Triangolo rosso

Il leggendario “Iso” comandò la II Divisione Garibaldi “Redi” in Valsesia e nell’Ossola, governò Milano negli anni del terrorismo e della strage di piazza Fontana

La morte di Aldo Aniasi, il sindaco partigiano Medaglia d’argento al Valor Militare

 

Aldo Aniasi, “Iso”, è morto a Milano il 27 agosto 2005. Aveva 84 anni. Lascia la moglie Stefania e le figlie Alina e Bruna. Nato a Palmanova, in provincia di Udine, nel 1921, sfollato a Lodi, dopo l’8 settembre era salito in Valsesia organizzando la lotta armata e costituendo la II Divisione Garibaldi “Redi” di cui divenne il comandante. Medaglia d’argento al Valor Militare. Socialista, fu sindaco di Milano dal 1967 al 1976, deputato al Parlamento, ministro della Sanità e poi degli Affari regionali, fondatore del Circolo culturale “De Amicis”. Era presidente della Fiap, la Federazione partigiana e direttore del periodico della Fiap Lettera ai compagni. Le sue ceneri sono sepolte al Famedio fra i milanesi più illustri.

F.G.

 

Era il 1974 e stavo lavorando con Marco Fini, allora direttore della collana d’attualità della Feltrinelli e con lo storico Mario Punzo nei saloni del Circolo “De Amicis” di Milano alla preparazione del libro sulla vita della IIa Divisione Garibaldi “Redi”, la formazione di Aldo Aniasi “il comandante Iso” che si conquistò una leggendaria fama nella Resistenza valsesiana e ossolana e che l’aveva fortemente voluto, quando nella sterminata montagna di carte a disposizione che raccontavano di battaglie vittoriose e perdute, di fucilazioni, di compagni morti, di agguati, di combattimenti audaci, di dibattiti politico-culturali, di progetti, di speranze di libertà e di democrazia, uscì fuori il rapporto sulla “lunga marcia”. Si chiamava proprio così, la “lunga marcia”, qualcosa di primo acchito incomprensibile e che andava approfondito. L’archivio da cui provenivano le carte era di Aniasi e “Iso”, allora sindaco di Milano, aveva deciso di raccogliere il materiale cartaceo della “sua” Resistenza, disperso in più direzioni, di convocare i partigiani ancora in vita allora numerosi, a cominciare da “Cino” Moscatelli, il famoso commissario politico del Raggruppamento garibaldino della Valsesia, Cusio, Verbano, Ossola, per dar vita a una pubblicazione che raccontasse per documenti e testimonianze, quello che era successo trent’anni prima. Un piccolo monumento alla memoria che avremmo poi imparato ad apprezzare sempre più vista la parabola discendente nella vita del nostro Paese e la campagna demolitrice della lotta di Liberazione. La “lunga marcia” rappresentò l’ultimo capitolo, il più penoso ed assieme il più esaltante, di quella lotta estrema condotta sulle montagne della Val d’Ossola per conquistare, era l’autunno del ’44, un fazzoletto di terra libera mentre il Paese era sotto il tallone nazifascista. Caduta la Libera Repubblica, abbandonata dopo 40 giorni di vita democratica al suo destino dalle mancate promesse alleate e dalla contemporanea aggressione di preponderanti truppe nazifasciste, gran parte dei combattenti passò in Svizzera percorrendo il passo di San Giacomo unica via di fuga praticabile verso la salvezza. Ma ci fu chi, per scelta, coraggio, volontà politica, decise il contrario, non mollò. Restò in Italia a costo di cadere nelle maglie di un rastrellamento poderoso che fascisti e nazisti avevano scatenato contro i partigiani, impossibilitati a difendersi. Fra chi non riparò oltre frontiera ci fu Aniasi, “Iso”, che fu uno dei grandi protagonisti di quella “lunga marcia” spesso dimenticata ma decisiva per il futuro della lotta partigiana. Fu Gisella Floreanini “Amelia Valli”, l’unico ministro della Repubblica a non trovar riparo nella Confederazione, a raccontarmi di quel “viaggio” dall’Ossola sino al Cusio fissato nei brandelli dei documenti, durato una settimana, sulle montagne (sette per la precisione) e fra metri di neve in condizioni estreme, senza vestiario adatto, con poco cibo. Con Aldo, ricordò la Floreanini, «il corpo avvolto da una coperta francese, bellissima, molto pesante che rendeva il cammino molto lento», «sempre in coda per controllare che non ci fossero dispersi», c’erano il fratello di “Iso”, Guido, commissario politico del Battaglione guastatori, delegato a sabotare le linee ferroviarie, a far deragliare i treni, a far saltare per aria le caserme fasciste, a minare i ponti, il grande Pippo Coppo, commissario di divisione, Paolo Scarpone, commissario di guerra al Comando unico di zona Ossola, Bartolomeo Chiodo, capo di Stato maggiore del Comando unico, il generale Giuseppe Curreno di Santa Maddalena (“Delle Torri”), Ettore Carinelli, vice-comdante della “Redi”. La “lunga marcia” servì a salvare una parte considerevole della Resistenza, consentì, passata la tempesta, di poter riprendere la lotta. Questo avvenne per il coraggio e la determinazione di “Iso”. «Da Iselle» raccontò Guido Aniasi «si raggiunse nuovamente la Valsesia, attraverso l’Ossola e il Cusio. Cominciammo tutti baldanzosi, e, mano a mano che si procedeva, ognuno abbandonava qualcosa, cercando sempre di non perdere le armi. Non si poteva toccare nessun centro abitato, perché i nazifascisti avevano occupato tutto. Arrivammo alla fine dove volevamo arrivare, con l’ordine assoluto di non farci notare, di non effettuare nessun tipo d’azione». Poi la “Redi”, poco a poco, si ricostituì e riprese a lottare. Non mancarono i dissensi, garibaldini da una parte, badogliani, monarchici e cattolici dall’altra. Come ai tempi della Repubblica ossolana. «Si discusse allora come si discute oggi se era giusto difendere l’Ossola» scrisse “Iso” nella prefazione al nostro Guerriglia nell’Ossola, uscito nel 1975 nella collana di storia della Feltrinelli «ma una cosa è certa: da un punto di vista militare l’Ossola non era difendibile. I nostri rapporti parlano chiaro, eravamo contrari alla creazione di fortificazioni fisse, di linee difensive rigide. Il nostro motto era “arrendersi o perire”. A ciò va aggiunto che i partigiani guardavano con perplessità ai governanti che erano rientrati dalla Svizzera per assumere funzioni dirigenti. I partigiani erano faziosi, settari, però non avevano completamente torto». Le ultimissime imprese della “Redi” riguardarono la caccia ai tedeschi in fuga nell’aprile del ’45 verso la pianura, lo stop nell’Alto Milanese della “colonna Stamm” che tentava disperatamente di aprirsi un varco. “Iso” era stato sempre orgoglioso di quest’ultimo decisivo contributo alla causa partigiana. Ne parlava spesso per onorare gli ultimi compagni caduti all’alba della libertà. «Eravamo ormai certi» disse un giorno «di un futuro di democrazia e di giustizia ma questa certezza durò poco, presto i dubbi, le paure, la rabbia cominciarono a serpeggiare tra noi, presto ci rendemmo conto che la nostra lotta doveva continuare». Fu infatti così. L’intrepido partigiano dal fazzoletto rosso, quel rosso che continua a turbare il sonno della “vecchia” Italia «con la sua cultura provinciale asfittica», riprese a lottare. Lo fece con rigore, sempre, dai banchi della politica locale e nazionale a quelli della “memoria”, animatore appassionato come è stato di Lettera ai compagni, il periodico della Fiap fondato da Ferruccio Parri, sostenitore della “Casa del partigiano” di Fondotoce, sacrario dei fucilati della Valgrande, instancabile organizzatore di convegni storici e politici. Governò Milano nella tempesta delle stragi e del terrorismo senza mai arretrare. Fermo, sempre presente, disponibile al dibattito, a capire. Ha lasciato un esempio cristallino. La lotta di Liberazione era la sua stella cometa. «Caro Giannantoni» mi aveva scritto il 28 giugno scorso nella sua ultima lettera «complimenti vivissimi per il libro che hai scritto con Ibio Paolucci a proposito della storia partigiana di Giovanni Pesce “Visone”. Ti ringrazio per avermelo dato. Fare vivere la memoria della Resistenza è un impegno al quale non manchi mai».

