Patria indipendente

Ricordiamo Richard Jemme, un piccolo ucciso dai medici nazisti

Birra e pasticcini per festeggiare l’orrore

Il programma di sterminio “T4” fu il prologo scellerato per i successivi “campi della morte”. Una terrificante serie di esperimenti

di Massimo Coltrinari

 

Lo sterminio degli ebrei, e con essi degli omosessuali, dei rom e di altre categorie sociali, rimane uno dei grandi buchi neri nella storia del secolo scorso e della nostra civiltà. La domanda che ci si pone, prendendo conoscenza della entità dello sterminio, dei modi e del corollario di efferatezze, violenze gestite tutte con fredda scientificità e lucidità, è: «come è stato possibile?». Fenomeni di antisemitismo ve ne sono stati nei secoli passati; reazioni violente contro i “diversi” sono presenti nella storia non recente, ma mai hanno assunto sistematicità e violenza come nel periodo 1933-1945 in Germania e Paesi da essa occupati. La risposta che viene data, in sistema con forme di negazionismo più o meno velato, più o meno giustificativo, è la classica risposta che vuole essere definitiva ma che in realtà è una “non-risposta”: è tutta colpa di un folle e della élite che lui ha costruito intorno alla sua ideologia. Una “non risposta” che nel nostro caso si traduce nella asserzione che lo sterminio degli ebrei e delle altre categorie di persone sia dovuta ad Adolf Hitler, ai suoi gerarchi ed al nazismo. Quindi con la caduta del nazismo, simili efferatezze non si avranno più. È indubbio che costoro, “i pazzi”, hanno una parte di colpa di quanto è successo, ma accanto a loro devono essere messi tanti personaggi, spesso al di sopra di ogni sospetto, che coinvolgono strutture statali, scientifiche, sociali, sportive, accademiche e, senza voler mancare del dovuto rispetto, ecclesiali. Ovvero, ancorché i “pazzi” sono stati sconfitti e resi innocui, esiste la certezza, non il timore, che tutto quanto è accaduto possa riaccadere. In questa nota vogliamo accennare a quel percorso che, in nome di una cultura e di un retaggio storico si è arrivati a sterminare esseri umani considerati “non esseri umani” ma alla pari di elementi nocivi, infettanti e pericolosi per la nostra salute fisica e mentale e quindi uccisi su scala industriale.

