THOSE SOUR DAYS ("Quei Giorni Amari)
STORIA DI RINO
(2002)
di Rino CHIAVERINI

Interessantissima autobiografia di Rino CHIAVERINI, uno dei tanti palenesi che hanno portato alto il nome di palenese ed italiano nel mondo, con il loro accanito lavoro, con la loro determinazione, con la loro voglia di riuscire, ma sempre nel ricordo e nell'attaccamento alla propria terra natale, Palena. Storie di sacrifici enormi, quali quelli che l'emigrazione forzata imponeva a coloro che dovevano abbandonare, per andare oltreoceano, il proprio paese natio per necessità, storie anche di sentimenti puliti e semplici, di sofferenze patite ma anche di gioie legate alla propria irripetibile giovinezza. Meritorio il fatto che il libro è stato stampato completamente a cura dell'autore.

Il libro è regolarmente distribuito ed in vendita.

.... Così introduce il suo libro Rino CHIAVERINI:

Mio padre mi raccontava che il nonno, Antonino Chiaverini, viveva in. America. Egli aveva lasciato la famiglia in Italia. Nel 1911 rimase ucciso in un incidente in una miniera di carbone. Accadde vicino a Pittsburg, PA. Mio padre, a quel tempo, aveva 14 anni e viveva in Italia con la madre e due sue sorelle.
Egli voleva andare in America, ma doveva compiere 16 anni per gli incartamenti necessari per lavorare. Aspettò e poi si fece prestare il danaro da uno zio.
Essi sbarcarono a New York ed andarono a Yonkers, N.Y. Egli trovò subito lavoro guadagnando 10 C all'ora, ma doveva rendere il prestito a suo zio. (Il prestito era di $40.00 e ne aveva da ripagare $80.00).
Mio padre tornò in Italia due volte. Nel suo secondo viaggio in Italia nel 1919 sposò mia madre. Nel 1920 nacque il loro primo figlio che chiamarono Antonino, dal nome del nonno. Mio padre tornò presto negli Stati Uniti. Era un uomo robusto, sano, forte, ma non aveva istruzione. Egli sapeva appena scrivere il suo nome e doveva lavorare molto per guadagnare soldi e sostenere la sua famiglia in Italia.
Fece sette viaggi di andata e ritorno, tra l'Italia e l'America, dal 1913 al 1950.

Recentemente, mia moglie mi ha dato una copia di " Vita di un Reporter" di Walter Cronkite.
Questa mi fece ricordare le traversie che la mia famiglia ed io sopportammo in Italia durante la Il^ guerra mondiale. In 50 anni da quando sono venuto negli Stati Uniti d'America, molti hanno detto: "Tu dovresti scrivere un libro!" Io sorridevo. Io? Scrivere un libro? Non li ho mai presi seriamente fino ad ora. Ma, in qualche modo, dopo tutti questi anni, sento il bisogno di mettere giù la storia della mia vita per coloro che verranno dopo di me.

I miei capelli rossi, che gli americani hanno pensato strano per un italiano, stanno diventando grigi ora e -odio ammetterlo! - sto diventando più magro. Sì, suppongo che alcuni mi definirebbero un "uomo vecchio", sebbene dentro sono ancora il ragazzo che ero. Perciò, amerei dividere con voi alcuni ricordi e raccontarvi la mia storia come ne condivido i punti salienti con i miei nipoti.

.... Uno stralcio dal suo libro:

DOPO LA PARTENZA DEI TEDESCHI

Il mio padrino ed io decidemmo di tornare a Palena. Facemmo la scorta di due zaini con abbastanza cibo per una settimana. La mattina seguente, mentre era già buio, partimmo. Io indossai delle scarpe regalatemi da qualcuno e speravo che mi sarebbero durate fino a Palena e al ritorno. Era lontano, e Onorino disse che avremmo impiegato all'incirca tre o quattro giorni a piedi per arrivarci. Eravamo contenti del bel tempo per il nostro ritorno a casa. Era più facile camminare. Viaggiavamo attraverso boschi e campi rovinati dalla guerra. Sarebbe stato bellissimo se non fosse stato per questo fatto. Gli uccelli si facevano sentire qua e là. Era tanto tempo che non li sentivamo a causa delle bombe e fucilate. Guardai verso l'alto, che era silenzioso adesso, e ringraziai Dio che potevamo respirare tranquilli l'aria. Lentamente, la paura stava sparendo. Fu un sollievo quando arrivammo a una fonte d'acqua e ci fermammo a bere. Mentre eravamo seduti lì, vedevamo molte persone che ritornavano alle loro case, quelle che erano ancora in piedi.
Quel primo giorno camminammo fino a Pretoro, arrivando verso le nove di sera. Pioveva. Visto che non avevamo un riparo, mangiammo lungo la strada, ci sdraiammo sull'erba e ci addormentammo. Dormimmo circa sei ore. Quando ci svegliammo prima dell'alba, eravamo ambedue doloranti e indolenziti. I miei piedi sanguinavano, così li avvolsi con pezze e mi rimisi le scarpe. Continuammo a camminare.
Quel giorno, sulle strade trovammo molti animali morti e occasionalmente - qualche corpo umano. I loro corpi erano in decomposizione e l'odore era terribile! Cercai di non vomitare. Ci girammo dall'altra parte da queste orribili viste. Questo non era il paesaggio piacevole del giorno precedente e non vedevo l'ora di arrivare a Palena.
Visto che la maggior parte o quasi tutti i ponti erano distrutti attraverso le montagne, dovevamo prima attraversare il fiume e poi arrampicarci sull'altra parte. Alcune volte era molto ripido, ma per raggiungere la strada, eravamo costretti a fare questo. Una volta incontrammo un uomo alto (almeno a me sembrava alto), e mi aiutò a scavalcare uno di questi ripidi sentieri.
Finalmente, giungemmo a una fattoria vicino Palombaro, dove sostammo per un po' d'acqua.
"Onorino", dissi, "mi fanno male i piedi".
Mi tolse le scarpe. Le pezze, avvolte intorno ai miei piedi, erano piene di sangue. Mi guardò. lo riguardai lui e cercai di sorridere. Ero spacciato. C'era ancora tanta strada per Palena e come ce l'avrei fatta? Onorino scosse la testa.
Comunque la famiglia, che visse nella fattoria prima dei Tedeschi, era appena tornata prima di noi. Ci invitarono a trascorrere la notte da loro. La casa, anche se vuota, era ancora intatta; dormimmo tutti per terra. Era meglio che stare sdraiati lungo la strada sotto la pioggia.
Il giorno dopo, Onorino mi diede le sue calzette da indossare e ripartimmo per Palena. Era una vera tortura per me camminare. I miei piedi erano così doloranti che zoppicavo e non riuscivo a stare al passo con Onorino. Spesso mi aspettava. Ricordo la fatica provata nel salire la montagna, e poi! - tutto ad un tratto in lontananza riuscivamo a vedere Palena che brillava al sole! Casa! Finalmente Palena!
In qualche maniera, riuscivo a zoppicare più speditamente e mi sentivo più forte. A notte fonda arrivammo là e tutto era buio. Non c'era un'anima in giro e tutto il paese era maleodorante! Gli edifici erano stati bombardati e le strade erano sepolte sotto le macerie che ci impedivano di camminare.
Fuori nel buio, sentimmo delle voci. Non riuscivamo a vedere chi fosse, ma nell'avvicinarci le riconoscemmo! Erano nostri amici e iniziammo tutti a piangere. Un uomo era il marito della sorella di Onorino e ci portò a casa sua, che era ancora intatta. Aveva anche il tetto! Ci dissero che erano tornati un paio di giorni prima e avevano iniziato a sistemarsi in casa loro.
La sorella di Onorino era così felice di vederci! Lo abbracciò, rise e pianse... e fu una bella riunione con i nostri compaesani! Poi mise della paglia per terra che usammo come letti. Prima di addormentarci, ciascuno di noi raccontò le proprie esperienze vissute lontano da Palena. Avevamo molto da raccontarci! Mi addormentai, quella sera, con un sorriso sulle labbra.
La mattina uscimmo ed andammo a dare un'occhiata al paese. La strada principale era abbastanza in buono stato, ma circa 45% del paese era raso al suolo. Cercammo ma non riuscimmo a trovare il luogo dove era la casa di Onorino. Lui era in piedi lì, con le braccia giù e osservava le rovine.
Non ho mai visto il mio padrino così arreso, pensai. Credevo che niente a questo mondo potesse scuoterlo, ma quel giorno, penso che Onorino fosse arrivato al colmo. Volevo confortarlo, ma non si può confortare degli anziani signori italiani, specialmente se sei un ragazzino. Si può solo soffrire con loro.
A questo punto, circa 20 o 30 persone si erano radunate con noi tra le macerie. Tutti si guardavano intorno, come Onorino, mentre osservavano la distruzione. A parte questo, l'odore era così tremendo che ci coprimmo il naso con dei cenci per non sentirlo.Nessuno disse niente. E per essere italiani, questa è una cosa straordinaria! Non c'era molto da dire. Ci voltammo e andammo a cercare la mia casa.
