IL PROCESSO DI FRINE (1884)
(1996)
di Edoardo Scarfoglio

Importante pubblicazione che ha ridato alle stampe una perla della letteratura italiana. Tratto da una raccolta di novelle a cui dava il nome, Il Processo di Frine, diventò, dopo un ripensamento dell'autore che ne valutò l'importanza, un'opera a sé. Nel racconto Mariantonia, prosperosa ed avvenente, accusata dell'omicidio della suocera viene difesa solennemente in aula di tribunale dal suo accorto avvocato adducendo a discarica la sola sua avvenenza e bellezza. L'autore scrisse il racconto proprio durante la lunga permanenza a Palena e quindi non è estranea l'influenza dell'ambiente paesano e del suo antico costume all'ispirazione del romanzo di Scarfoglio.

Il libro è attualmente regolarmente distributo ed in vendita.

La trama è esigua e semplice: riprende il solito alterco proprio e della letteratura e della tradizione popolare, tra nuora e suocera, qui trasformatosi in un odio così forte da far sì che Mariantonia procuri la morte alla suocera, avvelenandola come "li surge ". Sicuramente innocente per la legge e per la morale, la vecchia ha il solo torto di essere più astuta del figlio Giatteo e di sospettare la facilità di costumi della nuora: la suocera condanna Mariantonia non perchè reputa il suo comportamento moralmente riprovevole, ma perchè di questo comportamento è a conoscenza tutto il paese e ciò espone allo scherno e al ludibrio il figlio. Descritta nelle brutture provocate dalla vecchiezza e non illuminata da un vero senso morale ma solo dalla volontà di mantenere un decoro di facciata, la suocera, pur essendo punita ingiustamente, non emerge dal racconto come personaggio positivo, ma squallido e misero a confronto della nuora, della sua bellezza prorompente, della giovinezza ornata dalla prestanza fisica, ammirata ora in paese, poi, con l'evolversi della storia, in sede di processo. Non solo, come dice Fedro, "pulchra est, sed cerebrum non habet": non ha neppure la compassione, la pietà, quello che noi chiamiamo "il cuore". Mariantonia, donna troppo libera in un paese conservatore e all'antica, esercita con la sua bellezza ferina e selvaggia un fascino particolare, un'attrazione irresistibile sugli uomini del piccolo borgo, anche sui più colti e noti: non a caso lo speziale non resiste al fascino della donna ed in cambio dei suoi favori si lascia convincere, dopo una iniziale esitazione, a darle veleno sufficiente ad uccidere "una mandra di bovi". La sua avvenenza non richiede ornamenti: il suo modesto abbigliamento è povero e provocante, il suo porsi è prima timido e esitante quando attende il turno nel negozio del farmacista, ma sicuro e sfacciato quando cede alle richieste del medesimo per un po' di arsenico.
Non conosce limiti morali, non rapporta il premio al merito: si concede per istinto e per interesse.
Elemento rilevante nello svolgersi di questa vicenda è il caso: quel caso che era motivo dominante nella commedia greca di Menandro e ancor più in quella latina di Plauto ove consentiva lo svolgersi di trame ricche di intrecci sostenendone le avventure ed i riconoscimenti, è ora componente importante, se non di una tragedia, di un evento sicuramente triste e luttuoso. E' il caso che ha donato a questa "bella" la pulchritudo scevra di ogni altra qualità morale; è il caso che determina anche lo svolgimento del processo: proprio durante la requisitoria del procuratore regio si rovescia il sacco di grano che uno dei giurati aveva con sè ed il rumore scrosciante, interrompe in modo irrecuperabile il "pathos tragico"; così cade l'inchiostro che il giudice, spinto da cleptomania, versa nel suo calamaio, e ciò suscita lo stupore generale: è la sorte che influisce sulla decisione dei giudici e sul comportamento dei giurati che distratti ed immemori delle colpe, si soffermano più su ciò che vedono che su ciò che hanno udito, partecipando alla conclusione del processo con una sentenza molto benevola verso la donna.
Ecco come appare Mariantonia nell'aula del Tribunale di Chieti: è il suo avvocato che, da buon psicologo, ben sapendo che la pena di morte è per lei certa, le consiglia di usare l'unico strumento con il quale può salvarsi: ostentare la sua bellezza, ornando la sua persona grande e florida, di tutti i gioielli e le cose preziose che possiede; nella sua difesa non si appella a leggi o ad articoli del codice, ma alla morale greca che teneva in grande considerazione la bellezza collegandola al bene: il bello e il bene (kalòs kai agathós) erano per i Greci inseparabili ed un "essere" così bello non può essere condannato per un crimine. Se un crimine è stato commesso non è imputabile certo a una volontà di fare del male, ma ad una mancanza intellettiva e ad una istintualità quasi ferina: gola, lussuria, accidia, peccati di incontinenza collocati da Dante nel II - III - V cerchio dell'Inferno, sono i peccati commessi da Mariantonia e sono i vizi che la inducono ad offrirsi agli uomini del paese. Vittima dei suoi stessi vizi è la protagonista: così l'avvocato vuole che appaia ai giurati, sottolineando i continui rimproveri, che spesso sfociavano in vere e proprie guerre familiari che la donna doveva subire da parte della suocera, lei così bella sposata ad un uomo meschino, brutto e vile: la deposizione di questi accrebbe la benevolenza e la compassione dei giurati già accondiscendenti e sedotti dall'aspetto di Mariantonia: l'abito di broccatello chiaro ed i gioielli la facevano apparire agli occhi dei paesani splendente come una madonna portata in processione durante le feste patronali.
Non serve che Mariantonia pronunzi parola: l'aspetto esteriore è già eloquente.
Notiamo come lo stesso Scarfoglio non faccia pronunciare alla protagonista altro che poche battute iniziali: non è l'eloquenza, l'abilità oratoria, di cui è senz'altro priva che l'autore vuole mettere in risalto; parla l'avvocato, parlano i testimoni, gli amanti e il marito: la donna ha invece un'immobilità statuaria, dove anche la passione è smorzata e resa statica dall'istintualità e dalla insipienza.
Non sulla ricerca del colpevole - Mariantonia confessa subito la colpa, prima al marito e poi alle autorità - ma sui personaggi e sullo svolgersi del processo si incentra quindi la narrazione.

