Triangolo rosso

Le nostre storie

Fu arrestato a Savona nel 1942 e confinato a Pisticci, paesino in provincia di Matera.

Protagonista della Resistenza in Liguria

Demetrio Ghiringhelli: mio padre pittore nelle carceri fasciste

 

Eravamo in cinque in famiglia. I genitori e tre fratelli, onorati di essere sempre stati antifascisti. Per esempio io e i miei due fratelli, più anziani di me (1921 e 1923) abbiamo fatto tutte le scuole sotto il regime senza mai indossare una divisa di “figlio della lupa”, di balilla o di avanguardista. Mio fratello Fiorenzo (del ’23) fece anche qualche giorno di galera per essersi rifiutato di indossare la divisa di avanguardista che allora era già corpo militarizzato.

 

di Flavio Ghiringhelli

 

E a proposito di divise, ricordo perfettamente un episodio di come mio padre sapeva districarsi con arguzia genovese. Una sera, mentre si cenava, sentiamo suonare alla porta. Andiamo ad aprire e ci troviamo di fronte il capocaseggiato, naturalmente fascista, che vuole parlare con mio padre. Gli dice subito, riguardo alla mia posizione scolastica (alle elementari) che trovava disdicevole che io non partecipassi alle adunate del sabato. Mio padre gli osserva che, non avendo i soldi per comprarmi la divisa di balilla (era una grossa bugia!) non era il caso di farmi trovare in imbarazzo di fronte agli altri compagni di scuola. Lo zelante capocaseggiato lo rincuorò dicendogli che non c’era nessun problema: la divisa potevano regalarmela “loro”. Allora mio padre, dopo un secondo di riflessione, rispose: Ma guardi che io ho altri due figli e non posso fare un torto a loro lasciandoli a bocca asciutta! Il capocaseggiato fu colto in contropiede, esitò un attimo e poi: Be’, se è così, non posso decidere per tre… ci penserò… ne parleremo in sede, le saprò dire… Salutò, ridiscese le scale e non lo rivedemmo più. È un piccolo episodio ma io sono riconoscente di essere passato indenne da questa sottomissione.

Ottimi incarichi a Genova ma i fascisti “non gradiscono”

Demetrio Ghiringhelli nacque a Ispra, sulla sponda lombarda del lago Maggiore, nel 1892. Suo padre Andrea, bravissimo giardiniere, lavorava a Pallanza, sulla sponda piemontese del lago, nella grandiosa Villa Taranto il cui proprietario Mc Eacharn, nobile scozzese, stimandolo, lo convinse per un trasferimento a Genova presso la Villa Stuarda in Albaro, sede del console inglese di quella città. Era il 1897. Così con moglie e sette figli avviene l’approdo nella città ligure dove mio padre può iniziare le scuole elementari e poi l’avviamento professionale a pochi passi dalla sontuosa villa del console, nell’attuale via Monte Zovetto, cominciando ad appropriarsi della vita genovese imparandone il dialetto perfettamente ed acquisendone anche il vero carattere, impossessandosi poi, fortunosamente, delle sue capacità artistiche. Forse guardando qualche disegno fatto a scuola, una delle figlie del console inglese si accorse dell’inclinazione spiccata del ragazzo. Inizia così un’amorevole gara di insegnamento che presto induce mio padre allo studio specifico dell’arte decorativa, molto applicata ed apprezzata in Liguria. Contemporaneamente apprende la tecnica dell’affresco e del restauro murale. Intanto ci sono anche i primi approcci con la politica partecipando, con il padre Andrea, ai primi comizi socialisti. Ma arriva la Grande guerra: mio padre ne prende parte “di leva” con il fratello Ambrogio che morirà eroicamente a pochi chilometri da lui, sullo stesso fronte. Mio padre, oltre allo zaino, porta comunque la cassetta dei colori e i pennelli. Ho un piccolo paesaggio suo del 1915 di Boves, cittadina diventata purtroppo famosa per un eccidio nell’ultima guerra nazifascista. Ho una lettera del Fascio nazionale femminile di Salò (!), datata 12 settembre 1918, di ringraziamento per un bellissimo lavoro pittorico donato “da un bravo soldato italiano”! Scrive anche lettere e racconti per testimoniare la misera vita di abbruttimento, sul fronte, dei poveri fanti operai e contadini. Al rientro a Genova riprende l’attività pittorica, lavorando soprattutto per commissione dell’arcivescovado, affrescando e restaurando parecchie chiese della città e provincia, per l’intendenza delle Belle Arti dal cui direttore, commendator Orlando Grosso, per l’apprezzamento delle sue qualità artistiche, ha molti incarichi nei più grandi palazzi storici genovesi (che gli procurano anche seri problemi con le autorità politiche che non gradiscono vengano assegnati a un pittore “non iscritto al partito fascista”). Capita anche, ironia della sorte, che nel ‘36, nell’unica occasione di una visita a Genova del duce, mio padre abbia l’incarico di decorare le stanze che ospiteranno Mussolini e l’allestimento del palco dove terrà il discorso, in piazza della Vittoria!

