Triangolo rosso

Dopo 60 anni le prime sentenze basate sugli atti celati nell’armadio della vergogna

Squarciato l’oblio sulle ultime stragi dei nazisti in Italia

Seicentonovantacinque i fascicoli rinvenuti in un armadio presso la Procura Generale della Corte d’Appello Militare di Roma. Migliaia i nomi di inermi civili italiani che dopo l’8 settembre del ’43 trovarono una morte apparentemente senza motivo. Circa sessanta gli anni che separano le prime sentenze da quegli orrendi avvenimenti. Sono questi i freddi numeri che non riusciranno mai a dare interamente conto di una tragedia che finalmente può dirsi a pieno titolo entrata nel patrimonio della cultura e del dolore di questa nazione. Inchieste provvisoriamente archiviate negli anni ’50 in nome di una “ragion di Stato” che letta a così tanti anni di distanza appare ancora più incomprensibile. Lo Stato italiano, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, si assunse una responsabilità enorme: quella di tradire la fiducia del proprio popolo.

Condannati all’ergastolo i responsabili dei crimini

 

di Gianluca Luongo *

 

Quelle migliaia di vittime, padri, madri, nonni e nonne, figli e figlie, sorelle e fratelli, ammazzate da una inesorabile ed efficiente macchina da guerra quale fu l’esercito e lo stato nazista (molto spesso con la connivenza di alcuni fascisti italiani che con loro collaborarono). Quelle migliaia di persone semplici, ammazzate una seconda volta attraverso la scelta di far calare l’oblio sui responsabili di quelle tragedie. Non che la storia non abbia già da tempo individuato le responsabilità politiche e morali di coloro i quali, nazisti tedeschi e fascisti italiani, istigarono e favorirono la realizzazione di quelle brutalità. Ma quell’oblio è calato inesorabilmente sui reparti e sugli ufficiali che si macchiarono di crimini tanto vili contro l’umanità. Nessuna ragion di Stato poteva arrogarsi il diritto di scegliere di non dare un nome e un volto ai responsabili materiali di tali aberrazioni, poiché dietro la morte di ognuna di quelle migliaia di persone vi erano storie, fatte di gioie e dolori, ed infine tragedie di cittadini semplici, per lo più contadini o pastori di un’Italia che non c’è più e che quelle stragi rischiarono di cancellare per sempre. Figli, fratelli, madri e padri vissuti nel ricordo esclusivamente personale di familiari massacrati nei modi più terribili che si possano immaginare; senza che quello Stato, che dapprima non aveva saputo o potuto difenderli perché si trovava allo sbando, sia riuscito a cogliere la possibilità di recuperare parte di quella dignità perduta, dando un nome e un volto agli autori di quelle stragi. Lo Stato italiano decise allora di non scegliere. Semplicemente sospese, in maniera “provvisoria”, il proprio giudizio. Per quasi cinquant’anni. C’è voluto il fortuito ritrovamento di quell’armadio, con le ante rivolte verso il muro, e una serie di indagini parlamentari, conclusesi con una Commissione d’inchiesta istituita nel corso della XIV legislatura, per riportare alla luce quei fatti. Sui quali, in assenza dell’accertamento dei responsabili diretti di quegli eccidi, ognuno è stato costretto e chiamato a giudicare a proprio modo. E ciò che è ancora peggio, fatti sui quali qualcuno ha potuto speculare per finalità di lotta politica. Si è speculato sulle ragioni che portarono l’esercito tedesco a pianificare e a realizzare con spietata violenza quelle stragi. Si è speculato sul fatto che quelle stragi fossero state procurate da “inutili” azioni di lotta partigiana, quasi a voler trovare in quelle azioni di resistenza una giustificazione. Nel tentativo di equiparare alcune delle vittime (partigiani) ai carnefici, invece di aiutare coloro che avevano subito la perdita degli affetti più cari a comprendere che un conto erano le azioni condotte dalle brigate partigiane nei confronti di forze belligeranti e occupanti, e un conto erano le rappresaglie condotte indistintamente contro le popolazioni civili dall’esercito tedesco. Senza aiutare a comprendere che nessuna convenzione internazionale, nessuna legge di guerra ha mai previsto il diritto di rappresaglia nei modi e nelle forme che furono poste in essere nei confronti di quelle popolazioni, vittime degli eccidi. Ecco dove è nata, cresciuta e si è alimentata la “memoria divisa” di quei fatti: nella giustizia che ognuno è stato costretto o è stato indotto a fare da sé; nella colpevole assenza di uno Stato incapace a pronunciare la parola “Giustizia” nelle aule a ciò deputate, quelle dei tribunali. E non dobbiamo lasciarci ingannare dall’amenità di quei luoghi che furono teatro di quelle orrende stragi. Il Valdarno, la Valdichiana, i comuni dell’Emilia, la Versilia sono oggi luoghi nei quali sembra cancellata ogni memoria di quegli accadimenti, perché la natura e l’ingegnosità dell’uomo ha fatto sì che quelle tragedie si compissero in ambienti tanto belli e accoglienti.

