6° INCONTRO dei GRUPPI FAMIGLIA a Vallà (TV)
12 Marzo 2000

DOPO LA FANCIULLEZZA UNA VITALITÀ CHE ESPLODE
Le regole da dare ai genitori perché i figli trovino il modo di darsi delle regole

Don Pino Pellegrino

Oggi vogliamo parlare di una vitalità che esplode, ossia dell’adolescenza: dei ragazzi che frequentano la scuola media, prima e seconda superiore. Prenderemo in considerazione l'età che va dagli 11 ai 16 anni. Età non semplice, età vulcano. La parola adolescenza deriva dal verbo latino adolesco che significa crescente. L’adulto è uno che è cresciuto, o che almeno dovrebbe esserlo perché ci sono degli adulti che hanno ancora la mentalità adolescenziale. Questi adulti sono pericolosi: pensiamo ad un papà, ad una mamma, ad un insegnante semaforeggiante che cambia continuamente di umore. Un giorno tutto allegro, ottimista ed un giorno pessimista, al mattino ride ed alla sera piange. Questa persona non ha una stabilità emotiva perciò sconcerta, fa paura. Come le mamme B B = baci e botte. Persino un bambino della scuola materna quando va a casa pensa se sia la sera dei baci o delle botte e non capisce più nulla. Una simile persona è adulta di età ma non di fatto. L’adolescente è un crescente, non un cresciuto e lo sta facendo in modo tumultuoso come un vulcano che esplode. Tra gli 11 e i 14 anni un ragazzo può crescere anche 25 cm., e vestiti e scarpe devono essere cambiati in continuazione. L’adulto non riesce più a capirli perché ha perso le qualità di quando era fanciullo. Se ad 8 anni era buono ed obbediente, poi non accetta osservazioni, è pronto a contestare ogni cosa e a fare il contrario di quanto gli si dice. I cambiamenti di questa età sono straordinari e rapidi. Io paragono l’adolescenza al trasloco. In una casa quando si sta facendo trasloco non si sa più mettere le mani su niente perché regna un gran disordine: tutto ammucchiato, tutto inscatolato. L’adolescenza è un trasloco per andare ad abitare in una casa più bella, tutta nuova: il trasloco dalla fanciullezza all’età matura. È un periodo necessario per approdare ad una fase della vita importante, nuova, vissuta possibilmente od almeno per i tre quarti matura. Se qualcuno dei presenti non ha ancora ragazzi di questa età può farsene un’idea per prevenire e non avere troppe sorprese. Per fotografare l’adolescenza forse la via migliore è paragonare la realtà del bambino a quella dell’adolescente. Farò otto scatti per capire l’adolescente. Poi in una seconda parte vedremo che cosa fare.

Capire l’adolescente:
1° scatto. L’adolescente ha un io personalizzato mentre il bambino ha un io dominato da altri. Se ad 8 anni gli si dice di andare a messa il bambino non fa storie, a 12 invece protesta: ma perché ci devo andare? Il bambino è guidato da altri, l’adolescente non accetta più niente a scatola chiusa, vuol rendersi ragione, è un io personalizzato, e questo è bene. Sarebbe male avere un ragazzo che non s’interroga, che è guidato dai mass-media e da chi parla più forte.
2° scatto. Il preadolesente ha un io desatellizzato mentre il bambino ha un io satellizzato. Il bimbo si allontana di pochi metri poi ritorna dal papà o dalla mamma: ruota intorno ai genitori che sono il sole per lui e quindi è bene essere luminosi. I bambini vi guardano. Il preadolescente invece, avendo un io desatellizzato, non vuole più girare intorno ai genitori, ma reggersi sulle sue gambe, vuole smettere di stare in panchina ma vuole giocare la partita. Le prove della desatellizazione sono soprattutto tre:

3 scatto. L’io del preadolescente ama sentirsi io mentre il bambino ha un io che ama sentirsi figlio. Questo è fondamentale. Il bambino ha bisogno di essere guardato e di appartenere a qualcuno. Ha bisogno di essere abbracciato e quindi avvinghiato a qualcuno. Il preadolescente vuole sentirsi io e non più figlio, ecco perché si stacca: è il periodo della identità e cerca di essere se stesso. Spie importanti del sentirsi io:

