usufruire dei nostri medicinali per contrastare la malattia: i prezzi ingiustamente alti sono, per loro, irraggiungibili.

Non tutti sanno che in molti paesi africani è vietato curare l’AIDS. Il divieto riguarda cioè le malattie che si affermano a motivo dell’insufficiente difesa immunitaria: è inutile curare una malattia che sia provocata da un altro male incurabile. Ho partecipato giorni fa a Roma a un grande convegno internazionale organizzato dalla Comunità di S. Egidio e ho ascoltato relazioni e testimonianze molto incoraggianti.

Le dicevo, un piccolo segno; che raggiunge solo quelle future mamme che superano il tabù della psicologia collettiva e accettano di fare il test. Tutti gli altri malati, e qui mi manca il coraggio di scrivere la percentuale dei sieropositivi, sono abbandonati a sé stessi. Vien voglia di scappare. Invece no: i nostri coraggiosi fratelli di laggiù hanno pensato di lanciare un grido di vita. È meraviglioso per noi avere l’onore di esserne l’eco e di gridare a nostra volta che il Signore Risorto ci impedisce di arrenderci. È vero che quattrocento euro per ogni nascita è una certa cifra. Ma oggi l’occhio mi è caduto sulla pubblicità di un bell’albergo su un bel mare che per ottocento offre un weekend per due. Due weekend per due bambini. E ci sono anche le loro mamme. Non si scandalizzi, cara mamma, se le dico che, malgrado tutto, la vita è bella!

Buona Domenica. Giovanni della Dozza

 

Domenica 29 maggio 2005

 

Caro don Giovanni, tra tanti pensieri, e considerazioni, e giudizi che in questi mesi abbiamo sentito sul tema della fecondazione assistita, mi sono chiesto se e come si potrebbe avere qualche luce forte dalla Parola di Dio. Penso che lei pure abbia cercato in questa direzione. Può dire qualcosa a me a agli altri affezionati lettori della sua Rubrica, che per la verità mi è sembrata in questi ultimi tempi comparire un po' irregolarmente? Con stima. Carlo M. di Imola.

 

Sì, caro lettore, ci ho pensato parecchio, e qualcosa potrei forse dirle. Ma, fortunatamente per lei, ho trovato una riflessione importante su questo tema in un discorso di don Giuseppe Dossetti, pubblicato nel volume "Omelie del tempo di Natale" edito dalle Paoline. Così dunque dice don Giuseppe. "Si desiderano legittimamente i figli solo per farne dei cittadini del Regno; bisogna non avere paura e desiderarli per questo. Allora bisogna pensare in modo conseguente: il fine fondamentale non è solo la generazione, ma anche l'educazione di futuri cittadini del Regno, di futuri cittadini della patria celeste. Non basta quindi la generazione fisica se non c'è la finalizzazione a questo vero e unico fine assorbente tutti gli altri; e non è necessaria la generazione fisica per preparare cittadini del Regno che siano propri figli secondo lo Spirito e secondo la fede.  Qui probabilmente c'è la soluzione di molti dei problemi che si agitano ora e sui quali non voglio intrattenervi, ma credo che tutta l'impostazione della bioetica sia per un cristiano del tutto fuori quadro. Il desiderio di avere un proprio discendente carnale è un desiderio che un cristiano può legittimamente nutrire secondo l'istinto, ma che deve essere completamente inquadrato e finalizzato secondo la fede, perchè quello che conta è il fine vero secondo la fede. Non dalle alchimie degli scienziati, ma dalla fede e dall'amore sovrannaturali possono derivare questi orientamenti. Se un figlio secondo la carne non viene, ci sono tanti figli secondo lo spirito e la fede, che possono essere adottati e salvati, traendoli dal loro ambiente che li porterebbe forse anche alla morte o alla distruzione spirituale, e integrandoli in una carovana che cammina coscientemente e consapevolmente verso il cielo. Anche questo va tutto rivisto, non scendendo sul terreno delle singola questioni che non hanno senso per una mente e un cuore cristiani, ma considerandolo appunto nella prospettiva della Scrittura. Credete voi che Abramo, se fosse vissuto nel nostro tempo e avesse avuto certe possibilità di tecnica biologica che oggi sono date, avrebbe fatto un figlio in quella maniera? Credo di no. Lo aspettava dalla fede. Il desiderio lo aveva, ma l'aveva in qualche modo subordinato. Era un desiderio legittimo per un patriarca, ma non lo considerava il fine assoluto....".Questi pensieri mi piacciono e spero le piacciano. Buona Domenica.  don Giovanni.

 

 

Domenica 15 maggio 2005

 

Dove sei, Fabrizio? È la domanda che mi grida nel cuore ogni volta che passo sotto la sua fotografia, appesa nell'ingresso di casa. Dal quindici marzo non ti vediamo più. Non ti vedono i tuoi cari che hanno fatto un incessante pellegrinaggio di speranza e di ansia tra i luoghi e le notizie che sembravano suggerire il tuo nome o il tuo sguardo. Adesso anche il passo di questa migrazione si è fatto più stanco. Rischiamo di lasciar entrare nei nostri cuori una sottile, terribile disperazione. Anche perchè, cercando nei nostri cuori  le ragioni della tua scomparsa, non le troviamo. Perchè te ne sei andato? La tua vita di ventiseienne alla fine degli studi universitari non la conosciamo come ferita o impaurita. Il nostro volerti bene lo santivamo pienamente corrisposto; un affetto fatto di poche parole, come spesso è nei figli che abbiamo in casa; ma certamente affetto. Affetto di cui la tua vita ha esperienza. Una ragazza straniera alla quale hai voluto bene ti è rimasta cara amica; ma anche da lei non hai cercato rifugio. Dunque, dove sei? Sei nella tua campagna intorno a Budrio, sei a Bologna, sei lontano? Forse con questo stacco vuoi far capire qualcosa a chi ti ama: ma non ci hai lasciato una parola che potesse condurre i nostri pensieri. Dunque, domandiamo ancora a te: dove sei, Fabrizio? Ma di domande ne faccio anche un'altra: Signore, dov'è? Tu lo sai! Io, una cosa certa la so: che Fabrizio è tuo. E so che tu non lasci chi se ne va. Tu sei quel pastore che lascia le novantanove pecore sui monti per andare in cerca della smarrita. E la cerca finch'è non l'ha trovata. Fabrizio, l'hai già trovato? E allora, perchè non porti a termine la parabola evangelica facendo festa con noi per aver trovato chi era perduto? Tu, Dio, sei anche quel padre che lascia partire il figlio ma che mai cessa d'aspettarlo; al punto che lo vede quando è ancora lontano; e, secondo la parabola, gli corre incontro, gli salta al collo e lo bacia. Il nostro e tuo Fabrizio, lo stai vedendo da lontano? Vuoi che cominciamo a preparare la festa del suo ritorno? Da oggi, siamo molti di più a cercarlo. Ci sono anche i cari lettori del Carlino. Tra noi ci sono cercatori straordinari: ci sono quelli che hanno conosciuto questo smarrimento e hanno trovato chi cercavano contro ogni speranza; ci sono quelli che si sono smarriti, come te, Fabrizio, e sono ritornati per aver riscoperto da lontano la dolcezza di una casa che avevano lasciata e che proprio per questo hanno imparato ad amare con tutto il cuore. Dunque, se qualcuno vuole qualche indizio ulteriore per la ricerca, sa dove trovarmi. E anche tu, Fabrizio, a questo punto sai dove trovarmi. Mi piacerebbe che diventassimo amici.