La realtà è ben diversa

La realtà ci racconta che ogni persona che ha avuto la fortuna di frequentare quei luoghi e di parlare con i parenti delle vittime ha potuto constatare il dolore che ancora vi alberga e il lucido e terribile ricordo di quei giorni tremendi. Comunità quasi cancellate dalla violenza dell’uomo che tra fatiche e stenti hanno saputo ricostruire una esistenza dignitosa; hanno saputo riacquistare fiducia nel prossimo ed oggi accogliere, quotidianamente e con disponibilità, gli eredi di coloro che si resero protagonisti deliranti di quei mesi. Di certo per lo Stato italiano rimarrà un’occasione mancata. Quegli assassini potevano e dovevano essere perseguiti e condannati, anziché vivere comodamente una esistenza che li ha portati ad assumere ruoli anche di rilievo nella Repubblica Federale Tedesca. Probabilmente hanno avuto anche la possibilità di spendere la propria esistenza nel tentativo di ripulirsi l’anima da quelle terribili macchie. Qualcuno potrebbe dire che la giustizia divina saprà comunque individuare i responsabili di quei fatti e chiamarli a risponderne. Io penso che la giustizia degli uomini, quella giustizia che poteva e doveva essere scritta nelle aule di tribunale e che oggi, a sessant’anni di distanza e con enormi difficoltà e fatiche si sta finalmente tentando di scrivere, è la giustizia che doveva essere perseguita. Non vi sono ancora sentenze di condanna definitive. È di qualche settimana fa la notizia della condanna in appello degli autori della strage della Certosa della Farneta. In questi giorni è stato celebrato il processo d’appello per la strage di Sant’Anna di Stazzema, in cui morirono oltre cinquecento persone. Vi sono già sentenze di condanna all’ergastolo pronunziate in primo grado dal tribunale militare di La Spezia che hanno una valenza storica straordinaria, poiché contribuiscono a rimuovere il pesante velo calato su quei fatti. Insieme alla sentenza per la strage di S. Anna di Stazzema sono giunti a conclusione, con pesanti sentenze di condanna, i processi per la strage di Falzano di Cortona e S. Pietro a Dame, in cui è stato inflitto l’ergastolo a due ufficiali tedeschi, e per la strage di Civitella in Val di Chiana, Cornia e S. Pancrazio, in cui è stato inflitto l’ergastolo al solo ufficiale tedesco rimasto in vita. Altri processi si stanno celebrando in queste settimane ed altri prenderanno avvio nei prossimi mesi, sempre che sia possibile rintracciare in vita qualcuno dei responsabili di quegli eccidi.

Sconteranno la pena?

Purtroppo non possiamo attenderci che queste persone scontino neppure un giorno di carcere, vista l’età e le condizioni di salute in cui alcuni di essi versano. Ma ritengo che la portata di questi processi e di queste prime sentenze di condanna, pur tra mille difficoltà e qualche ritardo evitabile, abbiano molteplici significati, tutti egualmente importanti. Consentono innanzitutto ai parenti di quelle povere vittime di non essere più soli nel loro dolore, ma di poterlo condividere con la propria comunità e con la Nazione intera. Consentono all’Italia di riscattare, sebbene solo in parte, la sciagurata scelta di far prevalere le ragioni della politica e della diplomazia tra stati piuttosto che le ragioni della tutela della memoria dei propri figli. E dato non meno importante, a tutti quei tedeschi che si resero responsabili di condotte contro l’umanità, in primis a quelli condannati, consentono di far capire che lo Stato italiano c’è, prima o poi arriva! Magari con ritardo, magari con inefficienze ma prima o poi arriva. E quelle loro vite celate, quella loro parte di esistenza sulla quale probabilmente con gli anni avranno fatto scendere il silenzio ora può essere resa pubblica, affinché ciascuno sappia che dietro a quelle apparentemente “normali” persone vi fu un ufficiale dell’esercito tedesco che violò ogni regola, ogni principio – anche quelli della guerra e anzi principalmente quelli di una Guerra – nonché ogni convenzione sui diritti umani. Ha preso avvio il 15 novembre scorso presso le Commissioni riunite Giustizia e Difesa del Senato della Repubblica l’esame di un disegno di legge che prevede, ove approvato, il risarcimento dei migliaia di parenti che in quelle stragi persero un familiare. Forse sarà poca cosa. Anzi sicuramente è poca cosa a fronte della soddisfazione morale che sarebbe conseguita dalla persecuzione giudiziaria dei responsabili che decisero e realizzarono quegli eccidi. Ma è un segno tangibile del mutare dei tempi, dell’attenzione che finalmente l’Italia tutta intende riservare a quei poveri cittadini italiani trucidati. Per far sì che la storia non venga dimenticata. Per non permettere più che le responsabilità morali vengano travisate. Perché la democrazia e la libertà di questo Paese sono sorte e si sono consolidate anche grazie a quelle morti e perché il monito rappresentato da quelle morti aiuti a preservare la nostra democrazia e la nostra libertà. Per ripagare un debito morale dell’Italia intera.

*Parte civile per i famigliari delle vittime

Triangolo Rosso, dicembre 2006

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