Triangolo rosso

Primo Levi mi prese la mano e mi disse  “Ma come scotti”

 

Quando parla della Tregua di Primo Levi e del film che ne è stato tratto da Francesco Rosi, Bice Teresa Azzali sa cosa dice. L’ha fatto anche lei, 52 anni fa, quell’incredibile percorso lungo le strade di mezza Europa, negli ultimi mesi della guerra, per tornare a casa. Anche lei, come Primo Levi, veniva da Auschwitz. Anche lei portava nel cuore l'orrore di chi aveva visto l’inferno sulla terra e non sapeva con quali parole avrebbe mai potuto raccontarlo a casa. Quando ha visto al cinema la pellicola di Rosi, Bice Azzali ha pianto per i ricordi che quelle immagini le hanno fatto riaffiorare dopo tanti anni, facendole tornare alla mente i mille e mille che da quel campo non son tornati. E ha continuato a piangere anche tornata a casa, per quasi due giorni, tanta era stata l’emozione. Ma in fondo in fondo, nel suo cuore un po’ ha gioito: se quel film può circolare nelle sale, una minuscola percentuale di merito ce l’ha anche lei, che fin dall'inizio ha incoraggiato Francesco Rosi - senza conoscerlo personalmente – a impegnarsi in questa sfida. La storia di questo rapporto epistolare con il regista ce la racconta lei stessa. “Diversi anni fa, dice, per caso, come capita, ho visto in televisione Francesco Rosi che parlava di questo suo progetto. In una intervista spiegò la sua voglia di portare sullo schermo il bellissimo libro di Primo Levi, ma anche tutti i suoi timori. Temeva le difficoltà dell'impresa, ma temeva anche che il pubblico, al giorno d'oggi, non avrebbe avuto voglia di andare a vedere un film simile, perché la gente oggi non vuole fare i conti con i grandi dolori del mondo.” Dando ascolto all'istinto, Bice Azzali prese carta e penna e scrisse una appassionata lettera indirizzata al regista, incitandolo a non farsi vincere da quei timori, sicura che il libro di Primo Levi gli avrebbe offerto materia per un film di qualità, che avrebbe saputo parlare anche al grande pubblico, aiutandolo a non dimenticare lo sterminio nazista e i molti milioni di uomini, donne e bambini che furono falciati nei campi di Hitler. Non sapendo in quale modo riuscire a far pervenire il suo incoraggiamento al regista, indirizzò la sua lettera all’ “Unità”, che la pubblicò. Poco tempo dopo a Bice Azzali giunse inattesa l'affettuosa risposta del regista. “La sua lettera, scriveva Rosi nell'agosto del 1991, è un incoraggiamento alla scelta ‘difficile’ che ho fatto di trarre un film da La Tregua di Primo Levi. Scelta difficile per i tempi che corrono, in cui la gente sembra non abbia voglia di sentirsi ricordare le grandi sofferenze che toccano all'umanità periodicamente.” Per anni anche Bice Azzali, alle prese con i suoi malanni, ha atteso come altri l’uscita del film. E, appena le sue condizioni di salute gliel'hanno consentito, si è fatta accompagnare a vederlo. “Un film magnifico, commovente, stupendo, umano, tecnicamente perfetto”, dice adesso, lasciandosi trascinare dall'entusiasmo. Per lei e per tanti ex deportati che l’hanno visto, il lavoro di Rosi è stato anche un tuffo nel passato: “Mi ha fatto rivivere con le lacrime tutte le mie sofferenze di quel periodo. Ma anche le emozioni grandi, come quella di quando ho visto arrivare fuori del Lager i soldati russi. Noi eravamo spaventati, e loro ci mostravano il cappello con la stella rossa. ‘Ruski, ruski’, dicevano, e finalmente allora abbiamo capito che eravamo liberi. Ricordo quando il generale dell'Armata Rossa Timocenko arrivò tra di noi, con il suo cavallo. Era un bellissimo uomo, e a noi su quel cavallo pareva anche più bello e