Buona Domenica.      don Giovanni.

 

Domenica 1 maggio 2005

 

Caro don Giovanni, pur non abitando a Bologna seguiamo la sua rubrica che i nostri genitori ci fanno arrivare a Genova dove siamo per il lavoro di Gianni, mio marito. Abbiamo pensato di farle avere un messaggio che ci sembra corrispondere allo spirito con il quale lei si intrattiene con i lettori della rubrica, persone che spesso sembrano meno interne ad un discorso di fede, eppure sensibili e attente; o forse è lei che le fa sembrare tali con le sue risposte. Noi abbiamo da quasi due anni perduto un bambino che sarebbe stato il nostro primo e che è  non è riuscito ad arrivare a un anno di vita. Riassumo la vicenda dolorosa e complessa che abbiamo attraversato, dicendo che Diego, questo è il suo nome, non aveva portato serenità in casa nostra, anche se l'avevamo aspettato con gioia. Una strana divisione era scesa tra me e mio marito dopo la nascita del piccolo: forse una inconscia gelosia di Gianni che mi sentiva rubata al suo affetto. Ma quando il bambino è morto ci siamo aggrappati l'uno all'altro ed è stato l'unico modo per sopravvivere. E adesso? Questo è il problema. Adesso siamo bloccati dalla paura e non riusciamo a desiderare concretamente un altro figlio. Ne sentiamo la mancanza e il desiderio, ma siamo vinti dall'angoscia;  non la paura di una disgrazia come quella che ci è capitata, quanto la paura di noi stessi, della nostra fragilità.... con amicizia.             Silvia e Gianni.

 

Che bella la vostra lettera, cari amici. Mi piacerebbe moltissimoi incontrarvi, conoscervi e fare con voi un po' di strada. Sentimenti, debolezze, fatiche , dolore, paura...tutto mi sembra molto vero in quello che mi scrivete. Tutto mi conferma nella certezza che siete venuti in contatto con il mistero della vita in modo profondo. Mi capita spesso di notare che anche persone che non si ritengono collegate a riferimenti di fede, in realtà si accostano al Signore attraverso un'esperienza singolare: quella di percepire che la nostra vita è sempre molto più grande di noi. È appunto il "mistero" della vita. È il momento in cui affiorano in modo potente i grandi interrogativi: "chi siamo?", "perchè?", "che cosa abbiamo davanti?"...ed è una grande grazia non censurarli, non affondarli nell'alienazione del quotidiano. È bello lasciarli davanti a noi con pazienza e attenzione, con dolcezza e attesa. Il gemito della vita non rimane inascoltato, soprattutto quando non si accettano le scorciatoie di risposte troppo facili che non rendono onore al travaglio del nostro spirito. Allora, Dio non tradisce. Le vostre parole non mi danno la possibilità e neppure il diritto di pensarvi come credenti di fede positivamente confessata e praticata. Ma mi incoraggiano a dirvi, per quello che potete accettare dalla modesta rsperienza di un vecchio prete, che il Signore vi è molto vicino. Forse per questo scrivevo più sopra che mi piacerebbe fare un po' di strada con voi. Una strada che per i due discepoli di Emmaus sembrava orientata verso il tramonto della speranza e che si è capovolta nel ritorno esultante a Gerusalemme. Una strada aperta dal misterioso Pastore che ci ha sedotto chiamandoci per nome e inaugurando per noi e con noi una via nuova, verso la pienezza della vita.      Un abbraccio.      don Giovanni. 

 

Domenica 24 aprile 2005

 

Caro don Giovanni, non sono a chiederle di commentare l'elezione del Papa nuovo, e non sono a dirle di ricordare le cose belle fatte dal Papa vecchio. Le scrivo due righe solo per dirle che la Chiesa mi sembra piena di problemi grandissimi. Qualche volta sono problemi suoi. Qualche volta sono problemi che vengono dal mondo. Mi spiego: qualche volta mi viene in mente la mia parrocchia piena di gente quando ero un ragazzo e vuota oggi, e questi sono problemi della Chiesa. Poi penso ai miei tre figli tutti e tre separati dalle loro mogli, e allora mi sembrano problemi che arrivano alla chiesa. In tutte le maniere, sono problemi e sono molti......Luigi T.

