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           Contro da tesi di “Garibaldi negriero” : 2006

 

          AL WEBSITE   www.padan.org/padan/contendid-183.html

 

                 Mi chiamo Phillip K. Cowie, autore del saggio “Contro la tesi di <<Garibaldi negriero>>,”

          pubblicato nel 1998 nella “Rassegna storica del Risorgimento,” Roma, e duramente attaccato dalla

          pubblicazione “Periodico Due Sicilie” del novembre 1999 da un tale giornalista, Sig. RIN: un attacco

          a cui il vostro website ha dato ampio spazio.

 

                Vorrei precisare che ho scritto e scrivo in stile “accademico,” perché credo fermamente nell’uso di

          note, così chi mi legge – se interessato – può controllare i fatti che presento per difendere la mia tesi.

          Alla fine di questa mia articolo accluderò una lista delle fonti dalle quali ho attinto per la mia ricerca.

 

       Nei vostri siti Internet, ho trovato scritti di una tale “Professoressa Angela Pellecciari.”   Come il

suddetto Sig. RIN, anche questa Signora dice che Garibaldi era niente di più che un’ipocrita criminale ed un

negriero.   Purtroppo, come il Sig. RIN, nella sua argomentazione la Professoressa non presenta alcuna

documentazione di nuova ricerca, ma soltanto gli argomenti scritti e riscritti mille volte attraverso gli anni.

 

 

 

 

 

Sommario:

     Dall’anno 1882 si dice che Garibaldi, quando comandava una nave peruviana sui mari del Pacifico (1851-1853), trasportava dalla Cina al Peru schiavi cinesi.

     Questa terribile voce – devastante per la figura umanitaria di Garibaldi – ebbe origine da un libro di

A.. V. Vecchi, La vita e le gesta di Giuseppe Garibaldi (pubblicato nell’1882), in cui Vecchi scrisse che, mentre

era a Lima nel 1865, parlando con il vecchio padrone di Garibaldi, tale Don Pedro Denegri, udì da quest’ultimo

questa dichiarazione.

     Dopo lunghe ricerche ed anni di paziente lavoro, ho trovato un rapporto ufficiale presentato al Parlamento

Peruviano nel 1853 in cui si elencavano i Cinesi, i Tedeschi e gli Irlandesi che arrivarono nella Repubblica in

quegli anni, e, su un giornale di Lima di quello stesso anno, la lista intera del carico della nave di Garibaldi

dall’Oriente.   Questi documenti, dimostrando chiaramente che Garibaldi non ha mai portato alcun cinese come

schiavo in Perù, assolvono Garibaldi completamente dalle accuse fattegli durante tutti questi anni.

     Ritornando agli scritti di Vecchi per saperne di più della sua breve visita al Perù nel 1865, e riflettendo sulle

mie scoperte, mi sono convinto che Vecchi, non essendo abituato all’ambiente linguistico di un certo ambiente

di Lima, ha frainteso ciò che ha sentito mentre conversava con Denegri, interpretando male la parola “chinos”,

una parola di largo uso in Perù in quegli anni, traducendola con la parola castigliana “cinos = cinesi”.   Una

svista semplicemente linguistica.

     Quelli che credono Garibaldi un “trafficante di carne umana, ipocrita e criminale negriero”, e mi contestano

duramente per questa mia presa di posizione come difensore dello stesso Garibaldi lo fanno con argomenti fasulli.  

Perciò, ecco la difesa del mio operato, e la difesa della reputazione di un grande ed onesto italiano.

 

 

 

 

 

                   PUNTO UNO:

                    Ho iniziato le mie ricerche sul Secondo Esilio di Garibaldi (1849-1854) nel lontano 1979.  

         Questo periodo della vita di Garibaldi è sempre stato studiato male ed in maniera superficial.

                    All’inizio dei miei studi, avevo i miei dubbi sulle sue soste in Perù ed in Cina (1851-1853),

         avendo letto quello che altri studiosi avevano scritto durante questi anni.   Incuriosito, ho deciso di

         iniziare una ricerca seria e profonda di quel periodo della Sua vita, ricerca mai fatta da alcuno.

                    Dopo il 1979, dagli USA – Archivi Nazionali di Washington e Università di California a

         Berkeley – ho comprato i microfilm di corrispondenza diplomatica ed i quotidiani peruviani per

         saperne di più e con una certa precisione.

                            Sono stato parecchie volte a Londra, al Public Record Office di Kew ed alla British Library:

                    Newspaper Division, per consultare i loro fondi.   Sono stato anche all’Archivio della Propaganda

                    Fide di Roma; vi ho trovato materiale eccellente, scritto da missionari cattolici in Cina, di quel

                    periodo (1852), materiale più tardi pubblicato in Italia sotto il mio nome.   Ho anche visto i fondi

                   dell’Archivio di Stato di Torino (rapporti diplomatici dai Consolati Nazionali del Regno di Sardegna

                   nelle Americhe), e materiale conservato al Museo Centrale del Risorgimento al Vittoriano di Roma.  

                   Ho usato anche materiale che ho visto alla Public Library di New York.

                  In breve, come si vede, in questi anni, ho fatto un paziente e laborioso lavoro di ricerca in questo

          campo.   I Sigg RIN e Pellecciani hanno fatto lo stesso?   Per quello che scrivono, ho i miei dubbi!!!

 

          PUNTO DUE:

                 Ciò che disturba i miei antagonisti circa il periodo peruviano-cinese della vita di Garibaldi è la

          strana storia raccontata da un tale Vittorio Augusto Vecchi [1] nel suo libro “La vita e le gesta di

         Giuseppe Garibaldi”, pubblicato nell’anno della morte di Garibaldi, 1882.   Quella strana storia dice

          che un armatore-commerciante di Lima, il ligure Pietro Denegri, assunse Garibaldi al comando di un

          suo brigantino, El Carmen, in cui Garibaldi trasporto un carico di coolies cinesi.  

                          Il passo nel libro di Vecchi che condanna Garibaldi dice così:

                    “… Giuseppe Garibaldi […] ottiene da D. Pedro Denegri di Chiavari il comando del clipper la  

                    Carmen e naviga dal Callao alla Cina trasportando emigranti chinesi.

                    <<Don Victor, non ho mai avuto un capitano simile e che tanto poco mi spendesse>> così diceva a  

                    me Don Pedro Denegri nel 1865 a Lima narrandomi di Garibaldi.

                    <<M’ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcato e tutti grassi ed in buon salute; perché li

                    trattava come uomini e non come bestie.>>   Codeste parole disse a me il Denegri…

                    <<Mai un reclamo di marinai contro di lui.>>

                   

                          Senza dubbio, questa storia ha disturbato il sonno – ed i buoni pensieri – di molti studiosi

                    attraverso gli anni.   Ma, nessuno prima di me, dico nessuno, è mai andato a controllare i fatti per

                    questa terribile affermazione.   Nessuno ha cercato (a) la prova che Garibaldi fosse un sordido

                    trafficante di schiavi, o (b) la prova con cui si potrebbe dimostrare la sua estraneità a questo losco

                    commercio.   Ripeto: nessuno!  