Un bambino non voluto

Nel 1938, in Germania, nella famiglia Knauer nacque un bambino gravemente deforme e handicappato. Gli mancava una gamba ed un braccio, sembrava cieco, soffriva di convulsioni e fu diagnosticato “idiota” dal medico di turno (1). Dopo aver affidato il bambino alla clinica pediatrica dell’università di Lipsia, il padre chiese al dott. Werner Katel, direttore della clinica, di ucciderlo. Questi si rifiutò ed il padre si appellò direttamente a Hitler (2). Dopo un breve approfondimento del caso il bambino fu ucciso. Senza che c’entrasse in alcun modo la ideologia nazista che qui è succedanea della cultura tedesca in genere, questo episodio mise in moto il programma di eutanasia (3), autorizzato per iscritto da Hitler nell’ottobre 1939, ma retrodatato 1° settembre 1939, data dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Come si vede, attenzione massima per la forma, nulla per la vita di un bambino. Hitler, con il programma T4 autorizzò l’uccisione di cittadini tedeschi non conformi alle norme razziali. Da notare che il documento firmato da Hitler non aveva il carisma di legge, ma nessun medico tedesco coinvolto lo mise mai in discussione o lo contestò apertamente. Da qui l’assunto che i medici tedeschi, tutti i medici tedeschi, potevano scegliere chi far vivere o morire, a loro arbitrio; quindi accanto al “pazzo” Hitler dobbiamo mettere questa categoria, i medici tedeschi che svolsero un ruolo di grande rilievo nello sterminio degli ebrei. Il sogno di costoro era di purificare da ogni imperfezione (definita da loro) il patrimonio genetico tedesco. Non vi è lo spazio per descrivere come si ramificò l’organica attuazione del programma di eutanasia: T4. Si può dire qui che la prima fase del programma di eutanasia prevedeva la eliminazione dei bambini, molti dei quali, con gli standard odierni, avrebbero condotto una vita normale: epilettici, ciechi, sordi, alcoolisti cronici ereditari, handicappati gravi, chiunque non rispondesse ai canoni biomedici tedeschi. Dall’eutanasia dei bambini si passò a quella degli adulti; alle categorie sopra descritte, si aggiunsero, coloro affetti da sindrome depressivo-maniacale e simili. Ma il passaggio dai bambini agli adulti comportò un problema, il procedimento di eliminazione doveva essere cambiato, adottandone uno più efficiente che la semplice iniezione letale. Il dottor Brandt rammentò che una volta aveva perso i sensi respirando i fumi di una stufa mal funzionante: proprio da questo ricordo nacque l’idea di usare le camere a gas fisse per il programma di eutanasia per adulti. Furono individuati in Germania e in Austria dei siti idonei in massima parte accanto ad ospedali e cliniche. Questi siti si trovavano a Limburg, Bernburg sulla Saale, Grafeneck, nei pressi di Stoccarda, Sonnenstein, vicino a Prina, e Hartheim, vicino a Linz. Interessante conoscere come nacque la prima camera a gas. In un carcere riconvertito ad ospedale a Brandenburg sulla Havel, si costruì una camera a gas che sembrava una comune doccia. I responsabili del programma di eutanasia si riunirono per vedere se le loro teorie erano giuste e se potevano avere un risvolto pratico. In questa riunione erano presenti P. Bouhler, K. Brandt, L. Conti, H. Linden, tutti i medici interessati al programma, i chimici dell’Istituto che forniva il veleno, e quel Christian Wirth, della polizia di Stoccarda, che sarà uno dei più brutali preparatori dell’Olocausto. La dimostrazione si svolse secondo il programma: prima si uccisero alcuni pazienti con una iniezione letale; poi venne il pezzo forte. Altre vittime, nude, furono portate nella falsa doccia con l’assicurazione che avrebbero fatto una semplice doccia. Anziché acqua fu pompato monossido di carbonio. Il direttore della struttura fu assai compiaciuto dal successo della sua dimostrazione, come lo furono tutti i presenti. La camera a gas di Brandenburg fu il prototipo di tutte le altre camere a gas fisse. Rimaneva però il problema dello smaltimento dei cadaveri: dopo averli profanati, se avevano una qualche utilità commerciale (denti d’oro o altro), venivano posti su una lastra di metallo che veniva infilata in un forno crematorio per essere ridotti in cenere. Chiunque faceva parte di questo programma era convinto che la gassificazione era il modo più rapido e umano per liberare i pazienti dai loro mali e sofferenze. Come tutte le scelleratezze umane, oltre ad un manto di legalità e perbenismo, queste uccisioni dovevano rimanere segrete. Fu istituito un sistema burocratico “alla tedesca”, estremamente efficiente che produceva cartelle cliniche false, certificati di morte fraudolenti, e false lettere ai parenti delle vittime, tutto con lo scopo di nascondere che cosa si stava facendo. Questi medici assassini erano così orgogliosi del loro lavoro che al centro di Hadamar, il più efficiente, la Direzione organizzò, all’inizio del 1941, una cerimonia speciale per il raggiungimento della decimillesima vittima. Quando il cadavere n. 10.000 si trovò sulla lastra di metallo pronto a essere infilato nel forno crematorio, circondato dai fiori, il Direttore e il Sovrintendente del centro tennero un discorso e premiarono i loro collaboratori con birra a volontà. Il programma di eutanasia andò avanti, anche se Hitler formalmente volle nel 1941 fermarlo. Ma nonostante questo si continuò ad uccidere, essendo diventata ormai pratica comune. Si calcola che furono uccise in totale 70.723 persone. L’ultima vittima del programma di eutanasia fu un bambino di quattro anni di nome Richard Jemme, ucciso a Kaufbeuren il 29 maggio 1945, 21 giorni dopo la fine della guerra e 6 da quella del regime nazista.

