Mercoledì 4 Novembre
2005
È il giorno dei morti.
La mia fede mediocre mi trova esposto a precipitare nell’angoscia. Trovo uno
spazio di pace gridando in silenzio: “Signore, non voglio morire. Voglio
offrirti la vita”. Spero di poter fare una corsa alla tomba di mio padre e di
mia madre, insieme, in attesa. Colloquiare con loro
non è propriamente preghiera, ma è la bellezza di uno spazio tra loro, là dove
la morte è vinta. E la memoria non è nostalgia ma vita
eterna, che non è durare per sempre, che forse sarebbe noioso, ma raccolta di
tutto nel presente di Dio.
Ritorno
a giugno, mamma, al giorno del tuo funerale. E mi
rincontro con quel gruppo di ebrei che dopo la Messa
mi si stringe intorno e ringrazia per quello che ho detto di te, e del tuo
amore per loro. Avevi custodito, anzi accresciuto, la tua passione di leggere.
E Luca, il tuo figlio libraio, ti passava i libri
nuovi. Tu leggevi e davi il tuo parere, perché in libreria potessero dare
risposte a chi domandava per comperare. In questa
“lettura d’anticipo” ti eri dedicata sempre più allo spazio dell’ebraismo. Era
bello scambiarci pensieri, anche se tu eri ormai talmente esperta, che io
soprattutto ascoltavo. Sulla narrativa ebraica contemporanea, quella israeliana e quella americana, non potevo che
ascoltarti e interrogare. L’unica ombra nei nostri dialoghi era
la tua amarezza, ma, diciamolo, la tua antipatia per il mondo tedesco.
Era inutile farti notare che, malgrado l’inferno dello
sterminio, il mondo germanico continua anche oggi ad esercitare un grande
fascino sul mondo colto dell’ebraismo. Ma anche tu ti sentivi ferita: persone e
intere famiglie ebree scomparse dall’antica comunità
israelitica di Mantova, una comunità di così grande tradizione da avere persino
una sua “lingua” speciale, un intreccio tra l’hiddish
e la nostra parlata dialettale.
Era
morto il Papa e tu mi avevi subito telefonato: “Secondo me, fanno quel Ratzinger…”. Ti chiedevo: “E tu che cosa ne pensi?”.
“Secondo me va bene. Ho cominciato subito a pregare
che sia lui”. “Ma è un tedesco”. “Si, ma penso che
sappia e capisca tutto. Di strada ne farà, e ne farà
fare alla Chiesa verso gli ebrei…”. E non era ancora
stato eletto!
Sono
venuto a Mantova il giorno in cui te ne sei andata, dopo la Messa. I tuoi figli
ti avevano posto sopra il corpo il velo della sepoltura usato dai cristiani
d’Oriente: le scritte in greco, il grande crocifisso,
l’immagine di Gerusalemme. Adesso la tua passione per la fede che accomuna e
radica le confessioni cristiane nella terra feconda della fede di Abramo si può pienamente dilatare. Nel filtro soave della
tua persona anche il pensiero della morte in me s’intenerisce e il giorno dei
morti diventa un appuntamento sereno, con molti, nella speranza ritrovata.
Grazie.
Don
Giovanni
Domenica 30 ottobre
2005
“… dopo le molte cose che si sono dette sul
problema del lungo Reno mi chiedo e le chiedo, don
Giovanni, a quale punto siamo e che cosa succederà…”
Un
lettore confuso
Caro
signore, mi è piaciuta molto la sua firma, anonima ma molto stagliata. Anch’io sono confuso. Nello spazio della nostra rubrica voglio però provare a dirle quel poco di cui sono convinto.
Poco che, se plausibile, poco non è! Mi riferisco innanzitutto
all’evidenza di una sproporzione grottesca, quasi ridicola, tra il fatto dei
rumeni lungo il Reno e la risonanza enorme – fino alla noia - che il
provvedimento del nostro Sindaco ha avuto dappertutto e per più giorni. Ormai
mi sembra chiaro che quello che veramente interessa non sono i rumeni, né, a
ben vedere, la cultura e la politica di Bologna, ma tutto quello che può essere
trasferito e utilizzato per l’incandescente campagna elettorale verso quella
data di aprile ormai divenuta giorno dell’apocalissi e
di soluzioni finali nella retorica della comunicazione.
Ma
a partire da qui, la considerazione più dolorosa è che
della gente del fiume non importa proprio niente a nessuno. Né
a chi è contento per la legalità dello sgombero, né a chi per lo sgombero
protesta in nome della solidarietà e dell’accoglienza. Una passeggiata
lungo il fiume mostrerebbe che nulla è successo: sarebbero delusi i legalisti
che scoprirebbero il molto rumore per nulla di un intervento violento ma quasi
solo simbolico; e non meno delusi i solidaristi che
vedrebbero come basta far passare un giorno perché tutto riprenda il suo corso
di normale disperazione.
E
a conferma di ambedue le delusioni, la vicenda di venerdì sera, un gesto
violento e isolato che nulla risolve del problema globale
e mette in evidenza l’astrattismo delle proteste solidaristiche.
Una famiglia con quattro bambini cacciata via di sera, senza direzione né alternativa, da un rifugio abusivo nel quale erano riparati
da un anno. Li ha accolti la sensibilità affettuosa del parroco della zona. Non che ci dispiaccia di doverci occupare di questa povera gente.
Ma la mia incorreggibile maliziosità mi suggerisce maliziose domande sia verso
i crociati della solidarietà, sia verso chi la solidarietà la rivendica, nella
serena e severa certezza che lì vicino ci debba essere
un parroco pronto a mettere insieme una tavola e un letto.
Buona
domenica a tutti. Don Giovanni
Domenica 23 ottobre
2005
Caro
don Giovanni, i suoi ultimi interventi sulla rubrica da lei curata ci hanno portati dentro al mondo spesso difficile e doloroso dei
bambini. Le notizie che riceviamo ogni giorno nelle
nostre case attraverso la televisione ci consegnano un'immagine desolante a
livello mondiale. Anche nella mia famiglia, come lo era
per chi le aveva scritto la settimana scorsa, se ne è parlato, e mi hanno
chiesto di scriverle a nome di tutti i miei per chiederle se, oltre alla
proposta dell'affido di cui lei parlava ci sono altre iniziative di carattere
pubblico, alle quale partecipare con segni di solidarietà. Grazie e complimenti
per quanto scrive di bello.
Lettera firmata.
Rispondo
a stretto giro di posta al suo biglietto per segnalare un'iniziativa che si
svolgerà alla Montagnola tra pochi giorni, il 28 ottobre, venerdì prossimo. In
una giornata dedicata ai segni della pace in qualche modo collegati al mio
ufficio ecclesiale, al mattino presenteremo due
iniziative di grande rilievo raccolte sotto un unico titolo "I bambini
operatori di pace". Alle 10 il dott.Franco Riboldi, direttore dell'Azienda USL di Bologna parlerà di
un impegno assunto dalla nostra Regione per far sì che bambini palestinesi malati
vengano accolti in ospedali israeliani. Il risultato è
stato ottenuto attraverso molte trattative delicate che hanno fatto incontrare
medici e operatori sanitari dell'una e dell'altra parte. L'aiuto
economico che parte da qui consente degenze che sarebbero impossibili e che per
altro sono decisive per far emergere questi piccoli dai loro traumi. La seconda iniziative ci porta nel cuore dell'Africa, nella
Missione Bolognese di Usokami in Tanzania. Giovanni Guaraldi medico docente all'Università di Modena e i suoi
collaboratori presenteranno il progetto Dream per la
lotta contro l'AIDS. Lo scopo è quello di far nascere bimbi sani da mamme
colpite dalla malattia. Sono due esempi di come intorno ai bambini possano sorgere iniziative di solidarietà e di pace che
portano gli adulti che sono intorno a loro, ad incontrarsi, a parlare, a
studiare, a cercare, a spendere per operare insieme per il bene di questi
piccoli. Ma anche da noi, nella nostra città, ci sono iniziative di ogni tipo per costruire percorsi di crescita
positiva per i bambini. E' chiaro che nessun ambito può sostituire una famiglia
concorde e sapiente. Ma siccome le ferite anche qui sono molte, e in ogni modo
in un mondo come il nostro il lavoro dei grandi lascia spesso i piccoli molto
da soli, è necessario che ci siano questi luoghi di accoglienza
operosa. A Bologna è in attuazione un piano che prevederebbe
in ogni quartiere una grande collaborazione tra
parrocchie, associazioni, centri sportivi e quant'altro,
perchè insieme si possano cercare risposte e proposte per la crescita dei
nostri adolescenti. Si tratta di imprese che
richiedono un costo umano altissimo, che solo un forte volontariato può
adeguatamente sostenere. Ecco, dunque, una piccola panoramica di occasioni piccole e grandi, vicine e lontane, attraverso
le quali possiamo tutti dare una mano per affermare una cultura della
famigliarità, una scoperta, o una riscoperta, da parte dei credenti come dei
"laici", di quella passione di educare che ha sempre caratterizzato
le grandi culture e le grandi civiltà.