                             

                    PUNTO TRE;

                          Come ho detto, ho iniziato i miei studi in questo campo, nel 1979.

                          Dopo quattro anni, entro l’estate del 1983, ho scoperto:

               (a) la vera nature del carico che Garibaldi portava dall’Oriente nel suo viaggio di rientro in Perù, e

               (b) la documentazione ufficiale sulle navi che venivano impiegate nel traffico di schiavi dall’Oriente

                    al Perù,

        documentazione che indubbitamente dimostrano che la nave capitanata da Garibaldi non ha avuto

        niente a che fare con quel losco traffico.

                          Scendiamo ora nei dettagli su queste due ricerche.

 

                          (A)   Il Carico:

           (1)     Quando Denegri stilò il contratto con Garibaldi per la spedizione in Oriente, un amico

           intimo di Garibaldi di quegli anni, Francesco Carpaneto, era presente.   (Carpaneto era anche

           coinvolto finanziariamente nella faccenda).   In una successiva lettera, conservata ora nella

           Biblioteca Civica “Angelo Mai” di Bergamo (dove l’ho vista e copiata), Carpaneto informò

           amici a Genova che Garibaldi era andato in Oriente, per poi ritornare con un carico di

           “efectos de Canton,” cioè, mercanzie cinesi [2].

(2)          Quando Garibaldi veleggiava sui Mari Cinesi, seguiva gli ordini di Frederick A. King,

un uomo d’affari americano e consegnatario di Denegri in Cina [3].   All’inizio di settembre 1852, quando Garibaldi partì dalla Cina per ritornare in Perù, King caricò la Carmen di merce assortita, poi elencata nel “Shipping News” del quotidiano inglese di Hong Kong, il China Mail, come “sundries,” cioè “articoli di varia natura.”   Secondo me, nessuno sforzo d’immaginazione potrebbe tradurre la parola “sundries” in “schiavi cinesi.”  

(3)          Quando Garibaldi rientrò nel porto peruviano di Callao, il 24 gennaio 1853, a bordo aveva

 “24 ombres de mar,” cioè marinai da dichiarare alla Dogana [4].   Nessun cinese “schiavo” o “passeggero.”

           Alla stessa Dogana, Garibaldi consegnò anche il suo “Bill of Lading,” cioè il manifesto di carico della nave, per adempire il proprio dovere secondo il Regolamento di Commercio allora in vigore.   Infatti, l’Articolo n.° 6 del “Decreto Presidenziale  peruviano del 4 agosto 1840 relativo ai movimenti navali, stipulava che tutti i capitani marittimi ritornando in patria da porti esteri, dovevano per forza presentare tutti i documenti della loro nave ai controlli dell’Autorità del Porto di Callao [5].   In più, il “Regolamento de Comercio nacional y extranjero,” pubblicato a Lima dall’Imprenta del Estrado, Eusebio Aranda, 1842, nella “Seccion 2: Importacion: dall’art. 9 all’art. 26,” era molto chiaro su questo punto.

(4)          Il giorno dopo l’arrivo, il 25 gennaio 1853, sul quotidiano limeño, El Comercio, apparve la

 lista completa del carico della Carmen, con una nota aggiunta: tutta la merce era stata venduta alla Casa di Commercio, A. Zaracondegai y Ca., di Lima [6].

                   Il Sig. RIN dice nel suo saggio che non è disposto ad accettare la validità di questa lista,

          “non essendo copia anastatica e autenticata da notaio.”

                  Francamente, considero questo suo ragionamento banale.

                   Cosa vuol provare questo Sig. RIN?   Che Garibaldi partì dalla Cina con un carico di schiavi,

           e documenti falsi di un cargo fantasma di “sundries”?   Che, sbarcando il suo carico umano

          davante un’inefficiente e cieca burocrazia portuale a Callao, presentò per l’autorizzazione formale

          una lista di merce immaginaria?   Che l’Ufficio della Dogana l’accettò senza porgere domande, per

          poi comunicarla alla Casa Zaracondegai, e da lì alla Stampa quotidiana?  

                  Dobbiamo seguire l’argomentazione di questo Sig. RIN, e, cadere nell’assurdità?

                  Ovviamente, era negli interessi di tutti – l’armatore Denegri, gli assicuratori marittimi del

          carico, la Casa Zaracondegai – presentare sul mercato la mercanzia del nuovo arrivo per stimolarne

          la vendita.   La lista pubblicata dal Comercio non fu messa lì per salvare il buon nome di Giuseppe

          Garibaldi, o per raggirare la gente di Lima, o per imbrogliare i futuri storici.   Fu pubblicata in

          quei fogli per informare ed offrire.

 

        (B)   Le navi del traffico dei “coolies” fra la Cina ed il Perù:

        Nel 1853, il Ministro statunitense a Lima spedì alla Segreteria di Stato a Washington, D. C.,

un plico contenente una Memoria che, poco prima, era stata presentata al Parlamento Peruviano, un documento fitto di statistiche circa lo stato attuale della Nazione [7].

        Studiando questo documento, pagina per pagina, microfilmato negli Archivi Nazionali di Washington, mi son fermato all’Appendice n.° 16: una pagina posta all’attenzione dei Deputati parlamentari dal Ministro degli Esteri del tempo, Pedro José Careno, elencando “el numero de colonos que han introducido a la Repubblica desde Junio 26 de 1850 hasta Julio de 1853.”

        La lista dava non solo i numeri di immigranti giunti alla Repubblica Peruviana dalla Cina, dalla Germania e dall’Irlanda dal 1850 al 1853, ma anche i nomi di tutte le navi impiegate per questa grande migrazione.

        Ho notato che il nome della nave di Garibaldi, El Carmen, non c’era sulla lista.   El Carmen, dunque, non veleggiava fra le “coolie ships” dalla Cina.

        Per me, questa lista ufficiale da sola scagiona Garibaldi dall’accusa infamante che molti critici gli hanno voluto attribuire.

        Leggendo il saggio del Sig. RIN, ho notato che egli non tiene conto di questo documento, sebbene è stato pubblicato come Appendice n.° 2 del mio articolo del 1998, così analizzato e violentemente attaccato dallo stesso Sig. RIN.   Incapace di dire una seconda volta, “non essendo copia anastatica ecc ecc…,” ha preferito ignorarlo.

        Naturalmente non poteva menzionarlo: qualsiasi riferimento al suddetto documento avrebbe completamente demolito tutti i suoi argomenti.

        Il Sig. RIN, non tenendo conto del contenuto indiscutibile di questo documento, si inventa un'altra prova: la nave El Carmen non portava i “coolies” dalla Cina al Perù, ma, facendo molti cabotaggi lungo le coste peruviane, avrebbe potuto portare molti cinesi da Callao, in perenne schiavitù alle Isole del guano, Las Chinchas!   Così, in un modo o nell’altro, Garibaldi sarebbe stato un trafficante di schiavi!!!

        Non ho l’intenzione di lasciare questo interessante argomento senza alcuna risposta, ma prima vorrei trattare altri argomenti.