 

Caro sig.Luigi, non sono capace di distinguere con nettezza i problemi della chiesa come fa lei, ma concordo che di problemi la comunità cristiana ne ha, e non piccoli e non pochi; anche se mi piace pensarla, la Chiesa, come una delle nostre mamme, anzi la nostra Mamma, quella che non ci abbandona mai e pensa sempre a noi. Quella che si consuma per amore dei suoi figli, specialmente per noi più briganti. Erano pensieri che facevo giorni fa in un pomeriggio di sole, davanti alla Certosa di Pavia, in pellegrinaggio guidato dal mio fratello Giuseppe verso la tomba di S.Agostino. E pensavo al nuovo Papa e al suo compito immane. Come farà? mi chiedevo; "aiutalo, Signore". Poi mi sono intruppato con il gruppo che entrava in chiesa, dove iniziava una visita guidata. A condurci era un monaco che parlava con forte accento straniero; quando sono arrivato vicino, ho visto che si trattava di un etiope. Con competenza e precisione ci mostrava le bellezze del luogo, descriveva minuziosamente l'architettuta, i dipinti, il pavimento, le statue, e come i personaggi erano vestiti, e che la moglie di Ludovico il Moro aveva i tacchi alti perchè era molto più piccola di suo marito, e che il pavimento della sacrestia era di cotto autentico, originale, e che così era sino all'ottocento tutto il pavimento della chiesa....E allora mi si sono aperti gli occhi sulla scena che stavo vivendo. Un figlio dell'Africa, dello stesso continente di S.Agostino, guidava nei segni e nelle memorie di una civiltà antica e gloriosa cui lui non apparteneva un gruppo di figli di quella civiltà e di quella cultura, oggi per grazia di Dio sorretti da questi fratelli che vengono da lontano a coprire le nostre diserzioni e a soccorrere le nostre povertà. Che strana meraviglia la Chiesa! Un fratello di altro paese e di altra cultura conduce noi che a quella cultura apparteniamo senza però aver oggi le forze per custodirla e tramandarla. Che strana meraviglia questa Chiesa di Roma, guidata sino a ieri da un polacco, e oggi da un tedesco. Questa Chiesa visitata da tante domande difficili, e così sollecita a visitare tutte le terre e a parlare il vangelo a tutte le culture. Che meraviglia strana questa Chiesa che in ventiquattrore riesce a scegliere la sua guida e che alla Certosa di Pavia si fa guidare da un cistercense etiope. Quanti problemi, dice lei giustamente, caro Luigi. E quante luci meravigliose, aggiungo io. Quante meraviglie, sconosciute alle sapienze del mondo, e così affettuosamente piegate su ogni uomo e ogni donna di ogni terra... Buona Domenica. Giovanni.

 

 

Domenica 10 aprile 2005

 

“La invitiamo nella nostra Parrocchia perché lei ci dica qual è secondo il suo parere la cosa più grande che ci ha lasciato il Papa Giovanni Paolo II”.

 

Ho trovato questo invito tra i messaggi del telefono. Ieri sera, venerdì. Avevo seguito la Messa esequiale davanti allo schermo di Piazza Maggiore e ne ero rimasto molto preso. Per tutto quello che avevo visto della liturgia, certamente. Ma anche, e in misura non minore, per quello che avevo osservato sui volti e negli atteggiamenti della gente, moltissima, in piazza, tra le facciate di San Petronio e Palazzo D’Accursio, seduta sui gradini, e anche sul gradone centrale, molto più numerosa dei posti a sedere che erano stati preparati.

Quando sullo schermo è apparsa la bellissima spoglia, bara del Papa, la gente della piazza, in grande silenzio, si è alzata. Dunque non eravamo semplicemente davanti allo schermo! M’era sembrata strana, fino a quel momento, l’idea di quello schermo. Perché la gente non era rimasta davanti allo schermo di casa sua o nel suo ufficio? C’era anche freddo, ieri mattina a Bologna: e mi sembrava che il vento che a Roma muoveva le pagine del Libro posto sulla bara, arrivasse da noi in Piazza Maggiore molto più freddo. Che cosa cerca questa gente? Che cosa vuole? Perché è venuta fin qui? Ma nel momento in cui quella grande assemblea si è alzata davanti alle immagini dello schermo, tutto mi è stato chiaro: la povertà di un mezzo tecnico era diaconia di una convocazione, di un evento. La gente in piazza era un’assemblea liturgica: capisco di dire una cosa impropria. Ma sono certo che tale era l’animo delle persone. E così è stato fino alla fine.

Tutto questo mi torna in mente davanti alla richiesta di quella parrocchia rurale del modenese. Penso che ci andrò. Portato soprattutto da questa vicenda di Piazza Maggiore. E in particolare da questo confronto tra il “piccolo” di uno strumento televisivo e il “grande” che leggevi negli occhi e nei gesti della gente in piazza.

E provo a spiegarmi. Giovanni Paolo II è certamente un “grande”: le sue doti spirituali, intellettuali, culturali sono straordinarie. Eppure penso che anche per lui si debba ancora una volta ritornare a quella “elezione del piccolo” che da Abramo a Mosè a Cristo segna in modo profondo la storia della salvezza. Me lo suggerivano le bandiere polacche, lo striscione col nome della città natale, la lettera citata nell’omelia dal Cardinale decano che chiamava all’episcopato un giovane prete, quella lontana sera in cui il suo cognome difficile veniva proclamato nell’elezione del nuovo Papa … tutto mi sembra celebrare la meraviglia della mano di Dio che va a cercare il suo eletto là dove nessuno penserebbe, e lo conduce, vicenda meravigliosa, verso impensabili avventure. E il bello è che questo avviene per ogni uomo e per ogni donna del mondo.