4°scatto. L’intelligenza del preadolescente è un’intelligenza diffidente, mentre il bambino ha un’intelligenza sottomessa, il preadolescente dubita e sospetta. Ad esempio pensa: il prete ha ragione quando dice tutte quelle cose, il catechismo non è tutta una fantasia? Dubita molto mentre il bambino è acquiescente.
5° scatto. Ha un’intelligenza inquirente. È in ricerca mentre il bambino si ferma ai fatti. Esempio se muore la nonna il bambino sta al fatto: è morta la nonna. A 13 anni se muore un amico: ma perché si muore? Il preadolescente passa dai fatti ai significati, per questo con il preadolescente si può veramente procedere ad una vera educazione, anzi è il momento della vita particolarmente indicato per educare perché il preadolescente va alla ricerca delle cause, dei perché.
Fin qui tutto bene, ma per correttezza nell’adolescente ci sono anche i lati tenebrosi che, se aggiunti ai lati positivi, danno gli otto scatti che stiamo considerando.

6°- (I°) scatto. Ha un io confuso. Fa tanta confusione. Ad esempio il preadolescente:

confonde la libertà con l’arbitrio. Egli pensa che libertà sia fare quello che piace.
confonde critica con criticismo. Critica è un valore, criticismo un disvalore = contrariare per contrariare.
confonde intimità con mutismo. Il mutismo sta all’intimità come l’aceto sta al vino.
confonde amore con simpatia.
confonde l’essere con l’apparire. Chi è più bello più è, chi più ha più è.

Come fare? Coloro che dovrebbero dare una mano per togliere queste confusioni ai ragazzi sono gli insegnanti, ma non sempre essi fanno questo servizio. I ragazzi infatti credono di più ai professori che ai genitori a questa età. Se hanno la fortuna di trovare professori ben preparati si è molto aiutati, spesso invece succede che i professori non sono molto attrezzati anche senza loro colpa perché lo Stato non chiede agli insegnati delle medie di frequentare corsi di psicologia e pedagogia. Così avviene che ci sono professori che fanno sbagli che ammazzano psicologicamente il ragazzo, sebbene si affermi nei programmi che la scuola media ha un compito educativo, istruttivo, orientativo e formativo.
7° - (II°) scatto. Ha un io molto disarmonico. Ha un io incerto, non uniforme. Ha sbalzi di umore incredibili. Ecco perché spesso è triste. I ragazzi sono più leopardiani che francescani. I ragazzi amano tanto il gioco perché il gioco li rafforza. Siccome sono deboli vanno in gruppo pensando che più sono e più sono forti. In realtà il gruppo è indispensabile ma anche piallato, deruba la libertà. Ci sono dei ragazzi che in gruppo fanno delle cose che da soli non farebbero.
8° - (III°) scatto. I ragazzi hanno un io fragile. Non hanno spina dorsale e davanti alla prima difficoltà mollano. Se il problema di matematica non si riesce a risolverlo in cinque minuti lasciano tutto dicendo: non ce la faccio! Non hanno la forza di aggredire la realtà. Perché l’io fragile? Qual è la causa? Capire la causa è utile, in particolare per chi ha bambini piccoli, perché la preadolescenza si prepara sin dall’infanzia.
Il fragilismo del preadolescente nasce da queste cose:

# dal qualunquismo valoriale. Oggi i ragazzi non sanno più a chi credere. Troppi pulpiti ognuno con la sua verità diversa e spesso opposta. Una volta i pulpiti erano due o al massimo tre e tutti convergenti: famiglia, chiesa, scuola. Ora aprendo la TV le proposte di vita sono numerose, a chi credere? Essendo qualunquisti non agganciano la vita a niente e quindi non si impegnano. I ragazzi oggi hanno una vita più faticosa della nostra dal punto di vista psicologico e dall’altra parte non hanno punti di riferimento. È vero che è molto pericoloso il "credere, ubbidire, combattere", ma rappresentava un punto di riferimento sicuro.
# dall’ iperprotezionismo che c’è stato prima di questa età. Essendo troppo protetti non hanno usato le loro armi, ossia non è stata dato loro la possibilità di fare delle esperienze.
# dal facilismo. Rendendo loro la vita troppo facile li abbiamo resi fragili, si arrendono alla prima difficoltà. La loro volontà non è stata esercitata.
# l’attendismo. È un’altra causa di questa mancanza di volontà, specialmente nel nostro occidente. Cioè il fatto che il ragazzo deve aspettare e aspettare prima di fare qualcosa.
Una volta i ragazzi ad una certa età, già a 12 o 13 anni, lavoravano: Cristoforo Colombo a 13 anni faceva il mozzo. Guai se adesso a 13 anni un ragazzo lavorasse! I sindacati ammazzerebbero chi gli da lavoro. Questo vuol dire che il ragazzo aspetta, aspetta, aspetta……..
Una volta l’adolescenza era molto meno breve, adesso invece è lunga al massimo ed anticipa sempre di più. Ci sono ancora oggi dei paesi, pochi ormai, purtroppo (non dico purtroppo perché non si sa se sia bene o male) dei paesi in Africa dove non c’è l’adolescenza. Il discorso che sto facendo adesso laggiù non lo capirebbero, perché non esiste questo periodo tra l’infanzia e la maturità. Quando si è finito di essere bambini si è subito adulti, basta saper generare, avere la possibilità di generare figli. In Kenia, in Tanzania l’adolescenza non esiste. Quando ragazzi o ragazze hanno 11/12 anni fanno un po’ di preparazione e per sei mesi devono vivere da soli. Una volta che sanno dimostrare di poter sopravvivere da soli, passato questo periodo, entrano nel categoria degli adulti. Invece dalle nostre parti l’adolescenza si allunga sempre di più ed anticipa sempre più. La fascia dell’adolescenza è sempre più vasta. Oggi ci sono dei bambini, specie delle bambine, che sono in anticipo di due anni. A 10 anni sono già adolescenti in pieno. Magari non sono ancora arrivate al menarca, ma sono già adolescenti. L’adolescenza diventa sempre più bassa e questo crea molte difficoltà perché non sono preparate. Mi scriveva l’altro giorno una ragazzina di quarta elementare, molto bambina, però già incomincia a sentire l’adolescenza in se’ "Don Pino ti voglio bene" comincia così. L’ho trovata al mare, si è affezionata molto, di tanto in tanto mi telefona. "oggi nella mia classe è successa una cosa, sai, i maschi …" Attenzione, vedete come siamo già nell’adolescenza "i maschi si lamentano perchè loro chiedono alle femmine di fidanzarsi con loro e le ragazze dicono sempre di no ". I ragazzi sono più indietro di due anni, meno sviluppati, poi le raggiungono e le raggiungono eccome… " sì che io sono una femmina, però a me non lo si chiede mai," sottolineato due volte "dico, mai nessuno". Cioè nessun ragazzo le chiede mai di fidanzarsi, e lei è preoccupata "Perché?. Sono brutta? Sono antipatica? Non lo so il perché. Sembro sciocca, non è vero? A me piace un bambino di nome Marco. Un giorno vieni a trovarci, mandami dire qualcosa". Ecco una ragazzina di quarta elementare che sente già il problema del suo corpo, sente già il problema che avrà poi nell’età dell’adolescenza. Ecco l’adolescenza che anticipa sempre più.
# la mancanza della figura del papà. La figura paterna dà più consistenza psichica al ragazzo, dà più sicurezza, dà più forza, dà l’immagine di una figura forte. Se il papà non c’è il bambino, il figlio è privato di un punto di riferimento. La figura paterna è molto importante. Un papà che sia evidentemente autorevole. E’ importante sia per la bambina, sia per il bambino. Non è che la mamma sia meno importante, ma lo è per altri punti di vista: per la delicatezza, per l’amore, per la comprensione, per tante cose. Il papà è importante per altri aspetti psicologici, specialmente per la tranquillità, per la sicurezza. I bambini che hanno sempre a che fare solo con le mamme sono molto più insicuri, non hanno un io forte perché non hanno potuto specchiarsi in un io maschile.

