l'Unità

Il Governo Ignora i Martiri di Stazzema

Sant'Anna di Stazzema, la strage impunita - 58 anni fa i nazisti trucidarono 560 persone. L'inchiesta è ancora aperta

di Franco Giustolisi

 La procura militare di La Spezia ha in piedi 63 istruttorie, compresa questa. E un solo magistrato ad occuparsene - Oggi, nel giorno dell'anniversario, nessuna autorità dello Stato sarà presente Ma ci sarà la gente

Ah, se fossi poeta, troverei le parole per descrivere quest'alba livida. Non so se sia la stessa di 58 anni orsono. Sono arrivato qui, stamane, il giorno prima della ricorrenza, per il 58° anniversario della strage. Sembra tutto grigio, come l'enorme pietra che grava lassù, in cima alla collina. E sulla nostra memoria. E sul nostro ricordo. Ci sono evidenziati, con tante piccole lettere dorate, i nomi dei morti: 560. Piccole come lo era Anna Pardini che aveva 20 giorni. E come quell'essere senza nome, mai nato. Non figura nella grande stele, c'è quello della mamma, Evelina Berretti, dal cui seno fu cavato con la baionetta. Tanti si erano rifugiati nella chiesa che l'umanità nei secoli riteneva invalicabile. Entrarono, mitragliarono, gettarono bombe e diedero fuoco. Una donna, Jenni Marsili, il cui emblema è rimasto come simbolo del massacro, ha uno zoccolo nella mano e fa per lanciarlo, ma non potrà. Ma è già riuscita a nascondere il suo bambino, Mario di 6 anni, dietro la pesante porta di legno che separava il verde della campagna dal luogo di culto. Vi rimase mentre tutto bruciava. Terrorizzato. Immoto. Paralizzato. Si salvò. Porta ancora sulle spalle, oggi che ha 64 anni, i segni del fuoco. Lì, sullo spiazzo, un tempo luogo di incontro e di festa, ne uccisero circa 150 che poi livellarono nell'anonimato con il lanciafiamme. Una foto mostra un vecchio che con la pala, i giorni dopo, stende un velo di terra sulla catasta dei corpi. Come definire quelli che impugnavano le armi? Assassini. Ma non basta. Esibivano sulla fibbia del cinturone il teschio, il loro messaggio verso l'umanità. SS. Erano gli scherani della XVI Divisione Reichsführer H. Himmler che si era già guadagnata i galloni di nazismo doc nell'Est europeo. La stessa che, poi, a Marzabotto, farà 955 cadaveri. Li comandava il generale Max Simon, allevatore di personaggi come quel maggiore Walter Reder, carnefice di Marzabotto, e quel capitano Anton Galler, massacratore di Stazzema. Simon il 26 giugno 1947 fu condannato a morte, a Gorizia, da una corte alleata. Ma dopo pochissimi anni di comoda prigionia fu liberato, come tanti altri, da Kesserling in poi. Uno dei pochissimi a finire in fortezza, e rimanerci a lungo, fu Reder. Ebbe persino l'impudenza, dopo la grazia ottenuta a seguito della domanda di perdono, di ripudiarla: "L'ha scritta il mio avvocato per farmi uscire". Galler, che prima di divenire adoratore di Hitler faceva il fornaio, non fu neanche inquisito. Nel suo rapporto sulla strage del 12 agosto 1944 si era limitato a segnalare che aveva "annientato 270 banditi". Tra i carnefici c'erano anche gli italiani, le SS italiche, se possibile anche più feroci dei loro colleghi tedeschi. E alcuni collaborazionisti, gente che per denaro o altro interesse aveva aderito alla Repubblichetta di Salò. Uno di loro, Aleramo Garibaldi, fu visto alla mitragliatrice mentre sparava contro i suoi compaesani. Che paese, il nostro, mi verrebbe da definirlo in un certo modo, anche per quel che accade oggi, ma lascio perdere perché non è giusto offendere tanti che non hanno responsabilità. Già, perché tutte quelle storie e tante altre che raccontano di Matera e di Barletta, di Conca de La Campania e di Capistrello, della palude di Fucecchio e di Noccioleta, del Turchino e di Fossoli, di Bolzano e di San Polo D'Enza, di Fivizzano e di Ronchidosso, di Castiglion Fibocchi e di Cavriglia, tutte finirono nell'Armadio della Vergogna, in un antico palazzo di Roma dove aveva sede la procura generale militare. Lì erano elencate con scrupolo burocratico, fascicolo per fascicolo, crimine per crimine, nome per nome, quelli delle vittime e degli assassini, le vicende che insanguinarono l'Italia dall'8 settembre del 1943 al 25 aprile del 1945. Fecero qualcosa come più di 15mila morti. Ma nessuno pagò, tranne pochissimi, da contare sulle dita di una mano. Pagò, poi ...: fu un pedaggio minimo , la vita da una parte, dall'altra scarsi anni di carcere re in ambienti se non lussuosi, quasi. E tutto rimase lì, in