Don Giovanni

 

Domenica 3 Aprile 2005

 

Caro Padre, si doveva sapere che Dio avrebbe reso grande e profetico anche il tuo congedo da questa vita che Egli ha voluto così ricco di doni, di segni e di provocazioni. È sabato mattina, e la tua agonia prolungata è il tuo ultimo straordinario atto che tu lasci in eredità non solo alla Chiesa, ma umanìtà: il tuo tenerissimo affetto per la Madre di Dio, quel affetto che ti aveva indotto a rivelare pubblicamente il tuo legame  con Lei nel "Totus tuus" che ponevi sul tuo stemma episcopale, l'averle chiesto per tutta la vita che Ella ti proteggesse con la sua preghiera in ogni tua vicenda e soprattutto nell' "ora della morte", si compie in queste ore con il tuo lungo agòne nell'Orto della Passione, perchè, insieme alla tua straordinaria vita, tu potessi consegnarci anche il segno della tua straordinaria morte. C'è una donna, morta in questi giorni in America, tra le moltitudini dei morti nel bilancio inevitabile della storia, che mi fa capire perchè il Signore non ti abbia risparmiato, ma ti abbia chiesto anche questa ultima prova di una lunga agonìa. È parte di un disegno divino che ti ha fatto padre veramente universale chiedendoti di attraversare, spesso in grande solitudine, tutto il dramma e tutta la speranza dell’esistenza umana, perchè non ci fosse nessuno non visitato dal tuo potente, umilissimo ministero. Così quella donna americana, che in questi giorni è stata simbolo drammatico della povertà e della drammaticità nella quale l'umanità, tra l'altro quella più immersa nel privilegio della ricchezza, del progresso scientifico e del potere politico, rischia di precipitare o è già precipitata, viene a significare quel dramma del quale la volontà divina ti ha chiesto di essere partecipe. Non una morte comune, rapida, nascosta, ma una morte anch'essa gridata, profetica, tutta immersa nel dramma della storia. Ti è stato chiesto veramente tutto: dallo splendore della ,forza della debolezza della passione. Lasci alla Chiesa, e all’intera umanità, l’indice impressionante di un cammino che hai voluto incontrare tutti e tutto per affermare che nulla e nessuno è assente dall'amore di Dio. Anche quella che Francesco d' Assisi chiamava "sorella morte" potrebbe diventare incubo di capacità umane prive di ogni sapienza. Per questo il Signore ti ha chiesto di servirlo e di servirci anche nell'ultima grande profezia della tua partenza da noi. Buona Pasqua, caro Padre. Grazie di tutto. Continua a pregare per noi. In Paradiso ti accolgano gli angeli e i santi.

Don Giovanni

 

Domenica 13 marzo 2005

 

Caro don Giovanni, ho idea che a lei sia un raccoglitore di notizie difficili e dolorose, di lettere di dolore come quella di quel suo amico che le diceva del suo bambino che non c'è più. Questo mi ha fatto desiderare di mandarle una notizia buona. Io non la conosco. Non vado in chiesa, non mi occupo dei poveri. Mi piace quello che lei scrive e come lo scrive anche se quasi sempre le mie idee sono diverse e qualche volta all'opposto. Allora, ecco la bella notizia che le mando: sono diventato padre. la situazione è un po' strana, e per lei certamente scandalosa. La mamma del bambino non è mia moglie, io non ho avuto il coraggio di riconoscerlo come mio figlio, la mamma del bambino ha quasi vent'anni meno di me. Io ho più l'età di un nonno che quella di un padre. Faccio il professore di università e non credo alla cultura che ufficialmente trasmetto....Insomma, tutto un disastro. Eppure questo bambino mi sta cambiando la vita. Allora ecco, in modo impertinente, la buona notizia che le scrivo. Suppongo che non pubblicherà un simile sgorbio. Quando voglio so scrivere meglio. Buona fortuna.         (firma-sgorbio illeggibile)

 

No, invece la pubblico! E lei ritagli il pezzettino e lo conservi per la festa dei diciott'anni di suo figlio: prima sarebbe una lettura pericolosa. Così anche lei, caro amico, è caduto in trappola! Si vive, si vive, e sembra di aver vissuto già quasi tutto. E poi, come all'improvviso, nasce un bambino: e tutto cambia. È il mistero che irrompe dentro di noi quando pensavamo che forse il mistero non esiste; che tutto è prevedibile; che tutto è scontato tra la nostra data di nascita e un'altra data che ci è fastidioso pensare e che viene quando vuole. Le è capitato quello che è capitato al mondo, quando in una secondaria provincia dell'impero, in un paesino di pastori, è nato duemila anni fa un bambino. Perchè non mi ha scritto di aver sentito il canto degli angeli? perchè non mi ha confidato anche il tremore del cuore che invade un papà vecchio vicino alla giovane Donna che gli ha regalato quella meraviglia? Ha fatto bene a scrivermi questa bella notizia che è anche una grande richiesta di aiuto. Non si può reggere da soli una vicenda tanto grande e misteriosa. Come siamo piccoli davanti alla nostra stessa vita!  Pensavamo che i "misteri" stessero in alto, e scopriamo che quelli più grandi sono nella piccolezza, dove abitano insieme la fragilità e il bisogno di tutti e di tutto. In questi giorni qualcuno mi diceva che la carità è una forma di malattia mentale, una follia. Sarà! Io penso che si tratti soprattutto di un colossale innamoramento. Un innamoramento inevitabile, quando il mistero della vita si ferma accanto a te e ti accarezza. È quello che le è capitato, e la ringrazio di avermene fatto partecipe. Guardi però che le notizie che ricevo sono sempre buone, anche se amano spesso nascondersi nella forma del rebus o nel genere letterario dell'indovinello. Per arrivarci, bisogna sciogliere  qualche enigma. Lei, fortunatissimo, ci è arrivato subito.

Allora, buona fortuna a lei e buona domenica a tutti.    Giovanni della Dozza.

 

 

Domenica 6 marzo 2005

 

Caro Giovanni, sono sopraffatto dal dolore. Non so se questa è la parola giusta: mi sembra proprio di sì. La morte improvvisa e imprevista del mio bambino appena nato, il mio primo figlio per il desiderio mio e di Anna che molti altri vengano , mi ha fatto cadere in una fossa profonda. Secondo quello che ho imparato da voi, leggo continuamente i salmi della bibbia; me li porto anche al lavoro per i momenti di intervallo. Nei salmi del dolore leggo il mio dolore; in quelli della gioia cerco, senza trovarla, la mia speranza; in quelli che parlano dei nostri peccati cerco di capire se devo a me stesso quello che è successo. Il silenzio di mia moglie, e come mi guarda triste, sono forse un dolore ancora più grande di quello che provo per questo bambino morto. Portare anche il dolore di lei mi sembra qualche volta impossibile. Ti scrivo attraverso la tua rubrica del giornale perchè ho presenti altri uomini e donne che piangono la morte dei loro figli. Un abbraccio.   Carlo.