Che Cosa fare?

Cerchiamo di non partire con la mentalità perdente
Cerchiamo di non dire: "E’ difficile, è impossibile aiutare i preadolescenti! Sono intrattabili!" Non partiamo con questa mentalità perdente, perché è sempre stato difficile educare, sempre. Gli adolescenti sono sempre stati così come i ragazzi di oggi, anche se oggi è un po’ più difficile perché c’è questo qualunquismo valoriale che disturba molto. Però l’età dell’adolescenza è per sua natura difficile. Non partiamo con la mentalità perdente dicendo: "Una volta era più facile educare". Non è vero. Sentite come erano bravi i ragazzi del 1095, di 905 anni fa, sentite com’erano santi: "La gioventù di oggi non pensa più a niente, pensa solo a se stessa, non ha rispetto per i genitori e per i vecchi. I giovani sono intolleranti di ogni freno, parlano come se sapessero tutto, quello che noi credevamo sapiente loro lo credono stupido". E sentite come erano brave le ragazze di 900 anni fa: "Le ragazze poi sono vuote e sciocche, immodeste, senza dignità nel parlare , nel vestire e ne vivere". Come adesso! Sentite come erano bravi 2400 anni fa i ragazzi. Chi li descrive così era un filosofo, Socrate: "I nostri giovani amano il lusso", come dire amano la moto lunga di qui a là, o amano la macchina "ridono dell’autorità, non si alzano in piedi davanti ad un anziano". Non si alzano in piedi i ragazzi quando entra il professore. Erano bravissimi, no? Sentite come erano bravi addirittura 4000 anni fa. Su un coccio babilonese è stata trovata questa frase: "Questi giovani sono marci nel cuore, sono malvagi e pigri, dove arriveremo?". Siamo al 2000 dopo Cristo!
Quindi non partiamo con la mentalità perdente: è sempre stato difficile! Avessimo un po’ più di senso storico saremmo un po’ più tranquilli, più sereni.