Attribuiti ad altri due pannelli d’esperienza avanguardista

Anche l’inaugurazione della Colonia Fara di Chiavari, nelle stesse giornate, vedono implicata un’opera di mio padre con i due grandi murali all’ingresso della Torre. «Pannelli d’esperienza avanguardistica, due opere ove si possono rintracciare alcuni tra i principali motivi iconoclastici della decorazione murale futuristica e delle esperienze pittoriche della aeropittura» (da Muri ai Pittori, di Franco Ragazzi ed. Marzotta). Siccome mio padre non era abituato a firmare le sue decorazioni floreali murali, non firmò neppure questi due pannelli d’arte moderna e sino a qualche anno fa - quando io consegnai tutti i suoi bozzetti alla Fondazione Colombo – erano stati attribuiti ai più svariati e noti pittori dell’epoca! E veniamo al ‘41: in terza media io ne combino una grossa! Tutta la classe è invitata a partecipare agli “orti di guerra”. Coltivare nei giardini della città il grano per sostenere i militari. Con istintiva semplicità io mi rifiuto pensando che sia ingiusto che un ragazzino “lavori per la guerra”. Sospeso per una settimana e ritorno accompagnato dal padre. Naturalmente, al colloquio con il preside, mio padre sostiene le mie idee con parole molto eloquenti che irritano lo spirito patriottico del medesimo. Quasi una zuffa; poi la sentenza. Suo figlio è espulso da tutte le scuole del regno. Finii gli studi privatamente e di lì a poco arrivò per mio padre il colpo fatale. In una trattoria di Pieve Ligure mentre si festeggiava il buon esito di un lavoro con altri colleghi, si parla e si discute anche di politica. Da un tavolo vicino, un vigile urbano del posto sente e redarguisce mio padre, denunciandolo come antipatriota e pericoloso sovversivo. Carcere preventivo nel penitenziario savonese di S. Agostino, poi processo/farsa e condanna a due anni di confino. Destinazione Pisticci, provincia di Matera in data 27 marzo 1942. I detenuti avevano l’obbligo di lavorare nella bonifica delle terre paludose e costruire abitazioni per i futuri coloni, altrimenti il confino si traduceva in carcere. Senz’altro mio padre se avesse dovuto fare questi lavori pesanti ne sarebbe morto! Fortunatamente parlando con i suoi più vicini compagni di sventura, dicendo di essere pittore, fu presentato al prete della erigenda chiesa che lo accolse a braccia aperte, invitandolo a cancellare il precedente lavoro di un suo collega che aveva abusato dell’incarico con figure in stile moderno poco consone alla sacralità del luogo! Ripartì da capo con nuove decorazioni a cui lui era abituato per i tanti lavori eseguiti nelle chiese di Genova, ricevendo in seguito addirittura elogi scritti da una Commissione vaticana! Documento che gli servì – in occasione di un nuovo arresto a Genova - per addolcire la posizione del terribile Spiotta. Con questo lavoro riuscì soprattutto a eliminare una delle più gravi cause di debilitazione fisica, come succedeva ai suoi compagni di prigionia (incontrò anche amici di Genova in condizioni pietose) sfiniti dalla fatica del lavoro dei campi, riservandosi solo le altre due sciagure del confino: il cibo di infimo ordine e i pidocchi nelle brandine che lo umiliavano.

Un “blitz” dei partigiani per liberare prigionieri dei fascisti

Tornò libero (con venti chili meno) con qualche mese di anticipo, per una amnistia, litigando con il prete di Pisticci che voleva trattenerlo per terminare le belle decorazioni! In piena guerra, sotto i bombardamenti, fummo costretti a sfollare in un piccolo paese, Costagiutta, verso i Giovi, e mio padre si sobbarcava il compito del pendolare, non rinunciando mai alla possibilità di lavorare anche in quelle difficili condizioni tragiche e, ogni tanto, aveva bisogno del mio aiuto. Da buon allievo lo seguivo. Dopo l’8 settembre entrò in contatto con i compagni genovesi della Resistenza e, a Costagiutta, venuto a conoscenza di un piccolo campo di concentramento di prigionieri di guerra sorvegliato da alpini, organizzò con alcuni membri delle Gap e la collaborazione di giovani contadini, un blitz per liberare i prigionieri (che erano stati distaccati dal grande campo di Cavalieri) e sequestrare le armi degli alpini (in gran parte consenzienti) per rifornire le giovani formazioni partigiane. I prigionieri liberati vennero nascosti in cascine nei boschi, mantenuti spontaneamente dalla totalità dei contadini e, su loro richiesta, accompagnati poi o nelle zone partigiane o in Svizzera. Di questo gruppo faceva parte anche un gappista di Paveto, Angelo Gazzo che, purtroppo, su delazione, fu arrestato, trasferito a Genova alla Casa dello studente e nella sede del fascio a Tommaseo, sotto le grinfie del tristemente noto Spiotta che, tramite alcuni nomi scritti su un taccuino, risalì anche a mio padre che venne arrestato per un confronto. Mio padre riuscì però a convincerlo che l’amicizia con il Gazzo era solo per affinità artistiche e siccome fra i suoi documenti messi sul tavolo dallo Spiotta saltò fuori anche la lettera di elogio del Vaticano (che mio padre portava sempre con sé) e, forse, anche per l’aspetto poco facinoroso che aveva, il capo della polizia fascista decise di rilasciarlo pur mettendolo sotto sorveglianza! Il Gazzo fu poi fucilato sulle alture del Righi con altri cinque patrioti. Dopo la guerra, mio padre fu segretario della sezione Centro di Genova dell’Anppia. Morì nel 1960. Aveva appena vinto un concorso per l’affrescatura esterna del palazzo del comune di Sestri Ponente. Lavoro che fu poi eseguito da mio fratello Osvaldo.

Triangolo Rosso, ottobre 2006

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