l'Unità

Sette anni appena al boia di Genova

Amburgo, mite condanna per Friedrich Engel: nel '44 ordinò per rappresaglia il massacro di cinquantanove italiani - Il pm aveva chiesto l'ergastolo per l'ex capo delle SS, colpevole di un delitto giudicato di "particolare crudeltà"

di Ibio Paolucci

Cinquantanove italiani barbaramente trucidati valgono per un tribunale germanico solo sette anni di reclusione. Così, la Corte penale militare di Amburgo, si è espressa, nella sentenza contro Friedrich Engel, ex capo delle SS del capoluogo ligure, noto come il "boia di Genova", per la fucilazione dei 59 martiri del Passo del Turchino, il cui massacro venne effettuato il 19 maggio del 1944 per rappresaglia ad un attentato compiuto dai partigiani in un cinema genovese, nel quale perirono sei marinai tedeschi. Un insulto e un'offesa alle vittime e ai loro famigliari. Il Pm Jochen Kulhmann aveva chiesto mercoledì scorso la pena dell'ergastolo e aveva concluso la propria requisitoria con queste parole: "Le vittime del Turchino furono uccise in modo particolarmente crudele. Crudele è l'assoluta mancanza di sentimenti mostrata nel mettere in atto l'esecuzione. La sua colpa, dottor Engel, è di averla personalmente ordinata e guidata". Il tribunale amburghese, presieduto dal giudice Rolf Seedorf, è stato di diverso avviso,pur avendo ritenuto Engel colpevole di uccisione "crudele" di prigionieri e pur avendo rivolto una pesante accusa alla giustizia italiana, ritenuta responsabile di non aver indagato sul caso per più di mezzo secolo, dimenticando che a congelare i fascicoli processuali nell'armadio della vergogna, furono i ministri degli interni e della difesa dell'epoca, Taviani e Martino, in omaggio alle ferree leggi della guerra fredda, che prescrivevano di non disturbare le nascenti forze armate della Germania di Bonn. Certo, la responsabilità del criminale nazista è stata riconosciuta. "Le sentenze italiana e tedesca - ha commentato il presidente dell'istituto ligure per la storia della Resistenza, Raimondo Ricci, ex deportato politico in un campo di sterminio nazista - sono concordi. C'è un principio affermato dalla Cassazione tedesca secondo cui quando il processo viene celebrato a così grande distanza di tempo dai fatti la condanna all'ergastolo può essere sostituita da una pena detentiva dai 6 ai 15 anni, ma la motivazione della sentenza afferma pienamente la responsabilità di Engel con l'estremo di avere agito con crudeltà. Giustizia è stata fatta. Engel ha avuto la fortuna di vivere per decenni completamente libero, una fortuna che un essere assolutamente spietato come lui non meritava". Per il presidente dell'Associazione nazionale degli ex deportati politici, Gianfranco Maris, questa sentenza "desta disagio morale e suscita gravi perplessità sulla maturità del pensiero giuridico dei giudici tedeschi, che, per essere tale, deve essere necessariamente supportato dai valori etici universalmente riconosciuti. Si direbbe invece che i giudici abbiano ritenuto di accreditare a Engel l'eccidio come atto in sé e per sé, legittimato da un inesistente diritto internazionale di guerra, che, per gli occupanti tedeschi, legittimava ogni sorta di crimini. Il Capo dello stato della Germania, Rau, si è recato recentemente a Marzabotto per chiedere perdono, a nome del popolo tedesco, per i crimini commessi contro tanti innocenti, ritenuti una vergogna per il suo paese. Un gesto nobile, che appare però come una sfasatura con la sentenza, comunque suscettibile anche di amare riflessioni sulle condizioni esistenti in Germania tra etica e giurisprudenza". Durante il processo, iniziato il 7 maggio scorso, l'imputato, che ha raggiunto, in assoluta tranquillità, la bella età di 93 anni, ha sempre respinto le accuse, sostenendo addirittura di avere assistito con sofferenza all'esecuzione. Ma ecco, nei suoi riguardi, che cosa scrisse nel '47 l'allora prefetto di Genova Antonucci in un rapporto per conto del ministero degli interni: "A Engel è da attribuirsi certamente la maggior parte dei crimini commessi in questa giurisdizione. Quale comandante della Casa dello Studente è da ritenersi responsabile di sevizie di ogni genere (scosse elettriche, estirpazione di unghie), in alcuni casi mortali, alle quali furono sottoposti i detenuti politici". Il Pm Pier Paolo Rivello, che ha sostenuto l'accusa al processo di fronte al Tribunale militare di Torino, che si concluse, nel novembre del 1999, con la condanna all'ergastolo in contumacia, premesso che occorre prima conoscere le motivazioni della sentenza, mi dice che come cittadino avverte una non lieve contraddizione fra il riconoscimento di una responsabilità per l'omicidio di 59 persone e la condanna a soli sette anni, che appare francamente risibile. Il Pm ricorda anche che i crimini furono compiuti con particolare ferocia. A gruppi di sei le vittime, legate fra di loro, venivano portate su una specie di passarella posta sopra la fossa comune, fatta scavare il giorno prima da prigionieri ebrei, in modo che prima del colpo mortale potessero vedere i cadaveri di quelli che erano già stati fucilati.

l'Unità - 6 luglio 2002

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