5° INCONTRO dei GRUPPI FAMIGLIA a Vallà (TV)
13 Febbraio 2000

NUOVE SOLITUDINI E PAURE IN UN’EPOCA DI CAMBIAMENTI DI
LINGUAGGIO, CULTURA, VALORI.
Una "Parola" sicura di speranza per ogni tempo, costume, popolo.

Dott. GianAntonio Dei Tos

Sono convinto che per superare oggi certe problematiche bisogna avere il coraggio di uscire di casa, di abbandonare la routine per mettersi insieme a riflettere. Se c’è la buona volontà di condividere dei frammenti di vita, del proprio tempo, della propria interiorità e cercare di mettere insieme questi pezzetti per comunicarli è un bel segno di speranza. La sola volontà di uscire di casa e di trovarsi insieme a condividere, a far festa, a raccontarsi la propria vita è il segno che questa società è ancora feconda, che non è morta.
Il tema di questa giornata è angosciante e credo che non dobbiamo nasconderci di essere in un momento di difficoltà, di disorientamento, di crisi che coinvolge le nostre famiglie, i nostri figli, le nostre comunità locali, le nostre parrocchie, i nostri giovani in modo particolare. I giovani sono sempre la cartina di tornasole dell’andamento della società. Spesso il loro disagio, la loro fatica di andare a scuola, del loro futuro da costruirsi una famiglia è segno di una fatica più grande che tutti viviamo in questo momento nella nostra società che, in qualche modo, sembra aver perso la bussola, l’orientamento. Un tempo era tutto più facile. Dopo la guerra fino agli anni 60 – 70 la strada di una famiglia cristiana era segnata. Si viveva in parrocchia, si cresceva dentro l’offerta educativa e culturale che la parrocchia dava attraverso il catechismo, i percorsi di formazione. Ci si sposava spesso all’ombra del campanile perché questa era la vita, perché ci si conosceva nell’ambito della propria piccola realtà sociale. Anche le scelte politiche e lavorative erano scontate e facili perché la società coincideva con la realtà della nostra chiesa, parrocchia. Essere cristiani era una normalità, direi che non c’era differenza tra l’essere uomini e l’essere cristiani particolarmente nel nostro Veneto. Oggi è tutto più difficile, oggi la parrocchia fatica ad avere la propria identità perché ci muoviamo, ci spostiamo, i confini non sono più ben definiti, perché i ragazzi vanno a scuola insieme ad altri ragazzi che provengono da altre realtà. Manca un’identità, un’amicizia, una comunità che si raccolga intorno ad una struttura. Tutto è molto più frastagliato, più diluito, più confuso. I percorsi quindi diventano più difficili da attuare, lo stesso matrimonio non è più una realtà scontata. Mentre una volta sposarsi era un valore, oggi è solo una delle possibilità, delle opportunità che un giovane può avere, ma non è detto che debba. Aumentano le persone che vivono sole. Non essendoci più sentieri già segnati su cui camminare la nostra vita ci appare come un vagare nella pianura senza seguire un preciso sentiero; a volte anche in mezzo alla nebbia dove non ci si può orientare guardando l’orizzonte. Per questo siamo un po’ presi dall’ansia nel nostro andare verso orizzonti che non sono sicuri, spesso non siamo neppure in compagnia di altri. Tutti ci rendiamo conto che vivere da cristiani nel luogo di lavoro, nel tempo libero, nella vita quotidiana diventa difficoltoso; è una situazione poco condivisa da chi ci sta intorno. Possiamo dire che i cristiani sono diventati una minoranza e il modo di impostare la vita secondo il vangelo non trova grandi corrispondenze nelle persone che normalmente frequentiamo. L’essere soli in questa ricerca tante volte mette paura. Cerchiamo allora di sondare per quanto siamo capaci le ragioni di questa paura e di questa solitudine che avvertiamo. Da dove nasce il disagio che le coppie vivono?