Era stata danneggiata e il tetto era quasi scomparso. Non c'erano finestre e porte ed era piena di spazzatura e altre porcherie. C'erano topi ovunque: sulla spazzatura, sotto le macerie e dentro e fuori le vecchie finestre! Non riuscii a guardare intorno senza vedere i loro occhietti vispi e le loro lunghe code. Mentre giravo la testa, vidi che tutti i mobili erano spariti. Tutto quello che avevamo lasciato, era stato perso. Sentii la rabbia dentro di me e, con questa furia, iniziai a buttare la robaccia fuori da quello che era una finestra.
Il primo piano era stato utilizzato come una stalla dai tedeschi e il pavimento era coperto di concime. Sul lato ovest della casa, avevano traforato il muro, creando due enormi buchi, grandi come delle porte. Qui tenevano le loro mitragliatrici.
Mentre stavo pulendo, una vecchia vicina di casa passò e mi trovò. Annina mi. si aggrappò e cominciò a piangere.
"Oh, Rino!" piangeva "Dimmi come sta la mamma? E i tuoi fratelli?"
L'abbracciai e dissi "Stanno bene, Annina. Sono ad Alanno Scalo in una fattoria, aspettando indicazioni sul da farsi. Mi ha fatto piacere rivederti!
Con un ultimo abbraccio mi lasciò andare, dicendo "Se hai bisogno di cibo o di qualsiasi altra cosa che ho, te lo offro volentieri".
Eravamo a giugno ed il tempo era bello. Trovammo verdure e frutta selvatica, che erano una gradita aggiunta alla nostra dieta limitata.
Tutti i giorni la gente tornava, un po' alla volta: zoppi, magrissimi e ridotti male, ma tutti con il sorriso. Erano tornati a casa, a Palena.
Come la gente iniziò a ripulire le zone bombardate, trovarono dei cadaveri sotto le macerie. Se il terreno era morbido, dove erano stati trovati, venivano sepolti sullo stesso luogo.
Dopo che stavo ripulendo la nostra casa da tre o quattro giorni, Annina entrò e mi trovò sdraiato per terra. Mi svegliò e chiese "Cosa è successo?"
a guardai e scossi la testa per chiarirmi le idee. Mi guardai attorno non sapendo dove fossi. Annina mi stava fissando, ma facevo fatica a mettere a fuoco il suo viso, che luccicava sopra di me. "Non lo so" dissi, infine.
Ella increspò le labbra strette "Beh, io so che cosa è successo" disse bruscamente. "Sei stanco e affamato e sei svenuto! Hai bisogno di un buon pasto e ci penserò io!".
Con questo, mi aiutò ad alzarmi in piedi e mi indirizzò verso casa sua, dove mi mise a sedere su uno sgabello davanti al camino. Non protestai; la lasciai occuparsi di me. Era una sensazione meravigliosa l'essere accudito, finalmente! Non credevo di essere così affamato e non lo sapevo! Lei prese un po' di acqua e farina e iniziò a fare una pizza. Questo, comunque, prese del tempo e, mentre ero seduto lì, le cose cominciarono a girarmi intorno. Svenni di nuovo e caddi dallo sgabello.
Poco dopo, Annina mi stava rovesciando dell'acqua in gola e mi svegliò. Ero sdraiato per terra, mentre la pizza si cuoceva. Quando fu pronta, la mangiai quasi tutta! Lei era così generosa. Disse: "Tieni, Rino, portati a casa il resto della pizza". La presi.
Il giorno seguente, venne a controllarmi e vide che le mie scarpe erano senza suola. "Devi avere qualcosa per i tuoi piedi!" disse, "La strada è lunga per Alanno. Tua madre ti aspetta, ti presto le ciocie di mio figlio".
Me le portò e vidi che erano state fatte con le gomme d'automobile; avevano due lacci sul dietro per legarle intorno alla caviglia.
"Prometto, Annina, che te le restituirò non appena torno", le dissi.
Stavamo lavorando da una settimana a Palena, ma alla fine partimmo per Alanno sotto la pioggia.
Impiegammo più di tre giorni per arrivare, a causa della pioggia, ma la mamma fu contenta di vedermi!
"Oh, Rino" disse "sei tornato finalmente! Ero così preoccupata! Dove sei stato e cosa hai trovato a casa? Hai visto i nostri vecchi amici? Oh, Rino, dimmi tutto!Voglio sapere tutti i dettagli!"
"Va bene, mamma, ti racconto" dissi ridendo, cercando di districarmi dal suo abbraccio. "Fammi prima sedere, va bene? I miei piedi sono doloranti".
Riuscii a sedermi su una sedia e a mettere in alto i piedi mentre la mamma mi toglieva le ciocie e me li lavava con acqua calda saponata e li asciugava delicatamente. Era doloroso, ma stavo bene. Guardavo la mamma mentre era chinata sui miei piedi e sentivo un senso di amore per lei che a stento trattenevo le lacrime. "Oh mamma, come ti voglio bene! Non c'è niente che non farei per te."
E, con un nodo alla gola dissi: "Mamma andiamo a casa".
Mi guardò e sorrise come una Madonna. "Si, Rino. Si andiamo a casa".
Dopo circa quattro giorni, eravamo pronti per tornare a Palena, questa volta su camion dell'ottava armata inglese! Era meglio che camminare. Il giorno che partimmo, eravamo tutti tristi, come fosse un funerale. Ci eravamo affezionati ai Pecchia da sentirci come in famiglia. In tempi duri le persone si uniscono nella sofferenza. Mentre il camion si allontanava, i Pecchia erano alla porta, salutando e dicendoci: "Arrivederci, arrivederci!" Noi salutavamo e dicevamo: "Grazie amici, grazie!" La gola mi si stringeva, le lacrime scendevano sulle guance. Mi guardai attorno e anche gli altri erano in lacrime.
"Non vi dimenticherò mai" pensai. "Non mi dimenticherò di tutto il vostro aiuto e della vostra gentilezza; un giorno vi sarò riconoscente."