Buona
Domenica. don
Giovanni.
Domenica 16 ottobre
2005
Caro
don Giovanni, quello che lei ha scritto la settimana scorsa sul problema di
quella mamma separata dal suo bambino mi ha riempito
di pensieri. Sono un marito e un padre di famiglia molto fortunato. Mia moglie
è una persona meravigliosa, abbiamo tre figli ormai tutti studenti
universitari, che fanno il loro dovere con buoni risultati. Due di loro sono
già fidanzati con persone che mi sembrano positive. Questo per dirle come sono lontano da drammi come quelli di cui lei
parlava. Noi fortunati, possiamo fare qualcosa?......lettera
firmata
La
frase della sua lunga lettera che ho riportato qui
sopra mi sembra esprima bene tutto quello che di buono e di bello lei mi
racconta, compreso il particolare della fede cristiana di sua moglie che, come
mi dice, "sostituisce" il suo agnosticismo e tiene alto il segno del
vostro matrimonio e della vostra vita famigliare. Che
cosa si può fare per le persone che sembrano condannate a vivere in perenne
travaglio e angoscia? Le dico subito: bisogna volere loro un gran bene. Non
giudicare, ma cercare di capire. Non pensare di risolvere situazioni ma
stabilire legami di amicizia e di condivisione. Se vuole, io avrei molto bisogno di trovare qualcuno cui far
conoscere miei amici e amiche, ma potrei dire, miei poveri figli e figlie, per
i quali sarebbe già importantissimo avere qualche volta un invito al pranzo
domenicale o magari ad una piccola gita sulle nostre colline. E poi ci sono i
loro bambini, quelli per i quali la scorsa settimana facevamo
discorsi tanto gravi e dolorosi. Fare qualche volta con loro
i compiti di scuola sarebbe occasione per un pomeriggio diverso; e pensi che
questi sono talmente assetati, molto spesso di un babbo che non hanno mai
avuto o che è scomparso, che a loro basta anche solo guardarci e
ascoltarci; e magari arrivare a toccare timidamente la nostra mano, o a mettere
pian piano la loro mano nella nostra se stiamo facendo due passi sotto i
portici per andare a prendere un gelatino.
Certo, non posso nasconderle che una famiglia come la sua è la famiglia ideale
per ospitalità anche più impegnate, come ad esempio i giorni di scuola, per poi
tornare dalla mamma a fine settimana. Una famiglia
senza bambini piccoli, che potrebbero rappresentare
una concorrenza e una rivalità affettiva, con tre figli grandi che sono come
tre "zii", ognuno con il suo carattere e i suoi impegni che
affascinano la nostra piccola o il nostro piccolo, una "mamma"
meravigliosa come sua moglie, bravissima a dare baci e carezze...sono tutti
regali meravigliosi, i più belli e i più importanti. Altri regali, altri giochi, ne hanno avuti. Ma regali belli come quelli
che le dicevo...non sanno neanche che esistano! Non
voglio catturarla, caro amico. Mi capisca: avendo attaccati al cuore personaggi
come queste mamme e bambini, e avendo la gioia di amicizie
importanti con gente come lei, è inevitabile che spesso mi trovi a sognare
delle tavole grandi come ai miei tempi vedevo in certe cascine dove mio nonno
mi portava con il biroccio attaccato a un bel cavallo bianco. Erano tavole
lunghissime, che partivano da vicino al camino e arrivavano vicino alla porta
di casa. E tanta gente intorno. E un vociare
allegrissimo che il papà a capotavola zittiva quando
entrava mio nonno, che era un personaggio importante. E
subito si trovava un posto anche per noi due. Mi pare che spesso si mangiasse della polenta bollente, molto tenera, immersa a
cucchiaiate nella tazza piena di latte freddo: una meraviglia che non gusto da
quasi sessant'anni! A pensarci adesso, anche con
tutti gli abbagli di una senile nostalgia, mi par di essere
certo che lì nessuno era solo. Però, con tavole meno lunghe e con cibi più
adatti ai gusti di oggi, quella festa affettuosa si
potrebbe mettere insieme anche adesso.
Buona
Domenica. don Giovanni.
Domenica 9 ottobre
2005
Carissimo don Giovanni, sono molto dispiaciuta per una mia amica con una
vita difficile fino alla disperazione, alla quale i servizi della mia città,
che non è Bologna e che non cito per delicatezza, hanno tolto il bambino di tre
anni che è la sua unica consolazione. Adesso lei lo può vedere una volta alla settimana per poi rientrare desolata nella solitudine e
nella fatica di una vita senza significato.....(Lettera firmata)
Cara Signora, il caso che lei cita è molto difficile, e purtroppo molto
diffuso. In tutti questi anni di servizio negli spazi della carità ecclesiale,
ma anche nella mia comune vita di cristiano e di prete, mi sono incontrato
continuamente con la dolorosità di queste vicende. Proprio per questo, però,
non posso non dirle con sincerità il mio pensiero, sperando di non addolorarla
ulteriormente o di scandalizzarla. Vede, come è ben
comprensibile, lei sente molto le ragioni e la desolazione di quella mamma
rimasta sola. Ma è necessario pensare anche al
piccolo che le è stato tolto; anzi è necessario pensare prima di tutto a
lui Ovviamente non so nulla della vicenda di cui lei mi scrive. Le posso
dire però con franchezza che molte volte ho
desiderato questo tipo di provvedimento, in situazioni nelle quali, per
esperienza, vedevo chiaramente quello che poi quasi sempre è accaduto: passano
gli anni, ma la fatica personale della mamma non aiuta il bambino, e quasi
sempre lo ferisce; e spesso lo ferisce nel suo equilibrio interiore e
psicologico. Si arriva così ad un'età in cui questo disturbo
della sua personalità si manifesta clamorosamente; e quel bambino è diventato
un ragazzo molto difficile perchè molto ferito. La mamma stessa si accorge di
non essere in grado di accompagnarlo ulteriormente; ma a quel punto la
situazione è complessa, e sarà quasi impossibile trovare per lui una
famiglia che da piccolo l'avrebbe accolto, ma che ora si spaventa davanti
ad un compito arduo e doloroso. Questo per dirle
che molto spesso, senza magari volerlo e programmarlo, quasi
istintivamente si piega il bene del bambino alla speranza di bene
della sua mamma. Il minore è troppo poco difeso. Tra l'altro, anche nei casi in
cui si opera la separazione dalla mamma, chi lo assume in affido
è sottoposto a fatica noin piccola nel mantenimento
di incontri e visite da parte della mamma. E anche questo, mi creda, anche per
la gravità di certe ferite, è difficile dire che sia
un vantaggio per questo piccolo. Talvolta una decisione dolorosa e persino rischiosa
è più feconda di bene. Un bambino è un universo molto
delicato, Lei lo sa. Quello che lui raccoglie e
colloca nella sua mente e nel suo cuore è incalcolabile. Bisogna
purtroppo essere poco fiduciosi verso i puri legami di sangue. Gli è che la
diffusione del disagio e il numero esorbitante di casi difficili molto spesso
non consente ai servizi di trovare soluzioni diverse
da quella di una precaria convivenza tra un piccolino e la sua mamma
ferita. Con questo non si viene a dire che i servizi
funzionano sempre bene. Le decisioni sono in ogni modo da prendere in
grande esiguità di tempi e di mezzi. Non posso dimenticare un piccolo
bambino che dopo
Domenica 18 settembre 2005
.. Caro don Giovanni, volevo chiederle
il suo pensiero su una considerazione che sento fare spesso sia da suoi
confratelli sia da miei amici di parrocchia. Si fa osservare che c’è il rischio
di ridurre la fede cristiana ad un volontariato e le parrocchie ad uffici di
servizio sociale. E questo sarebbe colpa di una
malintesa scelta di carità. Da quello che vedo intorno, vicino e lontano, a me
non sembra proprio, ma mi interessa il suo parere di
persona impegnata e responsabile in questo settore della vita della Chiesa. Con stima e amicizia. Una parrocchiana di S.PioX
Cara Signora estraggo
dal cassetto il suo messaggio di tre mesi fa, che mi offre l’opportunità di ringraziare
pubblicamente tutti quelli che generosamente e molto rapidamente hanno reagito
al mio appello pubblicato in questa rubrica sul Carlino di lunedì scorso. Ieri
mattina ho potuto consegnare alla mamma una grande
cifra di denaro raccolto in soli tre giorni da varie fonti, tutte anonime. Sono
rimasto commosso e ammirato e devo ringraziare anche da parte di questa
famiglia che si è sentita amata e protetta. Tra l’altro è forse nata una
possibilità di coinvolgimento di istituzioni che
attraverso questa vicenda mi hanno detto la loro apertura a esaminare il caso
di questo ragazzo. Fatti come questi io non riesco a circoscriverli
nell’orizzonte di una qualsiasi filantropia: né per come si svolgono, né per le
conseguenze che lasciano nel cuore e nel pensiero delle persone, né per la risposta che
Dio stesso dà ad essi. Per un credente, potersi chinare su un piccolo è il
linguaggio proprio e desiderato della sua fede. Per chi si ritiene non credente
constato che quasi sempre il desiderio dell’anonimato,
unito alla scelta di una mediazione attraverso persone o istituzioni della
comunità cristiana, esprime una misteriosa percezione del valore di un atto che
rivolgendosi ad un Altro da questo Altro riceve una risposta e una
provocazione, una domanda di senso:”Perché lo faccio?, “perché lo fai?” , “A
chi lo fai?”. Negli anni mi è stato sempre più cara la grande immagine del
Vangelo secondo Matteo, che descrive la fine dei tempi, così come sarà vissuta
da tutti coloro che non hanno conosciuto Gesù e non lo
hanno potuto scegliere né seguire. E’ quel testo di cui noi cristiani ci
appropriamo dimenticando che a noi il Signore chiede ben di più! E’ quella
Parola che il Signore della gloria dice per ricordare che i suoi piccoli
fratelli affamati e assetati, nudi e ammalati e prigionieri lo hanno
rappresentato lungo tutta la storia dell’umanità; e che chiunque si sia chinato
su di loro, soccorrendo loro ha onorato in loro, senza saperlo, il Salvatore
del mondo. Come per altro quella stessa Parola afferma che i piccoli fratelli
di Gesù ignorati, abbandonati e colpiti dalla crudeltà o dall’indifferenza
dell’uomo, sono giudizio severo verso un’umanità che come il ricco Epulone
sembra neppure accorgersi del povero che gli è accanto. Può dunque darsi il
caso che per qualcuno il punto di partenza sia una
semplice volontariato, un’occasione episodica di solidarietà. Ma nel tempo, se si prolunga e si approfondisce, non manca
di mostrare e svelare il suo significato più profondo e la nuova vita che ne
scaturisce. Questa almeno è la mia esperienza, quella che anche in questi
giorni si è ripetuta per il piccolo bolognese che molti hanno voluto visitare
con il loro affetto. Con amicizia don Giovanni.
