Documenti dell'ANED di Milano

Enzo Collotti

Università di Firenze

L'esperienza del Litorale adriatico

Questo mio intervento non si soffermerà in via prioritaria sulla ricostruzione di fatti che dovrebbero essere in buona parte già noti. Vorrei premettere soltanto il minimo di informazioni necessarie alla comprensione del discorso. Basandomi come mi pare ovvio e naturale sui molti studi che ho dedicato nei decenni passati all'oggetto di questo intervento, vorrei piuttosto sviluppare una riflessione sul significato che in una prospettiva storica di lungo periodo ha avuto l'esperienza dell' Adriatisches Kiistenland, del Litorale adriatico, come momento culminante della crisi degli assetti politico-territoriali nell' area del vecchio confine orientale del regno d'Italia scaturita da un complesso di fattori che denotano di per sé il carattere non locale della situazione della quale si tratta: la crisi definitiva del regime fascista, la sconfitta militare dell'Italia fascista, l'armistizio del settembre del 1943 e la rottura senza possibilità di recupero dell'alleanza tra Italia fascista e Germania nazista. È bene non perdere mai di vista quello che noi storici chiamiamo banalmente il contesto, altrimenti tutti gli sviluppi posteriori all'8 settembre del 1943 potrebbero sembrare un arbitrio del destino o l'irruzione di fattori nuovi senza alcun rapporto con le vicende pregresse. Come si vedrà facilmente dalla mia esposizione il germe della situazione che si creerà nella Venezia Giulia, nell'lstria, nell'area limitrofa della Slovenia era tutto interno alle situazioni che sono state illustrate dagli studiosi che mi hanno preceduto e che si possono sintetizzare in un triplice naufragio delle ambizioni dell'imperialismo italiano: della pretesa di imporre la snazionalizzazione delle popolazioni delle minoranze slovena e croata e la loro italianizzazione forzata; della pretesa di affermare la conquista territoriale di porzioni della penisola balcanica a sostegno della vecchia aspirazione nazionalista di fare del mare Adriatico un mare interno italiano; infine della pretesa di affermare l'egemonia dell'Italia nella penisola balcanica in concorrenza con l'imperialismo germanico quasi a volere forzare il baricentro degli equilibri tra le potenze dell' Asse in quel settore strategico a favore dell'Italia. Brevissimamente i fatti: all'indomani dell'armistizio italiano del 1943 e della dissoluzione dell'esercito regio, che significò la perdita del controllo delle forze italiane sul territorio entro i confini dello stato italiano ed anche sul territorio sottoposto ad occupazione militare da parte delle forze italiane (e non solo sul territorio ex jugoslavo direttamente annesso nel 1941 al regno d'Italia), la rapida occupazione dell'area della Venezia Giulia, della provincia di Lubiana e del territorio dalmata da parte della Wehrmacht comportò una riorganizzazione politico­territoriale che, lungi dal rappresentare una soluzione transitoria di breve periodo, preludeva ad un mutamento radicale e in una prospettiva senza scadenze della nuova unità territoriale della quale riviveva la denominazione geografico-amministrativa del periodo absburgico di Litorale adriatico. Dal settembre del 1943 all'aprile del 1945 le province di Trieste, Gorizia, Udine, (che fu distaccata dalla regione Venezia Euganea), Pola, Fiume e Lubiana furono costituite nella speciale Zona d'operazione Litorale adriatico ad analogia della omologa zona delle Prealpi, in cui furono