Un modello da imitare

Secondo le tesi negazioniste, aver ucciso “solo” 70.723 persone non è poi un gran male, nel quadro degli stermini di massa del Novecento. A parte la aberrazione di questo assunto, occorre rilevare che il danno fatto dal programma di eutanasia T4 è molto più vasto: servì da modello e scuola per l’Olocausto e per lo sterminio di massa. Il programma fu un terreno di addestramento e un modello da imitare e questo modello lo si può sintetizzare in quattro punti:

1 - Una ideologia razziale psudoscientifica che giustifica l’uccisione equiparandola ad una cura;

2 - La camera a gas come metodo di uccisione “più umano”;

3 - Il centro di uccisione del programma di eutanasia T4 come scuola di addestramento per il genocidio;

4 - Approfondimento e edificazione della natura assassina e disumana dei killer.

Con riferimento al primo punto, il programma di eutanasia rappresenta la realizzazione dei più profondi desideri dello Stato razzista e dei suoi sostenitori. Vi era il desiderio nazista e, dal 1938, fascista (anche se da noi in virtù della cialtroneria congenita dei fascisti, per dirla alla Montanelli, grazie a Dio non progredì oltre) di avere un patrimonio genetico puro, immacolato e perfetto. Da qui lo stravolgimento del ruolo del medico, che tradizionalmente si prende cura del paziente e lo guarisce, ma che per i nazisti invece deve essere ribaltato. I medici e il personale sanitario hanno il dovere di diventare “dei soldati biologici” e quindi uccidere tutti quegli esseri umani non geneticamente puri, ovvero eliminare quelle vite che, per i nazisti, non erano considerate degne di essere vissute (4). Con riferimento al secondo punto, il programma di eutanasia T4 diede un contributo straordinario al genocidio con l’invenzione delle camere a gas (5). I centri di Limburg, Bernburg, Grafeneck, Sonnenstein, e Hartheim, furono dei modelli per i campi di sterminio usati per l’Olocausto. Nulla fu improvvisato. Inoltre servirono da modelli per lo smaltimento dei cadaveri. L’efficienza di questi centri convinse sia Hitler che Himmler che le uccisioni di massa erano tecnicamente possibili e potevano essere replicate su scala più grande ad est, lontani dagli occhi e dalle menti dei puri ed ariani cittadini tedeschi. Con riferimento al terzo punto, i centri di uccisione del programma di eutanasia T4 servirono da scuole di addestramento per tutti gli operatori del genocidio. La stragrande maggioranza del personale che operò nei predetti centri fu trasferito ad operare nei campi di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka (6). Qui si può fare l’elenco dei personaggi che, prima operarono nei centri di eutanasia T4, poi furono protagonisti indiscussi nei campi di sterminio; una lista lunga di cui mi faccio e faccio grazia al lettore nel non estenderla, per non dare notorietà a questa genìa di assassini e depravati. Basta citare il soprannominato, presente alla dimostrazione di efficienza della camera a gas, Christian Wirth che attuò le prime gassificazioni a Chelmno e poi operò su vasta scala negli altri campi di sterminio, e il suo collega Franz Stangl, sovrintendente del centro T4 di Hartheim. Le carriere furono assicurate a tutti i partecipanti del programma di eutanasia: ad esempio due semplici cuochi del programma T4, Gustav Munzberger e Kurt Franz, divennero i protagonisti a Treblinka con il Franz che ne fu l’ultimo comandante. Con riferimento al quarto punto, occorre una volta per tutte sfatare l’assioma che tutti questi crimini furono commessi in nome dell’assunto che «gli ordini vanno eseguiti». La natura di questi killer, come dimostra il programma di eutanasia, va ben oltre l’asserzione di cui sopra. L’esecuzione di ordini è uno dei motivi ma non il principale e nella lista è posto molto in basso nella scala delle priorità dei motivi per cui si uccidevano vittime innocenti, siano essi bambini, adulti, ebrei, rom, omosessuali, politici, ecc. Questi killer uccisero per una serie di ragioni che possiamo individuare nella ideologia, nel carrierismo, nel profitto personale, nel piacere del dominio, nella mancanza di valori morali, etici e civili, per puro sadismo. Un elenco nutrito a cui manca un elemento, forse il più importante. E questo può essere colto soltanto entrando nel mondo da incubo, di violenze, efferatezze, oscenità, di questi assassini di massa. Questi killer sono stati assorbiti per loro volontà, e non hanno fatto nulla per opporvisi, in un processo di brutalizzazione crescente, autorizzato, rafforzato, sanzionato dalle autorità finché tutti furono avviluppati in una cultura di brutalità senza fine. È questo il portato storico che occorre rilevare e tenere a riferimento e che permette di parlare del nazismo come regime del genocidio. La strada che si sarebbe intrapresa ad Auschwitz può essere intuita e capita studiando la quotidianità del programma di eutanasia T4 e la sua crescente brutalità, degli assunti e dei suoi partecipanti in un vero e proprio addestramento per i compiti ancora più ardui che li aspettavano. In una fabbrica di morti che produce solo cadaveri si fa presto a perdere ogni sensibilità. Da questo assunto si comprendono tutte le violenze e le brutalizazzioni, soprattutto sul fronte orientale, dentro e fuori i campi di concentramento e di sterminio che i tedeschi commisero nel corso della guerra, spesso con criteri che andavano anche contro i loro interessi e rappresenta uno dei macigni che pesa sulla coscienza, oggi, di ogni tedesco.