 

PUNTO QUATTRO:

       Per i miei studi, la scoperta di queste due prove positive circa la schiavitù,  è stata molto importante, perché ho pensato di aver trovato il modo di riabilitare il buon nome di Garibaldi.

       Però…, dopo un po’, riflettendo sulla dichiarazione di Denegri a Vecchi, che non si accorda per niente con questa nuova documentazione, mi sono posto altre domande.

       Potevo sicuramente dire e dimostrare che sulla Carmen non c’erano schiavi cinesi.   Però: chi erano, allora, e da dove venivano, i “Chinesi” a bordo del vascello di Denegri?   E, come si può spiegare quella strana ammissione di Denegri al giovane Vecchi nel 1865 che Garibaldi navigò “dal Callao alla Cina trasportando emigranti Chinesi”?   Cosa ha capito Vecchi, parlando di Garibaldi con Denegri?   O, forse, cosa ha frainteso Vecchi?

       Per quanto ne so, nessuno si è mai posto questa domanda o cercato chiaramenti, sul fatto che Garibaldi portava emigranti Cinesi dal Perù alla Cina.   Naturalmente i suoi denigratori hanno sempre fatto finta di non vedere quella dichiarazione di Denegri.  

       Un'altra fonte dimostra che, alla partenza della Carmen dal Porto di Callao il 10 gennaio 1852 per la Cina, non c’era a bordo alcun “emigrante Chinese” come disse Denegri.   Il quotidiano di Lima, El Comercio, sempre vigilante a questo riguardo, dando informazioni sul movimento del traffico marittimo, arrivi e partenze, imbarcazioni e sbarchi nel porto di Callao, non riporta la presenza di passeggeri di alcun tipo sulla Carmen.   (Interessante sottolineare che El Comercio del 3 marzo 1853, notando un’altra partenza di Garibaldi dal porto di Callao, per Valparaiso, dice che un certo Don Juan Espinosa salì come passeggero a bordo del vascello.   Cito questo per dimostrare com’era attento, quel quotidiano, nel fornire ai suoi lettori tutte le informazioni riguardanti i movimenti marittimi in quel grande porto di Lima).

        Il fatto che, alla partenza da Callao per la Cina, non c’erano “passeggeri” o “Chinesi” a bordo del vascello ci mette di fronte ad una serie di domande per cui – come ricercatore indipendente ed imparziale – ho tratto alcune soluzioni per me convincenti.

       Chi erano questi “Chinesi” di cui Denegri parlava?   E, perché egli usava l’avverbio “sempre” quando parlava così apertamente con il giovane Vecchi parlando di essi?   Io interpreto la frase di Denegri: “M’ha sempre portato i Chinesi imbarcati…” in questa maniera: che era Denegri, usando la parola “Mi”, colui che imbarcava i “Chinesi”  sulla Carmen, e non Garibaldi.   Allora: da dove prendeva questi “Chinesi” l’armatore della nave?   Mi son posto queste domande perché – sebbene confortato dalla nuova documentazione trovata – a qualcuno toccava andare ben oltre alla dichiarazione di Denegri e trovare i veri “Chinesi” del vascello del Capitano Garibaldi.

       Se non erano “passeggeri,” allora è possibile che questi “Chinesi” siano stati “marinai”  ingaggiati dal armatore Denegri.   I cinesi importati nel Perù in quel periodo non arrivavano per  trovare lavoro sulle navi mercantili peruviane (ed specialmente su quelle dirette ai porti della Cina: la diserzione in massa sarebbe stata facile!).   Non essendo di madre lingua spagnola, essi non avrebbero potuto lavorare efficaciamente su una qualsiasi nave peruviana.   Per regolamento ufficiale, gli armatori delle navi nazionali dovevano ingaggiare solamente cittadini peruviani e naturalizzati a bordo dei loro vascelli  (fu per questo preciso motivo che, quando Garibaldi assunse il comando della Carmen nell’ottobre 1851, dovette dimostrare di essere di cittadinanza peruviana: senza questa qualifica non avrebbe potuto ottenere il comando della nave di Denegri) [8].   Inoltre, i “colonos chinos,” al loro arrivo sulle sponde del Perù, non diventavano ipso fatto cittadini della Repubblica.   Tutti queste risposte fanno sì che quella domanda dovrebbe essere scartata.

        Poi, un giorno, leggendo un microfilm di corrispondenza diplomatica statunitense dal Perù in quegli anni, ho trovato una possibile via d’uscita dal rebus che mi son posto, una risposta sulla quale ho poì fondato la mia teoria riguardante questi “Chinesi.

 

La mia teoria:

        In quegli anni, negli Stati Uniti d’America, esisteva una piaga sociale chiamata schiavitù.   Però, essa non esisteva soltanto negli Stati Uniti: la servitù di gente di colore era estesa in quasi tutte le Americhe, ed i diplomatici statunitensi residenti nei vari stati Latino-americani studiavano il problema, e periodicamente spedivano le loro osservazioni per le considerazioni di Washington.

      Nel 1840, il Ministro statunitense in Perù mandò alla Segreteria di Stato a Washington alcune pagine sulla schiavitù in quel paese, e scrisse la seguente interessante frase: “In this country [Perù] there are about forty thousand slaves – Africans and their descendants, mulatoes,  zambos, chinos, etc. etc.”   Ovviamente consapevole che a Washington, quella parola “chinos” sulla sua lista poteva essere fraintesa per il suo omofono castigliano “chino = cinese,” il Ministro mise accanto quella parola un asterisco, e a margine del suo dispaccio questa spiegazione: “A Chino is the issue of a Negro and an Indian” [9].

     Colpito da questa scoperta, ho controllato di nuovo la copia de El Comercio (che avevo in microfilm), e ho trovato che, dopo l’inizio dell’immigrazione degli Orientali in Perù, quel quotidiano, seguendo l’usanza del Governo Supremo, impiegava la parola “chino” e l’espressione “colono chino” per esprimere chiaramente due diverse concetti.

     Un “colono chino” era un “emigrante cinese”, introdotto in Perù sulle “coolie ships,” ed impiegato, non solo nelle Isole del guano, ma anche per progetti nazionali a Lima e nell’entroterra, o presso persone private sparse qua e là per il Paese.   Dall’altro canto, un “chino” era, sebbene “in servitù,” un cittadino peruviano, essendo nato e cresciuto nella Repubblica [10].

      Il Sig. RIN non accetta la definizione della parola “chino” data dal Ministro statunitense il 24 agosto 1840 (nel suo articolo, non accenna a questa mia precisa scoperta), preferendo la spiegazione del Console peruviano a Milano nel 1999, che diceva che la parola “chino” in Perù è stata sempre usata come “cinese” nella sua più stretta e pura definizione castigliana, e che, per parlare invece di un meticcio peruviano, si è sempre usato la parola “zambo.”

      ‘E vero che la parola, “zambo” appare sulla lista del Ministro statunitense; ma non si può facilmente scartare la parola “chino” e la sua valida definizione.   Il Ministro americano ovviamente scriveva le sue osservazioni sul Perù dei suoi giorni, dove aveva anche validi collaboratori locali.   Il Console a Milano può anche aver ragione, ma 160 anni sono passati da quando il Ministro statunitense stilò il suo rapporto.   Nel arco di un secolo e mezzo, parole possono cambiare radicalmente, il loro uso e definizione, anche nel loro Paese di origine.

