TESTIMONIANZE di SOPRAVVISSUTI

 

Ettore Zilli

 

Mi chiamo Ettore Zilli. Sono nato il 17 dicembre del 1924 a Zoppola, località Ovoledo Castions, da una famiglia contadina e molto numerosa. Io sono il primo di dieci fratelli. Mio papà era un invalido della Grande Guerra ed anche lui era uno di dieci fratelli sparsi un po’ ovunque. I miei zii erano tutti antifascisti e per questo presero l’olio nel ’22, furono processati e condannati; uno fuggì in Messico proprio due giorni dopo la mia nascita. Sono dunque cresciuto in mezzo all’antifascismo. A scuola ho dovuto fare il “balilla” e “avanguardista” e fu proprio lì che presi il mio primo schiaffo dai fascisti perché non volli andare all’adunata il giorno della dichiarazione di guerra. Scoppiata la guerra io ero ancora giovane e coi miei compagni cercavamo occasioni di divertimento andando a ballare nelle balere dove venivano anche i militari, ed eravamo proprio noi a preparargli da mangiare. Dal marzo del ’43 andai a Fiume come civile militarizzato per costruire i rifugi ai militari. Con l’8 settembre ci fu l’armistizio e subito, la sera stessa, i partigiani vennero da noi per avvisarci di tornare a casa. Sapevamo che l’armistizio avrebbe fatto arrivare i tedeschi come invasori e, due giorni dopo il rientro a casa, andai con i partigiani a portar via della roba dalla caserma dei carabinieri. Io portai via dei fucili che nascosi nel fienile. Come ci aspettavamo, estero la legge tedesca fino a Venezia. Sulla porta di casa dovevamo appendere lo stato di famiglia con la sottolineatura in rosso per i componenti in età militare. Io ero segnato in rosso. Sapendo che ero di una famiglia antifascista, i partigiani vennero a cercarmi e mi chiesero di unirmi a loro: così fu. Dormivo a casa ma facevo la staffetta. Portavo viveri e altri oggetti utili; andavo anche a ritirare la roba dei lanci che venivano fatti dagli alleati per rifornire i partigiani. Dopo vari trasporti, fui arrestato: era il 28 ottobre del ’44, con me c’erano 34 o 35 persone. Ci hanno portato davanti al muro della fucilazione ma non spararono, forse eravamo in troppi. Ci trasferirono nelle carceri di Pordenone, dove rimanemmo 8 giorni, stipati in 12 per ogni cella. Ci trasferirono poi a Udine, facendosi sfilare per la città come se fossimo dei vergognosi delinquenti, legati l’uno con l’altro con catene. Ma la città diede una risposta forte a questo primo tentativo di annientare le nostre personalità, chiudendo tutte le persiane in segno di disapprovazione al momento del nostro passaggio. Fu un vero e proprio atto di sfida nei confronti dei tedeschi, che ci diede coraggio. Anche a Udine mi toccò scendere ben due volte al muro della fucilazione, ogni volta che uccidevano un tedesco. Scampato alla morte entrambe le volte, fui portato in stazione con un camion insieme ad altri compagni e stipato in un vagone che conteneva 40 persone circa. Con noi c’erano anche 7 ragazze dell’alto Friuli. La destinazione di quel convoglio era Dachau. Durante il tragitto, all’altezza di Salisburgo, ci fu un bombardamento che ci tenne fermi, ancora da civili, a lavorare per sistemare la ferrovia. Dopo due mesi ci portarono nel campo di smistamento a Zwass, presso Innsbruck, dove siamo stati un altro mese a lavorare nelle miniere d’argento e poi si aprirono anche per me le porte del campo di sterminio: prima Rakenau e poi Dachau. La storia di Dachau è nota, dunque non mi ci soffermo. Vi dico solo che, tornato, mi ci vollero ben due anni per ricuperare. Ero disoccupato e lavorai in nero al mulino di Zoppola. Dal 1950 mi sono trasferito a Sesto San Giovanni (Milano) dove ho lavorato alla Pirelli per 35 anni. Ho cominciato con Taccioli e Gori, due persone eccelse e miei maestri politici, ad occuparmi dell’ANED (Associazione Nazionale Ex Deportati). Dal 1987, dopo la morte di Gori, sono stato il presidente dell’ANED – sezione di Sesto, fino al gennaio 1999. quattro anni fa sono eletto anche nel consiglio nazionale dell’ANED, da 35 anni torno in Germania con la delegazione di Sesto. Quest’anno ci sono andato 5 volte per accompagnare i ragazzi delle scuole di Milano, Brescia, Como e Dongo, oltre al tradizionale pellegrinaggio dell’ANED. Il resto della mia attività si svolge nelle scuole, dove vado a testimoniare gli orrori del nazifascismo. Da qualche anno a questa parte sono accompagnato da giovani vicini all’Associazione che hanno partecipato ai pellegrinaggi perché, presto o tardi, saranno comunque loro quelli che dovranno continuare il discorso”.

