1° incontro dei GRUPPI FAMIGLIA nel Vicariato di C. di Godego a Colfalcon (BL)
GIORNATA DI APERTURA 30 Settembre 2001

FAMIGLIA A CONFRONTO CON ALTRE FORME DI CONVIVENZA

Relatori: Monica e Giuseppe Goisis
La Costituzione
Possiamo partire da quello che dice la Costituzione Italiana a riguardo della famiglia, poi diremo come in realtà è inteso, nel clima così diverso in questi ultimi anni questo stesso dettato della Costituzione. Dietro alle espressioni così secche e un po’ retoriche della Costituzione non viene percepita con chiarezza una discussione e un’elaborazione che non è lineare come sembrerebbe.
Il dettato è in realtà abbastanza preciso e suona così: "La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio…" (Art. 29). La seconda parte dello stesso articolo: "Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia della stabilità familiare". Già questa seconda parte è meno chiara.

L'articolo 29
Comunque il punto che a noi interessa per il tema proposto è la prima parte dell’art. 29, ossia: riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
Rivedendo i lavori ampi e complessi che hanno portato a questo tipo di formulazione non c’è dubbio che i costituenti avessero in mente un preciso contenuto normativo. Non era dunque una frase "alla buona" ma intendevano qualche cosa di preciso, cioè che la legislazione ordinaria (il futuro legislatore) dovesse poi far riferimento a questa affermazione.
Quindi doveva avere un valore importante e non essere lasciata cadere così quasi incidentalmente. Per esempio si legge nel lavoro delle commissioni questo: "Il nostro progetto consta di due elementi fondamentali, uno di carattere normativo assoluto e l’altro direttivo al legislatore perché vi si conformi e vi si adegui".
Consideravano impegnativo quello che loro andavano a considerare per il legislatore in futuro, ossia non guardando al passato ma con la volontà manifesta di condizionare le leggi in futuro.
In realtà la questione non è molto limpida perché c’è di mezzo un problema, il fatto che solo l’art. 34 del Concordato è stato recepito perché tutto il blocco dell’art. 29 è rientrato nell’art. 7 della Costituzione.
Come interpretare questo inserimento? Se questo articolo fosse stato accolto in modo integrale sarebbe successo che tutto il discorso sul matrimonio si sarebbe ispirato al Diritto Canonico, cosa che in realtà molti costituenti volevano evitare. Quindi si crea una situazione complessa che si riflette nelle discussioni sull’indissolubilità.
Alcuni costituenti volevano precisare che, trattandosi di una comunità naturale, il matrimonio aveva un carattere indissolubile. Altri però obiettavano che per il momento il divorzio non era all’ordine del giorno, ma solo per quel momento storico. Questo è stato detto da tutti anche se nella realtà della commissione costituente non si manifestarono voci chiaramente favorevoli al divorzio. Vennero però sottolineati alcuni casi ed eccezioni del tipo: i condannati all’ergastolo o i reduci delle guerre che ritornavano dopo lungo tempo e trovavano il focolare domestico vuoto.
Perciò non si volle legare le mani ai legislatori futuri e così la questione venne lasciata imprecisata, anche se qualcuno (Tupini e altri) chiedevano un chiaro riferimento alla indissolubilità.

