la Repubblica

Il calvario degli ebrei dimenticati dallo Stato

La beffa "dell'assegno di benemerenza", c'è un cavillo burocratico che esclude praticamente quasi tutte le vittime Discriminati nel '38 e mai più risarciti - L'ansia delle vittime: "Promettono cose che non vogliono darci e ci prendono pure in giro"

di Michele Smargiassi

ROMA - Che cos'è una discriminazione razziale? Giulia Sermoneta non ha bisogno di dizionari per saperlo, le basta aprire l'album dei ricordi all'anno 1938: "Essere cacciata da scuola come un'appestata, dovermi presentare da esterna agli esami, in fondo al corridoio, sentire i professori sussurrare: non parlate con quella li... Questa è discriminazione razziale". Limpido. Ma non per la Repubblica italiana. In Parlamento il sottosegretario Molgora ha spiegato qualche mese fa che "non configurano atti di violenza l'allontanamento dalla scuola pubblica, l'abbandono della propria abitazione, l'espatrio, il ricovero clandestino e tutte le discriminazioni di carattere generale che, a causa del fascismo o delle leggi razziali, i cittadini italiani di religione ebraica hanno patito". E con questo la beffa dell'«assegno di benemerenza» è compiuta. Peggio per chi s'era illuso che lo Stato avesse deciso, dopo 60 anni di scusarsi per le leggi del 1938 coi pochi ancora in vita che ne patirono i rigori. Niente affatto: quell'indecente apartheid italiano era legge dello Stato, e quando un sopruso è protocollato, anche da una dittatura, per lo Stato smette di essere un sopruso. "Una concezione cinica del diritto, una sordità etica agghiacciante", esplode l'avvocato milanese Gianfranco Maris, patrocinatore di molti ex-discriminati, "chiunque sa che essere cacciati da scuola in quanto ebrei è un atto di violenza, legge o non legge". o affermò anche una sentenza della Corte dei conti, quattro anni fa. Sembrò l'ultima spallata al muro di indifferenza che ha impedito per mezzo secolo di applicare la "legge Terracini" anche agli ebrei. Errore: era solo l'inizio di un più sottile boicottaggio, già denunciato su queste pagine da Mario Pirani, fatto di accanimento burocratico, assurdità logiche e cinismo regolamentare. "Dica pure pregiudizio, anzi razzismo bell'e buono", accusa Rafael Levi, battagliero commercialista romano che cura decine di pratiche dormienti. Razzismo? Sì, ma forse nella sua variante universale che è il burocratismo, per cui tutti gli uomini sono esseri inferiori al cavillo. Che nel caso in questione si chiama quid pluris (un po' di latino non manca mai in un buon pasticcio burocratico). E la tesi per cui, ad esempio, il signor Stenio Fiorentini, cacciato da scuola a 14 anni, non meritale scuse di Stato (né l'assegno misero, pari alla minima Inps, con cui le scuse diventano concrete), perché fu vittima della "mera condizione di persecuzione di ordine razziale" imposta dalle leggi del '38; leggi che valevano per tutti, e allora "tanto varrebbe dire che hanno diritto all'assegno tutti gli appartenenti alla razza ebraica" (scrive proprio cosi, "razza", senza neppure virgolette, un alto dirigente del Tesoro). "Ma cosa vogliono di più?", s'indigna Laura Prister, 84 anni, la cui domanda è stata prima accettata poi annullata: "Mi licenziarono, persi la casa, sopravvissi solo grazie a un'amica: non basta?". No. Per ottenere le scuse ci vuole, dicono al ministero, "un qualcosa di più", il quid pluris, una "persecuzione specifica" che non fosse già prevista dalla legge. Il bello è che la signora Sermoneta ce l'ha, il suo quid pluris. "Il 16 ottobre '44 i nazisti rastrellarono il Ghetto di Roma. Salirono le scale, picchiarono alla porta. lo mi buttai dalla finestra e mi ruppi due vertebre. Be', sa cosa mi ha obiettato il dottor Adinolfi, del Ministero? "La legge parla di atti di violenza". E buttarsi dalla finestra cos'è? "Intendo violenza ricevuta da altri", ha ribattuto lui. Ma cosa dovevo fare? Aspettare che i nazisti sfondassero la porta? Oggi non sarei qui a discuterne, ho detto, e me ne sono andata offesa". Da allora non ha saputo più nulla della sua domanda. Il signor S. N. di Ferrara aveva un quid ancora più limpido: nel '38 fu licenziato da una ditta privata, per eccesso di zelo razzista, ma non gli è bastato, anzi: "La legge parla di violenze compiute dallo Stato o dal Pnf", quindi: bocciato. Ovvero: se fu lo Stato fascista a discriminarti, non conta perché era una violenza "legalizzata"; se ti discriminò un privato, non conta perché non era lo Stato. Sembra il famoso Comma 22. Ma c'e di peggio in questa logica surreale. Roberto Romanelli di Rapallo, ex campione mondia-le di bridge, uno che sa controlla-re le emozioni, perse le staffe quando, dopo aver dimostrato le angherie subite (cacciato dall'Università, dall'Accademia navale e perfino dal Circolo canottieri) si sentì chiedere anche la certificazione di appartenenza alla "razza ebraica". "A me? Che ho perso ad Auschwitz mamma, papà e sorella? I nomi dei miei genitori sono sulla lapide al Lungotevere Cenci, lo Stato possiede già tutte le carte della mia famiglia". Niente da fare: anche lui ha dovuto sottoporsi all'umiliazione (e alla fatica) di riesumare dalle cantine dell'anagrafe il certificato del '38 con il bollo "di razza ebraica". Per molti rileggere quelle parole sotto il proprio nome è riaprire una ferita. "II direttore dell'anagrafe era più imbarazzato di me", racconta Giorgina Arian Levi, dolce ma decisa novantaduenne torinese cacciata dalla cattedra del liceo Alfieri ed emigrata in Bolivia, "mi ha chiesto scusa per essere costretto a firmare un certificato di quel genere". Per fortuna in questa Repubblica smemorata c'è almeno un funzionario che conosce la dignità e il rispetto.
Ma poi: è davvero necessario richiamare in servizio la becera anagrafe razziale, restituendo valore legale a un certificato ripugnante? La legge chiede le prove di un fatto, cioè l'avvenuta discriminazione razziale, non di un'appartenenza razziale. Che non è neppure facile da documentare: Edoardo Recanati, famiglia di imprenditori toscani (olio d'oliva) rovinati dalle leggi del '38, ha rinunciato a fare domanda quando ha scoperto che, per errore, sul suo atto di nascita non fu trascritta la dizione "razza ebraica". E che dire di Franco Montagnana? Figlio di ebrei antifascisti ammazzati nei lager, solo e vagabondo a 15 anni per Parigi e Torino, non avrà l'assegno perché un impiegato distratto scrisse "cattolico" sul suo foglio matricolare, cosa che gli salvò la vita, ma che ora lo esclude dal risarcimento: "Forse avrei dovuto andare dai fascisti e dire "Scusate, vi siete sbagliati, sono ebreo" ... ", ride amaro.
La morale di questa piccola, feroce banalità dei male burocratico è che l'unico vincitore sarà il tempo. Alla fine lo Stato risparmierà poche migliaia di euro e farà una figuraccia, gli ex discriminati lo saranno di nuovo, e il calendario chiuderà la partita con la sua "soluzione finale". "Hanno aspettato 18 mesi per chiedermi altre carte", dice Romanelli, "ma io ho 84 anni... La tirano in lungo sperando che togliamo il disturbo". "Giocano con noi", aggiunge Giorgina Levi. "Io ho fatto domanda solo perché resti traccia di quello che ho patito, ma per tanti amici è una tortura vergognosa. Ci lascino in pace, noi ebrei. Non ci prendano in giro un'altra volta, promettendo cose che non vogliono darci, solo per il gusto di vederci soffrire ancora".

