Corriere della sera

L'Olocausto negli occhi dei più piccoli

L’infanzia offesa nei lager. Ma le cifre esatte sono ancora da stabilire. Documenti – Un libro di Frediano Sessi ricostruisce le persecuzioni naziste. Anticipiamo un brano dedicato al calvario dei bambini - Ē in uscita da Rizzoli «Non dimenticare l’Olocausto» (pagine 427, euro 9,90) di Frediano Sessi. Anticipiamo un brano tratto dal capitolo «Bambini e Olocausto»

di Frediano Sessi

Ē difficile ancora oggi, sulla base della documentazione disponibile, stabilire il numero dei bambini e dei giovani deportati e registrati nei campi di concentramento nazisti e, ancor più, di quelli uccisi o morti nei campi di sterminio, nei ghetti o nel corso delle più diverse operazioni di polizia (operazioni di eutanasia, rastrellamenti, eccidi, massacri di massa degli Einsatzgruppen eccetera). Sono presi di  mira bambini e giovani di organizzazioni come gli scout, ebrei, zingari, russi, ma anche handicappati, invalidi e membri della hitlerjugend refrattari all’ideologia nazista. I bambini e le bambine più piccoli «con tratti somatici nordici vengono tolti ai genitori e condotti in centri di germanizzazione», anche se la maggior parte di loro troverà la morte nei centri di sterminio e nei ghetti. A proposito di quest’ultima osservazione, vale forse la pena di ricordare che i territori occupati nell’Europa centro-orientale (la Polonia prima e le aree dell’Unione Sovietica cadute in mano tedesca dopo il 1941, poi) diventano ben presto il campo di esercitazione della politica demografia e razziale affidata a Himmler, il Reichsführer delle SS, nella sua veste di responsabile supremo per il rafforzamento della razza tedesca. Chiave di volta della politica di Himmler e dello staff di tecnocrati che a lui fa capo è un gigantesco progetto di spostamento di popolazioni destinato, a un tempo, a espellere dall’area destinata a far parte del futuro impero tedesco decine di milioni di persone giudicate di «razza inferiore», per far posto a coloni germanici, nonché a risolvere una volta per tutte la «questione ebraica», diventata sempre più cruciale – per il gruppo dirigente del Terzo Reich – dopo che, con le conquiste militari a Est, gli ebrei residenti nella sfera di potere germanica sono aumentati in enorme misura. Gli ebrei cittadini del Reich erano già stati discriminati con le leggi di Norimberga del 1935, cui seguiranno azioni concrete di deportazione e segregazione: nei territori occupati, la loro eliminazione fisica diventa di fatto una pratica costante, già prima della cosiddetta «soluzione finale» che, unendosi e sovrapponendosi ai piani della colonizzazione forzata a Est, avrebbe dovuto mutare la faccia dell’Europa centro-orientale sotto il segno di un Ordine basato sulla gerarchia razziale. Il progetto (elaborato nei dettagli tra il 1941 e il 1942) verrà poi definito Generlplan Ost e «rappresenta certamente l’espressione più ambiziosa delle mire espansionistiche del nazismo» e ha tra i suoi strumenti proprio la selezione degli strati giovanili fin dall’impostazione del sistema scolastico elementare per le popolazioni non germaniche: «Calcolo semplice al massimo sino a 500, scrivere il proprio nome, insegnamento che risponde a un comandamento divino, obbedire ai tedeschi ed essere leali, diligenti e sottomessi. Leggere – continua il documento di Himmler – non lo ritengo necessario. In oriente, al di fuori di questa scuola, non deve esistere alcun altro tipo dis scuola. (…) Se il bambino viene riconosciuto di sangue tedesco, ai genitori verrà comunicato che egli sarà mandato in una scuola in Germania e rimarrà per sempre in Germania». Sappiamo che già a Dachau, aperto nei pressi di Monaco di Baviera nel marzo del 1933, vengono rinchiusi dei bambini e degli adolescenti, anche se a tutt’oggi non è stato possibile ricostruirne il numero. Nel lager sono rinchiusi anche bambini di quattro o cinque anni. A Mauthausen, i primi bambini e adolescenti fanno il loro egresso nel campo principale nell’autunno del 1940. Si