Famiglia società naturale
Più interessante è la discussione sulle parole: società naturale.
Che significa società naturale? Che cosa volevano dire i costituenti con questa affermazione? Molti, già nei lavori di preparazione, obiettarono sull’espressione società e volevano usare il termine comunità, in quanto la società è qualcosa di creato su una base negoziale e contrattuale, mentre la famiglia, pur avendo anche questo aspetto pubblico, nasce soprattutto da un incontro di affetti ed in una dinamica spontanea. Pur mantenendo la dicitura società si chiarisce che lo si intende sinonimo di comunità.
Che cosa si intendeva poi per naturale? Sono state fatte al proposito una quantità di precisazioni. Tra le commissioni e sottocommissioni c’erano persone come Dossetti, Mortati, La Pira, Nilde Iotti, Togliatti,…, ossia la più ampia rappresentanza ideologica. Si potrebbe dire che erano presenti tutte le varie culture e ideologie.
Naturale voleva dire essenzialmente questo: affermare l’originalità dei diritti della famiglia. Era questa la preoccupazione, di affermare che lo Stato non era lui il creatore dei diritti della famiglia. Anzi lo Stato trovava un limite nella famiglia che non poteva invadere o prevaricare. Il compito dello Stato era quello di salvaguardare, garantire, tutelare l’ambito familiare. Sono espressioni che via via vengono usate e che stanno a dire un riconoscimento dei diritti piuttosto che una creazione di diritti.
Questo punto di vista era abbastanza nuovo perché nella tradizione giuridica spesso si sottolineava come lo Stato fosse la sorgente dei diritti soprattutto da un certo periodo in poi, ossia nel periodo della modernità.
Invece in quei lavori veniva accettato che certi diritti della famiglia erano antecedenti allo Stato.
Dopo la seconda guerra mondiale Santi Romano va affermando l’esistenza di un diritto naturale che si riferisce alle persone, ma che si riferisce anche alla famiglia, che lo Stato deve semplicemente riconoscere e tutelare ma del quale diritto lo Stato non ne è l’autore.
Perché è così importante questa affermazione? Perché la vicenda del totalitarismo precedente aveva caricato lo Stato di troppe prerogative abbassando la vita delle persone e delle comunità spontanee, come la famiglia.
Lo Stato, dovendo prendere questo atteggiamento di garanzia, riconosce la famiglia appunto come società naturale. La definizione è astratta però è una presa di posizione molto precisa.
Non basta affermare i diritti di una persona umana, occorre anche affermare i diritti della comunità familiare ponendo in evidenza la preesistenza di un diritto originario ed imprescrittibile. Lo Stato non crea questo diritto preesistente ma lo riconosce e lo difende.
Potremmo sintetizzare così: qualcosa di importante e qualcosa di decisivo precede lo Stato e questo qualcosa è la dimensione personale e familiare. Affermare la comunità naturale significa originarietà, vuol dire che la famiglia possiede determinati diritti, un proprio status e lo Stato ha il compito della protezione giuridica di questi diritti.
Costantino Mortati, il massimo giurista che partecipa ai lavori, si esprime con questa espressione: "Società naturale, si vuol assegnare all’istituto familiare una sua autonomia originaria destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione"...

Qui è chiaro l’importanza che veniva assegnata alla famiglia.

Il problema attuale
Ora, a distanza di tempo, il clima è molto mutato e si parla da varie parti di ripensare la Costituzione e di riscriverla. C’è una richiesta di adeguamento rispetto ad un mondo, ad una società che è così mutata. Esistono due orientamenti:
- Il primo è di rivedere solo la seconda parte della Costituzione, cioè di ripensare ai momenti più politici, applicativi.
- Il secondo vuole andare a toccare questo nucleo di fondo che potremmo dire "nocciolo valoriale", cioè i valori fondamentali che formano l’asse della Costituzione. Questo perché si dice che la stessa famiglia ha avuto un’evoluzione profonda.
Eugenio Scalfari, giornalista, un "opinion leader", ragiona così: "La seconda parte dell’art. 29 introduce anche il principio, interpretato in maniera astrusa, di limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare. Si potrebbe interpretare così: due che oggi si vogliono sposare vanno davanti ad una persona in fascia tricolore (sindaco, amministratore) o in tonaca e paramenti (un prete) e recepiscono da lui le leggi che la comunità ha stabilito per tutti e quindi anche per loro. L’obiettivo invece dovrebbe essere quello di stabilire delle regole esclusive all’interno di ogni rapporto e chiamare poi la comunità a garantirle tutelando, in caso di rottura del rapporto, la parte più debole. Quello che conta è il rapporto, cioè due soggettività che liberamente si eleggono. L’aspetto della tutela si indirizza semplicemente a difendere l’eventuale partner debole ma il tutto dovrebbe essere lasciato in una dinamica di libertà assoluta. Fatto salvo, dal dettato costituzionale alla bella cerimonia, eppure purtroppo il brutto vizio introdotto da questa società del benessere di chiedere elemosine per incominciare e continuare una vita assieme, maschio e femmina, maschio e maschio, femmina e femmina che sia."
È molto significativa questa conclusione perché delinea quella che è un po’ l’idea corrente e diffusa di una famiglia assolutamente pluralistica dove non si entra nel giudizio di quale è l’assetto, la genesi, il come si forma questo tipo di rapporto o di relazione.
Famiglia sarebbe sia maschio e femmina, sia maschio e maschio,…, praticamente una relazione, quale che sia, senza indicare poi i tempi della durata, il carattere effimero, tutto ciò meriterebbe il nome di famiglia. E poi andare a chiedere una particolare protezione a un tipo o ad un altro viene sentito come una specie di sopruso come dover andare a chiedere l’elemosina con il cappello in mano, mentre invece queste diverse relazioni dovrebbero essere il più possibile autosufficienti.
La cosa curiosa è che questa idea della garanzia e della tutela viene attribuita alla società del benessere mentre come abbiamo letto era un’idea assolutamente propria dei costituenti in una fase complementare diversa da quella della società dei consumi e del benessere attuale. Però è significativo che venga politicamente criticata questa posizione.

