Triangolo rosso

Elow Kihlgren “Giusto fra i giusti” dal settembre scorso, per la sua “attività” a Genova dal 1944 L’attestato di benemerenza gli è stato consegnato dallo Yad Vashem dopo che molti anni più tardi è stato ritrovata una lettera del 2 luglio 1945 in cui uno dei salvati racconta al diplomatico svedese in Italia come si svolsero i fatti.

Il console svedese rischiò la vita per salvare una famiglia di ebrei

 

di Enrica Basevi

 

Nel 1944 Elow Kihlgren, un imprenditore svedese di 57 anni, viveva a Genova con l’incarico di console onorario di Svezia. A Genova, dove era capitato giovane laureato, dopo un giro con borse di studio in diverse città europee, si era poi fermato, aveva costruito la sua numerosa famiglia e per le sue relazioni industriali e per la fiducia di cui godeva aveva fondato con successo le filiali italiane di alcune delle più importanti imprese industriali svedesi, fra le quali la telefonica Ericsson. Dopo molti anni dalla fine della guerra e dalla Liberazione, qualche mese fa, esattamente il 20 settembre 2001, la “Commissione per la designazione dei giusti” istituita a Gerusalemme dallo Yad Vashem, l’ente preposto alla “Memoria degli eroi e dei martiri dell’Olocausto”, aveva deliberato di onorare la memoria di Elow Kihlgren conferendogli il titolo e la relativa medaglia dei “”giusti fra le nazioni”, perché “Kihlgren, durante il periodo dell’Olocausto in Europa ha messo a rischio la propria vita per salvare ebrei perseguitati”. La pratica per arrivare alla conclusione della ricostruzione storica dei fatti era stata lunga per la necessaria verifica della documentazione. L’attestato di questa benemerenza venne poi consegnato ai figli di Kihlgren all’inizio di quest’anno, nel corso di una cerimonia privata, e per questa ragione la notizia era poi rimasta riservata. Si tratta però di una di quelle notizie alle quali è giusto dare risonanza, perché è giusto ricordare quello che alcuni hanno fatto nei confronti della persecuzione razzista degli ebrei in Europa, e in questo caso in Italia, come si sta facendo in questi ultimi anni, distinguendo chi ha fatto qualcosa per salvare qualcuno perseguitato, anche se questo era avvenuto a rischio della propria vita, da chi invece ha visto sparire i propri vicini di casa senza stupirsi e senza fare nulla per loro. Il nome di Elow Kihlgren sarà dunque inciso per sempre sulla Stele d’onore nel Giardino dei Giusti presso lo Yad Vashem a Gerusalemme

 

Un documento getta una nuova luce sull’aiuto decisivo a nove persone

 

