Triangolo rosso

Presentato a Torino un documentario sulla deportata che con la sua deposizione ha “inchiodato” il boia Demaniuk

“Volevano portarci via le stelle”: un film sulla vita di Marisa Scala

Il 24 ottobre per il ciclo “Filo Diretto” presso il Centro incontri della Regione Piemonte a Torino è stato presentato il documentario “Volevano portarci via le stelle.

La storia di Marisa Scala”.

 

di Pietro Ramella

 

Dopo il saluto del vice presidente del Consiglio regionale, Roberto Placido, viene proiettato un estratto del documentario, al termine iniziano gli interventi.

Max Chicco, regista del documentario, ricorda di essersi impressionato nel leggere la storia di Marisa Scala, riassunta in un articolo di Brunella Giovara su La Stampa nel 1999, e di aver immediatamente pensato di farne una memoria cinematografica. Presentatosi a casa sua per un primo contatto venne bloccato sulla porta e, conosciuto il motivo della visita, subì un interrogatorio: “Sei di destra o di sinistra?” Alla risposta che era di sinistra fu autorizzato ad entrare. Una volta divenuta concreta la possibilità di produrre il documentario, stabilì con Marisa che la scena iniziale sarebbe stata la ricostruzione del viaggio che l’aveva portata dal carcere Le Nuove di Torino a Bolzano. Si decise di partire alle quattro meno un quarto del mattino ma alle tre lei era già pronta. Questo il prologo della storia di una giovane ragazza venuta dal Veneto nella Resistenza.

Invitata ad intervenire Marisa Scala, con la voce rotta dall’emozione, dice di essere onoratissima ma di non voler parlare, semplicemente perché la sua non è altro che la storia di tante donne italiane che hanno fatto ciò che ritenevano giusto fare, per amore della libertà, non certo per cercare una gloria personale.

Bruno Vasari afferma di provare sempre una grande emozione a ricordare quei giorni, ma ciò è molto importante, esiste infatti ancora molto spazio per tenere viva la memoria, anche se il tempo dei testimoni è ormai poco. Si congratula con il regista del documentario che ha già visionato nell’edizione integrale a casa sua, e ricorda appunto come il 24 novembre 1944 si trovò seduto di fianco ad una giovane donna su un autobus con un’altra quarantina di uomini in corso di trasferimento da Milano ad una località al momento sconosciuta. La giovane guardando verso il cielo gli disse: “potranno toglierci tutto, ma di questo non potranno privarci”. Questa frase l’avrebbe riportato in diversi suoi di libri di testimonianza. Spera che il film di quella tragica esperienza che fu l’Università del lager, perché lì si formarono tanti divulgatori della memoria, venga visto da più persone possibile.

Giovanni Saracco ricorda gli aspetti tragici delle deportazione, non poterono portare via le stelle, ma tentarono di distruggerne la dignità e l’umanità, di fiaccarne lo spirito, d’annichilirne la volontà, prima di privarli della vita stessa. Ma i deportati seppero resistere, difendere la propria unicità e tornare a testimoniare che la Resistenza fu una scelta, resa obbligatoria solo dall’amore della libertà. Questa Resistenza da cui nacque la nostra Costituzione repubblicana ora in grave pericolo per lo stravolgimento tentato dal governo Berlusconi.

Mariarosa Masoero, premesso che testimoniare sulla deportazione è sofferenza, perché ricordare è soffrire di nuovo, la sofferta testimonianza di Marisa Scala è una tessera della storia della deportazione femminile, che presentò aspetti diversi da quella maschile, in quanto come scrive Anna Bravo: “Un prigioniero sa di avere ed essere un corpo, una prigioniera sa di avere ed essere un corpo di donna”. Riconosce nelle memorie di Marisa la mancanza assoluta di protagonismo, come lei stessa ha detto “È meglio dire meno che di più”, evitare la retorica, in questo si avvicina al diario partigiano di Ada Gobetti, all’ Agnese va a morire di Renata Viganò, come scrisse Gramsci “Io non sono né un eroe né un martire, sono un uomo comune disposto a morire per i suoi ideali”.

Bartolomeo Costantino, procuratore militare del Tribunale di Verona, ha aperto il suo intervento dicendosi onorato dell’amicizia che lo lega a Marisa Scala, cui va riconosciuto il merito di aver fornito una precisa testimonianza nel processo contro Michael “Misha” Seifert, uno dei mostri ucraini del campo di concentramento di Bolzano. Ha ricordato le vicende del processo istruito con cinquant’anni di ritardo in quanto il fascicolo dell’imputato era custodito con tanti altri nel cosiddetto “armadio della vergogna”. Il processo non fu un’assise contro il nazismo ma contro un nazista imputato di quindici omicidi. Non tutti furono provati, ma anche grazie alla testimonianza di Marisa nel 2000 fu possibile condannarlo all’ergastolo per nove di questi, condanna confermata in Appello ed in Cassazione. Ora è in corso la procedura di estradizione dal Canada, dove Misha si era rifugiato fin dal 1951. Il ritardo della consegna del condannato al nostro Stato dipende dal fatto che le autorità canadesi vogliono scoprire chi aiutò il criminale nazista ad entrare in Canada, ottenervi il permesso di soggiorno ed in seguito la cittadinanza. Il processo ha però avuto anche dei risvolti deplorevoli, soprattutto quando l’avvocato difensore interrogando duramente i testimoni ha cercato di metterli in difficoltà per minarne la credibilità. In chiusura del convegno è stato chiamato a parlare Ferruccio Maruffi, presidente della sezione Aned di Torino, il quale ha riconosciuto il grande valore della testimonianza di Marisa, come di tutti gli ex deportati in questi sessant’anni. Ricorda che a Mauthausen furono obbligati dalle SS ad assistere al selvaggio pestaggio di un compagno ed un nazista schernendoli disse loro: “ Noi possiamo farvi di tutto, tanto se per puro caso uno di voi sopravvivesse, nessuno lo crederà, neppure le vostre madri”. Alle madri non lo raccontarono per non creare in loro un lacerante turbamento, ma a tanti altri sì. Ricorda i numerosi viaggi ai campi di sterminio in compagnia di tanti giovani, cui i superstiti hanno parlato loro non come protagonisti, ma come uomini e donne riusciti a sopravvivere all’inferno dei vivi. Chiude rendendo omaggio a tutta la famiglia Scala, impegnata nella lotta per la libertà, tra cui Luigi, anche lui internato a Mauthausen, e perciò iscritto al grande Partito della Deportazione. Il convegno si è chiuso con un lungo applauso a Marisa Scala ed agli altri ex deportati presenti in sala.

Triangolo Rosso, maggio 2006

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