.... Ancora uno stralcio dal suo libro:

PARTIRE?

Era passato del tempo quando abbiamo ricevuto un'altra lettera da mio padre. "Vendete tutto!" erano le sue istruzioni "e usate i soldi per venire in America".
La mamma scosse la testa, ma era ubbidiente e cominciò a spargere la voce che avrebbe venduto. Avevamo anche bisogno di denaro per sopravvivere. I 500 dollari spediti da mio padre erano quasi tutti finiti.
La terra buona fu comprata subito e, poco dopo, anche il resto. Comunque le offerte per la casa non erano sufficienti e mamma si rifiutò di venderla. I nostri quattro acri di alberi da legname erano stati venduti. Quando feci vedere questo terreno ad un probabile acquirente, vidi un vecchio pastore che si ricordava di mio nonno che aveva piantato gli alberi.
Chiese a mio nonno: "Perché stai piantando quegli alberi? Hai 70 anni e non ci sarai per coltivarli!"
"Sì, lo so, ma ho figli e nipoti che lo faranno" E lo stavamo facendo!

A Napoli in partenza con la Nave per l'America: Mauro, Rino, la mamma di Rino e Tony.

Nel tardo 1946, il tempo era quasi pronto per la nostra partenza per l'America. La mamma ed io andammo a Roma dove visitammo il console americano che ci dette i passaporti per noi tre fratelli. Poi continuammo per Napoli dove passammo dalle autorità italiane per avere il passaporto italiano per la mamma. La nostra partenza era prevista per il 28 febbraio 1947.
Questo sarebbe stato il nostro ultimo Natale a Palena con i nostri parenti ed amici, i nostri padrini e gli altri che abitavano con noi.Visto che i miei padrini non avevano figli, ci consideravano come i loro figli maschi; e sarebbe stato duro per loro accettare la nostra partenza..
Penso che una delle ragioni per cui la mamma non vendette la casa, visto che pensava sempre agli altri, era perché le persone che vivevano con noi non avevano un altro posto dove andare. Noi Chiaverini eravamo i primi del nostro paese a partire per l'America. Non mi dimenticherò mai quella mattina che partimmo per Napoli. Molta gente venne a salutarci. Era triste, quasi come un funerale! Non volevamo lasciare la nostra casa. Tony era così attaccato alla mia madrina che aveva afferrato il suo vestito con i pugni, affondato il suo viso nel suo ampio grembiule e singhiozzava: "Non ti voglio lasciare!"