Cerchiamo di avere idee chiare sull’educazione.
E’ fondamentale. Noi tante volte pensiamo che educare sia una cosa, e siccome questa cosa non riesce diciamo: "Abbiamo fallito!" Ma forse non è vero perché noi non sappiamo cosa vuol dire proprio educare. Educare non vuol dire comandare. Non vuol dire castigare. Ci vuole il comando, ci vuole il castigo, ma questi sono mezzi, non sono fini. Io castigo per non dover più castigare. Adesso chi è che vi castiga ancora? Nessuno! Ci hanno castigato quando si era piccoli. Il castigo è un mezzo non è un fine.
Come comandare? Il Comando non è educare, è un mezzo. Se bastasse comandare le caserme , dove tutti comandano, sarebbe un luogo di educazione. A 12 anni: "Vai a messa!" "Devi andare a messa!" "Ti comando di andare a messa". Il ragazzo va a messa, ma a cosa serve questo suo andare a messa? Niente! Sarà lì presente fisicamente, ma dentro è completamente lontano. Non l’ho educato. Cosa vuol dire educare?
Educare vuol dire persuadere, vuol dire convincere, vuol dire creare dei fatti interiori. Questo è l’educare! Ma che cos’è che convince? Convince soprattutto la parola. L’esempio sì, ma soprattutto la parola. Le armi possono vincerti la parola può convincerti.
Tu vinci i ragazzo con le armi, ma non lo convinci, non lo educhi. Ecco perché il parlare è importante!
E’ vero che la parola non fruttifica subito, però bisogna gettare il seme. Occorre dare il buon esempio, ma soprattutto parlare nei momenti buoni. Io vorrei darvi alcuni consigli su come parlare ai preadolescenti. Se ci ritorna anche solo questo messaggio "Ma com’è cambiata la mamma, non la capisco più, c’è stato un miracolo! Tutte le domeniche la mando in giro!" è già una gran cosa.
Nessuno si offenda se quasi certamente qualcuno si troverà in questo modo sbagliato di parlare.
Parliamo senza umiliare. "Bisognerebbe pestarti!" "Ma che figlio abbiamo!". Queste frasi non si dicono, perché umiliano. Il ragazzo va alla ricerca di una buona identità, l’abbiamo visto prima. Se tu gli dici: "Ma che figlio abbiamo!",conseguenza: "io sono un imbranato, sono uno stupido, io non sono niente" e quindi si fa una cattiva immagine di se, e chi ha una cattiva immagine di se non parte per la vita. Il ragazzo si disistima. Non usiamo mai parole invalidanti. Proprio mai! Il ragazzo vi vuole più bene e soprattutto cresce meglio dentro. Il bambino ha bisogno di autostima, di positività. Gli arabi hanno un bellissimo proverbio, dicono: "Se hai bisogno di un cane chiamalo leone" per dire come la parola dà vita, rinforza, fa scoprire delle energie che sono magari assopite e che vengono risvegliate appunto dalla parola.
Parliamo senza francobollare, senza etichettare. "Sei il solito imbranato" , "Sei il solito pasticcione".
Il ragazzo pensa: "Sono fatto così". A 12 anni il ragazzo non deve considerarsi finito. Non diciamo delle parole definitive perché il ragazzo pensa di essere ciò che noi diciamo che sia. Bisogna giocare tanto sulla parola, anche sull’esempio, lo vedremo, ma tanto sulla parola. I ragazzi sono sensibilissimi.
Parliamo senza giudicare. Io ho sentito una mamma una volta che diceva al suo ragazzo di 14 anni: "Con il carattere che hai nessuno ti sposerà mai!". Non si possono dire queste cose perché lo hai giudicato. Il ragazzo non si conosce, quindi è bene non giudicarlo. Dire subito: "Non hai voglia di studiare". Forse non sempre è giusto. E’ giusto ed è sbagliato. Ieri, nel viaggio in treno da Fossano a Torino ho incontrato un papà che mi conosce bene perché gli ho fatto scuola. Era tutto preoccupato per il figlio. Lui diceva: "Non ha voglia di studiare". Conoscendo abbastanza bene la famiglia, il papà in modo particolare, la mamma bravissima, una donna finissima, ma il papà un po’ petulante, uno che pretende un po’ troppo, che ha investito tutto sul figlio, (non bisogna investire tutto sul figlio, i figli sono importanti , ma siete importanti anche voi). Lui vorrebbe che il figlio studi, studi e vada avanti. Forse no è tagliato per studiare. Mica tutti devono studiare. Io conosco papà e mamma che hanno voluto che i figli diventassero universitari e ne hanno fatto dei disgraziati, degli spostati. Glielo ho detto con bei modi, ma d'altronde mi aveva chiesto un consiglio, non potevo tradirlo, lui è stato contento, si è sollevato un po’. Gli ho detto che nella vita c’è posto per tutti , mica solo per gli studiosi, anzi ce ne sono già troppi che studiano.
Non ha voglia di studiare. Potrà anche essere vero. Però può anche darsi che lui ce la metta già tutta, perché a quell’età non sempre hanno la forza. Loro credono di mettere già il meglio di se stessi, e quando si dice "non hai voglia" loro dicono "non apprezzi lo sforzo che faccio che per me è già il massimo". Non è sempre così però bisogna anche capirli, perché a quell’età hanno poca energia fisica, hanno sempre sonno. Un bambino di otto anni ha voglia di correre di giocare, non si ferma mai. A 13 anni non hanno voglia di fare passeggiate, preferiscono sdraiarsi sul letto, riposare. Non hanno forza, crescono fisicamente, in modo tumultuoso e questa crescita consuma energie. Quindi possiamo meglio dire: "Magari sei un po’ stanco" non dire "non hai voglia" "Ti costa tanto sacrificio studiare, ti capisco: cerca di mettercela tutta". Così non lo ho francobollato.
Parlare senza predicare. Se c’è una cosa che ai ragazzi non piace è la predica. Non fatele mai. Le prediche non servono a niente. Diventiamo soltanto antipatici. Le mamme - disco sono le più sgradite ai figli. I papà - ritornello, sono una cosa insostenibile. Eppure ci sono dei papà che tutte le sere riscaldano i peccati al figlio. Lasciate stare! I ragazzi hanno già capito dopo la prima volta perciò è inutile. Se si continua sono da un lato contenti perchè dicono: "Almeno pensi a me", altre volte invece sono scocciati: "Ma piantala!" "Mia mamma è solo capace di fare prediche". Lo dicono quasi tutti, specialmente le ragazze.

