...Uno
stralcio da "Le Mie Bandiere":
... A Palena c'erano e ci sono tuttora
delle belle chiese.
Le più importanti sono quella di San Falco, quella della
Madonna del Rosario e quella di San Francesco; tutte non lontane
dalla piazza.
Quella
di San Falco fu bombardata nell' ultima guerra e rimase miracolosamente
in piedi soltanto il suo possente campanile, munito di enormi
e bellissime campane, che ancora oggi annunciano ai paesani le
funzioni religiose e i vari momenti della giornata.
Ricordo che il mattino presto suonavano il "mattutino";
verso le otto e mezza una campanella segnalava l'ora di entrare
a scuola e alle nove tutte annunciavano la Santa Messa. Verso
sera rintoccava "ventun'ora" (ventunoure)
e molti andavano in chiesa a pregare, mentre tante donne, sedute
davanti alle loro case, si rivolgevano a Dio facendosi il segno
della croce. Quando suonava il "Vespro"
i contadini lasciavano i campi e incominciavano il lento ritorno
verso casa con le bestie cariche di fieno, di covoni, di patate
o di legna, a seconda la stagione; e branchi di pecore e mucche
tornavano dai pascoli montani con il loro tipico scampanellio.
Le capre ritrovavano da sole la strada delle stalle, davanti alle
quali le padrone le attendevano per mungerle. I comignoli delle
case incominciavano a cacciar fumo e per l'aria si spandeva l'odore
di aglio, di cipolla e peperoncino, che facevano sempre parte
del condimento dei nostri pasti. A quell'ora sentivamo la mamma
chiamarci dalla finestra per annunciarci che era pronta la cena.
L'ultima campana suonava "un ora di notte"
quando di solito si finiva di mangiare e le donne erano indaffarate
nelle faccende di casa. Subito dopo gli uomini uscivano e si radunavano
in piazza, dove si raccontavano l'accaduto della giornata. Qualche
burlone come "Bacocch" diceva quattro
"fregnacce" per mettere un po' di buon
umore e poi magari si andava tutti all' osteria a fare una partitina
e a bere un bicchiere di vino.
I giovani passeggiavano su e giù per il corso canticchiando
un motivetto e sbirciando qualche dolce fanciulla; mentre noi
ragazzi scorrazzavamo chiassosi e felici per tutte le stradine
del paese, senza alcun timore che qualcuno ci rimproverasse o
ci facesse del male. Ma erano altri tempi!
Quando
io avevo otto-nove anni, eravamo ancora in pieno Fascismo e si
parlava continuamente di guerra. Anche se in famiglia nessuno
si interessava di politica, io ero molto attento quando in piazza
sentivo parlare della Patria e del Duce; ma nostro padre ci faceva
capire di non essere molto entusiasta di quel Regime.
Raffaele, Guido e Cettina erano ormai diventati grandicelli e
cominciavano a dare qualche valido aiuto ai genitori, che dopo
tanti sacrifici, finirono di pagare la casa e finalmente erano
senza debiti. Per mamma e tatà fu un grande notivo d'orgoglio
possedere un' abitazione.
Tanti palenesi erano proprietari di casa solo perchè l'avevano
ereditata; molti erano in afftto, ma solo pochi riuscivano a comperarla,
come i miei genitori, con sacrifici e sforzi sovrumani.
Ma dovettero abbassarsi ad andare a fare serva e garzone a casa
di quei quattro borghesucci da strapazzo, dai quali venivano trattati
non molto bene.
Quando sembrava che le cose cominciassero ad andare bene per la
nostra famiglia, mio fratello Guido si ammalò di tifo e
per curarlo i genitori dovettero ricorrere ancora a debiti. E
come se non bastasse, mio padre fu sorpreso da una guardia forestale,
un certo Cavallo, mentre riportava. dal bosco legna
verde, che doveva andare a vendere per un tozzo di pane. Fu processato
e gli diedero una pena abbastanza severa, per fortuna sospesa
dalla condizionale.
Ma l'avvocato lo dovette pagare!
Certo che la fortuna non era troppo benigna con la nostra sorte!
... Avevamo qualche campicello in
affitto e facevamo un modesto raccolto, per cui dopo averne dato
una parte ai padroni, a noi restava ben poca roba, che non bastava
per tutto l'anno, specialmente se l'annata non era stata buona.
I proprietari poi tenevano le campagne più fertili per
loro e alla povera gente affittavano solo quelle più aride
e piene di sassi, che dopo tanto lavoro per dissodarle, non davano
neanche la soddisfazione di un raccolto decente. E cosi i benestanti
se la cavavano sempre bene e i poveri dovevano tirare sempre la
cinghia. Noi ci consideravamo fortunati se qualche anno riuscivamo
a raccogliere qualche quintale di frumento, qualche staio di granturco,
qualche sacco di patate e una manciata di fagioli.
Quando con l'autarchia Mussolini mise la tessera ai viveri, anche
i cosiddetti ricchi cominciarono a stringere la cinghia. Avevano
i soldi, ma i soldi non si potevano mangiare e se si procuravano
roba di contrabbando, rischiavano anche la galera. Ma noi non
avevamo di questi problemi, perchè ci mancavano sempre
diciannove soldi per fare una lira...
Un giorno però mi sentii ricco anch'io, quando per strada
trovai due soldi di rame; ma la mia illusione durò poco,
perchè questa moneta era tutt'ammaccata, forse per giocarci
al muro; e quando andai da "Scudazze" per comperarci
le caramelle, questo rozzo commerciante rigirò la moneta
fra le dita, la guardò bene e la scaraventò fuori
dalla bottega. Non riuscii più a trovarla e ci rimasi molto
male.
A quell'epoca a Palena mandarono degli internati antifascisti.
Alcuni di questi venivano dal Nord, erano di famiglie benestanti
e i ragazzi andavano spesso da loro a chiedere due soldi per comperare
qualcosetta. Erano persone generose e istruite e spesso ci accontentavano.
Un giorno anch'io mi feci coraggio e uno di questi confinanti
mi regalò una moneta da quattro soldi. Feci salti di gioia,
anche perchè non avevo mai visto tanti soldini, salvo quella
lira che rubai alla mamma e che mi costò caro... Per paura
di perdere questa bella monteta, me la misi in bocca e nel correre,
chi sa come, la inghiottii. Ci rimasi molto male e anche un po'
spaventato, ma dopo un paio di giorni ...riuscii a recuperarla
e andai a lavarla alla fontana di San Rocco. Mela rimisi in bocca
e, voi non ci crederete, la inghiottii nuovamente. Puntualmente,
dopo due giorni, ne ero ancora in possesso e questa volta, senza
neanche lavarla, andai a comperarci una bella "pizzarella"
alla piccola bottega di una donna bassa e rotondetta, che a Palena
chiamavano "La Patane".
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