LE MIE BANDIERE
Autobiografia di Artemio TOCCO
(1999)
di Artemio Antonio TOCCO

Toccante exploit di Artemio Tocco, un palenese che alla stregua di atmosfere che ricordano "Dagli Appennini alle Ande", ha conosciuto pagine intense, inenarrabili per loro mortificazioni e privazioni, della sua vita di Palena che hanno segnato profondamente la sua vita. La miseria dignitosissima e severa degli anni grami dell'anteguerra, le ferocie della guerra, il rientro a Palena in anni di sfacelo, la scelta dolorosissima dell'emigrazione, prima negli USA e poi in Australia. Dopo tanto cammino ci si aspetterebbe cambiamenti della persona ma non in Artemio che anzi motivato da profondissime nostalgie e da un candore d'animo che gli fa onore tratteggia con un linguaggio diretto e spontaneo pieno di "palenesità" gli anni della sua incredibile vita e soprattutto gli anni di Palena, restituendo momenti ed emozioni che sicuramente rimarranno per chi, magari, vorrà trarne insegnamento e valore delle proprie radici.

Il libro aspetta una sua distribuzione ufficiale.
E' possibile però contattare l'autore scrivendo a tony@tocco.net

...Uno stralcio da "Le Mie Bandiere":

... A Palena c'erano e ci sono tuttora delle belle chiese.
Le più importanti sono quella di San Falco, quella della Madonna del Rosario e quella di San Francesco; tutte non lontane dalla piazza.
Quella di San Falco fu bombardata nell' ultima guerra e rimase miracolosamente in piedi soltanto il suo possente campanile, munito di enormi e bellissime campane, che ancora oggi annunciano ai paesani le funzioni religiose e i vari momenti della giornata.
Ricordo che il mattino presto suonavano il "mattutino"; verso le otto e mezza una campanella segnalava l'ora di entrare a scuola e alle nove tutte annunciavano la Santa Messa. Verso sera rintoccava "ventun'ora" (ventunoure) e molti andavano in chiesa a pregare, mentre tante donne, sedute davanti alle loro case, si rivolgevano a Dio facendosi il segno della croce. Quando suonava il "Vespro" i contadini lasciavano i campi e incominciavano il lento ritorno verso casa con le bestie cariche di fieno, di covoni, di patate o di legna, a seconda la stagione; e branchi di pecore e mucche tornavano dai pascoli montani con il loro tipico scampanellio.
Le capre ritrovavano da sole la strada delle stalle, davanti alle quali le padrone le attendevano per mungerle. I comignoli delle case incominciavano a cacciar fumo e per l'aria si spandeva l'odore di aglio, di cipolla e peperoncino, che facevano sempre parte del condimento dei nostri pasti. A quell'ora sentivamo la mamma chiamarci dalla finestra per annunciarci che era pronta la cena.
L'ultima campana suonava "un ora di notte" quando di solito si finiva di mangiare e le donne erano indaffarate nelle faccende di casa. Subito dopo gli uomini uscivano e si radunavano in piazza, dove si raccontavano l'accaduto della giornata. Qualche burlone come "Bacocch" diceva quattro "fregnacce" per mettere un po' di buon umore e poi magari si andava tutti all' osteria a fare una partitina e a bere un bicchiere di vino.
I giovani passeggiavano su e giù per il corso canticchiando un motivetto e sbirciando qualche dolce fanciulla; mentre noi ragazzi scorrazzavamo chiassosi e felici per tutte le stradine del paese, senza alcun timore che qualcuno ci rimproverasse o ci facesse del male. Ma erano altri tempi!