L'evoluzione della famiglia nella storia
Allora diciamo qualcosa dal punto di vista delle trasformazioni su questa benedetta famiglia legale contrapposta alla famiglia di fatto.
Vediamo come Giorgio Campanini, che ha studiato da molti anni in una prospettiva di pensiero personalista, presenta questa evoluzione e questa nuova forma di relazione.
Secondo Campanini il matrimonio nel passato era una cosa privata, riguardava i due coniugi, poi piano piano, anche per merito del matrimonio cristiano avviene il riconoscimento pubblico.
Questo riconoscimento viene sottolineato anche dal rito matrimoniale e come conseguenza ne deriva anche il riconoscimento dei figli da parte non solo della coppia ma anche della comunità, facenti parte di un determinato nucleo familiare.
Poi attraverso le varie vicende di pensiero, illuminismo, marxismo,…fino al sessantottismo, si ritorna a vedere il matrimonio e la famiglia come un fatto privato. Non parliamo del privatismo borghese nella sua accezione deteriore!
In questo processo quel che è peggio è che oggi si vuole dare un riconoscimento pubblico ad una realtà per la quale, in tutti gli anni precedenti, si è lottato per renderla autonoma, sciolta da ogni aspetto legale. Ora si vuole dare a questa autonomia un riconoscimento giuridico.
È una chiara contraddizione perché prima si voleva che niente fosse famiglia, al contrario ora si vuole che tutto sia famiglia. Qualsiasi forma di convivenza sarebbe famiglia e dovrebbe avere tutti quei diritti che si hanno automaticamente nel matrimonio.
Campanini mette in evidenza anche gli aspetti positivi di questo desiderio di riconoscimento sociale, tuttavia nel quadro estremamente sintetizzato (vedi: Campanini G., Amore, famiglia, matrimonio, Marietti, p. 6–22) non possiamo confermare che nell’antichità non ci fosse il riconoscimento pubblico del matrimonio, soprattutto nella tradizione romanistica del diritto.
Essa mette al centro il valore sociale del matrimonio indipendentemente dalla stessa soggettività dei coniugi che vanno a contrarlo. Il riconoscimento ufficiale nel mondo romano veniva dato solo alla famiglia, essendo la famiglia cellula base della società.
Le altre forme venivano chiamate concubinato. Il Diritto Canonico e la tradizione cristiana poi non hanno fatto altro che riprendere questa tradizione propria dei Romani.

Il rilievo sociale della famiglia
Anche nel momento attuale non riconosciamo troppo spesso l’importanza della famiglia e il suo rilievo sociale, la confondiamo con una posizione di carattere confessionale o legato ad una tradizione religiosa.
Questo non è vero perché la stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’ONU dedica un importante articolo 16 alla famiglia ed alla sua funzione in tutto il mondo. E qui si prescinde dall’essere bianchi o gialli, buddisti e cristiani, questo vale per tutti in generale.
Si legge nell’art. 16 comma 3: "La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società ed ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato".
Qui il riferimento è molto chiaro. Interessante anche un altro testo, La carta dei diritti della famiglia. Il punto 3 del preambolo definisce la famiglia in questo modo: "comunità di amore e solidarietà" dove però l’essere comunità d’amore indica una continuità nel tempo. Quindi non si tratta di un rapporto effimero temporaneo, ma di un rapporto che si snoda nel tempo. Quindi il riconoscimento pubblico della fedeltà dal punto di vista affettivo diventa qualificazione e requisito di carattere fondamentale.
Aspetti positivi e caratteristiche proprie della famiglia, che sono gli aspetti che più ci interessano, potranno venire in luce nelle riflessioni ed osservazioni da parte di tutti.