Mi ricordo che si dovette portarlo via con la forza. La nostra madrina singhiozzava con la stessa intensità di Tony ed era terribile! Avevamo tutti la sensazione che non ci saremmo più rivisti.
Andammo a Napoli e stavamo con una parente della mamma. Pierino era proprietario di un negozio di abbigliamento e sua moglie, Nunzia, maestra. Avevano due figli maschi e tre femmine, tutti educati bene. Pierino era capitano dell'esercito italiano.
Non dimenticherò mai quello che mi disse:"Rino, sii felice di andare in America! E' il miglior paese del mondo!"
Vennero al molo per vedere la nostra partenza. Salpammo sulla "Saturnia", un transatlantico italiano, sopravvissuto alla guerra. Quando lasciammo l'approdo, rimasi sul ponte ad osservare Napoli che si rimpiccioliva nella distanza. Mi pareva di partire dai luoghi che amavo di più ed il mio cuore era stretto dalla pena.
I primi due giorni di navigazione furono favolosi! C'era tanto cibo, intrattenimenti e divertimenti. Era di sicuro, una nuova esperienza per noi, visto che di divertimenti io non avevo alcuna conoscenza. Era troppo bello perché potesse durare, infatti il 2 marzo il tempo divenne brutto. Il vento divenne una bufera ululante e la barca si alzava e si abbassava vorticosamente! Oh! Gli stomaci di tutti coloro che erano a bordo erano sottosopra, quasi quanto l'acqua che circondava la nave. L'equipaggio fornì dei grandi barili da olio per la gente che si sentiva male, per vomitarci dentro! A1 quinto giorno, quasi tutti erano con il mal di mare.
Un giorno mi capitò di passare per la sala da pranzo e detti una occhiata. Vidi Tony, tutto solo, che mangiava! Aveva circa 5 camerieri che giravano intorno a lui servendogli questo e quello. Rimasi a guardare, sbalordito, mentre stava consumando quel cibo, ma quella vista mi faceva venire ancora più nausea per cui continuai, in fretta, scuotendo la testa. Solo Tony! Penso che fosse l'unico passeggero su quella nave che non avesse il mal di mare. Arrivammo negli Stati Uniti 1'11 marzo, a notte inoltrata. Ricordo la statua della libertà mentre lentamente le passavamo davanti. Era illuminata, e lì a distanza, c'era New York city, tutta illuminata! Che spettacolo! Non lo dimenticherò mai.
La "Saturnia" ancorò sotto un ponte visto che non era permesso attraccare fino a giorno. Quella sera celebrammo il nostro arrivo in America

! La mattina dopo un rimorchiatore venne a trainarci ad un molo e ci raggruppammo alla ringhiera per cercare nostro padre e zio Enrico, fratello della mamma. La mamma raccolse noi tre ragazzi, sotto le sue ali, per non perderci nella folla pressante che cercava di sbarcare. La sua testa, che era coperta da un foulard, era inclinata all'indietro mentre si sforzava con gli occhi a guardare sopra la testa di tutta la gente. Poi sorrise dicendo:" Là, vedete quel grosso signore con il vestito scuro? Quello è vostro padre!"
Salutavamo e chiamavamo "Chiaverini" per attrarre la sua attenzione. La folla iniziò a muoversi, e noi fummo spinti in avanti . Facemmo del nostro meglio per non perdere nella folla le nostre valigie improvvisate e finalmente raggiungemmo la terra ferma. Però che bella sensazione, dopo tanti giorni su di un ponte rollante!
Sopra di noi, i gabbiani stridevano e sotto di noi c'era l'odore dell'acqua salata che sciabordava contro il molo.
Ad un tratto nella confusione (tutti stavano urlando e fischiando ed i clacson dei tassì suonavano) sentimmo qualcuno chiamare :"Maria!". Guardammo su e c'era mio padre, che cercava di afferrare la mamma! Stava sorridendo ed era così bello con il vestito scuro ed il cappello!! Dimenticai per un attimo che ci aveva abbandonati. Eravamo arrivati ed eravamo di nuovo una famiglia! Niente poteva essere più bello! papà allungò le sue lunghe braccia e ci abbracciò tutti e tre. La mamma stette lì sorridente ad osservarci, mentre il foulard che aveva portato in testa cadde indietro e la luce primaverile trasformò i suoi capelli in oro. Poi papà si voltò verso mamma e tutti insieme ci dirigemmo alla staccionata dove ci aspettavano gli altri parenti per salutarci.