Domenica 11 settembre 2005
Domenica 4 settembre 2005
Carissimo Federico, mi ha fatto piacere ricevere
il tuo messaggio. Vedo che non desisti dalla tua appassionata ricerca che penso
avrà alla fine un esito di grande luce e di grande
pace. Certamente la grande assemblea di Colonia non è autoreferenziale, ma è tutta protesa verso le direzioni del
mondo. Quei ragazzi che vengono da tutto il mondo - sì, anche dai paesi della
fame e della violenza! - hanno portato a Colonia per la loro
festa con il Papa tutto il loro mondo, quello più intimo a ciascuno di
loro e quello più vasto verso il quale, proprio perchè giovani, provano
fascino e paura, tentazione di evadere e attrazione appassionata. Che ci sia oggi un'assemblea della speranza, sia pure con
tutti i suoi limiti, di fronte alle moltitudini raccolte nella disperazione, è
sicuramente un segno grande di speranza. In ogni modo ho preferito farmi
aiutare da chi a Colonia c'è stato come semplice partecipante. L'ho cercato
nella casa di un accolito della mia parrocchia: una famiglia con nove figli, da un Davidone primogenito
a un Davidino ultimo arrivato. Su nove tra fratelli e sorelle, a Colonia ci
sono andati in sei! Che è anche una bella spesa! Mi ha
risposto Pietro, uno dei due gemelli, ottimo studente all'Università e valente
musicista. "Allora, Pietro, prova a dirmi quello che ti ha più colpito di
quello che hai ascoltato e visto". "Mi è rimasta impressa una delle
ultime parole del Papa; quella raccomandazione a non praticare una
"religione fai da te". Mi fa sperare in una Persona e in una Parola
che noi non possiamo inventarci perchè è troppo grande e troppo bella. Mi fa
sperare che abbiamo il coraggio di farci prendere per
mano e portare dove noi non sapremmo andare: nella luce del Vangelo".
Sono grato a Pietro che mi ha passato una memoria così alternativa ad un mondo
che si è chiuso a Dio, che è così assetato di Dio,
che è così prigioniero di una sua tragica autoidolatria
senza strada. Ho pensato che forse questo ragazzo interpretava
un punto tanto basso e cupo della vicenda umana, da esigere finalmente un
grido. "Dal profondo a Te grido..", dice un
Salmo della Bibbia. Penso che i giovani di Colonia, e le moltitudini che stanno
dietro a loro, abbiano il compito di gridare verso Dio a
nome dell'intera umanità. Il grido della supplica diventerà allora il grido della gioia e della lode. Un abbraccio.
Giovanni della Dozza.
Domenica 14 agosto 2005
Scelgo tra gli altri il suo messaggio, per il
vantaggio che in questa domenica traggo dalla memoria
evangelica che caratterizza e protegge
Domenica 4 agosto 2005
Visita di amicizia e di
riconoscenza alla brava maestra ebrea che l'estate scorsa è venuta in Italia a
tenere un corso di Ebraico modero. Vecchia conoscenza ormai, si sa che a casa
sua anche un invito per la merenda diventa una cena squisita: le specialità
importate dalla famiglia viennese della maestra si incrociano
amabilmente con quelle irachene e marocchine trasmesse dalla famiglia di suo
marito. L'incombente ritiro dei coloni da Gaza diventa presto argomento
d'obbligo. " Si tratta di una rivoluzione per noi". Mai così divisi
gli ebrei come in questo frangente. Persino le automobili portano strisce
svolazzanti: azzurre, in minoranza, per approvare il ritiro, arancione per dire
di no.
Di fatto, ci spiegano, una piccola maggioranza è a
favore del provvedimento. Nessuno pensa che questo porterà la pace, ma una
maggioranza in parte silenziosa, lo ritiene un passo avanti necessario. E allora, domandiamo noi, che cosa desiderare? Due stati o
la speranza di una convivenza in qualche modo? Due
Stati. Perché è bene così. Ma Gerusalemme ?
Come fare per quella città che è molto di più che una
città ? Molto più di un simbolo. Gerusalemme è una fonte, un cuore, il Cuore! Forse bisogna ripensare all'antica proposta di Paolo
VI che la voleva libera, aperta ed accogliente per
tutti? Gerusalemme di tutti, e quindi internazionale? L'attributo le sta stretto ma forse, ... "qualcosa di Gerusalemme dobbiamo
avere", dice la maestra. " I miei cugini - sono stata al loro
matrimonio - rispondono "si lo voglio"
per dire che si accolgono nelle nozze. Noi, per sposarci, diciamo: “se ti dimentico, Gerusalemme... Anch'io e mio marito, e
siamo non credenti, abbiamo detto cosi in quel giorno”. Piano piano scende un silenzio di rispetto, di commozione, di
timore, nell'automobile che ci porta verso casa. Verso casa, ma non a casa. I nostri gentilissimi amici ebrei si fermano presso
l'orto degli ulivi. Per loro andare oltre è pericoloso.
La nostra casa a Gerusalemme Est è gia' troppo in là,
vicino a quel muro che dice la divisione e l'ostilità. Intanto, mentre scrivo,
due anziane signore palestinesi varcano la breccia nel
muro del giardino delle suore che ci ospitano e chiedono come poter raggiungere
le strade per
Buona domenica. Don Giovanni
Domenica 31 Luglio 2005
Una casa a Gerusalemme. Una piccola casa accanto
al “Muro di separazione”. Il “pollaietto” l’abbiamo
sempre chiamata, poiché tale era la sua destinazione, in questa parte del Monte
degli Ulivi che digrada verso Betania, il villaggio di Lazzaro, Marta e Maria.
Anche questa memoria è spezzata dal Muro: al di lá il
santuario della tomba di Lazzaro, al di qua il ricordo della casa dei tre
fratelli, dove Lazzaro risuscitato è commensale, Marta compie in pace la sua
diaconia e Maria spezza ai piedi del Signore il suo sublime spreco di ammirazione e di amore. Oggi, 29 luglio, è la loro festa.