     La mia teoria è semplicemente spiegata.   Resto convinto che Denegri ingaggiò a bordo del suo vascello marinai “chinos,” cittadini peruviani, economicamente meno costosi, e che, il Vecchi, sentendo quella parola da Denegri nel 1865, fraintese tutto, intendendo “cinesi” per “chinos”.   Un spiacevole malinteso linguistico.

 

PUNTO QUINTO:

     Contando meticolosamente i giorni da quando Garibaldi assunse il comando della Carmen e la data della sua partenza per l’Oriente – 15 ottobre 1851–10 gennaio 1852, cioè 87 giorni – il Sig. RIN dichiara: la parola “sempre” nella dichiarazione di Denegri deve per forza appartenere a quel preciso periodo, un tempo abbastanza lungo per permettere al Capitano Garibaldi di fare parecchi viaggi da Callao alle Isole di guano, Las Chinchas, e portare lì in schiavitù molti diverse carichi di cinesi.

     Se, invece di impostare il suo discorso rancoroso per Garibaldi, il Sig. RIN avesse fatto un po’

più di ricerca negli Archivi di Stato di Palermo e di Torino; se si fosse preso la briga di procurarsi copie de El Comercio (in microfilm) per controllare i movimenti giornalieri delle navi nel porto di Callao; se avesse cercato il bel tomo di Curatolo sugli albori del Risorgimento; se avesse raccolto i suoi fatti con più cura ed attenzione: in breve, se avesse fatto il suo lavoro in questo campo come io ho fatto il mio faticosamente in tutti questi anni, il nostro Sig. RIN avrebbe evitato di mostrare la sua scarsa conoscenza di questo periodo della vita di Garibaldi in America Latina.

a)           All’Archivio di Stato di Palermo è conservato una copia – scritta a mano da Garibaldi – del suo giornale di bordo mentre comandava El Carmen sulle coste del Perù.   In quel documento si legge che il viaggio alle Chinchas per caricare il guano per la Cina durò dal  1° novembre al 24 novembre 1851.   Dopo questa seconda data, Garibaldi ancorò la nave nella rada di Callao fino al 7 gennaio 1852, quando rientrò nel porto per prepararsi per il viaggio in Oriente [11].

b)           All’Archivio di Stato di Torino si trova la documentazione ufficiale del Consolato Generale del Regno di Sardegna a Lima che copre il periodo dal 1840 al 1859 [12].   Quando Garibaldi arrivò in Perù, il Console Generale era tale Giuseppe Canevaro, ambizioso commerciante, ardente monarchico e fervente nemico dei Repubblicani (quali Garibaldi, reduce dalla fallita Repubblica Romana).   Nei riguardi di Garibaldi, Canevaro era freddo e sospettoso: infatti, per sapere tutto sulle attività del suo scomodo connazionale e poter poi informare il Ministro degli Esteri a Torino, Canevaro fece anche uso di una spia.   (Lo scrive egli stesso, in un suo dispaccio inviato a Torino! [13]).   Pertanto: in tutta quella corrispondenza riguardante le attività, i movimenti e gli spostamenti di Garibaldi in Perù, non c’è menzione alcuna di un coinvolgimento dello stesso nel traffico di schiavi cinesi.   (Se così fosse stato, Canevaro sarebbe stato il primo a denunciare Garibaldi alle Autorità di Torino!)

c)           Il quotidiano di Lima, El Comercio, era controllato dal Supremo Governo dell’epoca.   Fedelmente, esso doveva riportare e pubblicare le notizie fornitegli giornalmente dall’Ufficio portuale di Callao.   El Comercio dà una sola partenza da Callao a Las Chinchas per la nave El Carmen, in data 1° novembre 1851.   Dopo il ritorno del vascello da quelle Isole, non furono registrate nè pubblicate notizie di altri viaggi in quella direzione.

d)           Curatolo ci fornisce altre informazioni tramite la sua preziosa collezione di documenti ufficiali dell’Autorità portuale di Callao.

     In breve: Denegri ed il suo socio Dr. David Solari comprarono la nave El Carmen a San Francisco di California poco prima dell’arrivo di Garibaldi in Perù [14].   Dopo l’arrivo della nave ed il suo ancoraggio nel porto di Callao [15], Denegri dovette preparare e presentare tutta la documentazione necessaria per sbrigare la sua ufficiale registrazione come nave nazionale peruviana [16].

     Per la partenza per Las Chinchas, il 1°novembre 1851, Denegri, non avendo completato l’iter burocratico per la sua nave, dovette chiedere ed ottenere una speciale licenza  dall’Autorità del Porto di Callao.   Dalla documentazione che abbiamo a nostra disposizione, non risulta che altre licenze siano state chieste nè concesse per altri viaggi a Las Chinchas.   Le difficoltà per la corretta registrazione ritardarono la partenza della nave dal porto di Callao e dalle acque territoriali di Perù fino alla prima decade dell’ anno 1852.

     Due altri problemi ritardarono la partenza per l’Oriente, sebbene l’odoroso carico di guano attendeva insaccato nella stiva della nave.   Garibaldi, per poter adempiere i suoi doveri di Capitano di lungo corso peruviano, dovette rimanere nelle acque territoriali della Repubblica per tre mese dopo la sua iniziale registrazione nella matricola navale di Callao.   Un documento fornitoci da Curatolo lo dimostra: il certificato rilasciato a Garibaldi dall’Autorità portuale di Callao dice chiaramente che egli deve presentarsi all’Ufficio dell’Autorità “cada tres meses” per aggiungere al certificato di matricola la sua firma e per farlo controfirmare.  

     L’altra problema si presentò presto dopo il 15 ottobre 1851: la nave, chiaramente non nuova, aveva bisogno di molti riparazioni prima di affrontare la lunga traversata del Pacifico.   La nave aveva fatto cabotaggio lungo le coste delle Americhe prima di arrivare in Perù; pertanto poteva anche affrontare il breve viaggio alle Chinchas e ritorno; ma prima di affrontare l’Oceano Pacifico ed i mari dell’Est, doveva essere ben riparata.   Esiste una lista, scritta da Garibaldi, degli attrezzi che gli necessitarono sulla Carmen prima della partenza.   Fra le cose elencate, scrisse che voleva due gatti a bordo: ovviamente anche per loro sul vecchio brigantino c’era un lavoro nobile da fare! [17].

     e)    Altro:     Il Sig. RIN, nella sua presentazione di opinioni personali (e non fatti) su questi 87 giorni, trascura altri eventi, di notevole importanza.   Perché non accenna al famoso

           “affare Ledos”? [18].