importante. Ci annunciò che eravamo liberi dall’inferno nazista, e ci disse che ci avrebbe riportato a casa. Poi ci chiese di cantare ‘O sole mio’ quasi fosse il nostro inno, e l'Italia ci parve improvvisamente così vicina. E invece...” Invece per tutti iniziò il purgatorio; un interminabile viaggio attraverso paesi devastati dalla guerra, nelle retrovie di un conflitto che non era ancora terminato e che sarebbe costato ancora centinaia di migliaia di vittime sui campi di battaglia ma anche nei grandi e piccoli Lager nazisti ancora in funzione, nei quali i deportati di tutta Europa lavoravano come schiavi al servizio della macchina bellica nazista. Il caso fece brevemente incrociare il destino di Bice Azzali con quello di Primo Levi, in quel periodo di “tregua”. “Ricordo, dice, che un giorno a Katowice incontrai per caso in uno stanzone che fungeva da ambulatorio due italiani: uno era il dottor Leonardo De Benedetti, che avevo già conosciuto, e che mi apparve vecchissimo ma come sempre gentile e premuroso verso gli altri; e l'altro era il giovane Primo Levi, che si adoperava come infermiere.” “Primo Levi mi prese la mano e mi disse: ‘Come scotti’, ma in realtà a me pareva che lui scottasse più di me. ‘Quanti anni hai?’, mi chiese. ‘Ventiquattro’, risposi, ‘e tu?’ ‘Venticinque’. Povero Levi, ne dimostrava ottanta!”. Le strade dei due tornarono ad incrociarsi un altro paio di volte, in Polonia “e su quel maledetto treno che doveva portarci a casa e che invece sembrava andare ovunque meno che verso l'Italia”. Ma allora Primo Levi era uno dei tanti; solo dopo, con l'uscita del suo Se questo è un uomo, la sua si impose come una delle voci più alte tra i testimoni dello sterminio nazista. “Io penso spesso a lui e ogni volta lo ringrazio, dice Bice Azzali. Grazie per avere scritto, per aver fatto conoscere al mondo la nostra tragica storia. E adesso penso con gratitudine anche a Rosi: grazie anche a lui, per aver realizzato in modo così perfetto un film sul libro di Levi. Sono certa che lui ne sarebbe stato felice.” “Noi ex deportati, dice ancora Bice Azzali, che di questo secolo abbiamo visto di persona la pagina peggiore, vorremmo dire sempre basta con le stragi, con le guerre, coi terrorismi, la violenza; vorremmo un mondo di pace e di giustizia. E io penso e spero che il film di Rosi possa portare ancora il suo contributo. Come ha fatto Primo Levi, con i suoi libri. E come continueremo a fare finché ce la faremo noi, ex deportati superstiti dei campi di Hitler.”

(Da “Milano Mattina” dell’8 giugno 1997)

 _________________________________________________________________________

 

Ecco il testo della lettera indirizzata da Francesco Rosi a Bice Azzali di Roma

 

Cara signora, grazie dell’incoraggiamento

 

Gentile signora Azzali,

La Sua cara lettera è una conferma e un incoraggiamento alla scelta “difficile” che ho fatto di trarre un film da “La tregua” di Primo Levi. Scelta difficile per i tempi che corrono, in cui la gente sembra non abbia voglia di sentirsi ricordare le grandi sofferenze che toccano all'umanità, periodicamente, tanto che si può dire da sempre che la vita è una tregua tra un dolore e l'altro. Ma Primo Levi in quella grande opera ha raccontato anche, e soprattutto, la gioia del ritorno alla speranza: questa mi è sembrata una ragione sufficiente, attuale, oltre che eterna, per provarsi in un'impresa non facile. La Sua lettera all' “Unità” è molto toccante, ma anche, malgrado l'ossessione della memoria, serena. La saluto con gratitudine per le Sue parole e con affettuosa solidarietà

Francesco Rosi

Da Triangolo Rosso, giugno 1997

sommario