IL VENERDÌ di Repubblica

Günter e i suoi fratelli. La Germania costretta a fare i conti con la storia

La confessione choc del premio Nobel continua a far discutere. Ma non è la prima volta che le ombre del nazismo riaffiorano nell’intellighenzia tedesca

dal corrispondente Andrea Tarquini

 

BERLINO. È il più famoso, il suo scandalo è quello che ha fatto più sensazione. Ma non è stato il solo. Nella sua scelta di confessare troppo tardi, dopo sessant'anni di silenzio, il suo passato nelle Waffen-SS, Günter Grass è in buona compagnia. Dopo il '45, entrambi gli Stati tedeschi riciclarono ex nazisti. Nell'amministrazione, nell'economia, e in Ddr anche in polizia e forze armate. Si sapeva. Ma nel mondo della cultura, la lista è impressionante. Un flash-back, aiuta forse a inquadrare meglio l'affaire Grass nel suo contesto. Un grande scalpore fece nel 2003, quando fu pubblicato lo Internationales Germanistenlexikon 1800 bis 1950. Cioè la guida a tutti i grandi nomi della letteratura tedesca in un secolo e mezzo. Emerse, ricordava l'altro giorno Die Welt, che ben cento illustri scrittori, docenti, critici avevano un passato di compromessi con il Terzo Reich. Compresi molti che divennero poi vip della cultura dopo la fine della guerra. Una carrellata affascinante. Ecco Walter Höllerer, letterato e studioso di spicco. Fu il fondatore, nel dopo guerra democratico, del Literarisches Colloquium Berlin, uno dei più prestigiosi circoli di dibattito letterario. E in piena guerra fredda, si schierò a sinistra senza dubbi né riserve. Negli anni 80, fu un elemento trainante delle mobilitazioni contro i missili a testata atomica e medio raggio Cruise e Pershing 2. Guidò anche le proteste contro la costruzione di un sito per il reprocessing del combustibile nucleare usato dalle centrali atomiche civili. Con il Germanistenlexikon, si venne a sapere che ebbe in tasca al tempo giusto la tessera del Partito nazista (Nsdap). Un caso ancor più clamoroso fu quello di Walter Jens, uno del più Importanti pensatori del dopoguerra democratico dell'Ovest. Era accusato e sospettato da anni, ma negava di aver mai avuto a che fare con il regime. Finché, mal gliene incolse, un gruppo di reporter andarono a curiosare nei vecchi archivi della Nsdap, il partito nazionalsocialista. E scoprirono la sua scheda di iscritto. Mi scuso, mi vergogno, sono pentito, fu un errore di gioventù. Di solito la musica era sempre quella. Più originale, ai limiti del senso dell'umorismo imprevedibile, fu l'autodifesa di Peter Wapnewski, fondatore e rettore del Collegio scientifico di Berlino. «Oddio, è vero, ma lo avevo proprio dimenticato di essere stato iscritto al partito nazista. È vero, sarebbe stato tutto molto più facile se io e Walter Jens, già vent'anni fa, ci fossimo decisi a dire "Sì, eravamo stati Parteigenossen"». Uno sbaglio da perdonare, un errore di gioventù. Dimenticate, vi preghiamo, quell'esultanza da adolescenti per i trionfi della Wehrmacht in Europa, il delirio da concerto rock quando i cinegiornali trasmettevano filmati degli Stukas in picchiata su Rotterdam, Coventry, Varsavia. Guarda caso, allora ci fu un grande della letteratura che alzò la sua voce già autorevole in difesa dei colleghi smascherati. Günter Grass, manco a dirlo. «Il Premio Nobel» annunciò laconico un dispaccio d'agenzia, «ha difeso gli intellettuali criticati. Non è con rivelazioni di questo tipo che si può stroncare una vita e una carriera nella cultura». Chissà se nel suo animo si scatenò la tempesta del senso di colpa e del rimorso, come ha poi scritto nell'ultimo libro (Sbucciando le cipolle, l'autobiografia della terribile confessione) o se invece il destino dei colleghi lo spinse ad ancor più ostinazione nell'aggrapparsi al silenzio. Un altro grande «ex» smascherato nel 2003 fu Martin Broszat, che per anni nel dopoguerra aveva diretto l'Istituto di storia contemporanea di Monaco e veniva considerato uno dei più autorevoli esperti del nazismo e intellettuale liberal di sinistra. Dal 1944, era stato membro del Partito nazista. Ma tutto questo eterogeneo gruppo di ex nazisti in gioventù, renitenti al mea culpa fino all'ultimo, aveva spo­sato la causa del Führer negli ultimi anni di guerra. Non solo quando era chiaro che la Germania non avrebbe vinto, ma anche quando anche i bambini e i ciechi vedevano i vicini di casa ebrei sparire all'improvviso e non tornare mai più. Errori di gioventù sì, ma sorretti da una forte dose di fanatico entusiasmo. Come fu forte, dopo la Liberazione, la voglia di tacere, far dimenticare e far carriera. Uno dei più giovani e bravi talenti dei media, Henri Nannen, lavorò ai film di propaganda della Wehrmacht. Dopo la disfatta dell' Asse, fondando ad Amburgo il settimanale-rotocalco di qualità Stern, divenne un grande del giornalismo europeo. Di lui almeno si sapeva dall'inizio, era stato più sincero. Anche per questo, forse, si accanì nel dopoguerra a sbattere in prima pagina come mostri gli ex nazisti che non confessavano. Il suo giornale pubblicò poi i falsi Diari di Hitler. Una nazione distrutta e da ricostruire, certo, aveva forse bisogno anche del faustiano Patto col Diavolo: riciclare gli ex nazi. Quando il sottosegretario di Stato Hans Globke, nel '53, fu smascherato come ex nazista, il fondatore della democrazia, Konrad Adenauer, a suo modo lo difese: «È acqua sporca, ma non si butta l'acqua sporca finché non c'è acqua pulita». Tra il 1953 e oggi, dopo decenni di acqua pulita, che la democrazia tedesca ha dato all'Europa e al mondo, il grande accusatore dei peccati altrui Günter Grass avrebbe avuto mille occasioni di parlare prima ed esporre sincero i suoi panni da lavare.