aggregate le province di Trento, Bolzano e Belluno. Caratteristica comune delle due speciali zone d'operazione era di trovarsi situate in zone di confine del vecchio stato italiano, o in contiguità diretta con il Grande Reich, come nel caso della Zona delle Prealpi, o lungo la vecchia frontiera italiana sul versante balcanico. Entrambe le zone rappresentavano sicuro interesse strategico per la Wehnnacht, in quanto aree di transito diretto per i rifornimenti di truppe e di materiale bellico per il fronte italiano. Il Litorale adriatico in particolare si presentava come area di transito verso l'intero settore balcanico, oltre che come settore immediatamente operativo, già largamente compenetrato da unità partigiane jugoslave, che già molto prima dell'armistizio italiano del 1943 si erano insediate al di qua del vecchio confine italo-jugoslavo, sicché la loro stessa presenza aveva fatto dell'area nordorientale uno degli epicentri della crisi che tra il 1942 e il 1943 preluderà al collasso politico-militare del regime fascista. L'esistenza del Litorale adriatico fu dal punto di vista temporale una creazione di durata relativamente breve, non più di venti mesi. Ma dal punto di vista dell'incidenza sulla vita dell'area che ne fu coinvolta fu un'esperienza assai profonda, per la radicalità delle soluzioni proposte dalla presenza del dominio tedesco, per la radicalità delle emozioni suscitate facendo riemergere l'illusione di un passato irrevocabilmente tramontato e lasciando ferite aperte che non avrebbero contribuito neppure a guerra finita alla pacificazione di questi territori. Prescindendo da una ricostruzione cronistica degli eventi che caratterizzarono questa fase della storia della regione mi limiterei a richiamare tre complessi di situazioni e di problemi nei quali si possono sintetizzare le motivazioni e i caratteri della ristrutturazione imposta dalla gestione tedesca. Queste situazioni possono essere individuate come segue:

1) Si tratta di chiarire in primo luogo, al di là delle contingenti esigenze militari che fornirono il pretesto formale alla creazione del Litorale adriatico, la portata e il significato della sottrazione del territorio alla sovranità italiana, nel caso specifico della Repubblica sociale italiana, nelle sue immediate ripercussioni pratiche ma anche dal punto di vista della valutazione retrospettiva dell' esperienza del fascismo e in prospettiva nell'ottica della realizzazione del Nuovo ordine europeo.

2) In secondo luogo si tratta di mettere in evidenza l'analisi dei rapporti tra le nazionalità e l'impostazione delle questioni etniche che guidò la gestione del territorio da parte delle autorità tedesche in quel misto di operazione nostalgia e di operazione consenso che ne ispirò politica e propaganda.

3) In terzo luogo si tratta di analizzare le componenti dell'ulteriore esplosione di violenza che fu scatenata in quest' area direttamente dalla politica nazista di contrapposizione l'una contro l'altra delle nazionalità presenti, come se già il potenziale di odio e di aggressività accumulato dalla politica di snazionalizzazione del regime fascista e dallo scatenamento della repressione antipartigiana conseguente all'invasione fascista della Jugoslavia non avesse minato alla base la possibilità di convivenza tra le diverse comunità nazionali. La politica distruttiva del Terzo Reich rappresentò per le popolazioni dell' area un duro banco di prova al limite di sconvolgimenti che rasentarono la guerra di sterminio.