Presente e futuro

La domanda che ci siamo posti all’inizio, riguardo all’Olocausto «perché è successo tutto questo?», dopo quanto scritto sopra ha una risposta più semplice (7). Il regime del genocidio quale è stato quello nazista, sostenuto dal regime fascista, è tale non per incidenti di percorso, ma per un preciso e voluto portato culturale. E nonostante la sconfitta di questi regimi, questo portato persiste ancora, attraverso forme come il negazionismo, la nostalgia, la apologia di essi, la identificazione di altre categorie (ad esempio, oggi, gli immigrati, i romeni, ecc.). Se questo portato persiste ancora oggi nella nostra società, il problema non è documentare il passato, che è già stato documentato (vedi nota 7), ma come affrontare il presente ed il futuro. Quanto dobbiamo aspettare ancora per avere una cerimonia come quella di Hadamar, con il Direttore che festeggia con tutto il personale della clinica, fra fiori, pasticcini e birra, il decimillesimo cadavere del “diverso” cremato? Sebrenica, e le altre stragi o olocausti contemporanei, stanno a dimostrare che la cultura della morte, del genocidio, è in essere nella nostra società e che l’industria che ne discende è attiva, è funzionante, sostenuta da forme di negazionismo sempre più agguerrite (8). Una azione di contrasto di questa tendenza si impone, per non correre il rischio di essere come i tedeschi d’anteguerra che vedevano senza guardare, assistevano senza agire, nella convinzione che il problema non era il loro. Davanti alla cultura della morte, del genocidio, ognuno di noi è sulla lista: prima o poi il nostro turno sulla lastra d’acciaio arriva, come è successo a tanti tedeschi di cui Richard Jemme, ucciso il 29 maggio 1945, può essere considerato il simbolo. Richard Jemme, uno di noi.

Note

1) Friedlander H., The origins of Nazi genocide: from euthanasia to the final solution, Chappel Hill, University of North Carolina Press, 1995.

2) Si legge nel volume di Klaus P. Fischer, Storia dell’Olocausto. Dalle Origini della giudeofobia tedesca alla soluzione finale nazista, Roma. Newton & Compton Editori, 2000 da cui abbiamo tratto questa nota (vds anche nota 7 per ulteriori considerazioni) “Tutte le istanze di questo genere passavano attraverso la cancelleria privata del Führer, la Kanzlei des Fuhrers, o KDF, diretta da Philipp Bouhler, che riferì a Hitler sulla posizione di Knauer. Hitler ordinò allora ad uno dei suoi medici personali, il dottor Karl Brandt, di raccogliere informazioni sul caso. A Brandt fu detto che se la diagnosi sul bambino era corretta, sarebbe stato opportuno sottoporlo ad eutanasia. Brandt si consultò con il dottor Katel, il quale confermò la diagnosi e raccomandò la morte.” Inutile dire che i personaggi citati saranno gli artefici e i protagonisti del programma di eutanasia, che prenderà il nome dalla via della sede di Berlino T4.