Il disagio della coppia
Il dramma della separazione e del divorzio ormai è un’esperienza che ci ha toccato da vicino perché ognuno di noi ha parenti o amici che vivono questa situazione. Nella scuola di 20 anni fa i figli di separati erano casi rari, oggi ogni classe ha un congruo numero di bambini o ragazzi con un solo genitore, o con nuovi genitori. Chi lavora con i fidanzati come me ha una stretta al cuore quando pensa alla realtà statistica che ogni 10 coppi almeno 3 andranno incontro a crisi nei primi 5 anni di matrimonio, e di questi più della metà si separeranno.
Non c’è una crisi solo della coppia in quanto tale, c’è anche una crisi dei genitori. Ossia del ruolo di padre e di madre che non è più così chiaro e facile. Non è così facile costruire un rapporto con i figli tanto che si parla della nostra società come di una società senza padri, senza l’autorevolezza genitoriale, per cui i ruoli in famiglia si confondono e non è raro che siano a volte i figli a gestire il ruolo dei genitori. C’è ormai tutta una letteratura che descrive il disagio dei giovani senza figure parentali significative. Si tratta di genitori poco autorevoli, solidi, stabili, forti che siano capaci di essere autentici punti di riferimento per i figli. Questo accade perché la famiglia non ha più direttive chiare, non ci sono regole definite, ci si organizza a caso ognuno come può, un po’ come la famiglia nordamericana. I ragazzi nella famiglia americana dopo i 14 anni non vivono più o quasi mai in famiglia (come intendiamo noi). La nostra famiglia ha ancora delle regole di entrata e di uscita, ha una vita interna, ha una struttura anche nelle piccole cose. Il mangiare assieme è importante, come è importante che mamma e papà si siedano insieme a pranzo o almeno a cena perché rappresentano momenti fissi nella giornata di incontro. I ragazzi sanno che, tornati a casa, trovano queste coordinate del pranzo e della cena, sanno che si sta insieme e si parla, ci si racconta fatti, sentimenti, emozioni, delusioni. Negli U.S.A. questo momento di dialogo non esiste: chi arriva si prende il piatto precotto, se lo scalda, se lo mangia per conto proprio. Però ormai ci sono anche da noi famiglie che sono a questo livello in cui si sgretola la vita interna di famiglia, si vive insieme ma separati perché in casa ognuno fa la propria strada. Non c’è nulla di peggio per un bambino quando non ha questo schema quotidiano della vita in cui, certamente, i genitori si sobbarcano il servizio di preparare pranzo e cena, di pulire le camere e di riordinare. Ci sono genitori che non svolgono più questo ruolo perché lavorano molto e fuori casa (donne comprese). Uno stipendio solo, si dice, non basta. I nostri genitori ce la facevano, ma la vita era più frugale; i figli stessi avevano meno pretese. Eppure quei genitori nostri sono riusciti a farci studiare talvolta fino alla laurea con uno stipendio solo. Per noi è più difficile perché sono aumentate le esigenze: una volta c’era una sola vettura in casa, oggi ce ne sono 2 o 3 appena il figlio ha la patente. È aumentato il tenore di vita e per tenere botta a questo tenore di vita occorre denaro. Più denaro più tempo dedicato al lavoro che viene sottratto alla dimensione educativa nella speranza (vana speranza) che la società si accolli quei compiti che spettavano ai genitori. Ecco apparire i doposcuola, il tempo pieno, l’asilo nido. I genitori appaltano il ruolo formativo ed educativo. Tutte queste forme per quanto interessanti non sono mai come i genitori e se da una parte la nostra struttura sociale diventa più ricca, più forte, più gratificante, può permettersi maggiori consumi, dall’altra la famiglia impoverisce e diventa sempre più fragile. Anche i ragazzi diventano sempre più fragili, più deboli e maturano sempre più tardi. Eccoli rimanere in casa fino a 30 – 35 anni, mentre una volta ci si sposava e si usciva di casa a 18 – 20 anni.