L'aspetto più appariscente della nuova sistemazione data dalla Germania nazista alle speciali Zone d'operazione delle Prealpi e del Litorale adriatico fu in termini immediati la sottrazione di fatto di queste aree alla sovranità italiana e quindi la loro separazione dall'alleata Repubblica sociale del neofascismo di Mussolini rinato dopo l'armistizio all' ombra delle armi tedesche. Fu rispetto al resto dell'Italia occupata (appunto l"'alleato occupato" secondo la felice definizione di Lutz Klinkhammer che evidenzia i limiti dell'alleanza dopo l'8 settembre, molto meno gli oneri dell'occupazione) una cesura profonda, una ferita che lese profondamente e per certi aspetti irrevocabilmente il prestigio e la credibilità della Rsi. come tutrice degli interessi dell'Italia. L'annessione di fatto al Terzo Reich fu nel caso specifico delle Zone d'operazione dell'Italia settentrionale e nordorientale conseguenza non solo di generiche aspirazioni espansionistiche ma più propriamente espressione della reviviscenza di un forte irredentismo austriaco nei confronti dei territori perduti dal defunto impero absburgico alla fine della prima guerra mondiale. La pressione di quella che potremmo definire una lobby austriaca all'interno del Grande Reich germanico dopo l'Anschluss del 1938 fu determinante nel dare una spinta e obiettivi concreti al generico risentimento e alla volontà di vendicarsi dell'Italia che nelle sfere dirigenti naziste circolava già anteriormente al 25 luglio del 1943 e a maggior ragione dopo il colpo di stato contro Mussolini e l'armistizio del settembre. Comunque la rapidità con la quale fu realizzato l'insediamento dell'amministrazione tedesca nell' Alpenvorland e nell'Adriatisches Küstenland fornisce la conferma che si trattò dell'attuazione di più antichi progetti, di pressioni che erano andate aumentando parallelamente alla disfatta militare dell'Italia e alla volontà punitiva che cresceva parallelamente all'insicurezza che la debole cerniera italiana insinuava rispetto alle posizioni più avanzate dello schieramento italo-tedesco sul fronte balcanico, vale a dire su uno dei fronti principali destinati a fare da argine alle popolazioni slave e sul piano politico-ideologico al bolscevismo. La contiguità delle Zone d'operazione con regioni limitrofe dell' Austria all'interno del Grande Reich germanico, la zona delle Prealpi rispetto al Tirolo, il Litorale Adriatico rispetto alla Carinzia, è un'altra delle componenti che aiutano a collocare la nuova sistemazione politico-amministrativa in una corretta prospettiva. Nel caso specifico del Litorale adriatico viene da pensare ad un prolungamento meridionale della provincia carinziana. La nomina ad alti commissari delle due Zone d'operazione rispettivamente del Gauleiter del Tirolo Hofer per le Prealpi e del Gauleiter della Carinzia Rainer per il Litorale adriatico completa il quadro nei suoi aspetti istituzionali confermando al tempo stesso il carattere non meramente transitorio della gestione avviata dopo l'armistizio. Pur non potendo prevedere quale sarebbe stata la forma che avrebbe assunto il definitivo incorporamento delle Zone d'operazione del Grande Reich non possiamo non considerare la soluzione amministrativa imposta dopo l'8 settembre come una sorta di soluzione ponte verso la definitiva annessione al Grande Reich. La separazione dal resto d'Italia era accentuata dall'estraneità del sistema amministrativo alla stessa rete della Amministrazione mili­tare (Militärverwaltung) che si sovrappose nel territorio della Rsi. alla sopravvivenza di una amministrazione italiana. Nelle zone d'operazione non vi fu alcuna sovrapposizione: l'amministrazione civile tedesca si sostituì all'amministrazione italiana, la sopravvivenza di alcune cariche tradizionali dell'organizzazione amministrativa italiana (il prefetto, il podestà) ebbe un significato meramente strumentale, in quanto questi organismi privati totalmente di qualsiasi rango decisionale non avevano altro ruolo che di fungere da cinghia di trasmissione della catena di comando gestita direttamente dall'amministrazione civile tedesca. L'autonomia del Litorale adriatico rispetto al resto d'Italia fu particolarmente evidente nella sottrazione alla sovranità italiana