quell'armadio, nascosto, inchiavardato, protetto. C'era la guerra fredda, il nemico non era più Hitler, bensì Stalin. E allora si nascose il passato. Lo si sarebbe fatto per sempre, pensate, se il caso non avesse fatto saltare fuori quel vecchio mobile tarlato pieno di carte scottanti e agghiaccianti. Chi ci saremmo aspettato, dopo la straordinaria scoperta? Che quella realtà tremenda venisse alla luce con forza affinché, anche dopo mezzo secolo, si arrivasse finalmente a conoscere la verità - chi dette l'ordine della tumulazione? del congelamento dei crimini? - ad avere giustizia, processando in fretta gli assassini sopravvissuti. Macché! Ci fu una specie di incredulità generale, di indifferenza. Di freddezza. Il tutto facilitato dal silenzio assordante della grande stampa, tranne rare eccezioni. Soltanto poco più di un mese fa, la Camera dei deputati ha votato quasi all'unanimità, con il solo voto contrario di una fascista, un deputato di An, l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi nazifasciste. Il Senato avrebbe dovuto fare altrettanto, come era stato assicurato, prima delle ferie estive. Ma la nostra straordinaria maggioranza di governo ha preferito dedicare il suo tempo al salvataggio di due sole persone, Berlusconi e Previti, cori l'istituzione dell'"illegittimo, sospetto, piuttosto che dare risposta all'ansia di attesa che dura ormai da 58 anni e che riguarda, direttamente, decine di migliaia di famiglie. Quei morti lì giacciono, tanto loro non possono protestare. Tocca a noi vivi. Ma i titani ebbero cammino più facile. Basterà assistere alla cerimonia che si terrà domani, per capirlo. Verrà come sempre tanta gente dalla provincia e dalla regione, autorità locali... Ma nessuno di coloro che avrebbero il potere di dare avvio alla soluzione del problema che ancora si trascina: sembra incredibile, ma la procura militare di La Spezia ha tutt'ora in piedi 63 istruttorie, compresa Sant'Anna di Stazzema, compresa Marzabotto. E c'è solo un magistrato ad occuparsene. Si è chiesto, si è detto, si è denunciato: niente. Il ministro della Difesa forse pensa solo alla guerra con l'Irak. Il ministro degli Esteri, che potrebbe intervenire sui giudici tedeschi per affrettare le rogatorie, non c'è. Il presidente del Consiglio è in vacanza con le figlie di Putin, chissà come si trovano. Nessuno dei grandi del nostro mondo politico interverrà. Qualcuno sostiene, con macabra ironia, che anche questa è colpa dei tedeschi perché hanno ucciso in un giorno come il 12 agosto, quando tutti son partiti per le ferie, invece di farlo a settembre o ad ottobre. Ci sarà, comunque, un grand'uomo, l'ex capitano della Divisione Acqui, Amos Pampaloni, medaglia d'argento al valor militare. Ha compiuto da qualche mese 91 anni è uno degli eroi di Cefalonia. Comandante di Una batteria, resiste all'assalto della Wermacht sino all'impossibile. Poi lui e gli altri furono costretti ad alzare bandiera bianca. I tedeschi ne uccisero ben oltre 5mila, la punizione per non essersi immediatamente arresi. "Il più orrendo crimine della storia militare di tutti i tempi", disse il generale Rod Taylor, pubblico accusatore al processo di Norimberga. Gli spararono da dietro, a Pampaloni, mentre camminava con i suoi soldati presi prigionieri. La pallottola gli trafisse la gola, ma non intaccò organi vitali. Rimase a lungo tra i morti. I greci lo curarono e lo aiutarono. Quando si riprese combatté insieme ai partigiani. La sua voce è profonda e roca come ricordo di quella ferita. Anche i fascicoli di Cefalonia e di altri eccidi di soldati italiani finirono nell'Armadio della Vergogna. Mi ha ricordato che, recentemente, nel maggio del 2000 a Firenze, durante un grande convegno internazionale organizzato dall'Istituto per la Storia e la Memoria (sigla pomposa per nascondere il niente) di cui sono protagonisti personaggi come Pietro Scoppola, Leonardo Paggi, Giacomo Marramao, non lo fecero parlare. Voleva denunciare la storia dell'Armadio della Vergogna facendo anche il nome dei ministri, Gaetano Martino, liberale, e Paolo Emilio Taviani, democristiano, che nel 1956 affossarono anche l'inchiesta su Cefalonia. "Mi dissero che c'erano già troppi oratori, per questo non mi fecero parlare - mi confidò ma mi trattarono bene". Gli risposi istintivamente: "Ci sarebbe pure voluto che ti avessero preso a calci in culo ... "

l'Unità - 12 agosto 2002

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