                 Dopo il suo rientro nel porto di Callao, Garibaldi fu invitato al matrimonio di Rocco Pratolongo, il 28 novembre 1851, dove ebbe uno scontro verbale con lo sciovinista (come lo chiama Garibaldi, nelle sue Memorie) francese, Charles Ledos.   Il 5 dicembre 1851 avvenne il suo scontro fisico con Ledos, che fu un grande scandalo a Lima (ampliamente descritto nelle Memorie, e in tutti i libri che trattono questo periodo della residenza di Garibaldi in Perù: libri ovviamente sconosciuti al Sig. RIN).

                 Per motivi di lavoro – poiché doveva preparare la nave per il viaggio – e per non stare a bordo nella rada di Callao, subito dopo il suo rientro da Las Chinchas Garibaldi affittò una casa, con giardino, a Callao [19].   Oggi, sulla facciata di quella casa, c’è una lapide che commemora la di lui presenza in quella casa, murata nel centenario della sua nascita, 1907, dalla comunità italiana in Perù [20].   Ogni giorno andava al porto per vedere se c’erano navi italiane in arrivo, e per incontrare i membri dei loro equipaggi, onde avere notizie dei movimenti politici e sociali dalla sua amata Italia.   Così, all’inizio di dicembre 1851, all’arrivo della nave Distruzione da Genova, incontrò il Capitano Giacomo Delgrado e due dei suoi passeggeri, giovani impiegati del nuovo Consolato Generale del Regno Sardo di San Francisco in California [21].   Garibaldi e Delgrado si incontravano quasi giornalmente, gioccando a boccie e andando per mare fra le navi in arrivo, per socializzare con le ciurme ed avere notizie sia europee che italiane.  

                  Per conto del Denegri, il 17 dicembre 1851 arrivò la Petronilla, capitanata da Giuseppe Graffigna [22], che, conoscendo Garibaldi, gli fece la domanda: “Generale, ma è possibile di fare un libro con tutto ciò che ha fatto Mazzini?” [23].

                 Nel dicembre del 1851, Garibaldi organizzò due ricevimenti a Callao (uno sulla Carmen, l’altro a casa sua), per festeggiare il fallimento del colpo di stato organizzato a Lima dal Generale San Roman (9 dicembre 1851) [24].

                 Qui, apriamo una parentesi.   Il Sig. RIN deve accettare la correzione su due punti.

                 Circa il viaggio che Garibaldi fece fra Canton e le Filippine, il Sig. RIN dichiara che “il viaggio non fu programmato,” e che Garibaldi disonestamente fece un commercio illecito senza il permesso o la conoscenza di Denegri, solo per arricchire le sue tasche.

                 Garibaldi nelle sue Memorie fu piuttosto vago su questo viaggio, probabilmente dovuto alla fretta per stilare quella parte della sua autobiografia.   Il quotidiano di Lima, El Commercio, del 17 dicembre 1851 dice:

                  “Avisos Maritimos.   PARA MANILA Y CANTON.   Saldrà a fines del presente mes sin falda la Hermosa barca nacional “CARMEN”, su Capitan José Garibaldi, para flete liviano ó pasaje veanse con Pedro Denegri, Calle del Arzobispo.[25].

                  Chiaramente, il viaggio alle Filippine faceva parte del programma di Denegri; inoltre, faceva anche parte delle intese fra Denegri ed il suo consocio in Cina, il Sig. Frederick A. King.   Il Sig. King mandò Garibaldi a Manila, come si può leggere sul quotidiano di Hong Kong, il China mail del 29 luglio 1852, su cui si legge che la Carmen salpò da Canton con un carico di mercanzie varie (“sundries”) precisamente per ordine di KING e CO.

                 Anche nel suo articolo, il giornalista RIN dichiara che, per comprare parte dell’Isola di Caprera, nel 1856, Garibaldi usò i soldi guadagnati dalle sue attività schiavistiche.

                 I fatti sono diversi.

                 Nel novembre 1855 morì il fratello più giovane di Giuseppe, Felice Garibaldi, scapolo.   Essendo egli stato un uomo d’affari di successo a Napoli ed Ancona, lasciò ai suoi fratelli, Giuseppe e Michele, un’eredità notevole, 35,000 lire ciascuno.   Questa somma l’aiutò molto nell’acquisto di Caprera, effettuato qualche mese dopo [26].

                                                                                   ***

                 Come già dimostrato, la trasparenza dell’argomentazione del Sig. RIN è assai sorprendente, come la superficialità della sua ricerca.   Non potendo accennare alla Lista delle navi che portavano “los Colonos Chinos,”  i Tedeschi e gli Irlandesi in Perù, che ho trovato fra le carte del Parlamento peruviano del 1853, egli cerca di inventare un altro modo di interpretare il “sempre” di Denegri.   Ma, la sua argomentazione circa quel “sempre”, contando 87 giorni, ed aggiungendo ad essi numerosi viaggi di andata e ritorno da Callao e Las Chinchas con poveri schiavi a bordo, non regge al confronto della varia documentazione che ho trovato in materia.  

                 Un’altra interpretazione della stessa ci viene da Fortini.   Cinquant’anni fa, Pino Fortini pubblicò il suo “Giuseppe Garibaldi: marinaro mercantile” [27], in cui sosteneva la teoria schiavistica con parole di sfida: la storia dei cinesi a bordo del Carmen, scriveva, “non era stata mai, e da nessuno contestata.”   (‘E vero!   Io, negli anni 80, oltre trenta anni dopo Fortini, sono stato il primo ad avanzare dei dubbi e pubblicare una nuova documentazione in merito).

                 Fortini asserì, nel suo ragionamento, che Garibaldi fece solo un viaggio dalla Cina in Perù e quindi una sola introduzione di schiavi cinesi.   Pertanto, Fortini suggerì ai futuri storici e ricercatori di togliere la parola “sempre” dal discorso di Denegri, perché non creava altro che confusione.

                  L’aver menzionato Fortini mi porta alla constatazione che il Sig. RIN ha preso due frasi dal mio articolo del 1998 e le ha messe insieme per dimostrare l’incoerenza del mio ragionamento.

Le mie due frasi sono: “Noi non possiamo né dobbiamo togliere niente dalla dichiarazione di Denegri” e “La frase di Vecchi è solo un lamentevole frainteso linguistico.”

La mancanza di coerenza non è mia, ma è dovuta alla malafede del Sig. RIN.   Quella prima frase è presa dalla mia argomentazione su Fortini ed il desiderio dello stesso Fortini di togliere quella parola “sempre”.   La seconda frase è presa dalla fine dello stesso mio articolo in cui spiego la mia teoria.

Per la prima frase, io dissi: non accetto – e nessun altro ricercatore potrebbe accettare – quell’invito di Fortini di togliere la parola “sempre”.   La dichiarazione di Denegri deve rimanere esattamente così com’è.   L’onestà della ricerca non permette di manomettere alcun testo solo per esigenze proprie.   Nella ricerca seria, prudente ed onesta, le fonti vengono sempre rispettate, anche quando non sono confacenti alle aspettative del ricercatore.

