Panorama

Grandi Opere  Nuova «Storia della Shoah»

Olocausto scritto in italiano

Una imponente iniziativa della Utet che prende di petto i temi più controversi: l'unicità della soluzione finale, il silenzio delle Chiese, i collaborazionisti ebrei ...

di Giorgio Fabre

Ambiziosa, coraggiosa, imponente, e malgrado l’argomento terribile di grande fascino. È la Storia della Shoah edita dalla Utet, dal 13 ottobre in libreria: un primo grosso volume, senza immagini, solo fitti testi. Per chi vuole illustrazioni, l’opera verrà distribuita in un’edizione destinata alla vendita rateale: un volume di quasi 600 pagine, l’altro di 800, arricchiti di immagini rare fornite dall’agenzia Contrasto. Una versione multimediale: sarà allegato anche un dvd, curato dalla 3D Produzioni video, contenente varie ore del processo di Norimberga, con immagini per lo più provenienti dagli archivi ex sovietici e inedite. Sempre nell’edizione rateale l’anno prossimo verranno distribuiti gli ultimi due grossi volumi, dedicati alla memoria sulla Shoah, più uno di documentazione (a cura di Giovanni Borgognone. E altri due dvd, sul processo Eichmann e sul Tribunale dei giusti. Anche il prezzo previsto per questa speciale edizione è rilevante: 900 euro per tutta l’opera. Le prenotazioni dichiarate sono 1500. l’imponenza è dunque evidente. E anche l’ambizione. Cinquanta specialisti da 30 paesi diversi, impegnati a scrivere circa 70 saggi nuovi, talvolta con documentazione inedita. Un comitato scientifico comprendente grandi firme nel settore, come Saul Friedländer, Philippe Burrin, Enzo Traverso. Curatori italiani come Marcello Flores e il trentenne e fondamentale Simon Levi Sullam. Il tutto elaborato in Italia, paese che non è mai stato all’avanguardia nelle ricerche sullo sterminio ebraico. E che anche nell’apertura di musei sulla Shoah è arrivato buon ultimo con il progetto di Roma e con quello nazionale a Ferrara (la settimana scorsa in Parlamento è stata varata per la seconda volta la legge per l’edificazione e la gestione, dopo un precedente tentativo fallito). «È vero, è imponente», dice l’amministratore delegato della Utet Sergio Colleoni, «ma è anche un’opera rigorosa, e ci tengo a dirlo. Per noi ha significato soprattutto un nuovo posizionamento di tutta la casa editrice. Finalmente la Utet non è più l’editore di storia un po’ datato ma torna ad occuparsi di temi più centrali dal punto di vista culturale». Insieme a quest’opera la Utet cambia: entrata, dopo anni di sofferenze economiche e di tagli drastici, nel portafoglio della De Agostani della famiglia Boroli, la casa editrice ha ricevuto un nuovo impulso. La famiglia di Novara evidentemente ci crede: il presidente Pietro Boroli sarà a Roma il 14 novembre a presentare l’opera in Campidoglio con il sindaco di Roma Walter Veltroni e il consigliere del presidente della Repubblica Arrigo Levi. Eppure, l’ambizione travalica il panorama italiano. Il 20 ottobre l’opera viene presentata a Francoforte. Attende quindi il vaglio dell’editoria internazionale, sempre ciliosa, ipercritica su produzioni come queste. Per la Utet sarebbe un gran colpo se la Shoah, edita in Italia, venisse acquistata da qualche university press americana o britannica, da qualche casa editrice francese o tedesca. La Utet entrerebbe nella ristretta élite dell’editoria storica internazionale. Indubbiamente il tema è impegnativo e anche molto già visto, almeno da un decennio. L’opera però ha diverse carte da giocare. «Lo so, la Shoah ora è un tema quasi completamente consumato dai media» dice Enzo Traverso, dell’Università di Amiens. «E c’è in atto un uso politico della storia. Noi abbiamo scelto un taglio diverso, cioè una serie sintesi storica e una riflessione originale e talvolta difficile». I problemi, le difficoltà superate, l’approccio cauto verso temi così complessi in effetti traspaiono. È trapelata, per esempio, una lunga discussione, nel comitato scientifico, a proposito dell’eventuale collaborazione all’opera del famoso e anziano storico Raul Hilberg. Alla fine il vecchio Hilberg non c’è, si è preferita una scelta di storici più giovani e talvolta giovanissimi. Sempre nel comitato scientifico è stata poi affrontata la questione dell’unicità della Shoah, sottolineata in particolare da Omer Bartov dell’Università di Providence. E cioè: nel secolo di sangue, il Novecento, c’è stata una sola «soluzione finale», quella che ha portato alla morte milioni di ebrei. La scelta fatta alla fine invece è stata abbastanza diplomatica, ma anche equilibrata. Vengono illustrati, in una serie di saggi, anche altri genocidi su base razziale: quello contro la popolazione africana degli herero, da parte di militari tedeschi dell’impero guglielmino (1904-1907), o la persecuzione nazista degli zingari e degli slavi. Uno degli studiosi, l’italiano Nicola La banca, ha affrontato molto bene il tema dei massacri provocati da potenze coloniali. Infine, uno dei curatori, Enzo Traverso, negli ultimi volumi tratterà proprio dell’unicità della Shoah. Ma i temi delicati sono stati anche altri: per esempio, quello davvero difficilissimo dei cosiddetti Judenräte, i consigli notabili ebraici che i nazisti installarono tra il 1939 e il 1944 in mezza Europa per ottenere la collaborazione degli stessi perseguitati. Nel dopoguerra ci sono state discussioni feroci e sono volate pesanti accuse di collaborazione allo sterminio contro i pochi  Judenräte sopravvissuti. La questione è toccata ad Andrei Angrick, dell’Institut für Sozialforschung di Amburgo, che ha trattato il tema con grande cautela e pietà storica: in stragrande maggioranza, ha annotato lo storico, anche quei notabili sono stati sterminati. Altro tema delicato e trattato con grande abilità: la responsabilità personale di Adolf Hitler. Negli ultimi anni gli storici di mezzo mondo si sono dilaniati intorno all’ordine del Führer sulla soluzione finale, che non è mai stato materialmente trovato. Sul tema si sono cimentati in due, il biografo di Hitler Ian Kershaw e un grande storico mai tradotto in Italia, Peter Longerich. Le sfumature dei due saggi sono diverse: per Longerich si trattò di una macchina infernale messa in piedi da molte persone e in fasi diverse; per Kershaw probabilmente fu decisivo invece l’ordine di Hitler del settembre 1941 di deportare gli ebrei del Reich a Est. Il quadro comunque così è ricostruito a tutto tondo. Infine l’annoso problema dell’assenza della Chiesa cattolica negli interventi a favore degli ebrei durante l’Olocausto. Giustamente, il tema è stato allargato anche alle Chiese luterana e protestante e affidato alle mani esperte di Giovanni Miccoli. È uno dei saggi più impressionanti, per la precisione nei dettagli, la grande cautela ma anche la sostanziale durezza. Miccoli usa i documenti messi di recente a disposizione dal Vaticano, che riguardano gli anni 1933-1939, che rendono ancor più fosco il quadro: ora si possono fare i conti non solo con l’indecisione della Chiesa e dei vescovi cattolici (e protestanti) in Germania durante la guerra, ma anche del periodo prebellico. Fu un silenzio assordante.

Da Panorama, 20 ottobre 2005 n. 42, per gentile concessione.

sommario