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Quegli ingombranti «peccati di gioventù»

Da Mitterand a Dario Fo: gli scomodi trascorsi di politici e intellettuali

 

«Non mi interessa cosa dice il quotidiano fascistone. Non voglio replicare. Per me quella vicenda è chiusa dal 1979, quando querelai i giornalisti e loro furono condannati dal tribunale di Varese». Fu questa la risposta, stizzita, di Dario Fo nel 2000, quando il Secolo d'Italia riesumò le vecchie polemiche sui suoi trascorsi repubblichini sollevate molti anni prima dal quotidiano Il giorno. Durante la Seconda guerra mondiale, il premio Nobel italiano si arruolò volontario nella Repubblica Sociale Italiana con i paracadutisti del Battaglione Azzurro di Tradate. Una scelta che, a posteriori, il drammaturgo giustificava così: «lo repubblichino? Non l'ho mai negato. Sono nato nel '26. Nel '43 avevo 17 anni. Fino a quando ho potuto ho fatto il renitente. Poi è arrivato il bando di morte. O mi presentavo o fuggivo in Svizzera». Le ombre di un passato scomodo incrinarono anche il regno del presidente francese François Mitterrand. Tra il '42 e il '43 il futuro leader socialista lavorò per il regime filonazista di Vichy. In seguito si unì alla Resistenza. Il caso più clamoroso di «ritorno del rimosso» fu però senz'altro quello del segretario generale dell'Onu e poi presidente della Repubblica austriaca Kurt Waldheim. Nel 1982 il New York Times rivelò il suo passato da ufficiale nazista. Con la divisa della Wehrmacht, Waldheim aveva partecipato alle attività di un'unità militare considerata responsabile di atrocità durante l'occupazione della Jugoslavia. Il congresso ebraico mondiale lo accusò anche di aver preso parte alla deportazione degli ebrei in Grecia. Le ammissioni di Kurt Waldheim furono solo parziali. Malgrado fosse stato dichiarato persona non grata da diversi Paesi europei e dagli Usa, rifiutò di presentare le dimissioni da capo di Stato austriaco. Portò a termine il proprio mandato.

Il Venerdì di Repubblica 1 settembre 2006

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