Sullo sfondo di "Cacasicch" Rino e Mauro su un cavallo con un soldato Italiano.

Né Mauro, né Tony si ricordavano di papà ed erano proprio tranquilli in mezzo a tutta questa commozione. Una volta raggiunta l'altra parte della staccionata, tutti si riversavano su di noi! Tanti dei nostri parenti erano venuti per accoglierci al nostro arrivo in America! Ero così eccitato infatti, che il mio naso iniziò a sanguinare! Che situazione imbarazzante! Ma presi uno straccio e lo controllai prima che arrivassimo alle autovetture che ci avrebbero portato a casa dello zio Rico. In realtà avevamo bisogno di sei automobili per trasportare tutti! Avevamo la nostra parata.
Una ad una, le auto uscirono dal parcheggio e ci dirigemmo fuori, nel traffico. Non avevo mai visto una cosa del genere! I palazzi erano così alti, continuavo a muovere la testa per vedere più in alto, su fino al cielo dove si confondevano con le nuvole bianche. Non riuscivo a credere che tutto questo esistesse nel mondo intero! Mentre viaggiavamo, una cugina, Emilie, mi dette 5 dollari! Tenni i soldi in mano ed osservai il volto che, come venni a sapere più tardi, era di A. Lincoln. Soldi americani! Che ricchezza!
Dopo quello che sembrava un'eternità di semafori rossi e zig-zag nel traffico, arrivammo finalmente a casa dello zio Rico, in un luogo chiamato "Yonkers" dove festeggiammo alla grande! Era così bello che in 50 anni non me lo sono mai dimenticato, in tutti questi anni di America.
Più tardi, era tempo per andare a dormire, e ci portarono nelle più belle camere, al piano di sopra con le lenzuola! LENZUOLA, avete inteso! Niente paglia! Niente pidocchi. Tutto era profumato di fiori o di bosco. Prima facemmo il bagno in una vasca bianca. Dovevamo lavarci dappertutto! Nessuno in Italia si lavava dappertutto in una volta! La maggior parte delle volte avevamo un catino di acqua e ci si lavava, ma solo le parti che si vedevano. Dovevamo anche lavarci i capelli! Questo era inaudito! Vi dico, avevamo un sacco di cose da imparare, qui negli U. S. A..
La mattina seguente quando ci alzammo, il sole splendeva. Indossammo tutti i vestiti nuovi che i parenti avevano preparato per noi ed andammo giù per la prima colazione. Eravamo impalati e guardavamo il tavolo imbandito di cibo. C'era una ciotola con frutta fresca, anche una banana. Non avevo mai avuto una banana. Tonv non ne aveva mai vista una e chiese: "Mamma, quella cosa gialla è uno zucchino?" Tutti risero e Tonv abbassò la testa. La mamma lo accarezzò e disse "Va bene Tony, non ti preoccupare. Abbiamo tante cose da imparare qui, in questo paese nuovo. Tutti sembreremo un po' sciocchi a volte"
Dopo poco, era arrivato il tempo di lasciare Yonkers per New Castle, in Pennsylvania. papà e mamma e noi bambini salimmo sul treno a New York City, Central Station . Noi ragazzi non potevamo credere a quel treno! Era tirato da quella che definivano una macchina Diesel e le macchine erano così pulite e così lustre! Non ci potevamo credere. Molte aziende ci passavano davanti veloci, una volta lasciata la zona cittadina. Ancora più fuori vedemmo tante di quelle cose che pensavamo fossero chiese. "Come mai ci sono così tante chiese qua, papà? `" chiesi. "Non sono chiese, Rino, sono case!" Era un lungo tragitto da New York a New Castle, ma era meraviglioso vedere il paesaggio che fuggiva via. Il grande fiume Hudson che ci costeggiava per un po' del tragitto, le navi ancorate nel fiume e poi l'aperta prateria, dove le case ed i fienili punteggiavano la campagna. Il bestiame vagava sulle colline e mi fece venire in mente le bestie che avrei voluto possedere, pascolando in montagna, a Palena. Mi mancava l'Italia, un pochino, ma tutto era così eccitante che presto la nostalgia passò.