E per noi di questo piccolo campo di lavoro, che prepara un posto
per la vita e la preghiera di chi verrá poi, è
istintivo accostare la fatica e il caldo della giornata alla speranza di un
posto dove invitare Lui, il Signore della pace. Il Muro qui non è
completo perché una protesta della Santa Sede ha evidenziato il dramma di tre comunitá religiose presenti a Betania da gran tempo, al
servizio di tutti e soprattutto della gente piú
povera: le Suore della Caritá, i Padri Passionisti e
le Suore della Nigrizia. Il Muro attraversa i loro
giardini. Due sarebbero separate dalla loro gente di Betania, una dalla Cittá Santa. Cosí ci sono brecce
nel muro. Ma presto saranno colmate. Come si sa, la prospettiva storica, il “dovere teologico” dei muri di
separazione, è quello di essere abbattuti. Da Gerico a Berlino, l’ abbattimento è tanto piú
efficace quanto piú non avviene con le cannonate ma
con la presenza della preghiera e con la sapienza dei pensieri. Lui, il nostro
Signore,
Buona domenica. Don Giovanni
Domenica 24 luglio 2005
Gerusalemme come la grande emorroissa. quando anche nei decenni passati sembravano aprirsi varchi
di pace, il nostro don Giuseppe Dossetti ci diceva: "Non illudiamoci. Per
queste strade si andrà di male in peggio". appunto, come la donna malata da lungo tempo che ha speso
tutto il suo senza nulla ottenere. Un interminabile flusso di sangue. Solo Lui
può salvarla. Come toccare almeno il lembo della sua veste? Ho visto un nuovo
terribile gioco a "guardie e ladri" sulle pendici del Monte degli
Ulivi tra due bande di ragazzi: ragazzi palestinesi
che cercano di scavalcare il Muro della separazione per andare a lavorare;
ragazzi ebrei vestiti da soldati israeliani che devono impedirglielo. questa mattina a me e al mio fratello Martino non l'hanno
impedito e stiamo sudando intorno a un computer di Betania che si ostina a
preferire la grafia araba. Intanto Lui, il Figlio di Dio, il nostro caro
fratello Gesù che si e offerto per la salvezza di
tutta l'umanità si sta recando verso la casa di un capo ebreo la cui figlia sta
morendo o forse e gia morta. Solo Lui potrà fermare il flusso di sangue. Ne ho
sentito l'annuncio e la speranza quando al canto del Muezzin dalle moschee e
seguito il grande canto delle campane domenicali dei
cristiani. Stanno tentando un assedio di preghiera e di carita
per abbattere l'inimicizia e il conflitto. Ho camminato sotto alcune case
grandi che i figli di san Francesco d'Assisi hanno costruito per i loro
fratelli più piccoli e per le famiglie più povere. I miei fratelli e le mie sorelle stanno restaurando una piccola casa accanto al
Muro. Vogliono unirsi anche loro alla grande supplica
che tutte le comunità cristiane di Gerusalemme rivolgono al Signore perché
venga fermato il sangue e dove regna la morte ritorni
don Giovanni
Domenica 17 luglio 2005
Caro don Giovanni, fin dall'inizio seguo la sua
rubrica domenicale. Educata in una famiglia credente ho smarrito la fede lungo
la mia lunga vita. Mi si sono presentate domande sempre più difficili, e non ho
trovato risposte religiose che mi soddisfacessero.
Quello che lei scrive mi attira perchè entra con umiltà nelle vicende di ogni giorno e mostra che ognuna è ricca e meritevole di
essere guardata con attenzione. Le scrivo due righe dopo aver visto alla
televisione il disastro di Londra, e le pongo una di quelle inutili domande
difficili che avrei dovuto rassegnarmi a lasciare da
parte ma che inevitabilmente mi rinascono dentro. "Perchè c'è il
male?" e "Questo male che cosa è?" e ancora "È possibile
affrontarlo e vincerlo?"...Domande che, ripeto, forse non si dovrebbero
porre, ma che invadono continuamente la mia mente. Un
caro saluto. Virginia B.
Cara Signora Virginia, anche la
mia nonna che è stata mia madrina di Battesimo si chiamava Virginia ed
era nata in Argentina. Mi piace pensare che anche lei sia bella e dolce come la
mia nonna. Credo che non si debbano mai censurare le domande che ci nascono
nella mente e nel cuore. Ero un ragazzo quattordicenne, mi sembra, quando feci
al mio papà una domanda:"Che cosa è
pregare?" e lui mi rispose:"È fare a Dio le domande difficili".
La sua è una domanda difficile che ho fatto a Dio più volte. La risposta di Dio
non l'ho ancora saputa del tutto trovare. Mi sembra
che in ogni modo Egli mi insegni che il Male si scrive
con la maiuscola perchè è una cosa grande e misteriosa. In questa Domenica si
ascolta nelle Chiese la parabola della zizzania che mi sembra ci dia una conferma in questo senso. Ho colto dalle Scritture
anche la certezza che il Male che sembra avvolgere crudelmente la vicenda
umana, preoccupa Dio e lo induce ad occuparsene. Mi sembra quindi di capire che
il suo intervento nella nostra storia abbia il fine di liberarci da questo
terribile aguzzino che ci tortura e ci tiene prigionieri. Per tenerci alle
parole che oggi vengono proclamate nella Messa, sembra
di poter dire che peraltro Egli è potente e il Male viene vinto. Viene vinto dalla potenza del Bene. Il supremo Bene di Dio è
l'Amore, e il Signore Gesù e il suo sacrificio d'amore
per tutti noi è l'evento supremo di questo Amore che salva. Pensare di
strappare la zizzania subito è un errore pericoloso. Preoccuparsi di gettare
subito il seme prezioso nella terra e il lievito nella farina affinchè tutto fermenti è
saggezza. Davanti a Londra e a tutte le sventure piccole e grandi, la strada giusta
è quella della buona battaglia della fede, è seminare
ampiamente quel Bene che
Buona Domenica. don
Giovanni.
Domenica 10 luglio 2005
Ho letto recentemente il suo "Cose di questo
mondo" e la grande onda di memorie che
lei vi riporta mi ha consegnato a ricordi di un passato che guardo con nostalgia.
È domenica mentre le scrivo. Sono appena tornato da
messa con mia moglie, noi due, contenti ma soli. Tanti anni fa eravamo in molti, perchè c'erano con noi i nostri sei figli. Poi ognuno
ha preso la sua strada. Tante vicende li hanno portati lontani, e non solo da
questa Messa insieme, ma proprio dalla Messa.
Probabilmente noi abbiamo sbagliato tante cose. Però non posso non
accorgermi che la grande assemblea di quegli anni
è diventata, almeno nella nostra parrocchia , una piccola assemblea di anziani.
E devo aggiungere che, per quello che riguarda i miei figli, quattro
su sei sono assenti da questa assemblea non per caduta della fede, ma per
drammi della loro vita matrimoniale. Le ho fatto solo una piccola
confidenza per unire alle sue memorie le mie e per sentirmi in buona compagnia,
anche se so bene che lei è stato più fortunato o più
benedetto di me. Un lettore amico.
Non pensi, caro lettore amico, che io abbia avuto meno guai. Magari un po' diversi,
ma simili quanto basta perchè quando nella Messa prego per i figli di
Dio ovunque dispersi, la mia testa e il mio cuore si riempiano di volti e di
vicende. Questa mattina pregavo uin compagnia di quel
centurione di Cararnao che nel Vangelo secondo Matteo
chiede la guarigione di un suo servo, e dice a Gesù :"Io
non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il
mio servo sarà guarito". Questo ufficiale romano mi ha portato vicino a
tanti miei cari che in qualche modo devono dire a Gesù quella stessa frase. E
una grande porta della preghiera mi si è aperta
davanti. Forse rischiamo di far troppo corta la misericordia del Padre. Ho in
mente un mio figliolo che a settembre sposa. Ma è la
seconda volta, e lo sposalizio si fa necessariamente dal Sindaco di Milano,
dove abita sua moglie. Tutti e due questi ragazzi
hanno
Domenica 3 luglio 2005
Bel posto in Puglia. Mare
trasparente e sabbia per bambini nelle terre d'origine del mio fratello Nicola.