dell'amministrazione degli interni, della giustizia, oltre che, ovviamente, delle competenze di carattere militare. Infine, non si può considerare una mera circostanza occasionale o di comodo il fatto che la gestione dell'amministrazione civile fosse affidata in misura quasi tota­le a personale di estrazione austriaca e spesso carinziana, por­tatore quindi di un retroterra politico-culturale particolarmente idoneo a confluire in un progetto di annessione nel quadro austro-tedesco. Per fare una serie di esempi significativi, come già altra volta sottolineato: dalla Carinzia proveniva il più stretto collaborato­re di Rainer, il suo vice dr. Wolsegger. Dalla direzione della propaganda del Reich per la Carinzia proveniva il dr. Lapper, che assunse la direzione dei servizi propagandistici nell'Adriatisches Küsterland, che ebbero una importanza strategica nel quadro globale della politica tedesca. Dalla Carinzia proveniva il consulente giuridico di Rainer dr. Messiner; quest'ultimo a sua volta si servì della collaborazione del presidente dell'Oberlandsgericht di Graz per organizzare l'amministrazione della giustizia nell' AK. Dalla Carinzia provenivano i responsabili della sezione cultura, delle sezioni finanza, economia e lavoro. Walzl, autore dello studio per ora più completo sulla composizione dell'amministrazione civile del Litorale, può concludere che "analizzando l'insieme dei capisezione, si può dire, a titolo generale, che non ce n'era neppure uno che non fosse carinziano o che prima dell'impiego a Trieste non avesse almeno già lavorato in Carinzia". Austriaco e addirittura nato nella stessa Trieste era uno dei maggiori responsabili della politica tedesca nell'AK, il capo supremo delle SS e della polizia, il generale delle SS Odilo Globocnik, che formalmente dipendeva dal capo supremo delle SS e della polizia nel resto d'Italia, generale Karl Wolff, ma con un particolare rapporto di autonomia che gli conferiva una particolare autorità sulle forze di polizia alle sue dipendenze. Era lo stesso Globocnik che aveva realizzato in Polonia la "soluzione finale", la cosiddetta Aktion Reinhardt, che arrivò a Trieste quasi per punizione, accusato di scorrettezze patrimoniali compiute nell'esecuzione degli ordini di annientamento della popolazione ebraica in Polonia e il cui zelo persecutorio e repressivo a Trieste si può interpretare anche come un modo per farsi riabilitare sul piano professionale agli occhi dei vertici delle SS. L'allentamento dei vincoli con l'Italia era uno dei presupposti per orientare l'area verso un futuro tutto segnato dall'inserimento nel Grande Reich germanico e nel più ampio e ambizioso orizzonte del Nuovo ordine europeo. Si ripeterono in quest'area meccanismi tipici del rapporto tra dominatori e dominati, specialmente nei confronti delle popolazioni considerate di razza inferiore, già collaudati o attuati nelle altre parti dell'Europa conquistate dal Terzo Reich. Il carattere e la funzione di subalternità attribuiti all'amministrazione e ai collaboratori locali furono uno degli aspetti maggiormente visibili della gerarchia di potere inflessibilmente imposta dagli occupanti. Va da sé che, nel quadro delle prospettive nuove che si volevano offrire all'area, una funzione determinante fu attribuita al dispiegamento di una assai attiva propaganda, che ebbe tra i suoi epicentri anche la pubblicazione di un quotidiano in lingua tedesca, la Deutsche Adria-Zeitung (dal 14 gennaio 1944 al 28 aprile 1945). Uno dei capisaldi di questa propaganda rivolta soprattutto ai delusi dei decenni trascorsi dall'annessione della Venezia Giulia all'Italia consistette nel tentativo di prospettare la rinascita delle fortune economiche e commerciali di Trieste nell'ambito di un nuovo orizzonte, quello immaginario del Nuovo ordine europeo, rompendo decisamente con un passato di decadenza, che inevitabilmente veniva identificato con la gestione italiana, assunta polemicamente come motivo contingente a convalida del processo di separazione in atto anche al di là di reali motivazioni storiche, che non potevano non collegare la decadenza dell'emporio triestino non soltanto alla cattiva gestione dell'Italia ma anche al venir meno delle condizioni generali - a cominciare dalla