Edoardo Scarfoglio Scrittore e giornalista. Studiò presso il Seminario Diocesano in Via Niccolò Toppi a Chieti e successivamente a Roma dove rivelò precoci qualità di critico letterario. Fondò diversi giornali tra i quali La Tribuna e Il Corriere di Roma a Roma; Il Corriere di Napoli e Il Mattino a Napoli: qui ebbe come collaboratori Di Giacomo, Russo, Borgese, Serao e D'Annunzio. Avverso ai partiti radicali e soprattutto ai socialisti, difese Crispi dopo Adua, combattè Di Rudini e Giolitti. Di temperamento antidemocratico e nazionalista, vagheggiò per l'Italia un avvenire imperialistico; ma poiché si rendeva conto delle difficoltà reali del paese in politica e in economia, spesso la sua polemica si incrinava di scetticismo e a volte di ironia. Di questa duplice coesistenza di elementi etico-politici, volontà di potenza da un lato e scetticismo nella capacità del paese di realizzarla dall'altro, sono frequentemente intrisi i suoi numerosi scritti.
Nacque a Paganica (L'Aquila) nel 1860. Visse dai tre ai vent'anni fra Chieti e Guardiagrèle; trascorse lunghi periodi a Palena nell'alta valle Aventino ospite di una certa famiglia Vittoria.
In una lettera indirizzata alla scrittrice Matilde Serao, che divenne poi sua moglie, scriveva: "... per il terzo anno ho trascorso circa un mese a Palena: è un paese suggestivo, quasi tutto costruito in pietra... Lungo la ,strada maestra, prima dei boscbi, ci si può inoltrare in maccbie di timo, mentuccie e garofani selvatici... Ho visitato altri paesi viciniori: Lama, Taranta e Fara, molto belli e anch'essi costruiti in pietra.. " (lettera del 25/07/1880).
In questo periodo, a vent'anni scrisse Il Processo di Frine la più riuscita delle "novelle realiste all'ultimo sangue" raccolte pubblicate nel 1884. E' un racconto di travolgente sensualità: si narra di un processo intentato a una donna molto bella, accusata di omicidio, svoltosi prima a Guardiagrele e successivamente nella Corte di Assise di Chieti.
Da questo Alessandro Blasetti, nel 1952, realizzò l'episodio culminante del film "ALTRI TEMPI" in cui Mariantonia è Gina Lollobrigida e l'avvocato difensore è Vittorio De Sica. Ancora una volta De Sica e la Lollobrigida sono insieme in un film e .... Palena c'entra ancora!
Altre sue opere: Le nostre cose in Africa Itinerario verso i paesi dell'Etiopia - Il Cristiano errante - Compianto di terra perduta e il celebre Brindisi a Mr. Asquith.
Abbandonato dalla moglie, Matilde Serao, moriva in condizioni disagevoli a Napoli nel 1917.

© 1996 - MAYEL Editore
Piazza Valfrè, 62 - Tel. 0131260441
15100 ALESSANDRIA