Vacanze di parrocchia con famiglie della Dozza, di Sammartini
e della Caritas. Consumo in totale
protezione affettiva lo strappo della morte della mia mamma. Ovviamente in
spiaggia siamo signori: dal multicolore delle pelli alle ferite di ogni genere portate con grande disinvoltura,
qui è impossibile l'anonimato ma in cambio è viva la simpatia di un
arenile del sud dove anche il più piccolo trova ancora un posto cordiale che
l'accoglie. Quando siamo a tavola nella bella casa della Diocesi di Ugento il tavolo da settanta
fatto a "u" mi suggerisce implacabilmente la forma di un grembo
materno da cui, forse scioccamente, mi sento avvolto e protetto. Mi sono
ricordato in questi giorni di alcuni "nonni"
che nell'ora del loro congedo dalla terra ho sentito invocare
Domenica 19 giugno 2005
Carissimo Luciano, una settimana fa a quest'ora
nella nostra chiesa di campagna ti abbiamo presentato alla comunità del
Paradiso testimoniando che avevi terminato con grande onore la corsa della tua
vita terrena di cristiano e che meritavi veramente una bella festa nel
cielo del Signore. Quando il Pastore buono ti ha preso sulle spalle
noi ci siamo sentiti orfani perchè tu hai ben giocato in mezzo a noi la parte
del Padre: è impossibile non sentire un gran vuoto nel cuore. Ho visto però con quale bel corteo il Signore giusto giudice ti
è venuto incontro. Da Santa Teresina a don Giuseppe, dal tuo
amico Angelo a S.Francesco, a mio papà. Da
piccolo, forse anche perchè c'era la guerra, avevo una gran paura
quando un nonno del paese se ne andava. Quanto fu importante un bel discorsetto che mi fece uno dei vecchietti che
stavano quel giorno per strada sotto la finestra di un altro vecchietto
che stava per morire, e io ero triste e impaurito. La mia mamma gli aveva detto che avevo paura della morte e lui solennemente mi
spiegò che la morte non poteva venire adesso, perchè si stava aspettando il
prete che veniva con i chierici e le candele a dire
Domenica 12 giugno 2005
Sono le volte in cui mi chiedo con stupore se e
come le "cose di questo mondo", come da anni intitola la nostra
rubrica domenicale, non siano ormai sempre anche
"cose dell'altro mondo" per come il "mondo" di Dio ha
invaso il mondo degli uomini e non sia più possibile pensare ad uno spazio
della creazione e della storia non visitato da Lui. Questo mi tornava nella
mente e nel cuore martedì sera nella grande Chiesa di S.Martino
quando mi ha preso per mano l'attacco del Requiem
di Mozart eseguito dalla nuova orchestra bolognese
formata da giovani concertisti europei guidati dal grande Claudio Abbado. Lui, il maestro, sempre più affilato e sorprendente
nella sua interpretazione,sempre più immerso nella
genialità mozartiana oscillante tra pienezza e
dolore, tra gioia e passione. Aiutavo ogni tanto il mio caro amico Maurizio il
siciliano a ritrovare il segno delle parole stampate sull'elegante foglio del
programma; lui, il piccolo ferito di Vittoria in provincia di Ragusa, vissuto
tra noi per qualche anno mentre al Rizzoli cercavano
di ricostruire la sua fisicità sconnessa che ospita una meravigliosa
compostezza mediterranea e lo sguardo dolce di chi è riuscito ad accogliere la
sua infermità non più come una violenza subìta,ma come una parte di sè. Prima
dell'inizio avevo manifestato la mia preoccupazione agli amici dell'orchestra:
come avrebbe reagito un pubblico così vario davanti ad un'opera di quella profondità
e complessità? Bambini e anziani, persone del carcere e abitanti della piazza,
ospiti del dormitorio e della mensa...Qualcuno aveva chiesto:mi
metto il vestito bello per il concerto di questa sera? La chiesa piena. E
la disposizione data dal maestro di assegnare i posti migliori ai più poveri di quel pubblico di poveri. Perchè tanto spreco? Come mai dare bellezza ai poveri che cercano le vie faticose della
sopravvivenza quotidiana? Quale vantaggio per loro essere radunati per un'ora
di musica divinamente ardua? Tutti pensieri che prima, e
subito prima, si erano affacciati. Ma tutto è
svanito dal primo momento di quella musica. Sì, non c'è stata
solo la meraviglia della musica per l'arte degli esecutori, nella chiesa
di S.Martino. C'è stata anche l'intensa bellezza di
un auditorio affascinato, rapito, fatto riposare ,
portato alla commozione. Siate buoni, cari lettori, e non pensate che tutto
questo sia solo prodotto della mia fantasiosa e
ingenua immaginazione. È che l'altra sera si è resa evidente la presenza di
quel mistero che sempre accompagna, quasi sempre non
colto e non accolto, gli eventi piccoli e grandi della vita. In realtà si è
realizzato una grande incontro martedì sera: tra Mozart,
Abbado e i suoi giovani musicisti; ma anche tra loro,
e la memoria evangelica e liturgica del testo sacro, e quell'assemblea
inconsueta di piccoli, di figli prediletti del Signore, di povera gente ferita
nel corpo, o nella mente, o nello spirito. E questo l'ho
percepito e inseguito con crescente commozione sino a quelle ultime parole del
Requiem, ultima preghiera a Dio perchè tutto sia riportato alla vita, tutto e
tutti. Perchè, canta appunto l'ultima battuta, "Tu sei pietoso":
"Quia tu pius es". Ed era l'ultima carezza che il mistero della luce
e della pace donava alla
nostra assemblea strana e
meravigliosa. Buona Domenica. don Giovanni.
Domenica 5 giugno 2005
Carissimo don Giovanni, ho letto sull’Avvenire di
Bologna il suo articolo che lancia il progetto mamma e bambino per consentire
che mamme africane sieropositive possano generare bambini immuni dalla
malattia, e loro stesse rafforzate contro l?AIDS. la ringrazio per questa iniziativa che rende possibile a
gente come me un gesto concreto di solidarietà. Questa mi sembra una vera
adozione a distanza. A chi possiamo recapitare la nostra offerta?
Una mamma di San Lazzaro con la sua famiglia.
Cara mamma, e cara la sua famiglia tutta, dal mio
articolo su BO7 è caduta la frase in cui dicevo che
avremmo chiesto alla nostra Caritas di aprire un
conto corrente per questa iniziativa che a me sembra molto bella. Siccome
qualcuno ha chiesto in questi giorni la stessa cosa, al più presto provvederemo. Si, è bello poter aiutare, poter
essere partecipi di questo dramma, e veder fiorire un piccolo segno di speranza.
Piccolo, veramente! Non possiamo nasconderci che in Africa il male è dilagato
in maniera impressionante. Lei saprà che l’egoismo occidentale ha chiuso ogni
possibilità per i paesi poveri di usufruire dei nostri medicinali per
contrastare la malattia: i prezzi ingiustamente alti sono, per loro,
irraggiungibili.
Non tutti sanno che in molti paesi africani è
vietato curare l’AIDS. Il divieto riguarda cioè le
malattie che si affermano a motivo dell’insufficiente difesa immunitaria: è
inutile curare una malattia che sia provocata da un altro male incurabile. Ho
partecipato giorni fa a Roma a un grande convegno
internazionale organizzato dalla Comunità di S. Egidio e ho ascoltato relazioni
e testimonianze molto incoraggianti.
Le dicevo, un piccolo segno; che raggiunge solo
quelle future mamme che superano il tabù della psicologia collettiva e
accettano di fare il test. Tutti gli altri malati, e qui mi manca il coraggio
di scrivere la percentuale dei sieropositivi, sono abbandonati a sé stessi. Vien voglia di scappare.
Invece no: i nostri coraggiosi fratelli di laggiù
hanno pensato di lanciare un grido di vita. È meraviglioso per noi avere
l’onore di esserne l’eco e di gridare a nostra volta che il Signore
Risorto ci impedisce di arrenderci. È vero che quattrocento euro per ogni
nascita è una certa cifra. Ma oggi l’occhio mi è
caduto sulla pubblicità di un bell’albergo su un bel
mare che per ottocento offre un weekend per due. Due weekend
per due bambini. E ci sono anche le loro mamme. Non si
scandalizzi, cara mamma, se le dico che, malgrado
tutto, la vita è bella!
Buona Domenica.
Domenica 29 maggio 2005
Caro don Giovanni, tra tanti pensieri, e
considerazioni, e giudizi che in questi mesi abbiamo sentito sul tema della
fecondazione assistita, mi sono chiesto se e come si potrebbe avere qualche
luce forte dalla Parola di Dio. Penso che lei pure abbia cercato in questa
direzione. Può dire qualcosa a me a agli altri
affezionati lettori della sua Rubrica, che per la verità mi è sembrata in
questi ultimi tempi comparire un po' irregolarmente? Con stima. Carlo M. di Imola.
Sì, caro lettore, ci ho pensato parecchio, e
qualcosa potrei forse dirle. Ma,
fortunatamente per lei, ho trovato una riflessione importante su questo tema in
un discorso di don Giuseppe Dossetti, pubblicato nel volume "Omelie del
tempo di Natale" edito dalle Paoline. Così dunque dice don Giuseppe.