 

Carlo carissimo, la tua lettera accresce in me il dispiacere di non aver fatto in tempo a venire alla Messa di saluto del piccolo Giulio. Cerco di mettermi davanti al tuo dolore. Sì, secondo me, è la parola giusta, profonda e misteriosa, fino a Dio. Il dolore è il patimento dell'anima. È quello che dice la diversità della creatura umana da tutte le altre creature. Ed è quello che dice la diversità del Padre di Gesù Cristo da tutti gli altri dèi. Il dolore. Le sue cause possono essere le più diverse. E potrebbero anche non essere sempre nobili e profonde come quella che ha seminato il dolore dentro di te. Eppure, quando arriva, il dolore è come la morte: qualunque sia la circostanza del suo accadere e le ragioni del suo impiantarsi dentro di noi, assume un volto e una profondità che arrivano sino a Dio. È Lui il primo nel dolore per la morte del Figlio. C'è un modo di affermare la perfetta felicità di Dio, che ne deturpa e ne offende la Persona, e che farebbe dell'ultimo uomo o donna della terra esistenza più grande di questo presunto dio impassibile. Credo sia vero il contrario. Credo cioè che tu in questo momento stia "celebrando" nel tuo dolore il dolore di Abramo e il dolore di Dio. Credo che Dio abbia voluto situarsi nella scintilla della tua esistenza terrena per rendere presente in te il mistero del Suo sacrificio d'amore. Gli altri dèi pretendono, quasi avendone bisogno, i sacrifici degli uomini. Il Padre di Gesù ci dona la vita nella morte di Suo Figlio. Certo, Dio è felice. Ma di quella felicità che non è esenzione dal dolore ma sua assunzione. È quella felicità che pone il dolore come categoria dell'amore. È quello che Gesù di Nazaret, venendo ad annunziare che Dio è nostro Padre, ci ha rivelato: Dio è Amore. E noi abbiamo conosciuto l'Amore di Dio nel sacrificio del suo Figlio. Spero e prego che anche il silenzio doloroso di tua moglie sia grembo di una pace e di una gioia profonde. Ora dobbiamo rispettare e accogliere in lei il silenzio della Madre sotto la Croce. Secondo quell'immagine evangelica, tu puoi esserle non solo sposo ma anche figlio, e osservando il suo silenzio, puoi accoglierla con tenerezza affettuosa. Grazie per quello che mi hai scritto.  Giovanni.

 

Domenica 26 febbraio 2005

 

In questi giorni del suo congedo da noi, mi sono ricordato di Renzo Imbeni per alcune occasioni di incontro con lui dentro e fuori il palazzo comunale. Era il 1985 e il Comune di Bologna aveva offerto l'Archiginnasio d'oro a Giuseppe Dossetti. Don Giuseppe aveva esitato di fronte a quest'idea e io ero stato un po' il suo portalettere e un po' il suo portavoce di scambi con il Sindaco Imbeni. Mi colpirono subito di lui la gentilezza del tratto e la profondità del pensiero. Insisteva con affetto  a che il vecchio monaco accettasse l'onorificenza bolognese. Ed era l'insistenza affettuosa non semplicemente di un ammiratore ma quasi di un figlio. Fu l'occasione per avere da lui ricordi di incontro e di conoscenza con un grande protagonista di tempi che avevano preceduto l'esperienza diretta di Imbeni in politica, e che ne avevano costituito una matrice culturale e una fonte di riflessione e ispirazione per il tempo presente. Mi disse:"Deve accettare. Non ho mai conosciuto una persona impegnata a livelli così profondi sul tema della pace. Per me giovane, ancora all'inizio dell'impegno pubblico, la sua testimonianza è stata decisiva proprio per capire che la pace è possibile sempre, anche con i propri avversari politici". Don Giuseppe cedette a queste insistenze e gli si rivolse per primo in quel tardo pomeriggio del 22 febbraio 1986 dicendogli: "Mi sono determinato ad accettare per il semplice fatto della sua offerta, signor Sindaco, fatta con tanta delicatezza e nobiltà che mi è parso esigesse una risposta positiva, serena, grata e cordiale". E Imbeni aveva poco prima presentato Dossetti e le ragioni del conferimento dell'Archiginnasio con emozione affettuosa: "Don Dossetti è testimonianza di coerenza e di intensità spirituale capace di parlare a credenti e a non credenti", e ancora:"La scelta di vita di Dossetti non è solo un esempio per il passato, è una sfida che riguarda il nostro futuro" . A queste cose pensavo giovedì mattina in mezzo alla gente che nel cortile di Palazzo d'Accursio assisteva all'ultimo saluto a Renzo Imbeni. Il rintocco finale della grande campana nel silenzio profondo di tutta quell'assemblea sembrava voler suggerire che con la morte tutto è finito. Ma dice Gesù:"Chiunque vi darà da bere un bicchier d'acqua nel mio nome perchè siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa". Allora ho pensato: ha fatto bene il Vecchio ad accettare quel premio dal suo Sindaco. È come un bicchier d'acqua che merita ricompensa per chi gliel'ha dato. Allora il rintocco della campana mi cantava per la vita.  Buona Domenica. don Giovanni.

 

Domenica 20 febbraio 2005

 

Caro don Giovanni, ho pensato di scriverle questa piccola lettera per un problema che mi sembra di condividere con molti amici e amiche che si trovano nella mia stessa situazione. Sono una studentessa universitaria di vent'anni. Partecipo da sempre alla vita e alle attività della mia parrocchia nell'imolese. Mi considero cristiana credente e praticante. Ho qualche problema per la confessione. Considero il mio studio alla facoltà di ingegneria come un impegno di vita cristiana. Ho una vita affettiva abbastanza normale anche se finora non ho trovato una persona per sempre, ma solo compagni occasionali. Sono dunque una persona tra virgolette normale. Trovo molto stretto però il discorso morale della chiesa. Non perchè non lo trovo giusto, ma perchè mi sembra di essere spesso davanti a un bivio molto stretto: sei dentro, o sei fuori.  Ma la vita è molto più complicata. Spesso io e altri miei coetanei credenti ci troviamo in tante situazioni dove un cristiano è molto da solo. Lei che cosa ne pensa? Non la conosco personalmente, ma leggo sempre volentieri la sua rubrica domenicale.  La saluto. Carla B.