LA STORIA

1955

La "Legge Terracini" concede un "Assegno di Benemeranza" ai perseguitati politici antifascisti o razziali, a chiunque abbia subito "atti di violenza o sevizie" da parte dello stato o del fascismo, e a chi "dopo il 7 luglio 1938 abbia subito persecuzioni per motivi di ordine razziale"

1994

Grazie alla perseveranza dell'associazione adppia la corte dei conti eroga al triestino Wolfgang Gruner, licenziato nel 1938 dai cantieri di Monfalcone, il primo assegno di benemerenza a un ebreo discriminato

1998

La corte dei conti stabilisce che sono "atti di violenza" anche le discriminazioni morali e psicologiche che ledono "valori fondamentali" della persona - 500 ex-discriminati presentano domanda

2002

Meno di 30 domande sono state accolte fino ad oggi. Di queste, 6 sono state annullate da ricorsi ministeriali per "rischio di grave danno erariale"

la Repubblica - 6 luglio 2002


"Schiavi di Hitler" primi indennizzi

500 milioni di dollari ai sopravvissuti

BERLINO - Sono centomila e vivono in 67 paesi del mondo i sopravvissuti all'Olocausto o i loro eredi che riceveranno una somma offerta come «riparazione» per i lavori forzati a cui furono sottoposti durante il regime nazista. Cinquecento milioni di dollari verranno messi a disposizione entro la fine della prossima settimana dalla fondazione «Ricordo, responsabilità e futuro», nata un anno fa e sostenuta per metà dal governo tedesco e da alcune industrie del paese. Finora più di mezzo milione di sopravvissuti di 53 paesi diversi hanno ricevuto ognuno 4.800 dollari offerti da fondo della "Conferenza ebraica sulle richieste materiali contro la Germania". Questo è l'ultimo di una serie di risarcimenti agli «schiavi di Hitler». Il più noto è quello che ha coinvolto due anni fa alcune banche svizzere, che hanno restituito ai sopravissuti più di un miliardo di dollari.

la Repubblica - 25 agosto 2002

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