"Si desiderano legittimamente i figli solo per farne dei cittadini del
Regno; bisogna non avere paura e desiderarli per questo. Allora bisogna pensare
in modo conseguente: il fine fondamentale non è solo la generazione, ma anche
l'educazione di futuri cittadini del Regno, di futuri
cittadini della patria celeste. Non basta quindi la generazione fisica se non
c'è la finalizzazione a questo vero e unico fine assorbente tutti gli altri; e
non è necessaria la generazione fisica per preparare cittadini del Regno che
siano propri figli secondo lo Spirito e secondo la
fede. Qui probabilmente c'è la soluzione di molti dei problemi che si
agitano ora e sui quali non voglio intrattenervi, ma credo che tutta
l'impostazione della bioetica sia per un cristiano del tutto fuori quadro. Il
desiderio di avere un proprio discendente carnale è un desiderio che un
cristiano può legittimamente nutrire secondo l'istinto, ma che deve essere
completamente inquadrato e finalizzato secondo la fede, perchè quello che conta
è il fine vero secondo
Domenica 15 maggio 2005
Dove sei, Fabrizio? È la domanda che mi grida nel
cuore ogni volta che passo sotto la sua fotografia,
appesa nell'ingresso di casa. Dal quindici marzo non ti vediamo più. Non ti
vedono i tuoi cari che hanno fatto un incessante pellegrinaggio di speranza e di ansia tra i luoghi e le notizie che sembravano suggerire
il tuo nome o il tuo sguardo. Adesso anche il passo di questa migrazione si è
fatto più stanco. Rischiamo di lasciar entrare nei nostri cuori una sottile,
terribile disperazione. Anche perchè, cercando nei nostri
cuori le ragioni della tua scomparsa, non le troviamo. Perchè te ne sei
andato? La tua vita di ventiseienne alla fine degli studi universitari non la conosciamo come ferita o impaurita. Il
nostro volerti bene lo santivamo pienamente
corrisposto; un affetto fatto di poche parole, come spesso è nei figli che
abbiamo in casa; ma certamente affetto. Affetto di cui
la tua vita ha esperienza. Una ragazza straniera alla quale hai voluto
bene ti è rimasta cara amica; ma anche da lei non hai cercato rifugio. Dunque, dove sei? Sei nella tua campagna intorno a Budrio, sei a Bologna, sei
lontano? Forse con questo stacco vuoi far capire qualcosa a chi ti ama: ma non
ci hai lasciato una parola che potesse condurre i nostri pensieri. Dunque, domandiamo ancora a te: dove sei, Fabrizio? Ma di domande ne faccio anche un'altra: Signore, dov'è? Tu
lo sai! Io, una cosa certa la so: che Fabrizio è tuo. E so che tu non lasci chi
se ne va. Tu sei quel
pastore che lascia le novantanove pecore sui monti per andare in cerca della
smarrita. E la cerca finch'è
non l'ha trovata. Fabrizio, l'hai già trovato? E
allora, perchè non porti a termine la parabola evangelica facendo festa con noi
per aver trovato chi era perduto? Tu, Dio, sei anche quel padre che lascia
partire il figlio ma che mai cessa d'aspettarlo; al punto che lo vede quando è ancora lontano; e, secondo la parabola, gli
corre incontro, gli salta al collo e lo bacia. Il nostro e tuo Fabrizio, lo
stai vedendo da lontano? Vuoi che cominciamo a preparare la festa del suo ritorno?
Da oggi, siamo molti di più a cercarlo. Ci sono anche i cari lettori del
Carlino. Tra noi ci sono cercatori straordinari: ci sono quelli che hanno
conosciuto questo smarrimento e hanno trovato chi cercavano contro ogni
speranza; ci sono quelli che si sono smarriti, come te, Fabrizio, e sono
ritornati per aver riscoperto da lontano la dolcezza di una casa che avevano lasciata e che proprio per questo hanno imparato ad amare
con tutto il cuore. Dunque, se qualcuno vuole qualche indizio
ulteriore per la ricerca, sa dove trovarmi. E
anche tu, Fabrizio, a questo punto sai dove trovarmi. Mi piacerebbe che
diventassimo amici.
Buona Domenica. don
Giovanni.
Domenica 1 maggio 2005
Caro don Giovanni, pur non abitando a Bologna
seguiamo la sua rubrica che i nostri genitori ci fanno arrivare a Genova dove
siamo per il lavoro di Gianni, mio marito. Abbiamo pensato di farle avere un
messaggio che ci sembra corrispondere allo spirito con il quale lei si intrattiene con i lettori della rubrica, persone che
spesso sembrano meno interne ad un discorso di fede, eppure sensibili e
attente; o forse è lei che le fa sembrare tali con le sue risposte. Noi abbiamo
da quasi due anni perduto un bambino che sarebbe stato
il nostro primo e che è non è riuscito ad arrivare a un anno di vita.
Riassumo la vicenda dolorosa e complessa che abbiamo attraversato, dicendo che Diego, questo è il suo nome, non aveva portato
serenità in casa nostra, anche se l'avevamo aspettato con gioia. Una strana
divisione era scesa tra me e mio marito dopo la nascita del piccolo: forse una inconscia gelosia di Gianni che mi sentiva rubata al suo
affetto. Ma quando il bambino è morto ci siamo
aggrappati l'uno all'altro ed è stato l'unico modo per sopravvivere. E adesso? Questo è il problema. Adesso siamo bloccati dalla
paura e non riusciamo a desiderare concretamente un altro figlio. Ne sentiamo
la mancanza e il desiderio, ma siamo vinti dall'angoscia; non la paura di
una disgrazia come quella che ci è capitata, quanto la
paura di noi stessi, della nostra fragilità.... con
amicizia.
Silvia e Gianni.
Che bella la vostra lettera, cari amici. Mi
piacerebbe moltissimoi incontrarvi, conoscervi e fare
con voi un po' di strada. Sentimenti, debolezze, fatiche ,
dolore, paura...tutto mi sembra molto vero in quello che mi scrivete. Tutto mi
conferma nella certezza che siete venuti in contatto con il mistero della vita
in modo profondo. Mi capita spesso di notare che anche persone che non si
ritengono collegate a riferimenti di fede, in realtà si accostano al Signore
attraverso un'esperienza singolare: quella di percepire che la nostra vita è
sempre molto più grande di noi. È appunto il "mistero" della vita. È
il momento in cui affiorano in modo potente i grandi interrogativi: "chi siamo?", "perchè?", "che cosa
abbiamo davanti?"...ed è una grande grazia non censurarli, non affondarli
nell'alienazione del quotidiano. È bello lasciarli davanti a noi con pazienza e
attenzione, con dolcezza e attesa. Il gemito della vita non rimane inascoltato,
soprattutto quando non si accettano le scorciatoie di
risposte troppo facili che non rendono onore al travaglio del nostro spirito.
Allora, Dio non tradisce. Le vostre parole non mi danno la possibilità e
neppure il diritto di pensarvi come credenti di fede positivamente confessata e
praticata. Ma mi incoraggiano a dirvi, per quello che
potete accettare dalla modesta rsperienza di un
vecchio prete, che il Signore vi è molto vicino. Forse per questo scrivevo più
sopra che mi piacerebbe fare un po' di strada con
voi. Una strada che per i due discepoli di Emmaus sembrava orientata verso il tramonto della speranza
e che si è capovolta nel ritorno esultante a Gerusalemme. Una strada aperta dal
misterioso Pastore che ci ha sedotto chiamandoci per nome e inaugurando per
noi e con noi una via nuova, verso la pienezza della
vita. Un abbraccio.
don Giovanni.
Domenica 24 aprile 2005
Caro don Giovanni, non sono a chiederle di
commentare l'elezione del Papa nuovo, e non sono a
dirle di ricordare le cose belle fatte dal Papa vecchio. Le scrivo due righe
solo per dirle che
Caro sig.Luigi, non sono
capace di distinguere con nettezza i problemi della chiesa come fa lei, ma
concordo che di problemi la comunità cristiana ne ha, e non piccoli e non
pochi; anche se mi piace pensarla,
Domenica 10 aprile 2005
“La invitiamo nella nostra Parrocchia perché lei
ci dica qual è secondo il suo parere la cosa più grande che ci ha lasciato il
Ho trovato questo invito
tra i messaggi del telefono. Ieri sera, venerdì. Avevo seguito
Quando sullo schermo è apparsa la bellissima spoglia, bara del Papa, la gente della piazza, in grande silenzio, si è alzata. Dunque non eravamo semplicemente davanti allo schermo! M’era sembrata strana, fino a quel momento, l’idea di quello schermo. Perché la gente non era rimasta davanti allo schermo di casa sua o nel suo ufficio? C’era anche freddo, ieri mattina a Bologna: e mi sembrava che il vento che a Roma muoveva le pagine del Libro posto sulla bara, arrivasse da noi in Piazza Maggiore molto più freddo. Che cosa cerca questa gente? Che cosa vuole? Perché è venuta fin qui? Ma nel momento in cui quella grande assemblea si è alzata davanti alle immagini dello schermo, tutto mi è stato chiaro: la povertà di un mezzo tecnico era diaconia di una convocazione, di un evento. La gente in piazza era un’assemblea liturgica: capisco di dire una cosa impropria. Ma sono certo che tale era l’animo delle persone. E così è stato fino alla fine.
Tutto questo mi torna in mente davanti alla richiesta di quella parrocchia rurale del modenese. Penso che ci andrò. Portato soprattutto da questa vicenda di Piazza Maggiore. E in particolare da questo confronto tra il “piccolo” di uno strumento televisivo e il “grande” che leggevi negli occhi e nei gesti della gente in piazza.