dissoluzione dell'Austria-Ungheria - che aveva sconvolto l'unità del suo naturale hinterland. Il processo di distacco dall'Italia fu il primo passo di un più complesso sviluppo in cui motivi politico-propagandistici si intrecciavano a più elaborati tentativi di analisi teorico-politiche che miravano a legittimare la presenza e la dominazione tedesca con il retroterra delle conflittualità nazionali che avevano infiammato l'intera area del Litorale adriatico. Nell'ottica della propaganda tedesca un motivo privilegiato, destinato a procurare consensi presso la borghesia e la piccola borghesia triestina, fu rappresentato dalla proiezione europea che doveva coprire le mire annessionistiche dell'imperialismo germanico. Il leitmotiv di Trieste "finestra dell'Europa sul Mediterraneo", che segnò l'esordio del messaggio martellato giorno dopo giorno dalla Deutsche Adria-Zeitung, era strettamente funzionale all'inserimento del porto adriatico negli schemi geopolitici tipici dell'imperialismo nazista, nell'intento di sollecitare la collaborazione dei ceti economici e commerciali locali in un quadro di interessi nazionali ma soprattutto internazionali in stridente contrasto con le sorti del conflitto che sembrava ormai allontanare e non già avvicinare la realizzazione degli obiettivi del Nuovo ordine europeo. Ciononostante, la propaganda nazista non rinunciava al tentativo di fare breccia negli interessi dei ceti imprenditoriali e assicurativi triestini sollecitandone la convergenza con quelli del Grande Reich proponendo, dopo il fallimento del sogno imperiale del fascismo nei Balcani, la prospettiva del trionfo dell'imperialismo nazista e dell'inserimento in una mitica Mitteleuropa come unica possibilità per la realizzazione delle loro aspirazioni. Prima ancora di insediarsi nell'Adriatisches Küstenland, Rainer aveva cercato di motivare l'introduzione di una amministrazione tedesca fornendo una analisi della situazione delle nazionalità presenti nell'area che tendeva a dimostrare il carattere minoritario della componente italiana. Per giungere a questo risultato egli sottostimava la presenza degli italiani sia nella provincia di Gorizia che nel Friuli e nella stessa area urbana di Trieste, erigendo a nazionalità autonoma i cosiddetti "furlaner": una manipolazione storico-concettuale oltre che statistica che doveva servire a rendere attendibile la necessità dell'intervento pacificatore della Germania come arbitro tra i quattro gruppi linguistici (furlaner, italiani, serbi, croati) che si contendevano il controllo del territorio. Coerentemente alla sua proposta di riportare la frontiera italiana al confine italo-austriaco del 1914, Rainer assegnava i "furlaner" a un gruppo etnico-linguistico diverso dagli italiani, quello degli Alpenund Ratoromanen, secondo una delle tante classificazioni razziali in uso nel periodo nazista. Caratteristica dominante della situazione delle nazionalità della regione erano per Rainer, da una parte il rifiuto generalizzato della gestione del fascismo, la cui prova fallimentare ultima era rappresentata dal divampare del movimento partigiano slavo; dall'altra la constatazione che gli italiani non rappresentavano la componente maggioritaria della popolazione. Come abbia­mo ripetutamente sottolineato in precedenti studi, la negazione dell'esperienza del passato regime fascista era un tratto comune ad altre fonti della propaganda e della politica nazista, dai rapporti del dipartimento per la propaganda alle fonti della MV. Per il Litorale adriatico la teorizzazione più completa e più drastica della politica tedesca è contenuta in un ampio documento pubblicato a cavallo tra la fine del 1944 e l'inizio del 1945 ad uso interno delle unità militari e di polizia tedesche operanti nell'area, in primo luogo come manuale di guerra antipartigia­na, ma più in generale come manuale di orientamento storico-politico, in cui la strategia della guerra di annientamento era strettamente legata all'analisi di carattere storico delle origini della guerra per bande e alle considerazioni politiche e socio­logiche del conflitto delle nazionalità nella regione. L'ufficialità di questo documento, il Bandenkampf in der Operationszone Adriatisches Küstenland, è attestata dal fatto