Corriere della sera

«I figli strappati», giallo nel lager

Fiction sulla famiglia von Hassel, perseguitata da Hitler

di Emilia Costantini

Roma - 20 Luglio 1944: fallisce l'attentato a Hitler nella «tana del lupo». Nove giorni dopo, accusato di essere uno dei cospiratori, viene arrestato a Roma e poi giustiziato a Berlino l'ambasciatore tedesco in Italia, Ulrich von Hassell. Anche la figlia, Fey, sposata con il nobile italiano Detalmo Pirzio Biroli, viene prelevata dalle SS con i suoi due bambini e imprigionata a Innsbruck. Nell'autunno ‘44, le vengono portati via i figli e Fey viene deportata in un lager. Ci vorranno quasi due anni prima che li possa riabbracciare.  I figli strappati si intitola il tv-movie in due puntate appena finito di girare, prodotto da Francesco e Federico Scardamaglia per Raifiction, tratto dall'omonimo libro di memorie di Fey von Hassel con la sceneggiatura di Laura Toscano e Franco Marotta, in onda su Raiuno nella prossima stagione: Un cast internazionale con la regia di Massimo Spano: Antonia Liskova è la protagonista con Daniele Pecci nel ruolo del marito e, tra gli altri, Johannes Brandrup, Michael Mendl, Carola Stagnaro, Roberto Citran, Sergi Mateu. Dice la ventottenne attrice slovacca, mamma di una bimba di nove mesi: «Questo film capita in un momento particolare della mia vita. Non è la prima volta che interpreto storie di guerra: così è stato per Il tunnel della libertà sulla Guerra Fredda e il Muro di Berlino e per Il cuore nel pozzo sulle foibe. Ma è la prima volta che affronto una vicenda dove il tema centrale è quello della maternità: sofferta, dolorosa, disperata. L'essere diventata mamma da poco mi ha aiutato molto nell'immedesimazione con il personaggio, con cui ho in comune anche l'età». Una via Crucis, quella vissuta dalla Hassel, all'epoca venticinquenne. Considerata figlia di un traditore, Fey viene sottoposta a estenuanti interrogatori, in cui la Gestapo cerca di accertare eventuali complicità nell'attentato al Führer. Riprende la Liskova: «Da una vita serena, quasi dorata nella villa del marito a Brazzà, vicino Udine, dove i bambini, Corradino di 4 anni e Robertino di 2, crescono tranquilli, al riparo dagli orrori che avvengono fuori dai cancelli del loro bellissimo giardino, Fey si trova improvvisamente catapultata in una realtà mostruosa, ostile, che nemmeno sospettava. Non solo le vengono strappati i figli, senza poter sapere la loro sorte, ma viene sballottata da un campo di concentramento all'altro, dove conosce la fame, le malattie, le torture, la morte dei suoi compagni». Fey però riesce a sopravvivere, forse proprio grazie al pensiero di dover ritrovare i suoi figli e, a guerra finita, riunita al marito, intraprende la parte più difficile del suo cammino. Vaga da un orfanotrofio all'altro, da un istituto all'altro in un'Europa devastata. Dopo ripetute delusioni, finalmente una segnalazione la conduce in Austria: in un orfanotrofio trova due bimbi che, per età, potrebbero essere i suoi, ma il più piccolo dei due sembra non riconoscerla. Sarà l'istinto materno di Fey a far riemergere nella sua memoria un lontano ricordo familiare. Spiega l'attrice: «Qui, in verità, la sceneggiatura si è un po’ discostata dal vero racconto. Nella realtà, infatti, sarà la madre di Fey, impegnata come la figlia a ritrovare i nipoti, a scovarli in Austria. E io credo di sapere il perché: Fey, dopo tante ricerche e dopo tante delusioni, forse era estenuata anche nel fisico provato dalla prigionia, forse stava per arrendersi, forse l'idea di seguire le tracce di quell'ennesima segnalazione per poi piombare in una nuova frustrazione, la stava conducendo alla rassegnazione. La madre, invece, ha continuato con ostinazione e ha avuto ragione» Girato a Roma, a Barcellona, in Serbia, Montenegro e in Trentino, il tv-movie è anche un pezzo di storia. Come spiega l'ex ministro e presidente emerito della Corte Costituzionale Giuliano Vassalli, che firma la prefazione al libro della Hassel, di cui ha conosciuto la famiglia «è un documento umano che, seguendo l'itinerario della tenace battaglia di una madre per riavere i figli "strappati", meglio aiuta a comprendere quanto avvenne in quegli anni cruciali e terribili». Conclude la Liskova: «La scena più difficile da girare? Quella in cui mi vengono sottratti i bambini. Sul set ho portato sempre con me la mia piccola Liliana. Se dovesse accadermi una tragedia simile, credo che non resisterei. Impazzirei e mi lascerei morire».


La protagonista «Riabbracciai i miei bambini, dopo due anni di incubo. All'inizio non mi riconobbero»

Roma - Fey von Hassell ha oggi 88 anni e vive ancora, con uno dei suoi due figli, nella villa di Brazzà. Racconta: «Mio padre era un fervente antinazista e, in quanto tale, dopo l'attentato a Hitler venne sospettato di congiura, arrestato e sommariamente giustiziato. Poi, toccò a me. Fui strappata via dai miei figli e trascinata da un campo di prigionia all'altro, con paura e angoscia, attraverso la desolazione del Terzo Reich. Sopravvissi fino alla fine, per riabbracciare Corradino e Robertino». La signora Hassell racconta di essere stata sempre convinta che i suoi bambini fossero vivi: «Non ho mai pensato neanche per un momento che fossero stati uccisi. Anche perché, nei lager, avevo incontrato altre mamme prigioniere cui avevano sottratto i figli: mi avevano raccontato che il diabolico disegno delle SS era quello di allevare questi bambini, figli di presunti traditori, come dei bravi futuri nazisti. E c'era da crederlo... Hitler era un pazzo». Una ricerca lunga e dolorosa, però, in cui la Hassell è stata malto aiutata dalla madre Ilse  e dalla sorella Almuth: «Per miracolo sono stati ritrovati. Mia madre e mia sorella capitarono in quell'istituto in Austria: i bambini non parlavano più tedesco ma un orribile austriaco. Il più grande riconobbe subito mia sorella, che mi somigliava molto, e prendendola per mano le disse "Portaci a casa". Il più piccolo, invece, stava zitto e mia madre non era sicurissima che fosse lui. Finché Robertino ha avuto come il lampo di un ricordo: disse un nome, Mirko... così si chiamava il cavallo che egli amava di più nella nostra tenuta a Brazzà». Scrivere il libro di memorie, per Fey, è stato un modo di reagire: «Ci sono persone che piangono, si disperano. lo ero disperata, ma non ho mai pianto. Per fortuna ho un carattere forte, che mi fa reagire. Ho cercato così di occupare la mente scrivendo questo diario». E ora è contenta che il suo diario diventi una fiction: «Certo. È importante raccontare queste storie, per non dimenticare. E poi per un motivo storico e politico: è giusto che i giovani sappiano che in Germania non c'erano solo i tedeschi che seguivano Hitler, ma c'è stata una grande parte del popolo tedesco che ha opposto una strenua resistenza al nazismo, sacrificando la propria vita come mio padre».

E.Cost.

Corriere della sera, 28 gennaio 2006

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