Triangolo rosso

Le nostre storie

Un racconto sconvolgente di una superstite di Auschwitz raccolto da Aldo Pavia e Antonella Tiburzi, con prefazione di Gianfranco Maris

Non dicano che non sapevano. Ida Marcheria non perdonerà

 

di Ibio Paolucci

 

«Non dicano, oggi come allora, che non sapevano. Vedevano ad Auschwitz il fumo dei crematori, l’odore di carne bruciata è stata nell’aria per anni. Ci vedevano, miserabili relitti umani, lungo le strade del loro paese. Molti campi di sterminio erano vicini a città importanti. Abbiamo lavorato da schiavi nelle loro fabbriche (...) C’è anche chi afferma che è giunto il momento di perdonare. Io non posso perdonare. Non perdonerò mai». Implacabile la requisitoria di Ida Marcheria, ultima superstite del trasporto da Trieste del dicembre del 1943. I genitori, i nonni, i fratelli, i cugini, gli zii: tutti assassinati dai boia nazisti, tutti finiti nelle camere a gas. Come potrebbe perdonare Ida Marcheria, che, ad oltre sessant’anni, rompe il silenzio per raccontarci quella storia di orrori, raccolta in un libro sconvolgente da Aldo Pavia e Antonella Tiburzi, con prefazione di Gianfranco Maris. Ida Marcheria ha ora 77 anni e quando venne arrestata assieme a tutta la sua famiglia, nel novembre del ‘43, ne aveva 14. Dopo un mese di carcere a Trieste, ci fu la partenza con destinazione Auschwitz, dove la famiglia venne separata e lei e la sorella Stellina, fingendo un’età maggiore della loro, furono destinate ad un settore chiamato Kanada Kommando. Per i familiari non ci fu scampo. La loro permanenza in quel lager della morte durò meno di un giorno. Per lei e la sorella un calvario fino al giorno della liberazione e dopo la tremenda “marcia della morte“, durante la quale, si può dire ad ogni passo, qualcuno cadeva per terra per non più rialzarsi o perché finito dalla fame, dal freddo, dalla fatica o perché finito con un colpo alla nuca. «Un mondo fuori dal mondo - ricorda Ida .Mi ci sono voluti molti anni, poi, per capire. Diciamo pure che dopo il lager, non siamo state più persone normali. Per qualsiasi cosa si torna là, si torna ad Auschwitz. Un odore, un rumore, una parola, i bambini. Un rumore di scarpe, di piedi battuti a terra, una zingara per la strada, tutto mi ricorda quello che vedevo oltre il filo spinato. E la terribile notte in cui gli zingari vennero sterminati. Come noi ebrei: tutti e con i loro bambini».

“Alla ricerca anche solo di una fotografia per ridarci i volti familiari”

Ricordi che riaprono laceranti ferite. Come può Ida Marcheria perdonare? Lei non avrebbe mai voluto tornare ad Auschwitz. Ma una volta ci tornò. Di fronte ad una baracca qualcuno le chiese se era la sua. No, non era la sua. Ma come faceva a ricordare così bene? Perché per entrare nella sua si dovevano salire tre scalini. Così il suo racconto: «Non potevo non ricordarmene. Un giorno ero ammalata, avevo una febbre fortissima, non mi potevo proprio alzare. Ma ciò non era permesso, non doveva accadere. La blockova, più che arrabbiata, infuriata, mi fece alzare e mi buttò fuori, facendomi rotolare per i tre scalini». Tornate alla libertà lei e la sorella Stellina hanno cercato di ricostruirsi una vita, hanno cercato in ogni dove per trovare tracce della loro famiglia, «anche solo una fotografia che potesse ridarci il volto dei nostri familiari». Qualche frammento è stato trovato. Da Israele è stata spedita una fotografia del fratello. A Corfù hanno potuto vedere la casa che era stata del nonno, distrutta, solo i muri maestri ancora in piedi. «Poi - rammenta Ida - mi sono sposata, povera, senza un soldo. Anche Stellina si è sposata. Poi i ricordi, le notti d’angoscia, l’incubo continuo di nome Birkenau, l’hanno sopraffatta. Ci ha lasciati». Stellina, la tenera sorellina che aveva superato tante prove, che aveva resistito oltre ogni limite, che era tornata a vivere con Ida. Sopraffatta dai ricordi, dalle angosce, dagli incubi. Come può perdonare Ida? «Qualcuno ci offre risarcimenti - denuncia Ida - e ci chiede di presentare domanda, di produrre documenti, di dimostrare la veridicità delle nostre affermazioni, delle nostre tragedie. Io non ho presentato domande, non ne presenterò mai. Oggi lo stato ci chiede di dimostrare che gli ebrei, almeno una persecuzione l’hanno subita. E le leggi razziste cosa erano, non le conoscono?». Non conoscono quelle norme infami, quando da un giorno all’altro solo per il fatto di essere ebrei si era privati di ogni diritto? Via dalla scuola, dal lavoro, dagli ordini professionali. Non erano quelle leggi una odiosa persecuzione?

“Quella sofferenza che ogni giorno le ha ferito l’anima”

Come può perdonare Ida? «Tutto ciò che era nostro, rubato. I miei genitori, i miei nonni, i miei fratelli, cugini, zii. Tutti sono andati in fumo. E quanto e quale potrebbe essere il risarcimento per la mia adolescenza rubata, per le mie sofferenze, per la mia salute minata, per le mie notti insonni, per il furto dei miei sogni, per il regalo dei miei laceranti incubi. Perché ogni notte io torno a Birkenau». Un racconto straziante quello di Ida, che fa capire le ragioni di un perdono negato. «È un sentimento che non nasce dall’odio - scrive Gianfranco Maris, presidente dell’Aned ed ex deportato a Mauthausen - ma dalla sofferenza profonda, dalla morte nel campo del padre, della madre, di un fratello, della zia, dalla quotidianità di una sofferenza che ogni giorno le ha ferito l’anima, le ha rubato la giovinezza, la vita stessa, che tutta, tutta è stata segnata, in ogni anno: presenza amara che ha occupato e ha condizionato sempre il passato, il presente, il futuro».

Non perdonerò mai, Edizioni Nuovadimensione, pagine 173, euro 13,50

Triangolo Rosso, gennaio/aprile 2007

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