3) Siccome questo argomento è costantemente oggetto di negazionismo, è bene citare lavori esaurienti in merito: Burleigh M., Death and Deliverance: Eutanasia in Germany 1914-1945, Cambridge, England Cambridge University press, 1944; Klee E., Eutanasie in NS-Sraat: die vernichtung lebensunwerten lebens, Frankfurt, Fischer, 1983; Nowak K., Eutanasie und sterilisierung im dritten Reich, Weimar, Hermann Bablaus, 1980; Schmuthl H.-S., Rassenhygiene, Nationalsozualismus: von der verhutung lebensunwerten lebens 1890-1943, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1987.

4) Teorico di queste tesi era il celebre biologo austriaco Konrad Lorenz, osannato nel periodo prebellico e venerato dalla comunità scientifica germanica.

5) Fino alla conferenza di Wansee del 20 gennaio 1941, i tedeschi perpetravano i massacri con metodi tanto brutali quanto “artigianali”, come, ad esempio, le fucilazioni di massa. Questo, oltre a comportare un notevole dispendio di munizioni, faceva sì che qualche vittima in un modo o nell’altro riuscisse a sopravvivere e a diventare, quindi, un pericoloso testimone dei misfatti tedeschi. Inoltre questi sistemi incidevano negativamente sul morale del soldato tedesco che in molti casi prendeva coscienza che era, nonostante tutta la retorica guerriera, un semplice assassino. Tutte queste difficoltà furono appianate dalla introduzione delle camere a gas.

6) Più volte si è scritto che esiste una profonda differenza tra campo di concentramento e campo di sterminio: nel primo le condizioni di vita erano orrende ma si aveva la possibilità teorica di sopravvivere, come infatti avvenne al momento della liberazione; nel campo di sterminio queste possibilità erano nulle. Chi arrivava veniva o ucciso subito oppure fatto sopravvivere per le esigenze funzionali del campo per non più di uno o due mesi. Come nei centri di eutanasia, non vi era alcuna possibilità di sopravvivenza. I campi di sterminio, a fronte degli oltre 10.000 campi di concentramento, erano solo sei; oltre ai tre sopra citati, vi erano Auschwitz, con l’annesso campo di Birkenau, o Auschwitz II, Chelmno e Matajur.

7) Non senza una qualche pena e disagio si è scritto questo articolo, vedendo il rifiorire e il dilagare di una cultura aberrante che è il concime su cui fioriscono i massacri più orrendi. Quando si definisce il nazismo il regime del genocidio, spesso si è richiamati ad usare espressioni più consone, soprattutto se si parla del fascismo suo alleato. Ma quanto è stato scritto è solo una parte di quello che si dovrebbe sapere. Per questo indico la fonte da cui quanto esposto è stato tratto: Klaus P. Fischer, op. cit., soprattutto il capitolo 8 “Prologo all’Olocausto: dall’eutanasia alla pulizia etnica”, pag. 329 e seg. L’autore, più di me, dimostra come la tragedia dell’Olocausto è un risultato di una cultura, di idee, di scelte, non di una attività di un “pazzo”, rimosso il quale tutto ritorna come prima.

8) Per la negazione dello sterminio vds. Stern K., Holocaust denial, New York, American Jewish Committee, 1993; Lipstadt D., Denying the Holocaust: the Growing assault in thurth and memory; Butz A.R., The Hoax of the Twentieth Century, Torrance California, Institute for Historical Review, 1976; Staglich W., Der Auschwitz-Mythos, Tubingen, Grabert, 1979.

Patria indipendente, dicembre 2007

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