l'Unità

Quell’esecuzione decisa dal Cln

di Bruno Gravagnuolo

Giusto uccidere Mussolini oppure no? Sulle frasi di D’Alema a Vespa esplode la polemica storiografica. In ballo c’è il crisma di legalità in base a cui avvenne l’esecuzione di Giulino di Mezzegra. E poi i criteri politici, le modalità e l’opportunità o meno di procedere a quel modo. Dice Nicola Tranfaglia, storico del fascismo: «Dopo una guerra di quel tipo, con migliaia di deportati, torturati e assassinati, con l’Italia tradita e prostrata dal fascismo, era inevitabile quell’esito». La sentenza? Per Tranfaglia fu legale. «Emessa dal Cln Alta Italia e condivisa da chi ne faceva parte senza distinzioni politiche». Gli Alleati, continua Tranfaglia «probabilmente non avrebbero voluto quell’esito e infatti come nel caso di Graziani non procedettero con le fucilazioni. Perciò quello fu un gesto di autonomia, necessario e inevitabile». Dello stesso avviso anche Massimo Salvadori, storico delle dottrine politiche: «Del senno di poi son piene le fosse - dice - è inutile riaprire il tema nei termini in cui lo fa D’Alema. Sono invece d’accordo con Fassino, le sue mi paiono dichiarazioni equilibrate». Anche Salvadori insiste sul quadro tragico del biennio 1943-45: «La Resistenza ha proceduto in quel modo perché Mussolini era obiettivamente un criminale e l’ordine era quello di passare per le armi tutti i responsabili diretti del crimine incarnato da Salò. Inutile perciò aprire le porte di un revisionismo il cui scopo è solo quello di compiacere, e che crea solo equivoci politici».  Più sfumato il giudizio di Giuliano Procacci, storico contemporaneo, che dichiara subito il suo accordo con le parole di Fassino: «Sì, la guerra ha le sue logiche e non si possono dimenticare gli antefatti dell’esecuzione. La motivazione impellente degli eventi stava nel determinare il fatto compiuto. Prima che gli Alleati si mettessero di traverso». Opportuno riaprire la polemica al modo di D’Alema? «Non credo - dice Procacci - ci vuole distanza e cautela su certe cose. Il cortocircuito tra politica e storia mi pare deleterio». Di parere opposto, rispetto ai tre storici ascoltati, è Lucio Villari, storico contemporaneo. Che consente con D’Alema. «Proprio l’incontro in Prefettura a Milano di Mussolini con i capi del Cln, pochi giorni prima dell’esecuzione, dimostra che un altro esito era possibile. Se il Duce si fosse arreso ci sarebbe stato un processo con requisiti formali accettabili».  Ma l’esecuzione non fu decisa dal Cln alla fine? «Sì - replica Villari - e però l’incontro in Prefettura rivela altre subordinate. E c’è ancora un velo di mistero sulla discussione dentro il Cln Alta Italia. Parri, Pizzoni, Cadorna ad esempio, e lo stesso Valiani, non hanno mai detto tutta la verità al riguardo. La mia impressione è che si sia agito forzando la mano e creando il fatto compiuto senza una vera unità alle spalle».  Restano gli interrogativi. Ma anche alcune certezze. Ad esempio, nessuno si dissociò, ai vertici della Resistenza, dall’esecuzione. E poi: al Duce la via di scampo fu offerta. Ma rifiutò. Unendosi alla colonna armata che sul lago di Como fu bloccata, trattando il via libera. Mussolini voleva riparare in Svizzera per consegnarsi agli alleati, ma non riconobbe di fatto la sconfitta. E subì la sorte dei nemici che non s’erano arresi. Come da ordine ciellenista generale contro i Capi di Salò.  Infine, cosa avrebbe rappresentato un Mussolini vivo nell’impervia transizione alla democrazia del paese disfatto e occupato?

Da l'Unità, 4 novembre 2005, per gentile concessione

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