Garibaldi lavorò per Denegri per due anni e quindici giorni - e precisamente dal            15 ottobre 1851 fino al 31 ottobre 1853 [28].   Durante quel periodo comandò la Carmen sui mari del Perù e della Cina, attraversando il Pacifico e ritornando attraverso gli Oceani Indiano ed Australe.   Raddoppiò il Capo Horn in pieno inverno e navigò fino a Boston e New York.   Un’impegno che ben merita la parola di Denegri, “sempre.”   Dato che era un capitano disciplinato trattava gli uomini della sua ciurma, incluso “los chinos peruanos”, “da uomini e non come bestie.”   “Mai una parola di marinaio contro di lui,” aggiunse Denegri, che come vecchio armatore, sapeva molto bene quello che diceva.   Fu il giovane Vecchi che fraintese tutto, come ho scritto nella frase conclusiva del mio articolo.

 

PUNTO SESTO:

                  E cosa fu il malinteso del giovane Vecchi?

      Nel 1865, Vecchi, ventiduenne, facendo la sua “Naia” su una nave da guerra del Regno d’Italia, andò in America del Sud [29].   Egli visitò Valparaiso e Lima (Callao).   A Lima, portando con se una lettera di presentazione scritta da Garibaldi [30], fu spesso ospite gradito nella casa di Don Pedro Denegri.

     Si sa che egli parlava molto ben oltre al suo nativo italiano, anche il francese; a stento parlava e capiva lo spagnolo (castigliano).   Una sera, mentre si trovava a Valparaiso, ebbe un “flirt” marinaresco con una bella ragazza del luogo – ma, mentre lei rispondeva alle sue attenzioni in castigliano puro, egli faticava facendo la sua “corte” in francese.   Un “flirt che non andò in porto! [31]   (Il figlio del vecchio Console Generale Canevaro, Felice Napoleone Canevaro, anch’egli a bordo della stessa fregata militare, sebbene fosse nato a Lima, si trovò in difficoltà parlando con “los hijos” di quella costa, avendo fatto i suoi studi in Svizzera ed Italia) [32].

     All’arrivo a Callao-Lima, Vecchi visitò Denegri.   Nel suo libro, scritto 33 anni dopo, ricordando quella calorosa accoglienza e quelle giovanile conversazioni in Casa Denegri, scrisse: “[Alla] tavola di Don Pedro De Negri [sic], cui erano assisi a mensa tutti i suoi commessi, […] l’idioma era un conglomerato di genovese e del casigliano speciale del lido Pacifico…” [33].

     Perché era “speciale”?   In quella società, fra gli impiegati ed i familiari di Denegri, si parlava uno spagnolo che conteneva parole ed espressioni della lingua Quechua, la lingua antica degli Incas.    (Anche oggi Quechua è una delle tre lingue ufficiali del Perù).

     Denegri lasciò la sua nativa Liguria da oltre 33 anni [34], abbastanza tempo perché il suo italiano-genovese subisse mutamenti, come succede in tutto il mondo quando gli emigranti con poca istruzione scolastica vanno all’estero.

     In quel ambiente linguistico “speciale” – questo è il nocciolo della mia teoria – Vecchi, parlando di Garibaldi quale comandante del brigantino El Carmen e sentendo che lo stesso Garibaldi aveva trattato le persone a bordo del vascello, includendo “los chinos peruanos,” con umanità, ha interpretato male quello che ha sentito.

 

                                                             *   *   *

 

     Per l’evidenza di questi fatti, tocca ora al Sig. RIN con gli altri produrre la loro documentazione per smontare la mia ricerca.    

 

 

 

 

 

 

 

 

APPENDICE N.° 1:

     Notizia dal quotidiano di Lima, El Commercio, 25 gennaio 1853, p. 2, col. 1 – cioé il giorno dopo l’arrivo di Garibaldi nel Porto di Callao dalla Cina, con merce già venduta alla Casa commerciale A. Zaracondegai e Co., di Lima:

 

Efectos vedidos per la barca peruana Carmen, procedente de Canton – A Zaracondegai y Ca.

 

532 quintales   de   alumbre,

585 idem       idem    cera

200 idem       idem    cola

6000 cajones idem cobetes

1086 rollos    idem  petate

4 cajones       idem  esencia de anis

30 idem              idem

15000 g[rue]sas bottones concha de perla

6 juegos idem con 12 juegos mesitas para te,

6 cajones id.

6 silletas poltronas

22 idem     idem

11  meses     de    comer

500 juegos idem baules

12 sofas de muelle

24 roperos de alcanfor

66 quintales canela

849   idem   Jarcia

150,000 cigarros

6,000 peyayitos de Manila,

425 cajones de té con 12,200 libras

51     idem con 1,816 panuelos vapor bordados

12     idem           608    idem      idem   llanos

2       idem            51 docenas panuelos tafetan,

6       idem          129    idem   cenidores vapor,

8       idem          250 piezas raso,

2       idem          101 docenas panuelos pongues,

2       idem            26 piezas brocatel,

12     idem          402 panuelos de chapa,

1       idem           26 libras de seda,

4       idem         104docenas corbatas de lastrin,

4       idem         101  idem       idem      raso

12     idem         602 panuelos levantina

1       idem           25 piezas raso de dos colores,

2       idem           52  idem     tafetan

1       idem             9  raso de panquin.

 

 

 

APPENDICE N. 2:

 

Appendice n.° 16 della Memoria que presenta a las camaras de 1853, pubblicata in Lima dalla Tipografia dello Stato, E. Aranda, 1853.

Una copia si trova: UNITED STATES OF AMERICA, National Archives, Washington

D. C.: Dispatches from United States Ministers to Peru, Microfilm T52, n.° 9: Dispatches from 3 November 1851 to 18 August 1853, fotogramma n.° 0567.

 

REPUBLICA PERUANA. MINISTERO DE GOBIERNO Y RELACIONES EXTERIORES.

 

     Estado General que manifesta el numero de colonos que se han introducido a la Republica desde Junio 26 de 1850 hasta Julio de 1853

 

Años Meses  Dias  Clases  Nacion del buque  Nombres  Consignatarios   Procedencia  Total Colonos

 

1850   Junio    26    Fragata         Inglesa      Lady Montaga [35]  Sevilla [36]  Canton        Chinos 202

1850 Nov.bre  12    Barca           Peruana         Empresa              Idem       China y Payta      Idem 252

1851    Junio     1°. Fragata          Inglesa          Mariner               Idem             Macao           Idem 392

1851    Junio   17    Fragata        Francesa          Orixa                  Idem             Oahiti             Idem 92

1851     Junio   28   Fragata          Inglesa       Coromandel           Idem        Hong Kong        Idem 384

1851 Diciemb.  8    Fragata        Bremense        Paulina             Rodolfo       Bremen     Alemanes 180

1851     Junio   20    Fragata         Inglesa           Louisa                Idem          Londres    Irlandeses 170

1851 Diciemb. 17    Fragata       Bremense          Julie                  Idem         Bremen     Alemanes 212

1852  Febrero  15     Barca         Bremense          Ohio                 Idem            Idem              Idem 250

1852  Febrero  16    Fragata          Inglesa        Loosthank            Idem           Londres   Irlandeses 150

1852  Febrero  24    Fragata       Bremense         Europa               Idem         Bremen     Alemanes 133

1852   Marzo   27     Barca        Bremense       Mississippi           Idem         Bremen             Idem 321

1852   Junio    15     Barca           Inglesa         Susanah [35]        Sevilla      China y Islay  Chinos 216

1853   Mayo    14    Fragata         Inglesa      Eliza Morrison         Idem           China             Idem 401

1853   Mayo    25    Barca     N. Americana        Ohio              Ugarte [36]  China y Arica    Idem 195

1853   Junio      5    Barca          Peruana       Isabel Quintana      Sevilla         Canton            Idem 220

1853   Julio      5    Bergent.      Mejicana            Iaqui                Ugarte      Canton y Arica   Idem 162

 

Resumen Jeneral: Chinos 2516: Irlandeses 320; Alemanes 1096:   Toral 3932.