E provo
Don Giovanni
Domenica 3 Aprile 2005
Caro Padre, si doveva sapere che Dio avrebbe reso
grande e profetico anche il tuo congedo da questa vita che Egli ha voluto così
ricco di doni, di segni e di provocazioni. È sabato mattina, e la tua agonia
prolungata è il tuo ultimo straordinario atto che tu lasci in
eredità non solo alla Chiesa, ma umanìtà: il
tuo tenerissimo affetto per
Don Giovanni
Domenica 13 marzo 2005
Caro don Giovanni, ho idea che a lei sia un raccoglitore di notizie difficili e dolorose, di lettere
di dolore come quella di quel suo amico che le diceva del suo bambino che non
c'è più. Questo mi ha fatto desiderare di mandarle una notizia buona. Io non
No, invece la pubblico! E lei ritagli il pezzettino e lo conservi per la festa dei diciott'anni di suo figlio: prima sarebbe una lettura pericolosa. Così anche lei, caro amico, è caduto in trappola! Si vive, si vive, e sembra di aver vissuto già quasi tutto. E poi, come all'improvviso, nasce un bambino: e tutto cambia. È il mistero che irrompe dentro di noi quando pensavamo che forse il mistero non esiste; che tutto è prevedibile; che tutto è scontato tra la nostra data di nascita e un'altra data che ci è fastidioso pensare e che viene quando vuole. Le è capitato quello che è capitato al mondo, quando in una secondaria provincia dell'impero, in un paesino di pastori, è nato duemila anni fa un bambino. Perchè non mi ha scritto di aver sentito il canto degli angeli? perchè non mi ha confidato anche il tremore del cuore che invade un papà vecchio vicino alla giovane Donna che gli ha regalato quella meraviglia? Ha fatto bene a scrivermi questa bella notizia che è anche una grande richiesta di aiuto. Non si può reggere da soli una vicenda tanto grande e misteriosa. Come siamo piccoli davanti alla nostra stessa vita! Pensavamo che i "misteri" stessero in alto, e scopriamo che quelli più grandi sono nella piccolezza, dove abitano insieme la fragilità e il bisogno di tutti e di tutto. In questi giorni qualcuno mi diceva che la carità è una forma di malattia mentale, una follia. Sarà! Io penso che si tratti soprattutto di un colossale innamoramento. Un innamoramento inevitabile, quando il mistero della vita si ferma accanto a te e ti accarezza. È quello che le è capitato, e la ringrazio di avermene fatto partecipe. Guardi però che le notizie che ricevo sono sempre buone, anche se amano spesso nascondersi nella forma del rebus o nel genere letterario dell'indovinello. Per arrivarci, bisogna sciogliere qualche enigma. Lei, fortunatissimo, ci è arrivato subito.
Allora, buona fortuna a lei e buona domenica a tutti. Giovanni della Dozza.
Domenica 6 marzo 2005
Caro Giovanni, sono sopraffatto dal dolore. Non so se questa è la parola giusta: mi sembra proprio di sì. La morte improvvisa e imprevista del mio bambino appena nato, il mio primo figlio per il desiderio mio e di Anna che molti altri vengano , mi ha fatto cadere in una fossa profonda. Secondo quello che ho imparato da voi, leggo continuamente i salmi della bibbia; me li porto anche al lavoro per i momenti di intervallo. Nei salmi del dolore leggo il mio dolore; in quelli della gioia cerco, senza trovarla, la mia speranza; in quelli che parlano dei nostri peccati cerco di capire se devo a me stesso quello che è successo. Il silenzio di mia moglie, e come mi guarda triste, sono forse un dolore ancora più grande di quello che provo per questo bambino morto. Portare anche il dolore di lei mi sembra qualche volta impossibile. Ti scrivo attraverso la tua rubrica del giornale perchè ho presenti altri uomini e donne che piangono la morte dei loro figli. Un abbraccio. Carlo.
Carlo carissimo, la tua lettera accresce in me il
dispiacere di non aver fatto in tempo a venire alla Messa di saluto del piccolo
Giulio. Cerco di mettermi davanti al tuo dolore. Sì, secondo me, è la parola giusta, profonda e misteriosa, fino a Dio. Il
dolore è il patimento dell'anima. È quello che dice la diversità della creatura
umana da tutte le altre creature. Ed
è quello che dice la diversità del Padre di Gesù Cristo da tutti gli altri dèi.
Il dolore. Le sue cause possono essere le più diverse. E potrebbero anche non
essere sempre nobili e profonde come quella che ha
seminato il dolore dentro di te. Eppure, quando
arriva, il dolore è come la morte: qualunque sia la circostanza del suo
accadere e le ragioni del suo impiantarsi dentro di noi, assume un volto e una
profondità che arrivano sino a Dio. È Lui il primo nel dolore per la morte del
Figlio. C'è un modo di affermare la perfetta felicità di Dio, che ne deturpa e ne offende
Domenica 26 febbraio 2005
In questi giorni del suo congedo da noi, mi sono ricordato di Renzo Imbeni per alcune occasioni di incontro con lui dentro e fuori il palazzo comunale. Era il 1985 e il Comune di Bologna aveva offerto l'Archiginnasio d'oro a Giuseppe Dossetti. Don Giuseppe aveva esitato di fronte a quest'idea e io ero stato un po' il suo portalettere e un po' il suo portavoce di scambi con il Sindaco Imbeni. Mi colpirono subito di lui la gentilezza del tratto e la profondità del pensiero. Insisteva con affetto a che il vecchio monaco accettasse l'onorificenza bolognese. Ed era l'insistenza affettuosa non semplicemente di un ammiratore ma quasi di un figlio. Fu l'occasione per avere da lui ricordi di incontro e di conoscenza con un grande protagonista di tempi che avevano preceduto l'esperienza diretta di Imbeni in politica, e che ne avevano costituito una matrice culturale e una fonte di riflessione e ispirazione per il tempo presente. Mi disse:"Deve accettare. Non ho mai conosciuto una persona impegnata a livelli così profondi sul tema della pace. Per me giovane, ancora all'inizio dell'impegno pubblico, la sua testimonianza è stata decisiva proprio per capire che la pace è possibile sempre, anche con i propri avversari politici". Don Giuseppe cedette a queste insistenze e gli si rivolse per primo in quel tardo pomeriggio del 22 febbraio 1986 dicendogli: "Mi sono determinato ad accettare per il semplice fatto della sua offerta, signor Sindaco, fatta con tanta delicatezza e nobiltà che mi è parso esigesse una risposta positiva, serena, grata e cordiale". E Imbeni aveva poco prima presentato Dossetti e le ragioni del conferimento dell'Archiginnasio con emozione affettuosa: "Don Dossetti è testimonianza di coerenza e di intensità spirituale capace di parlare a credenti e a non credenti", e ancora:"La scelta di vita di Dossetti non è solo un esempio per il passato, è una sfida che riguarda il nostro futuro" . A queste cose pensavo giovedì mattina in mezzo alla gente che nel cortile di Palazzo d'Accursio assisteva all'ultimo saluto a Renzo Imbeni. Il rintocco finale della grande campana nel silenzio profondo di tutta quell'assemblea sembrava voler suggerire che con la morte tutto è finito. Ma dice Gesù:"Chiunque vi darà da bere un bicchier d'acqua nel mio nome perchè siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa". Allora ho pensato: ha fatto bene il Vecchio ad accettare quel premio dal suo Sindaco. È come un bicchier d'acqua che merita ricompensa per chi gliel'ha dato. Allora il rintocco della campana mi cantava per la vita. Buona Domenica. don Giovanni.
Domenica 20 febbraio 2005
Caro don Giovanni, ho pensato di scriverle questa
piccola lettera per un problema che mi sembra di condividere con molti amici e
amiche che si trovano nella mia stessa situazione. Sono una studentessa
universitaria di vent'anni. Partecipo da sempre alla
vita e alle attività della mia parrocchia nell'imolese.