Il calo della natalità
Un altro fenomeno strano che coinvolge le nostre famiglie: il fatto che le famiglie sono sempre meno disponibili ad accogliere figli, la coppia sempre più coppia e meno famiglia. Perché? Un po’ per il calo fisiologico della natalità, un po’ perché non vogliamo avere figli. Entro il 2050 passeremo da una popolazione di bianchi italiani da 60 a 40 milioni. Ci ridurremo di un terzo. Il Veneto in particolare è investito da questa crisi. Per mantenere il ricambio tra nascite e morti occorre arrivare ad una natalità di 2,1 figli per ogni donna, mentre il tasso di natalità dei veneti è di 1,4. Di fatto abbiamo una popolazione che invecchia e non è sostituita dalle nuove generazioni. Il rischio investe anche il cristianesimo perché il tasso di natalità dei cristiani è basso al contrario della popolazione mussulmana il cui tasso di natalità è alto. I cristiani di Francia hanno un tasso di natalità più basso del Veneto per cui si calcola che, se la tendenza non si inverte, nel 2050 la Francia sarà un paese arabo. Chiudere le barriere di confine non serve a nulla perché saremo noi stessi che consegneremo le nostre città agli stranieri. Il segno di una società in profonda crisi di identità è una società che non ha futuro perché mancano generazioni. Questi esempi testimoniano la povertà della nostra visione delle cose di fronte al mondo che si sta trasformando in modo sconvolgente perché il progresso che sta coinvolgendo la nostra società è di una tale velocità che non facciamo neanche a tempo ad accorgercene, e siamo già passati oltre. Internet ed i media stanno cambiando velocemente il volto della nostra società nel mondo del lavoro, nelle cose che faremo, nei nostri comportamenti. Ci sono operai che fanno le loro manifestazioni di protesta via internet: 25.000 persone che fanno una manifestazione collegate rimanendo in casa (non più in piazza). L’evoluzione è così rapida che non facciamo in tempo a rendercene conto. Altro problema: non riusciamo a farli questi figli! Nella commissione di bioetica dell’Assessorato della Sanità della Regione Veneto si sta affrontando in questi giorni il problema della procreazione medico assistita Si tratta di tutte quelle tecniche messe in atto per avere figli (per chi non riesce ad averli). Circa il 20% delle coppie non riesce ad avere figli e cerca queste metodiche dal costo economico ed umano elevato. Dal punto di vista economico e un bisness da circa 10 miliardi all’anno per la Sanità Veneta. Dunque le coppie che non riescono ad avere figli ci costano circa 10 miliardi all’anno. È ovvio che i soldi spesi in questo settore vanno sottratti ad altre cose magari più urgenti e significative. Perché i figli non arrivano? In gran parte per una causa molto banale: le donne decidono di avere il figlio molto tardi nella vita. E siccome la curva di fertilità nella donna è proporzionale all’età, sarà molto alta a 20 anni, molto meno a 30 anni, scompare quasi a 40 anni. Chi chiede la fecondazione in vitro sono donne per la massima parte che hanno superato i 35 anni. Le nostre donne non colgono più la priorità del valore della maternità. Ci sono delle ragioni in tutto questo: prima lo studio e la professione, poi la carriera, il posto sociale, il benessere economico,…alla fine il figlio, e magari non si riesce più a farlo. Dobbiamo invece aiutare le nuove generazioni a capire che la paternità e la maternità sono valori prioritari nella vita di una coppia, se non si vuole andare verso la solitudine.

Anzianità ed infermità
La famiglia soffre del suo disagio, della crisi genitoriale, della procreazione, … ma anche del fatto che la popolazione anziana sta aumentando a dismisura. A metà di questo secolo le persone che avranno più di 65 anni raddoppieranno. Già ora l’anziano non sappiamo dove metterlo, come gestirlo! Nel 2050 avremo problemi doppi di quelli attuali. Le case di riposo non bastano e poi la casa di riposo è il posto più giusto? Fino a questo momento non ci sono proposte migliori su cui lavorare in Regione. L’età dell’anziano è l’età della malattia, dell’infermità fisica e mentale. Oggi, con le condizioni di vita migliorate, sono pochi i giovani che si ammalano, pochissimi i bambini, ma moltissimi gli anziani perché l’invecchiamento porta con se il rischio di malattie. Più anziani e più malati con costi enormi! Chi gestirà queste situazioni, chi le affronterà in un sistema sanitario che mira alla contrazione delle risorse, al taglio delle spese? In ospedale non si va più a morire, è difficile essere ricoverati in fin di vita perché non ci sono soldi! Ci sarà sempre più il ricorso alla medicina privata, non è in questione solo il tichet. In questa enormità di problemi che stanno avanzando la famiglia sarà ancora il perno di tutto: diversamente su chi ricadrà la gestione dell’anziano se non sulla famiglia che ce l’ha in casa? Ma in quale casa? Le nostre non sono più fatte per ospitare anziani. Sono case piccolissime perché costano molto e sono fatte al massimo per ospitare la coppia ed un figlio: per l’anziano il posto non c’è. Queste cose le dovremmo chiedere ai nostri amministratori e ai nostri politici. Non ho mai sentito un sindaco che dica ai costruttori di alloggi: - Vi lascio costruire però dovete fare in modo che le case abbiano uno spazio per ospitare l’anziano! Allora viene il dubbio che chi comanda non lo fa per la collettività ma per sfruttare al massimo tutte le risorse e pescare nell’affare. Costantemente nella Sanità vediamo che le riforme hanno sempre sotto sotto l’odore di poco chiaro e questo serve a qualche gruppo di potere. E sistematicamente viene sempre penalizzato il povero che trova sempre più difficoltà ad avere assistenza.