Sul treno c'era un tizio che veniva barcollante con un grosso paniere e gridava: "Panini al prosciutto! Tacchino! Chi vuole un panino?" papà lo chiamò, gli diede dei soldi e ci procurò qualcosa da mangiare! Non era la cosa più buona che avessi mai mangiato, ma era emozionante il fatto di avere cibo così facilmente e a portata di mano, anche su un treno in movimento. In fondo alla nostra carrozza, c'era una piccola stanza quadra che aveva un gabinetto graziosissimo e si poteva anche tirare lo sciacquone,solo quando il treno era in movimento! Non era permesso farlo quando il treno era fermo in una stazione. Vicino a questo stanzino c'era dell'acqua fresca e noi ragazzi continuavamo a prenderne nei bicchieri! Era così fresca e buona! Immaginate, un'acqua che non bisognava andare in paese per prenderla! Proprio lì, sul treno in movimento: Ero così stanco che mi addormentai al mio posto che con un pulsante si abbassava. Finalmente udii il conduttore dire "Pittsburgh! Pittsburgh! Tutti fuori per Pittsburgh!"
Dovevamo scendere lì e prendere un altro treno per New Castle che si trovava un'ora a nord della grande città. Pittsburgh era grandiosa quasi quanto New York. Ci stavamo abituando a vedere queste cose e non eravamo più così impressionati. Quando arrivammo a New Castle, andammo a casa di amici di papà, i Colaiacovo. Lui abitava presso di loro da 12 anni, cioè da quando stava in America. Avevano una grande famiglia! C'era Gaetano e sua moglie, Lucia e sette figli, cinque figlie e due maschi. papà mi disse :" Rino, vorrai conoscere Christina. E' Una ragazza carina"
papà aveva ragione. Era molto carina, ma anche tutta la famiglia. Era buona gente! Cenammo con loro e poi papà ci portò a casa nostra. Potevamo andarci a piedi perché era a due passi da casa Colaiacovo. Camminavamo davanti a case così ordinate, affacciate a marciapiedi belli lisci. Non riuscivo ad abituarmi! Poi papà si fermò davanti ad una di quelle case e disse "Beh, eccoci arrivati a casa"
Sembrava abbastanza fiero; prese il braccio della mamma e la introdusse per un corridoio dentro una piccola veranda. Qui trovai un piccolo bagno, con l'acqua corrente, sia calda che fredda! Una stufa a carbone (non dovevamo andare a tagliare la legna per riscaldarci) una cucina, un salotto, sala da pranzo e tre camere da letto! E la cosa migliore era che era arredato! C'erano accoglienti morbide poltrone e divani, bei tappeti sui pavimenti di legno. Non più pavimenti di cemento! Da un lato délla casa c'era un garage, anche se non avevamo una autovettura.
Noi ragazzi eravamo sbalorditi da tutto questo. La mamma aveva un sorriso buffo, quasi come se stesse per piangere, ma allo stesso tempo era contenta. Girovagava da una stanza all'altra, toccando le cose, sfiorandole, accarezzando le stoffe morbide dei copriletto.
Accese l'acqua nel lavandino del bagno e la guardò scorrere. Continuava a scuotere la testa. Sapevo che stava pensando a Palena e a quando andava a lavare i panni con un'asse di legno. Non c'era confronto con questi U.S.A.! Era quasi troppo sbalorditivo per noi .
Non dovevamo pensare comunque, perché molti dei nostri vicini iniziarono a venire a trovarci, portando doni e facendosi conoscere. La mamma era tutta sorridente e realizzai che non l'avevo mai vista così carina in tanto tempo. Trovare la gentilezza in persone sconosciute era incredibile! Niente Tedeschi che ti puntavano il fucile in faccia e ti dicevano di andartene! Ancora sentivo il loro "Heraus mit!".
No, qui in America la gente ti accoglieva a braccia aperte e ti regalava cose meravigliose per facilitarti la vita.
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