Come fare a trasmettere i valori? Per togliere quelle confusioni che i ragazzi hanno?

Metodo indiretto:
Non è il metodo frontale. E’ il metodo indiretto, che arriva indirettamente, che non disturba il ragazzo, non fai prediche eppure gli fai giungere il messaggio.
Esempio: Siamo a cena. Il momento della cena è molto importante. In una cena puoi educare, non dico istruire ma educare, molto dipiù che in un trimestre di scuola. Anche per un bambino di 4-5 anni va già bene questo metodo. Allo stesso tempo anche al ragazzo di 12 o 13 anni. Il papà dice alla mamma "Secondo te le parolacce fanno diventare grandi o fanno diventare solo volgari?" Non dicono al ragazzo fai attenzione che stiamo dicendo una cosa per te. Spontaneamente parlano. La mamma risponde "Secondo me le parolacce fanno solo diventare volgari" Il ragazzo ha sentito. Se vuole apre. Giudichiamo un film, tra papà e mamma, uno spettacolo televisivo "Ma ti pare che chi è più forte debba vincere?" Papà dice "No, questo non è un buon metodo. Perché le formiche vengono schiacciate." "Ti pare che sia giusto sempre criticare?"
Questo è il metodo indiretto, non è predica, non è violenza, è proposta. Col tempo può crearsi una convinzione, se non altro il ragazzo dice "Papà e mamma la pensano così"
Parliamo prendendolo sul serio. Alcuni dicono: "Lo prendo per le buone: niente. Lo prendo con le cattive, peggio ancora". Dovete sapere che c’è una terza via: prenderlo sul serio. Ecco una poesia di una ragazzina che spiega cosa vuol dire prendere sul serio un ragazzo. Vuol dire coinvolgerlo. Anche nelle cose più semplici. Possono essere anche cose più grosse. Per esempio se volgiamo cambiare automobile, non decide solo il papà o la mamma, chiedo anche al figlio: "Tu cosa ne dici?" I ragazzi hanno pure una loro idea. Prendendoli sul serio cominciano a capire che hanno un cervello e che devono imparare ad usarlo. Bisogna chiedere consiglio, farli intervenire, e loro sono molto contenti. La mamma per esempio, che vuol cambiare abito: "Secondo te che abito mi sta bene? Dobbiamo dare la tinta:"Secondo te qual è la migliore?"
Sentite cosa diceva una ragazzina della zona di Fossano:

"Io sono piccola bambina, quando mi dicono: "Lascia stare, non capisci!"
Io sono piccola bambina quando non posso partecipare alle discussioni,
io sono piccola bambina quando mia madre non parla con me.
Forse un giorno quando i "non capisco", quando il non parlare con me saranno spariti,
quando il parlare contro il muro non esisterà più, io mi sentirò finalmente grande".
Mi sentirò grande quando mi prenderanno sul serio.