Segun queda demostrado, se verà que han llegado à este puerto desde 26 de Junio de 1850 hasta Julio 5 de 1853 Tres mil novecientos trienta y dos Colonos en diez y siete buques.

 

                                                                                 [Firmado] PEDRO JOSÉ CARRENO.

 

 

 

NOTE AL MIO SAGGIO:

 

 

 

    1. Il Sig. RIN mi critica aspramente perché scrivo VECCHI e non VECCHJ, con la “i” e non con la “j”.   Sebbene Vittorio Augusto avrebbe preferito il secondo modo, io uso il primo.   Garibaldi, che ebbe una stretta amicizia con la famiglia Vecchi, specialmente con il padre di Vittorio Augusto, combattenti insieme per la difesa di Roma nel 1849, non usò mai la finale “j” e scriveva sempre VECCHI (come si può verificare su ogni volume dell’Epistolario di Garibaldi, dal Vol. 11 al Vol. X, pubblicato dall’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Roma).

Trovo anche che DENIS MACK SMITH nel suo “Garibaldi:una grande vita in breve,” Bari, Editori Laterza, 1970; GEORGE MACAULAY TREVELYAN nel suo “Garibaldi and the Thousand: May 1860,” London, Thomas Nelson and Sons, 1921; INDRO MONTANELLI e MARCO NOZZA nel loro “Garibaldi,” Milano, Rizzoli, 1962; MAX GALLO nel suo “Garibaldi: la forza di un destino,” Milano, Rusconi, 1982, e persino LORENZO DEL BOCA nel suo “Maledetti Savoia,” Casale Monferrato, Piemme, 1998 (dove, sfortunatamente, scrive “Carlo” invece di “Candido Augusto Vecchi”), evitano usare la finale “j”.

Inoltre: il padre di Vittorio Augusto, Candido Augusto, si firmava “VECCHI” quando pubblicò il suo importante libro “Garibaldi e Caprera” nel 1862, dopo avere servito Garibaldi come segretario privato a Caprera negli anni precedenti.

      2.   BIBLIOTECA CIVICA “ANGELO MAI”, Bergamo: Archivio Camozzi, faldone

            112 (F7.16) 2-21; oppure, vedi G. ANTONUCCI, Sul secondo esilio di Garibaldi, in

            Bergomum, ottobre 1941, p. 16: lettere di Francesco Carpaneto, datate 8 novembre     

            1851, e 5 febbraio 1852.

     3.    GIUSEPPE GUERZONI, Garibaldi, Firenze, G. Barbera, 1882, vol. 1 (1807-1859),                                                     

            pp. 397-400.   Vedi anche GIUSEPPE GARIBALDI, Le memorie … nella redazione

            definitiva del 1872, Bologna, 1932, cap. X del 2° Periodo: Esiglio.

4.      El Commercio, Lima, 25 gennaio 1853, p. 2, col. 2.

5.      GIACOMO EMILIO CURATOLO, Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della Patria: documenti inediti, Bologna, Zanichelli, 1911, p. 10.

6.      Vedi Appendice n.° 1 di questo articolo.   Anche, il MUSEO CENTRALE   

DEL RISORGIMENTO, ROMA  [in seguito, MCRR], busta 48/9 (3).

7.   Vedi Appendice n.° 2 di questo articolo.

8.      G.E. CURATOLO, Ivi, pp. 9-12, e 28.

9.       UNITED STATES OF AMERICA. National Archives, Washington, D.C.: Dispatches from United States Ministers to Peru, Microfilm T52, reel n.° 5: Dispatches from 18th June 1836 to 17th February 1841: photogram n.° 0362.

‘E interessante questa dichiarazione, nella scelta della parola “slaves,” schiavi.   Nelle due Costituzioni peruviane, del 1828 e del 1834, si legge che “nessuno nel territorio della  Repubblica può nascere schiavo,” e che quelli che venivano introdotti nel Paese in quella condizione subito avevano pieno diritto alla libertà – “Nadie nasce esclavo en el territorio de la República ni entra ninguno de fuera que no sea libre.”   La Costituzione del 1839 era valida quando il diplomatico americano scrisse quel rapporto (ed anche quando, nel 1851, Garibaldi giunse al Perù); in Essa, mentre veniva riaffermata la prima norma sopraccitata, veniva ometteva la seconda, così tacitamente Essa permetteva certe forme di schiavitù nella Repubblica.   Costituzionalmente nessun cittadino peruviano poteva essere classificato, venduto, comprato o usato come schiavo – e, perciò, nessun “mulatto, zambo, o chino” poteva essere considerato tale, essendo un cittadino nato nella Repubblica – e probabil-mente la parola usata dal Ministro statunitense dovrebbe essere interpretata come riferentesi a quelli impiegati nel Paese quali domestici, servi e braccianti agricoli, tutti impiegati nei lavori umili e certe volte anche umilianti.   I Cinesi, invece, che venivano introdotti al Paese dopo il 1839, non erano protetti dalla Costituzione di quell’anno.   (Vedi JOSE PAREJA PAZ-SOLDAN, Las constituciones del Peru (exposición, critica y textos), Madrid, Ediciones Cultura Hispanica, 1954, (vol n.° 6 nella serie Las constituciones Hispanoamericanas), pp. 209 e 210; e, per gli articoli relativi nelle tre Costituzioni: per 1828, pp. 508 e 535; per 1834, pp. 544 e 571; e per 1839, pp. 616 e 644).   

10.  ‘E interessante leggere quello che scrisse il Console britannico a Lima, John Barton, in data 10 giugno 1852:   “The Peruvian Govt. have for some time encouraged the importation of Chinese Immigrants […] and a considerable number are now to be found in this City & neighbourhood as domestic and agricultural labourers.”  (PUBLIC RECORD OFFICE [in seguito PRO], Foreign Office file [F.O.] 177/n.°52). 

      C’è anche un dispaccio del Console Generale del Regno di Sardegna, Giuseppe

      Canevaro, in cui si legge che parecchi cinesi arrivati in Perù venivano impiegati

      come contadini dai locali proprietari terrieri (vedi ARCHIVIO DI STATO DI

      TORINO [in seguito AST], Consolati nazionali: Lima, fasc. 1850-1853: dispaccio

      del 10 agosto 1852).              