Mi considero cristiana credente e praticante. Ho qualche problema per
Carissima Carla, le sue parole mi hanno riportato alla mente un pensiero che diversi anni fa mi rivolgeva un anziano Vescovo molto intelligente e....con la fede! Davanti a discorsi che io gli ponevo e che potevano essere non lontani da quanto lei mi scrive, Lui mi spiegava che bisogna pensare al Signore Gesù Cristo e alla nostra appartenenza alla santa Chiesa partendo da un cerchio che si potrebbe disegnare su un foglio: quel cerchio rappresenta appunto il Figlio di Dio. Poi ci sono tanti cerchietti che siamo noi. Questi vanno disegnati sul foglio in maniera che ogni cerchietto sia in parte interno al cerchio di Gesù, e in parte ne sia esterno. Quindi, per riprendere le parole che mi ha scritto, ogni cerchietto è "un po' dentro, e un po' fuori" rispetto al cerchio del Signore. Vede? non "o dentro, o fuori", ma "un po' dentro e un po' fuori". Allora proviamo a spiegare il nostro disegno. Per quello che lei mi scrive, mi sembra di dover disegnare il "suo" cerchietto in gran parte all'interno del cerchio del Signore e della Chiesa: lei è battezzata, è credente, frequenta la comunità cristiana, studia con zelo religioso....per tutte queste ragioni, e per molte altre, il suo cerchietto è "dentro" al cerchio grande. Poi, facciamo per dire, il suo rapporto con la mamma è piuttosto scorbutico; oppure, non riesce ad accogliere con gentilezza e comprensione un ragazzo innamorato di lei, e lo tratta male, o lo umilia: per questo aspetto, il suo cerchietto è messo fuori. L'immagine è interessante, secondo quel Vescovo, perchè può evidenziare cose non facilmente immaginabili. Come, per esempio, il caso di una persona che vivesse secondo parametri etici in gran parte lontani dalla dottrina evangelica; ma mostrasse nei confronti della sua mamma malata uno straordinario spirito di sacrificio e di affettuosa assistenza: anche per lui si dovrebbe dire che, accanto a molti aspetti che lo mettono "fuori" dal cerchio di Gesù, c'è una luce meravigliosa che Dio non dimenticherà, e che fin d'ora lo "aggancia" al cerchio della salvezza e della pace. Le chiedo di pregare per me, che molto spesso mi percepisco come cerchietto vagante e sconclusionato. Con amicizia. don Giovanni.
Domenica 13 febbraio 2005
Anche questa domenica rubo lo spazio riservato a
rispondere ai miei amati lettori. E scrivo io una
"letterina" ai cari amici giornalisti, quelli che conosco bene, e i
tanti che non conosco personalmente e di cui apprezzo la dedizione
professionale e la fatica quotidiana. Nei giorni scorsi è successo un piccolo
incidente. Non era certo il primo, né il più grave; ma proprio per questo mi è
più facile farne oggetto dell'attenzione dei lettori. Incidente giornalistico,
si usa dire. Sono a frequentare una incontro di
aggiornamento al Centro S. Petronio, quando mi arriva la telefonata di
un'Agenzia che mi chiede un parere su alcune dichiarazioni fatte dal Vescovo
Ausiliare Mons. Ernesto Vecchi. Dichiarazioni fatte
ad una Radio locale. Capisco che l'intenzione del mio interlocutore è
di accendere una polemica, e questo mi fa decidere che è meglio
accettare di parlare per non veder scritto che si è fatto silenzio per
evitare
Don Giovanni
Domenica 6 febbraio 2005
Mi perdonino i lettori del Carlino. Oggi cedo lo
spazio della nostra rubrica alla memoria di eventi
piccoli e lontani della mia vita di cristiano e di prete. Ventottanni
fa, come oggi, celebravo per la prima volta
Buona Domenica.
Don Giovanni
Domenica 30 gennaio 2005
Caro don Giovanni, le ho telefonato due settimane fa per chiederle come fare per una signora non più giovane che da cinque anni abita in casa nostra. Io, Anna mia moglie e i nostri tre figli, ci siamo affezionati a lei, e lei a noi. Viene dal Perù. È arrivata in Italia con amiche più giovani che si sono tutte sistemate abbastanza bene. Lei no. O meglio, con noi come le dicevo, sta bene. In Perù non ha più nessuno. Non si è mai sposata. È stata fermata come clandestina. A noi addolora che debba partire. Anche lei non vuole… Giovanni A.
Caro Signor Giovanni, scelgo la sua lettera tra
una decina che ho raccolte insieme perché parlano
sostanzialmente della stessa cosa. È una risposta per lei, quindi, ma anche per
molti altri. Da qualche ora lo è anche per me. Ieri sera ho telefonato a
Francesco, uno dei miei fratelli monaci, parroco a Sammartini vicino a Crevalcore. Mi diceva di avere davanti a sé uno
straniero, una persona non più giovane, da dieci anni in Italia, e che ora dovrebbe ritornare in Marocco perché privo del Permesso di
soggiorno. Quante persone ogni giorno mi pongono lo stesso problema, per sé o
per altri? A tutti non posso che dare la stessa risposta. Di fatto non ci sono
soluzioni. Bisogna indurre a far ritorno alla propria terra. È inutile fatica
cercare una soluzione. Bisogna andarsene. E anche per questo amico
di Francesco avevo detto così pochi giorni prima. Ma ieri sera, mentre
Francesco mi parlava e mi diceva: “è qui davanti a me,
e piange”, ho sentito i singhiozzi di questo pianto. Ne ho chiesto conferma, e
Francesco mi ha detto: Si, è lui che piange.. sono
passate diverse ore, ma quel pianto non mi lascia. Anche
questa mattina durante
Ma quando un “caso tra molti” diventa un pianto, allora ti par di capire che una persona è più importante di una norma, perché l’importanza di una norma è misurata dalla sua capacità di far bene senza fare il male di nessuno. A meno che non si faccia come le leggi per i piccolissimi, quelli che ancora devono aprire gli occhi: di loro si dice che siccome sono piccolissimi, sono nessuno. Non ci sono.
Anche l’amico straniero di Francesco è molto piccolo: non deve esserci. Ma siccome il piccolissimo embrione c’è, anche l’amico di Francesco c’è. Mi diranno: mica vogliamo la sua morte! Vogliamo solo che non sia qui. Ma ieri sera l’ho sentito piangere come un bambino molto piccolo. Questa mattina ho detto a Francesco che possiamo cercare di fargli posto tra noi. Poi si vedrà.
Caro amico, se fossi in lei, anche per il bene della sua famiglia, farei lo stesso. Buona Domenica.
Don Giovanni
Domenica 23 gennaio 2005
Mi piace "Cose di questo mondo" perchè è capace di fare alternanza tra il mondo piccolo di ogni persona e il mondo grande di tutti. Questi due mondi, il piccolo e il grande, io non riesco a farli incontrare. La conosco solo per questa rubrica, ma mi sono fatta il pensiero che siamo coetanei, o pressappoco. Penso che mi potrà capire. Ero donna giovane negli anni sessanta e all'università ho scoperto il pubblico, il sociale e il mondiale. Vivevo sempre dentro a queste misure anche la mia vita di credente. Poi hanno prevalso le preoccupazioni quotidiane e le semplici gioie degli affetti. Quando sono arrivati i guai della vita tutto si è raccolto nella fatica di ogni giorno. Anche in questi tempi di grandi tragedie lontane da noi non riesco a staccarmi dal mio piccolo mondo. È egoismo? Forse è solo povertà culturale, o sanzione per scelte troppo individuali. Non che del mondo non mi importi, però... C.N.
Cara Signora, cara
coetanea, quante cose il suo breve e bel messaggio mi ha fatto ricordare! Nelle
sue parole trovo tanti miei pensieri. Forse io, più superficiale di lei,
non mi sono reso conto di questi "viaggi" tra pubblico e
privato, ma Lei mi porta a una consapevolezza più
lucida. Nello scorrere degli anni m'è venuto qualche volta il pensiero di non
essere capace di fare il prete proprio perchè faccio
una gran fatica a partecipare alle cose grandi quando anche un piccolo
incidente, o semplicemente il dolore di un piccolo, mi fa naufragare in un
bicchier d'acqua. Certe volte il solo pensiero di una persona che sta male mi
crea un ostacolo tremendo davanti al mio dovere più semplice e ovvio, come per
esempio dire
Domenica 16 gennaio 2005
Quando abbiamo saputo della disgrazia ferroviaria di Bolognina, la piccola frazione di Crevalcore dove ho
abitato per più di vent'anni, stavo per recarmi
all'Osservanza per un incontro con i frati dell'Italia settentrionale.
Francesco, il mio fratello che attualmente è parroco a
Bolognina, è rientrato subito a casa. Poi anch'io
sono andato nelle campagne che amo, visitate improvvisamente dalla devastazione
e dalla morte. Dal terribile groviglio venivano
estratti i feriti e i morti. Il nostro Arcivescovo si era chinato su di loro nel fango della scarpata deponendo su ciascuno il dono
della benedizione di Dio. In un istante, la morte! In un
istante strappati dalla vita! Con quali pensieri, con quali
condizioni dell'animo? E pensavo alla paura di quei
fratelli sconosciuti, per ora difficili da identificare con un nome: poverini! Come entrare così nella morte? Nella fine di questa vita,
nell'avvenimento che chiude un'esistenza e che in quell'istante
pone, severa, la domanda sul senso di ciò che ora si compie a conclusione di
una storia che in ognuno è mistero irripetibile,
parola detta che non sarà mai più ripetuta. E con
questi pensieri angosciati e sospesi mi sono trovato dentro
alla preghiera con i miei cari di là.
Buona Domenica. Don Giovanni
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