Multicolturalità: le grandi immigrazioni
Denatalità e sterilità ci riduce di numero, le immigrazioni stanno coinvolgendo Nord e Sud del mondo. È un fatto fisiologico perché ci sono sempre state fin dai tempi di Sem, Cam, Jafet perché i nostri patriarchi biblici erano degli erranti, dei migranti. Abramo era un arameo errante. In questa visione è impensabile arginare entrate e uscite. Da che mondo è mondo la gente si sposta da zone più povere a zone più ricche perché tutti cercano di migliorare. Nel secolo scorso è stata la volta nostra verso l’America e l’Australia. (I miei nonni entrambi emigrarono clandestinamente in Francia: non avevano documenti). Alcuni sono tornati altri invece sono rimasti in quei paesi. Anche noi abbiamo trovato gente che ci ha dato un boccone da mangiare pur sapendo che eravamo clandestini. E non sempre gli italiani hanno portato benessere, hanno portato anche la mafia in America. Siamo sempre stati gran lavoratori, ma qualcuno anche gran delinquente! Se non cerchiamo di ricordare queste cose rischiamo di essere strabici. La multiculturalità è un fatto con cui dobbiamo confrontarci; le nostre famiglie devono rendersi conto che nel futuro la nostra vita dipenderà dal nostro modo di tolleranza e di convivenza. Il futuro sarà che ognuno (arabi, cristiani, indù,…) possa pregare il suo dio sapendo che in fondo il Padre Eterno è uno solo, siamo noi che lo rendiamo diverso. È una sfida vivere con gente che non ha lo stesso colore della pelle, la nostra cucina, i nostri vestiti, i nostri usi e gusti. Con questa gente si deve trovare un’intesa rispettosa, serena, reciproca. Questo non vuol dire rinunciare alle nostre tradizioni né tanto meno alla nostra fede. Vedere insieme quelle cose che ci uniscono e che possiamo condividere, rispettarci invece in quello che ci divide, sapendo che comunque non è facile perché se noi facciamo fatica ad accettare l’altro, c’è almeno altrettanta fatica dall’altra parte accettare la nostra realtà. Ma il futuro non può essere una guerra continua tra noi. La sfida è accettare questa transculturalità di cui ognuno, pur vivendo nella propria tradizione, si rende disponibile a capire le ragioni dell’altro. Altrimenti saremo sconfitti perché di fatto nella sfida tra noi e i popoli poveri che vengono dal Sud o dall’Est verso di noi, la vittoria finale sarà dei popoli poveri. La storia lo attesta sempre. L’Impero Romano è caduto sotto i colpi dei Barbari (noi siamo i nuovi Romani). Se vogliamo la lotta forse vinceremo qualche battaglia a medio termine ma alla lunga vinceranno loro perché hanno fame e chi ha fame è più forte di chi ha la pancia piena. Chiudere e lottare non è perciò una pista da seguire se non vogliamo soccombere. Se non abbiamo altri valori interiori facciamolo almeno per furbizia. La forza di questi popoli poveri è la stessa che avevamo noi che abbiamo trasformato l’America nel paese più ricco del mondo.

Di fronte a queste solitudini e paure quali sono le parole sicure che possono aiutarci ad uscire da questa crisi, a trovare un orientamento?
Visti i problemi, i drammi, le incongruenze, le incoerenze che abbiamo noi cristiani del 2000 di fronte a questa crisi che ci investe come possiamo rispondere, quale strada percorrere per uscire da queste logiche?
Alcuni flash soltanto su cui poter lavorare.

