Sette del Corriere della sera

Simon Wiesenthal. La caccia è finita. 

Lo annuncia l'uomo che ha passato la vita a stanare i criminali nazisti. "Sono sopravvissuto alla maggior parte di loro", dice, "adesso non desidero nuovi casi". Così l'ultima sfida del novantatreenne diventa quella di archiviare tutta la documentazione raccolta e di monitorare o movimenti razzisti e revisionisti. Come sempre, per non dimenticare. Molte delusioni. La più grande, per il Wiesenthal di oggi, è non essere riuscito a trovare "l'angelo della morte" ovvero Joseph Mengele, a cui diede la caccia negli anni passati

di Simon Hattenstone 

Vienna, la nebbia, l'ufficio dove il 93enne cacciatore di ex nazisti Simon Wiesenthal lavora da 40 anni. Una piccola targa con la scritta "Dokumentazionszentrum". Suono e mi apre Rosemary, una delle sue segretarie. Seduto sulle scale, quasi invisibile, un poliziotto privato. I tre piccoli locali danno una sensazione di claustrofobia: letteralmente strabordanti di terribili ricordi dell'Olocausto e di testimonianze di omaggio a Wiesenthal. Parecchi diplomi di laurea, in busto in bronzo e manifesto con Ben Kingsley che lo impersona in un film; il tutto fra innumerevoli fotografie delle vittime del nazismo e una enorme carta geografica della Germania al tempo di Hitler. "È in ritardo", esordisce Wiesenthal, "l'aspettavo per le dieci e mezzo". Non sorride. Mi scuso, spiego che è colpa dell'aereo. Risponde che fra mezz'ora ha intenzione di ritornare a casa. Gli faccio notare che vengo dall'Inghilterra e gli chiedo se non possa concedermi qualche minuto in più. "No". Wiesenthal è invecchiato: il ventre decisamente più prominente, i pantaloni ben al di sotto del giro vita, però l'impressione è quella di un signore elegante e attivo. Abito grigio, maglione grigio, calze grigie: il tutto splendidamente coordinato con il viso e i capelli argentei. Mentre parla gli lacrimano gli occhi affetti da cataratta. Si sente l'incessante rumore dei tacchi delle due segretarie che, con passo deciso, portano avanti e indietro grandi faldoni. Risale a qualche settimana fa la notizia secondo la quale Wiesenthal avrebbe deciso di andare in pensione ... "Hanno male interpretato ciò che ho detto. Ho detto che sono sopravvissuto alla maggior parte di coloro ai quali ho dato la caccia per cinquant'anni. E ora non desidero occuparmi di nuovi casi". Be', se non è un pensionamento ... No, mi interrompe, c'è ancora tantissimo da svolgere a livello di conservazione della documentazione. Ci vorranno almeno tre anni per caricare tutti i dati in suo possesso su supporto elettronico e lui ha tutte le intenzioni di portare a termine l'operazione. Comunque, continua, il decidere di non cercare più altri ex nazisti non significa necessariamente che non gli capiterà più qualche caso: "Non escludo che potremmo trovarci nella condizione di dover cercare qualcuno". La sua numerosa famiglia era originaria di Buczacz, in Galizia. Lui trentenne fu testimone della deportazione della madre. Anche lui e sua moglie Cyla vennero deportati. Passò tredici lager riuscendo a sopravvivere. Cercò di suicidarsi due volte. Si trovò per ben tre volte davanti al plotone d'esecuzione. Una volta l'esecuzione venne interrotta quando già le campane suonavano a morte. Durante la ritirata dei tedeschi, un ufficiale delle Ss gli sparò, ma il proiettile lo mancò. Nel '44, un caporale delle Ss gli chiese come avrebbe descritto i campi. Wiesenthal rispose che avrebbe raccontato la verità. Il caporale replicò che nessuno gli avrebbe creduto. In quel preciso istante Wiesenthal decise che avrebbe documentato la Shoah e avrebbe perseguito gli architetti del nazismo affinché nulla cadesse nell'oblio. Al momento della sua liberazione, si trovava nel campo di Mauthausen, l'ex giovane robusto pesava 45 chili, ma la sua volontà e determinazione non erano tuttavia state fiaccate. Oltre ottanta dei suoi familiari, compresa la madre, erano stati vittime della soluzione finale. Venne informato che Cyla era stata uccisa e a lei venne detto che lui si era suicidato. Wiesenthal era nato con una straordinaria memoria fotografica. Dopo la liberazione, fornì un elenco di criminali di guerra da processare e dei 91 nomi forniti riuscì ad individuarne 75.  