che esso era preceduto da una presentazione a firma del capo delle SS e della polizia dell'area, generale delle SS Odilo Globocnik. La parte più scontata di questo documento era l'analisi del fallimento della politica del fascismo, cui veniva addebitata la sopraffazione dei diritti nazionali delle popolazioni slave, come premessa non priva anche di una certa superiorità razziale nei confronti degli italiani, per affermare l'inadeguatezza di questi ultimi a governare la regione e motivarne una volta di più la separazione dall'Italia. La rappresentazione esasperata della mescolanza e delle conflittualità delle nazionalità, l'insistenza appunto sulla loro frammentazione e sul "mosaico etnico" con il quale se ne voleva simboleggiare la caotica mescolanza, non rispondeva ad esigenze di carattere storico, era piuttosto funzionale agli obiettivi della politica nazista e come sempre in primo luogo alla legittimazione della presenza della Germania come fattore e potenza d'ordine. Nella stessa misura in cui si voleva demonizzare l'esperienza di governo dell'Italia e sottostimare la presenza degli italiani, il Bandenkampf compiva anche il tentativo di recuperare alla collaborazione con i tedeschi la componente slovena, che era la nazionalità che maggiormente aveva sofferto l'oppressione fascista. Non si trattava, ovviamente, di una astratta rivalutazione dei suoi diritti nazionali e culturali, ma di un obiettivo molto concreto: cercare di recidere il legame tra la popolazione essenzialmente contadina slovena e il movimento partigiano, facendo leva in primo luogo su un richiamo di classe, la difesa della proprietà della terra, con una forte accentuazione ideologica nel segno dell'antibolscevismo. In questa fase, il tentativo di rivalutare la popolazione slovena e di operare una nuova contrapposizione tra sloveni e italiani rispondeva all'ulteriore obiettivo di impedire che dopo l'armistizio del 1943 potesse crearsi una saldatura tra il preesistente movimento di resistenza sloveno e l'incipiente movimento di resistenza italiano. In questo quadro di conflittualità nazionali, storicamente originate dalle annessioni del 1918 e dalla conseguente politica di snazionalizzazione, inasprite dall'aggressione fascista alla Jugoslavia ed ulteriormente esasperate dai tedeschi, con l'immigrazione forzata fra l'altro nella zona, di un consistente insediamento cosacco, il Bandenkampf proclamava la lotta senza quartiere alle bande, ai banditi, alla lotta partigiana. Tutto ciò avveniva in un contesto in cui già operava dall'inizio del 1944 la Risiera di San Sabba e in cui, sin dal settembre del 1943 era in atto una vera e propria guerra di annientamento contro il movimento partigiano. Da questo punto di vista il Bandenkampf non inventava né innovava nulla: sistematizzava e codificava, fornendone le coordinate dal suo punto di vista storico-teoriche, una prassi ormai da lunghi mesi già in atto. In quest'area la violenza della lotta partigiana, ulteriormente inasprita dopo l'armistizio del 1943 che aveva fruttato ai partigiani un ricco bottino di armi proveniente dal disciolto esercito italiano, incontrò la reazione di una ancora più feroce contro guerriglia. Se il teatro di guerra italiano visse episodi di grandi massacri e di atrocità contro le popolazioni civili, con o senza il pretesto di azioni di rappresaglia, nell'area del Litorale Adriatico la violenza della repressione rasentò i limiti della guerra di sterminio. Almeno sin da quando ebbi a pubblicare quel famigerato ordine d'operazioni emanato nel febbraio del 1944 dal comandan­te militare del Litorale adriatico, il generale delle truppe di montagna Ludwig Kübler, il cui imperativo era sintetizzato nella formula "Terrore controterrore, occhio per occhio, dente per dente!", sappiamo che l'area del Litorale adriatico era inclusa nella sfera di competenza delle "istruzioni per la lotta contro le bande in oriente" che Hitler aveva emanato il 18 agosto 1942 per intensificare la lotta antipartigiana nei territori invasi dell'est europeo. Il Litorale adriatico si prospettava così come l'estrema propaggine, al limite del territorio rimasto sotto apparente sovranità italiana, dell'immane partita che il Reich nazista aveva aperto per la conquista