tratta di familiari di prigionieri politici spagnoli, arrestati in Francia. A partire dal 20 aprile 1942, l’arrivo di molte deportate donne al campo favorisce la presenza di neonati e di bambini. Nel complesso, i ragazzi e i bambini rinchiusi a Mauthausen sono circa 15.000. A Ravensbrück sono molte le donne che giungono al campo gravide, anche se oggi siamo in grado di affermare che circa 800 di loro partoriscono nelle baracche. Soltanto tre o quattro di questi neonati sopravvivono. Sappiamo comunque che i bambini e le ragazze vengono trattati come le donne adulte. A Chelmno, ribattezzato Kulmhof dai tedeschi, a 60 chilometri a nord-ovest di Lódz, campo di sterminio in funzione dall’8 dicembre 1941, si calcola che muoiono 80.000 bambini e ragazzi. I primi che finiscono i loro giorni così drammaticamente sono 200 bambini cecoslovacchi che arrivano al campo nell’estate del 1942. Quantitativamente, il fenomeno è più evidente ad Auschwitz, dove si calcola che vengano deportati almeno 234.000 tra bambini e adolescenti (dove per bambini, secondo le autorità del campo, si deve intendere maschi o femmine in età inferiore ai 15 anni e per adolescenti i giovani tra i 15 e i 18 anni). Circa 220.000 sono ebrei, 11.000 zingari, 3.000 fra polacchi, bielorussi, ucraini, russi e altri. Una categoria a parte è quella dei neonati che vedono la luce al campo; 680 dai documenti reperibili. Il destino dei bambini e delle bambine deportati è comunque tragico. «Se di nazionalità ebraica vengono di regola uccisi subito dopo il loro arrivo, insieme a vecchi, storpi e inabili al lavoro». Un’eccezione riguarda un gruppo di alcune centinaia di gemelli, destinati a fare da cavia per gli esperimenti medici, alcuni bambini provenienti dal ghetto di Theresienstadt e zingari per i quali viene istituito provvisoriamente un campo per famigli. In ogni caso, i bambini e i ragazzi registrati come prigionieri adatti al lavoro periscono molto rapidamente per le condizioni drammatiche di vita del campo. Perry Broad, esponente del dipartimento politico di Auschwitz, racconta, nella sua memoria, il seguente episodio: «Introducono un ragazzo nell’aula del tribunale del campo base (dove, per lo più, sono racchiusi i politici). Affamato, ha rubato qualcosa nello spaccio, viene perciò annoverato tra i casi “criminali”. Dopo la lettura della condanna a morte, l’SS Mildner (comandante della Gesto di Katowice) volge il suo sguardo alla pallida figura, in piedi contro la parete, con indosso abiti molto leggeri. Lentamente , scandendo ogni parola, chiede: “Hai una madre?” Il ragazzo abbasso lo sguardo e in modo appena percettibile, con la voce rotta dal pianto, rispondi di sì. Mildner si diletta sadicamente allo spavento della vittima. “Ti fucileremo oggi”, dice, cercando di dare alla propria voce un accento da oracolo. “In ogni caso, saresti stato, prima o poi, impiccato. Fra un’ora sei morto”». Un’infanzia offesa quella che sopravvive nel lager di Auschwitz, spesso destinata al bordello delle SS e spesso illusa di avere una speranza di vita. Ricerche aggiornate, condotte recentemente da Melena Kubica, hanno stabilito che nel lager di Auschwitz vengono liberati 600 bambini e ragazzi, 400 dei quali e femmine al di sotto dei 14 anni. Sono tutti stremati, con arti congelati, con un peso anche di 17 chilogrammi inferiore al peso normale, il 40% tubercolotici e affetti da gravi forme di avitaminosi. La liberazione non pone certo fine ai loro patimenti. Non tutti possono tornare a una vita normale. I più piccoli non sanno nemmeno chi sono e da dove vengono. Nei ghetti, prima della deportazione, a Lódz come a Varsavia, a Radom come a Lublino, Lwów, Bialystok, Plock affamati fino alla morte, i giovani e i bambini ebrei rappresentano quella parte della popolazione più esposta alle malattie, alle torture e alla morte violenta. Raul Hilberg ipotizza che sugli 800.000 ebrei morti nei ghetti, 160.000 sono bambini e ragazzi.

Dal Corriere della sera, 15 giugno 2002

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