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Il cordoglio di Ciampi, il messaggio di Maris

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Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica:

 

"Sono profondamente addolorato per la scomparsa di Aldo Aniasi. Combattente nella guerra di Liberazione, parlamentare, ministro, il "Comandante Iso" ha dedicato una lunga e appassionata militanza civile e politica alla affermazione dei valori di libertà, di giustizia e di solidarietà. Il Suo impegno è stato quello di una intera generazione che ha saputo rifondare lo Stato e garantire alla nazione più elevati traguardi di crescita e di progresso. Profondamente legato alla città di Milano, di cui è stato a lungo sindaco, ha rappresentato nei prestigiosi incarichi ricoperti nel corso della Sua lunga carriera un esempio di passione e dedizione al bene della collettività. Dobbiamo a uomini come Aldo Aniasi e alla Sua intensa testimonianza di vita il consolidamento di una etica civica e di una cultura sociale e politica che rende oggi l'Italia protagonista del processo di integrazione europea a garanzia della pace e della convivenza fra i popoli. Con questi sentimenti invio ai Suoi familiari l'espressione del mio partecipe cordoglio".

 

Il presidente dell'Aned e della Fondazione Memoria della Deportazione Gianfranco Maris ha inviato alla Fiap un commosso messaggio di condoglianze:

 

"L’Aned – Associazione nazionale ex deportati politici nei campi di sterminio nazisti e la Fondazione Memoria della Deportazione, piangono la morte di Aldo Aniasi, il partigiano Iso, per tutta la vita sempre fedele agli ideali della Resistenza e della Costituzione repubblicana e ai valori di un socialismo unitario che nella crisi dei partiti degli anni ‘90 lo portò senza incertezze a continuare il suo impegno politico nelle file dei Ds. Il socialista Aldo Aniasi fu anche guida aperta e intelligente della città di Milano, nella crescita moderna e nello sviluppo culturale, politico e sociale negli anni difficili della strage di piazza Fontana e della contestazione giovanile. A tutta la sua famiglia e ai compagni della Fiap i combattenti partigiani, i superstiti dei campi di concentramento nazisti e i loro famigliari sono oggi vicini con fraternità.”

Triangolo Rosso, novembre 2005

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