Parliamo credibile. Parliamo dando buon esempio. Ci sono tanti ragazzi bravi oggi in giro. Questi ragazzi arrivano tutti da quelle famiglie dove si è ciò che si vuole trasmettere. Quelle famiglie dove se dici una cosa, pratichi quella cosa. Questo è un metodo che vale sempre perché i ragazzi vedono. Chi lo sa nella vita cosa potrà succedere ad uno dei vostri ragazzi. Spero ogni bene. Ma purtroppo può esserci anche il male, lo sbandamento. Allora come comportarci? Intanto non diciamo che abbiamo fallito educativamente, perché non è vero. Se ce l’avete messa tutta non avete fallito. Forse non emerge il bene, ma c’è.
Continuare con molta umiltà, senza salire in cattedra, ad essere ciò che si vuole trasmettere, continuare a credere nei valori in cui avete creduto. Il ragazzo vedendovi coerenti, può darsi che ritorni, ed effettivamente succede tante volte, che si ripeta la parabola del figliol prodigo. Il metodo della credibilità è importante come il metodo indiretto.
Parliamo non solo orizzontale, ma anche verticale. Parlare orizzontale vuol dire parlare solo del mangiare, del bere e dell’avere. Parlare verticale vuol dire parlare dei valori, di pace, giustizia, etc.
Perché se noi trattiamo i ragazzi un po’ da animali, se li alleviamo solo, li rendiamo insoddisfatti. Quali sono i ragazzi insoddisfatti? Appunto quelli che hanno sentito parlare sempre e solamente del mangiare e del bere, del vestire. L’uomo non può vivere come una bestia, ha bisogno di valori: di pace , di giustizia, di fratellanza. Diciamo pure: "Questo è giusto" "Questo è ingiusto". "Questo è bello". "Questo è male".
Sarà bene non dimenticare il piacere del libro. I ragazzi leggono poco, è vero, ma leggono sempre meno se noi non proponiamo un buon libro. Concretamente, fai un regalo per la Cresima? Faglielo pure, bello anche ma assieme ai jeans mettigli un libro, abbonalo ad una rivista. Può darsi che il ragazzo scelga di leggere un momentino. E questo lo invita a crescere. Ci sono delle riviste molto belle, per i ragazzi, libri anche molto utili, libri che trasmettono valori, che parlano verticale.
Parliamo affidando il ragazzo a Dio. Specialmente a questa età il ragazzo è un mistero. Chi è che capisce i misteri? Dio. Perciò affidiamolo a Dio. Nel Vangelo ci sono due fatti che riguardano gli adolescenti: quello di Gesù che scappa, e quello di una bambina di 12 anni, la figlia di un capo della sinagoga, la figlia di Giairo. Questo tale aveva questa bambina gravemente ammalata. Va a chiamare Gesù perché venga a guarirla. Gesù dice: "Bene, vengo". Però va con calma, ci mette tutta la giornata, perché nel frattempo ha avuto tanta gente da incontrare. Ha fatto nel frattempo anche un miracolo. Guarita la donna che perdeva sangue riprende a camminare. Vengono intanto dalla casa del capo della sinagoga, a dirgli: "Non scomodare Gesù, perché ormai la bambina è morta, è inutile che egli venga." Gesù dice: "Io vado lo stesso" E’ andato a casa di questa bambina, vede subito che era morta, la prende per mano e le dice: "Talita cumi. Alzati!" e la bambina si alza rinata. Gesù è intervenuto grazie all’intervento del papà che ha pregato Gesù. E Gesù ha detto a questa bambina:"Talita cumi" vieni fuori". Detto in parole italiane: "Educati". Educare vuol proprio dire venir fuori, emergi, io ti aiuto ad emergere". Un papà ed una mamma che affidano il loro figlio a Dio lo aiutano ad educarsi. Quindi affidiamolo a Dio, parliamo del ragazzo a Dio.
Parliamo sperando. Cos’è educare? Educare è tante cose. E’ anche saper attendere. Educare è seminare. Questi sono gli anni della semina. Parlate seminando e quindi sperando. L’abbiamo letto all’inizio. Per arrivare alla sapienza fa come chi ara e chi semina. Poi aspetta frutti squisiti. Non aspettiamoci subito un cambiamento, attendiamo, pazientiamo. Educare è proprio pazientare e saper attendere. Entrare nella logica del seme e sappiate che il seme non scompare. La tempesta potrà distruggere gli alberi ma la tempesta non sradica i semi. E quindi ecco il nostro compito: seminare, seminare attraverso la parola, seminare attraverso il buon esempio.

Per la riflessione:
Quali sono le regole del nostro gioco con i figli nella vita?

Accostamento biblico:
Vangelo di Luca Cap. 2 vv. 41 – 52