La famiglia
Credere nella famiglia, credere che il modello che abbiamo costruito, che abbiamo cercato e che nasce dalla tradizione è un modello da difendere, da sostenere, da rinforzare. Non ci sono alternative alla famiglia. Nonostante che il mondo occidentale tenda a distruggere la famiglia a disgregarla, di fatto l’unico nucleo di solidarietà rimane sempre la famiglia. La famiglia resta la struttura di cemento e ferro che tiene in piedi l’edificio società. Se si toglie questa struttura l’edificio crolla su se stesso. L’unica strada è dunque rinforzare la realtà familiare, educare i giovani al valore della famiglia e a non farsi raggirare dai miti che la società propone: single, chi si gode la libera vita, … Inizialmente questa situazione può essere vincente perché sei forte, sano, bello ma poi la solitudine porterà a non saper più dove sbattere la testa. Se si rompe la trama di solidarietà che è costruita dalle famiglie sarà un futuro di solitudine e di angoscia. È importante che i giovani lo capiscano, che capiscano che devono formarsi una famiglia, viverla questa famiglia, avere dei figli in questa famiglia perché è l’unico modo per continuare a sperare. Se non avremo figli morirà la speranza del futuro. Così dobbiamo anche abituarci a vivere la solidarietà sempre di più.

L'accoglienza
Creare una
cultura dell’accoglienza verso altre famiglie, specie quelle in difficoltà. È salvare tante situazioni di crisi quando si trova qualcuno con cui dialogare, con cui scambiarsi i propri problemi, angosce, e con cui condividere il peso della fatica, del dolore, della solitudine, della malattia. Siamo troppo soli, le nostre famiglie sono lasciate a se stesse, si sta perdendo la rete di solidarietà ed amicizia che deve legarci e unirci. Ci salveremo insieme, non da soli. Come il destino dei cristiani che si salvano in quanto comunità, in quanto Chiesa.

La condivisione
Serve condivisione verso l’orfano, la vedova, lo straniero, verso chi è più debole
. Senza solidarietà non possiamo pensare al futuro: l’isolamento non è una premessa per la speranza e solo la speranza può renderci accoglienti anche quando è difficile esserlo. Il cristiano ha sempre dato questa testimonianza di accoglienza perché lo richiede la sua fede. Conosciamo la storia del Lupo di Gubbio di S. Francesco: il lupo devastatore è un’immagine simbolica di ciò che è violento e cattivo che distrugge e nessuno riusciva a fermare questo lupo. S. Francesco con polenta e carne diede da mangiare al lupo e da quel momento diventò buono. C’è anche la storia della bambina che voleva la storia del lupo cattivo ed il papà la corresse dicendo che non esistono lupi cattivi ma solo lupi che hanno fame, lupi infelici. Ecco perché bisognerebbe riportare la vita nei nostri oratori, nelle parrocchie, nelle comunità con gruppi, vivendo insieme, scambiandoci servizi ed esperienze. Sono piccole cose ma di valore enorme perché costruiscono modelli per il futuro che fanno gustare la vita insieme, la gioia di stare insieme e di pensare insieme, di pregare insieme. Momenti per vivere e capire la fedeltà al progetto di vita insieme che ognuno di noi ha ed ha abbracciato quando si è sposato in Chiesa. Ecco che cosa è la fedeltà: un progetto pensato insieme quando eravamo fidanzati e che abbiamo costruito giorno dopo giorno insieme.

La Parola
Alla fine l’unica parola sicura per noi cristiani è la Parola della nostra fede. "Signore, da chi andremo?". Alla fine dopo tutte le difficoltà, il disagio che abbiamo vissuto, dopo i tradimenti che abbiamo prodotto, dopo le infedeltà che abbiamo conosciuto, dopo la fatica o la rovina che abbiamo sperimentato nella nostra vita che cosa ci resterà? Come gli Apostoli non ci resta altro che dire: "Signore, da chi andremo?" .Il Signore ci chiederà se saremo stati fedeli: "Quando tornerò troverò ancora la fede sulla terra? Questo vivere la vita, per quanto lavoriamo, per quanto facciamo, per quanto ci impegniamo… siamo servi inutili perché è il Signore che fa. Di lui dobbiamo fidarci, di questa libertà nei confronti del mondo, delle cose che accadono, delle persone che ci capitano, del lavoro, delle cose, di quanto possediamo. Mantenerci liberi perché l’unica cosa che ci deve restare alla fine è la fede. Fede vuol dire fiducia, capacità di guardare con ottimismo sapendo che è il Signore che conduce la storia anche se noi non capiamo e vediamo.

Per la riflessione:
Nel pessimismo attuale, spesso frutto della nostra sufficienza e benessere, quali segni di speranza siamo capaci di produrre come singoli e come famiglie cristiane?
 
Brani biblici:

Mt. 8, 23 – 34. (La tempesta)
Mt. 10, 26 – 31. ( Non aver paura del potere di questo mondo)