dello spazio orientale e per l'affermazione del Nuovo ordine europeo. La guerra di annientamento non prevedeva che si facessero prigionieri, implicava l'alternativa drastica della sopravvivenza di una sola delle parti in conflitto, era lotta per la supremazia non solo militare ma razziale; l'estirpazione del nemico lasciava dietro di sé una scia infinita di lutti e di distruzioni, incendi ed evacuazioni forzate di località, uccisioni e deportazioni in cui i reparti della Wehrmacht non si differenziarono dalle unità della polizia e delle SS o dai corpi militari dei collaboratori, come nel caso delle unità cosacche che, ormai ostaggi dei tedeschi e non avendo più nulla da perdere, in quanto la loro sopravvivenza dipendeva soltanto dalla vittoria dei nazisti, finirono per investire nella repressione contro i partigiani e contro le popolazioni civili alle quali contendevano il territorio, nella quale furono prioritariamente impiegati, tutta la loro forza d'urto e capacità aggressiva e operativa. La puntualizzazione storica di queste vicende non può concludersi senza qualche altra considerazione che riguarda direttamente anche il nostro presente. Dobbiamo interrogarci se nello scatenamento di violenze dell'immediato dopoguerra, la cesura del Litorale adriatico e l'esasperazione dei conflitti e degli scontri armati che vi ebbero luogo non abbia inciso profondamente nell'esaltare odi e contrapposizioni. E dobbiamo interrogarci sul ruolo di quelle componenti delle comunità nazionali di quest'area che si sono associate ai tedeschi ed hanno prestato in molteplici modi la loro collaborazione. Per quanto ci riguarda ciò vale in particolare per il ruolo svolto dal collaborazionismo italiano, una componente importante della realizzazione per fortuna non pervenuta a compimento del progetto nazista. Ma quest'ultimo ha avuto proprio il senso di inasprire negli animi oltre che nei fatti la contrapposizione tra italiani e slavi, lasciando una eredità che non è ancora del tutto scomparsa. La convergenza soltanto paradossale dell'ala estrema del nazionalismo italiano con la dominazione nazista negatrice dei diritti e della libertà della nazionalità che si incrociano in quest'area in funzione dell'odio antislavo, è un fatto con il quale non sono stati fatti ancora tutti i conti. Nel processo di elaborazione storica e di costruzione della memoria permangono ancora troppe ambiguità sulle quali riteniamo vada fatta chiarezza senza concessioni a unilaterali pregiudizi. Fin quando la convivenza tra le nazionalità di quest'area sarà considerata nella migliore delle ipotesi non una condanna della storia, ma una scelta elettiva in uno spirito di rovesciamento dei valori e dei principi del Nuovo ordine che avrebbero voluto imporre il fascismo e il nazismo non sarà possibile abbattere negli animi, prima ancora che nelle barriere di frontiera, gli ostacoli che si frappongono all'eguaglianza delle nazionalità e degli individui che la compongono. Restituire le coordinate storiche di queste laceranti vicende e chiamare con il loro nome senza eufemismi e senza tabù i comportamenti di individui, ceti e gruppi sociali, parti politiche, fa parte di un processo di crescita di una coscienza civile democratica, che dalla consapevolezza degli errori, delle violenze e delle ingiustizie del passato deve trarre alimento e ispirazione per una definitiva inversione di rotta. Se come storici dobbiamo contribuire a chiarire i termini di questioni scottanti e controverse operando le debite distinzioni e chiamando in causa tutte le componenti di un processo storico, come cittadini possiamo e dobbiamo praticare le opzioni che ci vengono imposte dalla nostra coscienza. Dobbiamo cioè prendere parte senza reticenze per la costruzione di un futuro che, senza dimenticare gli orrori del passato anzi facendo tesoro di quella esperienza, si apra ad orizzonti nuovi nel rispetto reciproco delle nazionalità in nome di una comune umanità e del comune rispetto dei diritti umani, così violentemente manomessi nel periodo del quale ci siamo occupati.

da Fascismo Foibe Esodo. Le tragedie del Confine orientale, Atti del Convegno dell'ANED, Trieste - Teatro Miela, 23 settembre 2004

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