 

Carissima Carla, le sue parole mi hanno riportato alla mente un pensiero che diversi anni fa mi rivolgeva un anziano Vescovo molto intelligente e....con la fede! Davanti a discorsi che io gli ponevo e che potevano essere non lontani da quanto lei mi scrive, Lui mi spiegava che bisogna pensare al Signore Gesù Cristo e alla nostra appartenenza alla santa Chiesa partendo da un cerchio che si potrebbe disegnare su un foglio: quel cerchio rappresenta appunto il Figlio di Dio. Poi ci sono tanti cerchietti che siamo noi. Questi vanno disegnati sul foglio in maniera che ogni cerchietto sia in parte interno al cerchio di Gesù, e in parte ne sia esterno. Quindi, per riprendere le parole che mi ha scritto, ogni cerchietto è "un po' dentro, e un po' fuori" rispetto al cerchio del Signore. Vede? non "o dentro, o fuori", ma "un po' dentro e un po' fuori". Allora proviamo a spiegare il nostro disegno. Per quello che lei mi scrive, mi sembra di dover disegnare il "suo" cerchietto in gran parte all'interno del cerchio del Signore e della Chiesa: lei è battezzata, è credente, frequenta la comunità cristiana, studia con zelo religioso....per tutte queste ragioni, e per molte altre, il suo cerchietto è "dentro" al cerchio grande. Poi, facciamo per dire, il suo rapporto con la mamma è piuttosto scorbutico; oppure, non riesce ad accogliere con gentilezza e comprensione un ragazzo innamorato di lei, e lo tratta male, o lo umilia: per questo aspetto, il suo cerchietto è messo fuori. L'immagine è interessante, secondo quel Vescovo, perchè può evidenziare cose non facilmente immaginabili. Come, per esempio, il caso di una persona che vivesse secondo parametri etici in gran parte lontani dalla dottrina evangelica; ma mostrasse nei confronti della sua mamma malata uno straordinario spirito di sacrificio e di affettuosa assistenza: anche per lui si dovrebbe dire che, accanto a molti aspetti che lo mettono "fuori" dal cerchio di Gesù, c'è una luce meravigliosa che Dio non dimenticherà, e che fin d'ora lo "aggancia" al cerchio della salvezza e della pace. Le chiedo di pregare per me, che molto spesso mi percepisco come cerchietto vagante e sconclusionato. Con amicizia.  don Giovanni.

 

Domenica 13 febbraio 2005

 

Anche questa domenica rubo lo spazio riservato a rispondere ai miei amati lettori. E scrivo io una "letterina" ai cari amici giornalisti, quelli che conosco bene, e i tanti che non conosco personalmente e di cui apprezzo la dedizione professionale e la fatica quotidiana. Nei giorni scorsi è successo un piccolo incidente. Non era certo il primo, né il più grave; ma proprio per questo mi è più facile farne oggetto dell'attenzione dei lettori. Incidente giornalistico, si usa dire. Sono a frequentare una incontro di aggiornamento al Centro S. Petronio, quando mi arriva la telefonata di un'Agenzia che mi chiede un parere su alcune dichiarazioni fatte dal Vescovo Ausiliare Mons. Ernesto Vecchi. Dichiarazioni fatte ad una Radio locale. Capisco che l'intenzione del mio interlocutore è di accendere una polemica, e questo mi fa decidere che è meglio accettare di parlare per non veder scritto che si è fatto silenzio per evitare la contrapposizione. Di fatto non c'è materia per questo. Si parla di Islam. Da parte mia cerco di mostrare quale responsabilità attenta e impegnata esiga il quotidiano contatto con persone che provengono da culture lontane dalla nostra, e devono essere aiutate a entrare nel nostro universo di pensiero e di costumi. Ho sempre visto che un atteggiamento di molta chiarezza e di confronto sincero è il modo più vero per incontrarsi rispettando le reciproche visioni e precisando gli elementi fondamentali della nostra convivenza civile e del nostro sistema di valori. Mi piace molto che il Vescovo abbia sottolineato come nell'attuale incontro di popoli e civiltà la crociata della carità abbia un suo primato di rilevanza; e cito volentieri il nostro Arcivescovo che indica l'autenticità  e la fedele testimonianza dei propri convincimenti come il terreno migliore per incontrare tutti in un orizzonte di pace vera e non di superficiali pacifismi. Se occorre, meglio il dibattito che una ipocrita tolleranza a copertura di un inopportuno e pericoloso senso di superiorità. La telefonata si chiude con un congedo un po' deluso da parte del mio intervistatore...Poi, i giornali. Alcuni, almeno. A partire dal titolo - importantissimo, perchè spesso degli scritti leggiamo solo il titolo - e dalle citazioni spezzettate o arlecchinate... tutto per insinuare che il prete della Caritas non è d'accordo con il suo Superiore. Un incidente da poco, direte voi. Questo non è vero. Tutti sappiamo quanto siano preziosi i vincoli di carità. Per un prete, in particolare, il legame che lo unisce al Vescovo, è quello di un figlio a suo padre. Ecco, allora, una considerazione che va oltre i fatti citati, e che riguarda il mestiere importante di chi comunica notizie e quindi forma opinioni: non sarebbe bello sperare che il giornalista fosse un grande operatore della pace? Non sarebbe straordinario il lavoro di chi cercasse nelle vicende piccole e grandi degli uomini del nostro tempo le opportunità e le condizioni per indicare percorsi e soluzioni dove i pensieri e le proposte venissero incoraggiati a convergere più che a contrapporsi? Un grande Quotidiano di ispirazione ecclesiale edito a Bologna ebbe un ruolo fondamentale di informazione e formazione dei suoi lettori al tempo del Concilio Ecumenico. Su tanti altri piani, quanto bene potrebbe scaturirne.     Buona Domenica a tutti, a partire dai nostri cari giornalisti.  

