Triangolo rosso

A PROPOSITO DELLA “GRANDE BUGIA” DI GIAMPAOLO PANSA

I comunisti e la Resistenza

 

di Gianfranco Maris

 

Il presidente dell’Aned e della Fondazione Memoria della Deportazione Gianfranco Maris ha scritto il seguente articolo per la rivista “ANPI OGGI”

 

In che cosa consiste la “grande bugia” che Giampaolo Pansa addebita ai comunisti, la quale, da sola, consentirebbe, addirittura, di escluderli tutti dal novero dei patrioti che, dopo l’8 settembre 1943, hanno organizzato, guidato e combattuto la sanguinosa e dolorosa guerra di liberazione, per scacciare i tedeschi che, come nemici, occupavano il nostro paese, per instaurare una Repubblica democratica fondata sui valori di libertà, di pace, di lavoro, di solidarietà, di cultura? Nell’avere, secondo Pansa, gabellato la loro coraggiosa presenza nella Resistenza, con tutti gli alti costi umani che l’hanno accompagnata, come una lotta civile e patriottica, rivolta, appunto, alla liberazione del Paese dal fascismo e dal nazismo ed all’instaurazione di una Repubblica democratica, tacendo e coprendo quello che, invece, sarebbe stata la vera natura dell’azione e del pensiero dei comunisti nel corso di tutta la guerra di liberazione, che sarebbe stata, in realtà, finalizzata alla instaurazione nel paese di un sistema politico sovietico e di dittatura del proletariato. L’accusa non è nuova. Da molto tempo nel Paese è in corso un tentativo di delegittimare l’azione dei comunisti nella Resistenza, distinguendo l’antifascismo, che fu di tutti i resistenti, in un antifascismo buono – quello dei socialisti, dei cattolici, degli azionisti, inteso effettivamente a cacciare tedeschi e fascisti e ad instaurare una Repubblica democratica – e in un antifascismo cattivo - quello dei comunisti, inteso invece a instaurare un regime di tipo sovietico, chiuso, dispotico, repressivo, illiberale. Il Comitato nazionale dell’Anpi, che si è riunito, nelle settimane scorse, a Sesto San Giovanni, aperto al dibattito e al dialogo con tutti i cittadini e non solo con i componenti del Comitato nazionale, ha dedicato particolare attenzione alla “grande bugia” addebitata da Giampaolo Pansa ai comunisti e ha sollecitato, da parte dell’Anpi, una risposta pubblica, che è già stata data. A questa risposta vorrei aggiungere soltanto una breve nota, per rendere più chiaro quello che, a mio avviso, è l’errore nel quale Giampaolo Pansa è incorso. Ritengo che sia senz’altro da escludere, in un dibattito che intenda veramente chiarire e non ulteriormente inquinare i termini di una discussione, che deve, quindi, esclusivamente sciogliere i nodi di una questione “storiografica”, qualsiasi ricorso a reciproche delegittimazioni ingiuriose. Ritengo, quindi, di affrontare la discussione accreditando Giampaolo Pansa come un giornalista e uno scrittore di sinistra, che ha coltivato in gioventù ricerche storiche sulla Resistenza, che ritiene sia la sua patria etica. Nel che, semmai, consiste la più profonda amarezza di riscontrare valutazioni tanto difformi fra persone che, da un punto di vista etico e storico, appartengono a una medesima parte. A mio avviso tutto discende dal fatto che Pansa non ha contestualizzato le vicende delittuose, che hanno macchiato la condotta di certi ex partigiani, dopo la liberazione, con i fatti che hanno fortemente inciso e fortemente caratterizzato la temperie politica propria della seconda metà dell’anno 1945 e di tutti gli anni 1946 e 1947 e seguenti, tempo nel quale i fatti si collocano. Fatti e misfatti, badiamo bene, che sembra, addirittura, siano stati posti in essere proprio per danneggiare i comunisti, apprestando, come poi avvenne con il terrorismo, una falsa giustificazione della intrinseca necessità di escluderli dalla partecipazione alla direzione del Paese. Non c’è dubbio – poiché le indagini storiografiche possono operare correttamente soltanto sulla base di un metodo logico deduttivo – che l’animus, le intenzioni, di chi ha operato “politicamente”, come nel caso