Quando io avevo otto-nove anni, eravamo ancora in pieno Fascismo e si parlava continuamente di guerra. Anche se in famiglia nessuno si interessava di politica, io ero molto attento quando in piazza sentivo parlare della Patria e del Duce; ma nostro padre ci faceva capire di non essere molto entusiasta di quel Regime.
Raffaele, Guido e Cettina erano ormai diventati grandicelli e cominciavano a dare qualche valido aiuto ai genitori, che dopo tanti sacrifici, finirono di pagare la casa e finalmente erano senza debiti. Per mamma e tatà fu un grande notivo d'orgoglio possedere un' abitazione.
Tanti palenesi erano proprietari di casa solo perchè l'avevano ereditata; molti erano in afftto, ma solo pochi riuscivano a comperarla, come i miei genitori, con sacrifici e sforzi sovrumani.
Ma dovettero abbassarsi ad andare a fare serva e garzone a casa di quei quattro borghesucci da strapazzo, dai quali venivano trattati non molto bene.
Quando sembrava che le cose cominciassero ad andare bene per la nostra famiglia, mio fratello Guido si ammalò di tifo e per curarlo i genitori dovettero ricorrere ancora a debiti. E come se non bastasse, mio padre fu sorpreso da una guardia forestale, un certo Cavallo, mentre riportava. dal bosco legna verde, che doveva andare a vendere per un tozzo di pane. Fu processato e gli diedero una pena abbastanza severa, per fortuna sospesa dalla condizionale.
Ma l'avvocato lo dovette pagare!
Certo che la fortuna non era troppo benigna con la nostra sorte!

... Avevamo qualche campicello in affitto e facevamo un modesto raccolto, per cui dopo averne dato una parte ai padroni, a noi restava ben poca roba, che non bastava per tutto l'anno, specialmente se l'annata non era stata buona. I proprietari poi tenevano le campagne più fertili per loro e alla povera gente affittavano solo quelle più aride e piene di sassi, che dopo tanto lavoro per dissodarle, non davano neanche la soddisfazione di un raccolto decente. E cosi i benestanti se la cavavano sempre bene e i poveri dovevano tirare sempre la cinghia. Noi ci consideravamo fortunati se qualche anno riuscivamo a raccogliere qualche quintale di frumento, qualche staio di granturco, qualche sacco di patate e una manciata di fagioli.
Quando con l'autarchia Mussolini mise la tessera ai viveri, anche i cosiddetti ricchi cominciarono a stringere la cinghia. Avevano i soldi, ma i soldi non si potevano mangiare e se si procuravano roba di contrabbando, rischiavano anche la galera. Ma noi non avevamo di questi problemi, perchè ci mancavano sempre diciannove soldi per fare una lira...
Un giorno però mi sentii ricco anch'io, quando per strada trovai due soldi di rame; ma la mia illusione durò poco, perchè questa moneta era tutt'ammaccata, forse per giocarci al muro; e quando andai da "Scudazze" per comperarci le caramelle, questo rozzo commerciante rigirò la moneta fra le dita, la guardò bene e la scaraventò fuori dalla bottega. Non riuscii più a trovarla e ci rimasi molto male.
A quell'epoca a Palena mandarono degli internati antifascisti. Alcuni di questi venivano dal Nord, erano di famiglie benestanti e i ragazzi andavano spesso da loro a chiedere due soldi per comperare qualcosetta. Erano persone generose e istruite e spesso ci accontentavano. Un giorno anch'io mi feci coraggio e uno di questi confinanti mi regalò una moneta da quattro soldi. Feci salti di gioia, anche perchè non avevo mai visto tanti soldini, salvo quella lira che rubai alla mamma e che mi costò caro... Per paura di perdere questa bella monteta, me la misi in bocca e nel correre, chi sa come, la inghiottii. Ci rimasi molto male e anche un po' spaventato, ma dopo un paio di giorni ...riuscii a recuperarla e andai a lavarla alla fontana di San Rocco. Mela rimisi in bocca e, voi non ci crederete, la inghiottii nuovamente. Puntualmente, dopo due giorni, ne ero ancora in possesso e questa volta, senza neanche lavarla, andai a comperarci una bella "pizzarella" alla piccola bottega di una donna bassa e rotondetta, che a Palena chiamavano "La Patane".