Don Giovanni

 

Domenica 6 febbraio 2005

 

Mi perdonino i lettori del Carlino. Oggi cedo lo spazio della nostra rubrica alla memoria di eventi piccoli e lontani della mia vita di cristiano e di prete. Ventottanni fa, come oggi, celebravo per la prima volta la Messa nella parrocchia di Sammartini in comune di Crevalcore. Sammartini è memoria di un latino contratto e dialettizzato scritto su un vecchio oratorio andato distrutto nei secoli "in onorem Sancti Martini". Il nome del Santo Monaco del mantello e delle castagne denuncia l'appartenenza di quelle terre, sino al diciannovesimo secolo, alla vicina Abbazia di Nonantola. I monaci bonificavano l'immensa palude, un intrico di fiumi e lame d'acqua fino al mare, e nelle terre emerse mettevano a guardia una cappella dedicata a qualche loro Santo. Silvestro nel capoluogo. Martino in campagna. Una campagna che si riempiva spesso di tanta acqua, che solo in barca si raggiungeva Crevalcore. Così si decise per una chiesa, una parrocchia, e la si affidò, probabilmente ai padri Capuccini, che la dedicarono, come era loro consuetudine, a S.Francesco insieme a S.Carlo il grande eroe ed esecutore del Concilio tridentino. Così S.Martino rimase solo a designare quella terra umida e fertilissima: capita che tu metti la palizzata intorno all'orto, e i pali germogliano e fioriscono. Per me Sammartini è stata piena di fiori. Per i miei parrocchiani ci sono state anche le spine di tutte le mie mancanze. Oggi tutto mi si presenta alla memoria come passaggio fondamentale della storia della mia salvezza. All'ingresso non c'era un Vescovo, perchè giustamente si pensò che prima di farmi parroco era meglio vedere cosa avrebbe combinato la mia testa matta. Allora don Giuseppe Dossetti disse:"Vengo io!". E fu un bel colpo. Non c'era il Vescovo, ma c'era mio padre. E c'era anche mio papà: per lui Sammartini era come il duomo di Milano! Un regalo strabiliante, inaspettato, per questo suo primogenito troppo fantasioso. E da lì è incominciata una storia lunga e, per me, meravigliosa: tanta gente, di lì e non di lì; e tanta gente sbarcata lì. Una famigliona in campagna, sparsi qua e là. Lacrime e sorrisi. Feste e lavoro. Dio è bravissimo a raccogliersi nel frammento dello spazio e del tempo. Ho visto che anche in una parrocchina di campagna c'è proprio tutto. Forse anche più che nel duomo di Milano, perchè in campagna è tutto più insieme. Prima che il Card.Biffi mi chiamasse vicino per vedere di aggiustarmi un po' la testa, avevo più tempo. Andavo molto a piedi, chiaccherando, ascoltando confessioni, sostando alle porte delle cascine. Sei proprio bravo Signore. Anche il posto più appartato, anche la storia più piccola, sei capace di riempirli di Te e di farne spazio e tempo consacrati al tuo Nome.

Buona Domenica.

Don Giovanni

 

Domenica 30 gennaio 2005

 

Caro don Giovanni, le ho telefonato due settimane fa per chiederle come fare per una signora non più giovane che da cinque anni abita in casa nostra. Io, Anna mia moglie e i nostri tre figli, ci siamo affezionati a lei, e lei a noi. Viene dal Perù. È arrivata in Italia con amiche più giovani che si sono tutte sistemate abbastanza bene. Lei no. O meglio, con noi come le dicevo, sta bene. In Perù non ha più nessuno. Non si è mai sposata. È stata fermata come clandestina. A noi addolora che debba partire. Anche lei non vuole… Giovanni A.

 

Caro Signor Giovanni, scelgo la sua lettera tra una decina che ho raccolte insieme perché parlano sostanzialmente della stessa cosa. È una risposta per lei, quindi, ma anche per molti altri. Da qualche ora lo è anche per me. Ieri sera ho telefonato a Francesco, uno dei miei fratelli monaci, parroco a Sammartini vicino a Crevalcore. Mi diceva di avere davanti a sé uno straniero, una persona non più giovane, da dieci anni in Italia, e che ora dovrebbe ritornare in Marocco perché privo del Permesso di soggiorno. Quante persone ogni giorno mi pongono lo stesso problema, per sé o per altri? A tutti non posso che dare la stessa risposta. Di fatto non ci sono soluzioni. Bisogna indurre a far ritorno alla propria terra. È inutile fatica cercare una soluzione. Bisogna andarsene. E anche per questo amico di Francesco avevo detto così pochi giorni prima. Ma ieri sera, mentre Francesco mi parlava e mi diceva: “è qui davanti a me, e piange”, ho sentito i singhiozzi di questo pianto. Ne ho chiesto conferma, e Francesco mi ha detto: Si, è lui che piange.. sono passate diverse ore, ma quel pianto non mi lascia. Anche questa mattina durante la Messa lo sentivo dentro di me. Questa notte mi sono detto quello che l’Innominato manzoniano si rimproverava per la sua debolezza emotiva di fronte al pianto di Lucia. È un caso tra molti. È la conseguenza di una legge cattiva. È meglio consigliare di arrendersi.

Ma quando un “caso tra molti” diventa un pianto, allora ti par di capire che una persona è più importante di una norma, perché l’importanza di una norma è misurata dalla sua capacità di far bene senza fare il male di nessuno. A meno che non si faccia come le leggi per i piccolissimi, quelli che ancora devono aprire gli occhi: di loro si dice che siccome sono piccolissimi, sono nessuno. Non ci sono.

Anche l’amico straniero di Francesco è molto piccolo: non deve esserci. Ma siccome il piccolissimo embrione c’è, anche l’amico di Francesco c’è. Mi diranno: mica vogliamo la sua morte! Vogliamo solo che non sia qui. Ma ieri sera l’ho sentito piangere come un bambino molto piccolo. Questa mattina ho detto a Francesco che possiamo cercare di fargli posto tra noi. Poi si vedrà.

Caro amico, se fossi in lei, anche per il bene della sua famiglia, farei lo stesso. Buona Domenica.