concreto, dopo la liberazione, ponendo in essere misfatti, non possono essere dedotti che dalla loro condotta puntualmente contestualizzata con gli eventi successivi alla liberazione, con i quali soltanto queste condotte possono essere poste in un rapporto di causalità. Da quali accadimenti è caratterizzato il tempo successivo alla liberazione? Non si era ancora spenta l’eco di gioia che aveva riempito l’animo e i pensieri di tutti coloro che avevano partecipato alla guerra di liberazione, di tutti coloro che erano tornati, oppressi da ricordi terribili, dai campi di sterminio, vittime della vasta deportazione politica che i partigiani avevano subito, che l’unità antifascista, nel dicembre del 1945, viene rotta. Il presidente del Consiglio Parri, già dirigente del Comitato nazionale di Liberazione, viene congedato dal governo, nel quale subentra Alcide De Gasperi, il quale immediatamente stronca e chiude qualsiasi processo di epurazione nei confronti dei responsabili del fascismo, dei collaborazionisti con i tedeschi, della magistratura, dei dirigenti amministrativi del Paese. E, a ridosso, immediatamente, nel marzo del 1946, a Fulton, Wiston Churchill chiama tutti gli ex alleati della guerra antifascista a invertire le loro vecchie alleanze perché sui Paesi liberi dell’occidente è calata una “cortina di ferro”, che li separa e li contrappone al comunismo ed alle cosiddette democrazie popolari dell’Est. E, ancora a ridosso, immediatamente, l’amnistia Togliatti, sconciata nei suoi intendimenti di pacificazione, forzata verso il salvataggio indiscriminato di tutti i criminali fascisti dalle infami interpretazioni della Corte di Cassazione (non epurata!), che escluse che anche le più sgomentanti e tremende delle sevizie poste in essere dai fascisti nei confronti dei partigiani potessero mai integrare gli estremi di quelle “sevizie particolarmente efferate”, che, con stile letterario più che giuridico, l’amnistia aveva evocato proprio per mantenere il provvedimento di clemenza nell’ambito esclusivo di responsabilità non aggravate da ferocia e da bassezza morale. E a ridosso, ancora una volta, l’entrata in vigore il 1° gennaio del 1948 di una Costituzione che – proprio per il “clima politico fortemente divaricato dai valori della Resistenza” – non verrà applicata dalle maggioranze parlamentari, dalle quali i comunisti erano stati esclusi, in quanto ritenuta – secondo il Ministro degli Interni del tempo – una “raccolta di proverbi”, messa insieme dal “culturame italiano”. Non solo la Costituzione non verrà applicata, ma la Polizia e la Magistratura continueranno, per anni, ad applicare, per l’ordine pubblico, la legge di Pubblica sicurezza imposta dal fascismo nel 1931! Se si vuole correttamente dedurre l’animus e le intenzioni degli ex comunisti, che dopo la liberazione pongono in essere in quegli anni delitti gravi, questa deduzione non può essere fatta che in rapporto alla condotta di questi ex partigiani con gli accadimenti sopra ricordati. È escluso che possa essere ritenuto corretto attribuire l’animus e la condotta di questi ex partigiani a un tempo estremamente diverso, antecedente e lontano, come era stato quello che va dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, che nulla ha a che vedere, come temperie politica causante, con la temperie che, invece, è insorta successivamente al 25 aprile 1945, stravolgendo completamente il clima precedente. Non si tratta di giustificare ciò che è accaduto dopo il 25 aprile 1945, che tutti hanno immediatamente condannato, anche i comunisti e che nessuno ha mai sottaciuto. Si tratta di spiegarlo e tale spiegazione non può essere cercata in fatti che nulla hanno a che vedere con ciò che è accaduto dopo quel glorioso aprile del 1945, che fu gioia e gloria per tutti, nessuno escluso, di coloro che si sono battuti per realizzarlo ed in esso si sono sempre riconosciuti e continuano a riconoscersi.

Triangolo Rosso, dicembre 2006

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