Da quel momento scovò e fece catturare oltre un migliaio di nazisti. Per stanarli, si avvalse della collaborazione di un gruppo assai pittoresco di ex deportati: i suoi "agenti": Anni di ricerche, condotte partendo da reperti fotografici e testimonianze orali. Lavoro quanto mai difficoltoso, anche perché i testimoni erano morti. Il criminale più famoso che Wiesenthal assicurò alla giustizia fu Eichmann. Per catturarlo convinse un ex deportato, che era divenuto un suo agente, a sedurre le ex amanti di Eichmann per venire in possesso di una sua foto. L'agente portò  termine la missione e la foto venne usata come prova al processo contro Eichmann. Il suo maggior successo? "Ho avuto molti casi per le mani ma su uno ho dovuto lavorare nove anni, e ce l'ho fatta. Hermine Braunsteiner era responsabile della morte di parecchie centinaia di bimbi in un campo di concentramento". La trovò in America. Venne deferita all'autorità giudiziaria e condannata all'ergastolo. "Mesi fa il giudice mi informa che Hermine è malata e dev'essere fatta uscire di prigione. Sa cos'era accaduto? Ha perso entrambe le gambe", e sorride per la prima volta dall'inizio dell'intervista. Chiedo se considera l'amputazione delle gambe una forma di giustizia immanente. Non risponde. Ma Wiesenthal  decide sempre lui a che domanda rispondere. Non è l'età, solo inveterata caparbietà. "Mi stia a sentire, abbiamo per le mani solo casi minori perché quelli molto impegnativi li hanno risolti gli americani. Noi non avevamo abbastanza danaro per inviare agenti in Argentina e Brasile". La maggior critica mossa a Wiesenthal è che abbia ingigantito il proprio ruolo nelle operazioni di cattura dei criminali di guerra e che gli amici di Mengele siano riusciti, per molti anni, ad andarsene in giro indisturbati per San Paolo ..."Quando avevo i soldi ho inviato i miei in Argentina e in Brasile. Siamo riusciti a risolvere alcuni casi. Avrei avuto bisogno di cento o duecento persone qui in ufficio. Che cosa potevamo fare io e due segretarie?". È mai stato tentato di mettersi dietro le spalle gli orrori dell'Olocausto? "Stia a sentire: ho passato i dodici anni precedenti la guerra lavorando come architetto. Quando iniziai a dedicarmi a questa attività, qualche settimana dopo la mia liberazione, ero così ingenuo da pensare: adesso non voglio costruire case, voglio costruire giustizia. Ci vorranno due o tre anni, ma giustizia sarà fatta". Aggiunge che vi erano altri cacciatori di ex nazisti che pensavano che tutto si sarebbe risolto in poco tempo ma che, in seguito, si resero conto di quanto interminabile fosse la ricerca .... "Se ne andarono. Emigrarono negli Stati Uniti, Israele, Australia. Ora il mio ufficio è l'ultimo. È concepibile pensare di chiudere anche l'ultimo ufficio rimasto al mondo?". Otto mesi dopo la sua liberazione Simon ritrovò la moglie Cyla in Polonia. Era stata sua compagna di classe e, come Wiesenthal, ora ha 93 anni. Nemmeno lei ha mai voluto un'esistenza normale? "Quando la ritrovai mi disse: "Hai studiato architettura per sette anni, hai lavorato per dodici, perché non torni a fare ciò che facevi? Non sei l'unico ad avere subito le persecuzioni... Andiamo in Israele, andiamo da qualche altra parte e comportiamoci come gente normale!". Ma io non ci riuscivo". Gli chiedo cosa farebbe se avesse il compito di catturare Osama Bin Laden e se pensa che debba essere processato. Evita semplicemente di rispondermi e continua a parlare: "Oggi c'è una persona che sappiamo ha ucciso 130.000 ebrei e che vive a Damasco, in Siria. È Alois Brunner" ... Mi racconta di Anton Gecas, un presunto nazista che è morto qualche mese fa a Edimburgo, poco prima di essere estradato in Lituania. Ha provato rabbia, un senso di sconfitta, oppure, più semplicemente, sollievo, alla notizia della morte dell'uomo? "Un processo è sempre un evento importante", risponde, "Abbiamo bisogno che si celebri un processo. Abbiamo il dovere di far finire la storia sui giornali. È il miglior deterrente perché queste cose non accadano più".

(traduzione di Paolo M. Noseda)


Dalla Galizia a Los Angeles

1908    Il 31 dicembre Simon nasce a Buczacz, Galizia, allora sotto l'impero austro-ungarico, poi polacca, sovietica e oggi ucraina.

1940    Laurea in architettura al Politecnico di Leopoli.

1941    È arrestato dai tedeschi: passa prima di ghetto in ghetto e poi di lager in lager.

1945    In maggio gli americani liberano il campo di Mauthausen e Wiesenthal con l'Us war Crimes office e  l'Oss.

1947    Fonda il Centro di documentazione ebraica per la cattura dei criminali nazisti: prima sede Linz e poi, nel 1961, a Vienna. Sono oltre mille i criminali scovati in mezzo mondo, e l'operazione più famosa è stata quella che ha permesso di processare e condannare a morte Eichmann.

1977    Fonda il Centro Wiesenthal per gli studi sull'Olocausto a Los Angeles.

Da Sette/Corriere della sera, novembre 2001

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