La pratica per onorarlo ha ricevuto una svolta decisiva quando, poco tempo prima della conclusione della pratica, fu ritrovato dai sopravvissuti della famiglia salvata da Kihlgren, Gianni, Max e Bella Sterngold, un importante documento datato 2 luglio 1945. Si tratta della lettera che Avraham Stamfeld scrisse all’Ambasciata di Svezia in Roma, appunto subito dopo la Liberazione, per raccontare come Elow Kihlgren aveva salvato una famiglia ebrea, la sua. Il documento racconta che la famiglia Stamfeld, di origine polacca, ma al momento proveniente dalla zona sudorientale della Francia, occupata allora da forze militari italiane, era composta da nove persone. E che furono proprio alcuni soldati italiani ad aiutare gli Stamfeld a raggiungere l’Italia, e precisamente Genova. A Genova fu un sacerdote, don Francesco Repetto (già proclamato “Giusto fra le nazioni”) “a trovare per loro un ricovero presso un convento. Tuttavia dopo solo tre settimane don Repetto comunicò ai profughi di essere egli stesso ricercato dai tedeschi per l’aiuto fornito agli ebrei, aiuto che egli sempre negò ai tedeschi di aver dato. Ma don Repetto consigliò agli Stamfeld di lasciare il convento, divenuto pericoloso, e di chiedere aiuto al console svedese e a quello svizzero, stabilendo personalmente il contatto. Kihlgren raggiunse il convento, prelevò la famiglia Stamfeld e provvide a collocarla in un appartamento che riteneva sicuro, avendolo egli stesso allestito per questa necessità. Provvide anche a fornire gli alimenti ai nove profughi. E dopo una settimana sistemò una delle signore Stamfeld e due bambini in una villa fuori città, in modo che i bambini non avessero troppo a soffrire per i bombardamenti aerei che colpivano Genova e per lo stare rinchiusi in un appartamento: la casa era del console finlandese e quindi anch’essa relativamente sicura. Passarono però solo tre settimane: quando all’ improvviso nella villa fecero irruzione i tedeschi alla ricerca dei piloti di alcuni aerei alleati abbattuti, mentre si diceva si fossero salvati gli aviatori. Così i bambini Stamfeld tornarono nell’appartamento in città. Intanto la situazione a Genova diventava sempre più tesa: nell’aprile del 1944 Kihlgren fu arrestato dalla Gestapo, con l’accusa di aver aiutato i piloti alleati, e un ebreo, che in effetti si era rifugiato anch’egli nell’appartamento dove si nascondevano gli Stamfeld. Ma Kihlgren fu poi rilasciato: secondo una versione per l’intervento del console del Vaticano a Genova, secondo un’altra versione, la testimonianza del figlio maggiore di Kihlgren, Gérard, che allora aveva vent’anni, e che con i fratelli era stato messo al sicuro dal padre in Svezia, ma che successivamente ricostruì col padre gli avvenimenti. Elow fu liberato grazie all’intervento del Ministero degli Esteri svedese. Appena tornato libero Kihlgren decise che era necessario far scappare gli Stamfeld in Svizzera. Ciò che non era facile, ma che egli riuscì a fare con l’aiuto di alcuni contrabbandieri. E così per primi partirono gli adulti, mentre i bambini furono ospitati da un istituto per l’infanzia, finché dieci mesi dopo fu possibile organizzare anche il loro passaggio in Svizzera e unificare così la famiglia. Nel settembre del ‘44 Kihlgren fu espulso dall’Italia per ordine dei tedeschi e fu richiamato in Svezia. Solo a guerra finita tornò in Italia, a Genova, al suo posto di console, e vi rimase sino alla fine dei suoi giorni, nel 1974. La ragione per la quale la pratica per annoverare Elow Kihlgren Giusto fra i Giusti impiegò qualche mese per essere approvata stava nel fatto che non era stato documentato un nesso diretto fra l’arresto di Kihlgren con il rischio di una condanna a morte da parte dei tedeschi, e la sua attività a favore degli ebrei. Con la lettera sopra citata ritrovata dai discendenti Stamfeld la pratica potè avviarsi a conclusione. Ma a noi, oggi, in questo momento in cui il totalitarismo sembra essere in qualche modo di nuovo una minaccia concreta, ed è dunque necessario capire il sottofondo dal quale esso può nascere o viceversa essere impedito, a noi dunque oggi interessa domandarci anche nel caso di Kihlgren che cosa poteva aver spinto questo cittadino svedese, nel fiore dell’età e del successo professionale, gioviale e gioioso, come noi lo ricordiamo, a rischiare la vita per salvare una famiglia ebrea. Forse giocò un ruolo fondamentale l’essere figlio di un pastore protestante, e aver ricevuto dunque una educazione intransigente verso il diritto di tutti alla vita, fuori da ogni razzismo, e anche, forse, l’aver vissuto la propria formazione in un paese come la Svezia, di grande tradizione democratica, cittadino fra cittadini. O forse l’aver goduto della simpatia di numerosi amici ebrei. Anche, si può aggiungere, aver provato personalmente, con la propria moglie Sigrid, il grande dolore di perdere i tre figli maggiori: i primi due in pochi giorni l’uno dall’altro nel 1923, e il terzo due anni dopo. Ma questi sono solo spunti di riflessione. Ed è possibile che le vere ragioni siano da ricercare nelle tradizioni culturali, terreno nel quale un giovane svedese nato alla fine del secolo XIX aveva potuto essere educato.

Da Triangolo Rosso, luglio 2002

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