L'espresso

Se un Göring si fa ebreo

Matthias, parente del vice di Hitler, vuol andare a vivere in Israele. Mentre a Milano un ebreo si allea con i neofascisti

Enzo Biagi

 

Per quelli della mia generazione che hanno vissuto le leggi razziali volute da Mussolini nel 1938, che hanno visto sparire amici e conoscenti con i quali avevano parlato fino al giorno prima, solo perché erano ebrei, l'Olocausto, che non è uno stato d'animo e neanche un incubo del passato, è sempre presente nella memoria. Anche come senso di colpa. C'è il pensiero, infatti, che per i nostri amici ebrei, si poteva e si doveva fare qualche cosa per impedire la loro deportazione. Ogni giorno succedono fatti che vogliono allontanarci sempre più dallo sterminio, come gli accordi che Silvio Berlusconi aveva fatto, durante la campagna elettorale, con gruppi nazifascisti. Poi quello che è successo a Milano poco prima del voto per il sindaco. Ho sempre avuto la sensazione che la comunità ebraica della città fosse molto unita, invece si è spaccata per colpa di un suo rappresentante, Andrea Jarach, fratello dell'editore che si occupa di Shoah, che in lista per il centro destra con Letizia Moratti, ha accettato di fare un'alleanza elettorale con i neofascisti della Fiamma Tricolore. Un altro candidato, il bravo attore e musicista Moni Ovadia, che ha scelto il centrosinistra con Ferrante, si è sfogato dicendo: «Sono esterrefatto che un ebreo possa sedere con un fronte alleato con i neofascisti. Nella sinistra possono esserci tante magagne, ma non mi dimentico chi stava con noi quando venivamo deportati nei lager». Poi ha aggiunto: «C'è un confine invalicabile e questo è il fascismo». Condivido. Jarach a sua volta si è così difeso: «Anche a me quella alleanza fa orrore, ma Letizia Moratti ha ribadito che l'antifascismo è un suo valore». Come dire, «fai quel che dico e non fare quel che faccio». Dunque, mentre a Milano un ebreo va a braccetto con i neofascisti, in Germania, un uomo, ormai cinquantenne, dal cognome ingombrante, Göring, sta tentando di diventare ebreo e di andare a vivere in Israele. Il suo nome è Matthias Göring ed è parente di quell'Hermann Göring, amico di Hitler e vice Führer, che fu l'organizzatore della Gestapo e, dal gennaio 1939, «nominalmente responsabile dell'indirizzo antisemita». Prima creò l'ufficio centrale per l'emigrazione ebraica, poi diede ordine a Reinhard Heydrich di occuparsi della «soluzione finale della questione ebraica nella sfera di influenza tedesca in Europa». Il feldmaresciallo del Reich morì suicida durante il processo di Norimberga. La volontà di Matthias Göring di convertirsi all'ebraismo ha fatto naturalmente notizia: c'è chi ha definito questa sua passione semita "stravagante", perché fino a qualche tempo fa era noto il suo" disprezzo verso gli ebrei". Gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza per lui furono molto difficili, trascorsi in assoluta povertà con genitori che gli spiegavano che «gli ebrei avevano preso tutti i loro soldi e per loro erano all'origine di tutti i guai. Gli ebrei erano la causa di ciò che non potevamo permetterci». Durante una intervista al settimanale tedesco "Der Spiegel", Göring, ha raccontato che lui e la sua famiglia erano disprezzati ed emarginati: «Quando andavo a scuola il nome Göring ha sempre significato insulti e umiliazione». Per Matthias sono occorsi più di quarant'anni per liberarsi dalla maledizione del parente nazista e ha dovuto trasferirsi in Svizzera per avere un po' di serenità. Sempre nell'intervista racconta che nel 2002 ha avuto una visione: «Dio mi ha detto che dovevo difendere le porte di Gerusalemme. Da quel momento ho capito cosa dovevo fare». La famiglia non ha accettato la sua scelta: «Pensano che io sia impazzito. lo credo che quello che mi è accaduto sia molto importante. lo non mi sento colpevole per l'Olocausto, ma una colpa spirituale esiste nella mia famiglia e nella Germania. È nostra responsabilità ammetterlo apertamente». Leggendo le parole di Matthias Göring e pensando a quanto può essere stata tra vagliata la decisione di diventare ebreo, di assumersi una colpa che evidentemente non gli appartiene, mi torna in mente l'altro, Andrea Jarach, quello che è ebreo per nascita, per famiglia, che avrà di sicuro nei cassetti foto di parenti uccisi ad Auschwitz, Dachau, Buchenwald o Mauthausen. Non posso capire e non voglio nemmeno fare la fatica di capire.

L’espresso, 8 giugno 2006

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