 

(Da un’intervista a Il Fogolar Furlan)

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Ettore Zilli, ritornato l’8 maggio 2003 a Mauthausen, come tutti gli anni, per accompagnare i giovani a visitare quei luoghi di sofferenza, scrisse:

“Coloro che erano usciti a sopravvivere nei campi di sterminio nazisti, uscendo da quell’inferno il 16 maggio 1945 nella piazza di Mauthausen giurarono di dedicare il loro impegno perché l’umanità non dovesse mai più conoscere le barbarie della guerra. Purtroppo la nostra volontà e il nostro impegno non sono bastati a fermare la macchina bellica. Da allora nel mondo si sono combattute e si combattono tante guerre, piccole e grandi come l’ultima in Iraq. Tutto ciò dimostra quanto ci sia ancora da fare per costruire un mondo di pace e di giustizia. Questo è un compito che oggi spetta soprattutto ai giovani. La generazione che ha conosciuto gli orrori dei campi di sterminio va scomparendo. Sono i giovani che devono conoscere la storia, impadronirsi della memoria del passato se vogliono evitare che tutto ciò possa ripetersi. Ai giovani è affidata la difesa della pace e con essa la conquista di un mondo migliore”.

“La pace, questa piccola parola che racchiude il nostro mondo, che da troppo tempo è in conflitto con se stesso, per incomprensioni, per interessi multinazionali, che a volte non ci distingue e ci rende tutti uguali. Noi lasciamo in eredità un ventesimo secolo pieno di tribolazioni e guerre, ma anche sviluppo tecnologico, che ci ha portato forse troppo in alto, senza avere amore da dare ai nostri figli, che oggi si trovano a dover affrontare tanti problemi, prima di tutto la governabilità delle istituzioni, e la mancanza di fede e fiducia nelle istituzioni. Questa fede che noi anziani abbiamo avuto, e per la quale abbiamo combattuto contro la dittatura, per dare libertà e dignità al nostro paese. Quella stessa fede che ci ha consentito, alla fine della guerra, di ricominciare a lottare, con immensi sacrifici, per la ricostruzione. È necessaria una attenta riflessione, è necessario affrontare il XXI secolo, il nuovo millennio, con la certezza di aver capito i nostri sbagli, e prenderli come memoria storica per non commetterne altri, è necessario utilizzare tutto quello che, invece, di buono abbiamo fatto, è necessario che voi giovani sappiate amministrare il buon senso e la ricchezza di ogni essere umano, bianco o nero che sia, per arrivare a quella piccola parola che si chiama pace. Renderà orgogliosi noi anziani, che abbiamo ormai compiuto gran parte del nostro cammino, vedere voi giovani che avete recepito il messaggio, che avete accolto l’invito ad andare sempre avanti con il dialogo aperto, ma soprattutto vedere quello spirito inventivo, che vi distingue, per costruire un mondo migliore a misura di tutti. Diceva Pasteur: “Se l’umanità non uccide la guerra, la guerra ucciderà l’umanità”. Grazie, Ettore”.

 

Da una pubblicazione di Ettore Zilli

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