Don Giovanni

 

Domenica 23 gennaio 2005

 

Mi piace "Cose di questo mondo" perchè è capace di fare alternanza tra il mondo piccolo di ogni persona e il mondo grande di tutti. Questi due mondi, il piccolo e il grande, io non riesco a farli incontrare. La conosco solo per questa rubrica, ma mi sono fatta il pensiero che siamo coetanei, o pressappoco. Penso che mi potrà capire. Ero donna giovane negli anni sessanta e all'università ho scoperto il pubblico, il sociale e il mondiale. Vivevo sempre dentro a queste misure anche la mia vita di credente. Poi hanno prevalso le preoccupazioni quotidiane e le semplici gioie degli affetti. Quando sono arrivati i guai della vita tutto si è raccolto nella fatica di ogni giorno. Anche in questi tempi di grandi tragedie lontane da noi non riesco a staccarmi dal mio piccolo mondo. È egoismo? Forse è solo povertà culturale, o sanzione per scelte troppo individuali. Non che del mondo non mi importi, però...                C.N.

 

Cara Signora,  cara coetanea, quante cose il suo breve e bel messaggio mi ha fatto ricordare! Nelle sue parole trovo tanti miei pensieri. Forse io, più superficiale  di lei, non mi sono reso conto di questi  "viaggi" tra pubblico e privato, ma Lei mi porta a una consapevolezza più lucida. Nello scorrere degli anni m'è venuto qualche volta il pensiero di non essere capace di fare il prete proprio perchè faccio una gran fatica a partecipare alle cose grandi quando anche un piccolo incidente, o semplicemente il dolore di un piccolo, mi fa naufragare in un bicchier d'acqua. Certe volte il solo pensiero di una persona che sta male mi crea un ostacolo tremendo davanti al mio dovere più semplice e ovvio, come per esempio dire la Messa. Poi il Signore aiuta e le cose non vanno malaccio, ma che fatica! D'altra parte, senza quella grande scuola della gioia e del dolore che è la piccola vita di tutti i giorni, come potremmo entrare in modo vero nel quotidiano dramma del mondo intero? Gesù ha pianto su Gerusalemme, e dunque sulla storia di tutto un  popolo e dell'intera umanità. Ma era lo stesso pianto che poco prima lo aveva fermato alla tomba del suo amico Lazzaro. Il pianto per l'amico aveva portato la vita in un sepolcro. "Vedi come l'amava" aveva detto la gente. Con quello stesso pianto Gesù stabilisce nel suo morire d'amore un principio di vita che da Gerusalemme dovrà abbracciare il mondo intero nell'amore di Dio. Come sempre, e come è giusto, Gesù è molto più bravo di noi. Ma forse, in tutto questo, ci lascia il pensiero che non dobbiamo sottovalutare la nostra partecipazione appassionata alla gioia e al dolore di un frammento, perchè è proprio questo che ci aiuta a entrare nella grande storia non con la superficiale curiosità dello spettatore, ma con lo sguardo affettuoso e il cuore trepidante di chi ha scoperto che ogni persona gli è cara perchè il mondo intero è casa sua.    Grazie, e buona Domenica.  don Giovanni.

 

Domenica 16 gennaio 2005

 

 

Quando abbiamo saputo della disgrazia ferroviaria di Bolognina, la piccola frazione di Crevalcore dove ho abitato per più di vent'anni, stavo per recarmi all'Osservanza per un incontro con i frati dell'Italia settentrionale. Francesco, il mio fratello che attualmente è parroco a Bolognina, è rientrato subito a casa. Poi anch'io sono andato nelle campagne che amo, visitate improvvisamente dalla devastazione e dalla morte. Dal terribile groviglio venivano estratti i feriti e i morti. Il nostro Arcivescovo si era chinato su di loro nel fango della scarpata deponendo su ciascuno il dono della benedizione di Dio. In un istante, la morte! In un istante strappati dalla vita! Con quali pensieri, con quali condizioni dell'animo? E pensavo alla paura di quei fratelli sconosciuti, per ora difficili da identificare con un nome: poverini! Come entrare così nella morte? Nella fine di questa vita, nell'avvenimento che chiude un'esistenza e che in quell'istante pone, severa, la domanda sul senso di ciò che ora si compie a conclusione di una storia che in ognuno è mistero irripetibile, parola detta che non sarà mai più ripetuta. E con questi pensieri angosciati e sospesi mi sono trovato dentro alla preghiera con i miei cari di là. La Parola di Dio, tratta da un piccolo profeta della Bibbia, Naum, diceva della distruzione di una città potente e violenta, e lo diceva nei termini di una condanna meritata. Ma poi, come all'improvviso, affermava:"Eccomi a te, dice il Signore...". Eccomi a te! A chi? E ho avvertito la mia angoscia per i morti correre verso quello che Dio diceva in quel momento:"Eccomi a te!". E lo diceva a lui, a lei, a ciascuno di loro, nell'intrigo di un'esistenza  spezzata e nel mistero di un cammino precipitato nella violenza di un attimo. Eccomi a te! È il Signore che non abbandona. È il Signore che accompagna silenziosamente ogni vita e la trae a . Lui che ama e vuole essere amato, e tuttavia non abbandona un istante anche chi non lo conosce e non lo ama. Eccomi a te: una presenza, una restituzione di senso, una mano di speranza. Contro il volto assurdo della morte, e di una morte che non concede neppure il tempo di raccogliere il senso della vita, Egli viene, tutto raccoglie, tutto trae a , per un giudizio che a nessuno è dato conoscere e formulare, perchè è tutto e solo suo. Noi possiamo  cogliere nella benedizione che ieri il Vescovo e il Parroco ponevano su quei poveri corpi la certezza che nessuno viene lasciato precipitare nel non senso della vita, perchè il Signore che l'ha voluto e l'ha eletto alla vita, ora raccoglie nel suo mistero d'amore il significato irripetibile di quell' esistenza troncata e la immerge nel sacrificio d'amore di un Figlio, ucciso perchè tutti i figli fossero salvati.

Buona Domenica. Don Giovanni

 

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