                  11. ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO, Autografo di G. Garibaldi

             E G. Basso, anni 1850-1856.   Giornale di bordo del bastimento Giorgia e del  

             Brigantino Carmen ecc., Misc. Arch. 1 n.° 202.

12.  AST., Consolati nazionali: Lima, fasc. 1850-1853, cit.

13.  AST., Ivi, dispaccio datato 8 ottobre 1851.

14.  AST., Ivi,  dispaccio datato 8 novembre 1851: “Intanto nell’interesse delle parti il […] Sig. Dr. Solari fece dal Sig. Pietro Denegri venisse dato a comandare al Garibaldi un barco […] comprato in San Francisco di California…”

15.  Circa l’arrivo della Carmen dall’America del Nord al porto di Callao, il 6 settembre 1851, vedi El Commercio: 9 settembre 1851, p. 2.

16.  Vedi G. E. CURATOLO, cit.

17.  MCRR, busta 932/8: Quaderno di appunti nautici di Garibaldi, pagina non numerata.

18.  G. GARIBALDI, Le memorie, cit.   AST, Consolati nazionali: Lima, cit.   El Commercio dopo il 5 dicembre 1851.

19.  NINO BARAZZONI scrisse “Garibaldi a Lima,” che si trova nel libro di EMILIO SEQUI – ENRICO CALCAGNOLI, “La vita italiana nella Repubblica di Perù. Storia. Statistica. Biografia,” Lima, “La Voce d’Italia,” 1911, pp. 141-151.

20.  Vedi GIOVANNI BATTISTA GASTALDI, “I miei ricordi,” al MCRR, busta 410/61, p. 2.

21.  Notizia dell’arrivo della Distruzione a Callao: El Commercio del 5 dicembre 1851.   A bordo c’erano Giuseppe Del Grandi e AlessandroGarbi, impiegati del Consolato Generale del Regno Sardo a San Francisco in California, che sarebbe stato aperto al loro arrivo.

22.  Il Capitano Giuseppe Graffigna  della nave “Petronilla” arrivò a Callao il 17 dicembre 1851 (El Commercio).   Giuseppe Graffigna non dev’essere confuso – come molti hanno fatto in passato – con il Capitano Antonio Graffigna, militare, nella difesa di Roma nel 1849.

23.  Vedi GIUSEPPE GARIBALDI, Scritti e discorsi politici e militari, Ed. naz., vol. vi, p. 580.

24.  Circa la descrizione fatta dal Console Generale Canevaro di queste “orgie”: vedi il suo dispacco all’AST, Lima, Ivi, datato 8 febbraio 1852.

25.  AVVISO MARITTIMO.   PER MANILA E CANTON.   Partirà alla fine del corrente mese senza fallo la bella barca nazionale “Carmen”, comandata dal Capitano Giuseppe Garibaldi.   Per carico leggero o passaggio, rivolgersi a Pedro Denegri, Calle del Arzobispo [Lima].

26.  Vedi Giuseppe GARIBALDI, Epistolario, vol III (1850-1858), a cura di Giancarlo Giordano, [Roma], Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, p. 114: lettera n.° 821, datata da Nizza, 14 novembre 1855, al suo fratello, Michele, circa la morte del fratello Felice il 12 novembre 1855.  

      MAX GALLO, Garibaldi…, Ivi, scrisse (p. 228): “… il fratello Felice […] gli

      lascia trentacinque mila lire.   Un arretrato di paga da capitano aggiunge a quella

      somma, notevole per l’epoca, venticinque mila lire.   […]   Garibaldi dispone d’un

      capitale per la prima volta in vita sua.”

Ritorniamo all’Epistolario: pagina 119: nella lettera n.° 828, datata da Nizza il 29 novembre 1855, all’amico Felice Origoni, Garibaldi annunciò: “…penso di fare una passeggiata in Sardegna a vedere come stanno le beccaccie.”   Seguì, come si sa, la compravendita della proprietà a Caprera.

27.  PINO FORTINI, Giuseppe Garibaldi: marinaro mercantile (Pagine di storia marinara), Roma, Corvo, 1950.   Vedi pp. 142-144 su questo argomento.

28.  MCRR, Archivio Garibaldi, busta 47, cartella 14 fra una serie di Conti, note e ricevute, ecc.

29.  V.A. VECCHI, Memorie di un luogotenente di vascello, Roma, Enrico Voghera, 1897, pp. 246-247 e 266.   Per la paginazione, uso la Seconda edizione.

30.  Ivi, p. 247

31.  Ivi, p. 244.   Vedi anche, V.A. VECCHI, Bozzetti di mare, Genova, Tipografia del R. Istituto de’ Sordi-muti, 1880, pp. 169-198 (mi riferisco alla Terza edizione).

32.  V.A. VECCHI, Memorie…, pp. 243-244.   Felice Napoleon Canevaro, nato a Lima il 7 luglio 1838, studiò più tardi al Regio Collegio di Marina, Genova;  poì diventò capitano sotto Garibaldi, poì vice-ammiraglio e senatore, conte di Santandero e duca di Zoagli (il paese natale del padre).   Informazioni sulla vita di F. N. Canevaro si trova nel Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 18, pp. 68-70, e negli Elenchi storici e statistici dei Senatori del Regno dal 1848 al 1° gennaio 1940-XVIII, Roma, Segretariato generale del Senato, 1940-XVIII, p. 88, n. 406.   Vedi anche AST, Lima, cit., fasc. 1850-1854, dispacci datati 10 febbraio 1850 e 22 gennaio 1854; e fasc. 1855-1859, dispacci del 26 luglio 1857 e dell’11 aprile 1858.

33.  V. A. VECCHI, Memorie…, p. 266.

34.  AST, Consolati nazionali: Lima: fasc. 1840-1844: dispaccio datato 7 giugno 1844: “Denegri Pietro, nativo di Casella, Provincia e Ducato di Genova, commerciante in Lima, da dodici anni e più assente dal luogo di sua nascita, ammogliato con famiglia…

35.  I nomi corretti di questi vascelli erano “Lady Montague” e “Susannah.”

36.  Nell’anno del viaggio di Garibaldi in Cina, il commercio peruviano dei “coolies” era nelle mani di tale Don Domingo Elias, potente membro della classe politica e sociale di Lima.   I suoi agenti in Cina erano J. Sevilla con tale Ugarte, che operavano nel porto minore di Cumsingmoon sull’estuario del Fiume Pearl (chiamato anche il Fiume di Canton).   Sevilla era l’incaricato delle navi (le “coolie ships”) che trasportavano i “colonos cinos” in Perù.   Nel Public Record Office di Kew, Londra, c’è una copia di un Contratto, scritto in lingua spagnola, che il suddetto Sevilla stipulò per l’invio del vascello inglese “Susannah”, datato 25 gennaio 1852; vedi PRO, F.O. 61/134, pp. 88 e 90.

Durante il periodo che Garibaldi lavorò per Denegri, lo stesso Denegri non partecipava nel commercio di schiavi cinesi.   L’agente di Denegri in Cina era un americano, Frederick A. King.   Garibaldi lavorò sempre con, e sotto gli ordini, di KING e CO., e non con Sevilla.