Le unioni di fatto sono autentica istituzione?
Vorrei ritornare sul problema e porre la questione: esiste un diritto, nel senso giuridico del termine, una specie di garanzia giuridica che può essere data alle convivenze? Se si, in che senso?
È questa l’obiezione fondamentale che oggi viene mossa fino a procedere ad una specie di purificazione tra le convivenze di fatto e la famiglia di stampo tradizionale. Su questo tradizionale bisognerebbe fare una serie di precisazioni.
La domanda è questa: il matrimonio di fatto è un autentica istituzione? Visto che ciò che il Diritto, come una sorta di ombrello, copre, qualifica non è una relazione di tipo estemporaneo a origine soggettiva ma è il lato istituzionale del problema. Quando il Diritto interviene è su qualcosa di istituzionale che stende la sua protezione, la sua garanzia.
Facciamo l’esempio dell’amicizia. Io sono tra le persone più convinte dell’importanza dell’amicizia, però se mi si chiede se l’amicizia interessa il diritto dovrei dirvi di no perché non ha rilievo giuridico. Quello che non è oggetto dell’attenzione del giurista e del legislatore non è che sia inferiore e non abbia rilevanza nella vita.
Dire che il tema delle convivenze interessa meno dal punto di vista giuridico non è dire che non è importante, ma che non ha quel profilo oggettivo di continuità, di saldezza sociale che fa sì che il Diritto si interessi ad una determinata dimensione.
Il Diritto non invade tutti gli aspetti dell’esistenza ma ne tocca semplicemente alcuni che vengono giudicati rilevanti.
In realtà dal punto di vista della tradizione giuridica le convivenze avevano un altro inquadramento. In fondo che cosa avveniva?
C’è un modo di relazionarsi, a volte anche intenso, dal punto di vista dell’appassionamento sessuale - affettivo, dove però non c’è la stessa volontà che è istitutiva del matrimonio.
Perché l’espressione concubinato era abbastanza accettabile? Perché era la volontà di un uso reciproco, di abbandono reciproco dal punto di vista sessuale senza però trarre da questo rapporto tutte le implicazioni di carattere pubblico, di risoluzione di volontà che conducono poi ad una vera condizione familiare e matrimoniale.
I passaggi sono questi: da quello che i romani chiamavano coniugio alla vera e propria famiglia, che non è semplice coniugio, ma è l’espansione del coniugio alla società per cui c’è un rilievo sociale e di conseguenza un riconoscimento pieno. Si potrebbe dire: dal coniugio® alla famiglia ® alla società. Questi i tre passaggi.

Qual è la volontà che dà luogo alla famiglia?
Direi che si desidera che la coppia che si viene a formare sia esclusiva, tanto è vero che fin dall’epoca romana è vietata la bigamia. Quindi questa scelta è esclusiva, ciò che non può accadere in una relazione sessuale dove ci può essere l’intenzione di incrociare questa esperienza con altre. In secondo luogo la presunzione che i figli nati da questo rapporto siano figli di un padre e di una madre, di quel padre e di quella madre in modo ben determinato, ossia le capacità educative e di orientamento sulla prole.
Può non esserci la fecondità dal punto di vista biologico, ma c’è comunque nell’ambito del matrimonio un’apertura alla fecondità, volontà che può mancare in altre realtà.
C’è anche la condivisione dei beni della famiglia, l’aspetto economico, a volte anche patrimoniale molto preciso.
I coniugi reclamano che la loro unione sia riconosciuta pubblicamente, come si diceva un tempo: davanti a Dio e davanti agli uomini, secondo cioè una prospettiva pubblica. Ora non tutte le relazioni sessuali anche intense hanno questo tipo di volontà. Però è questo tipo di volontà che costituisce la famiglia come tradizionale.
Un altro tipo di orientamento, che va rispettato, è quello di non confondere il discorso della giuridicità della famiglia rispetto alle unioni di fatto come un giudizio di valore di tipo etico, morale. È la volontà che in qualche modo chiarifica questo tipo di rapporto.
Molto spesso nei rapporti più estemporanei che non giungono purtroppo a fare questa scelta non c’è una volontà di questo tipo, non si chiede la copertura. Si chiede invece qualche cosa di minimale come avere accesso ad una serie di provvidenze, di aiuti, di incentivi di carattere economico, senza però l’assunzione di tutte quelle responsabilità più ampie che la famiglia in senso tradizionale comporta.
I due punti che sono caratteristici della volontà che costituisce la famiglia sono: la durata e la socializzazione.
Anche le società occidentali che ammettono il divorzio auspicano che il matrimonio duri nel tempo. L'aspetto della socializzazione non nasconde il rapporto ma lo evidenzia e gli conferisce carattere pubblico.
Ora non è che nelle convivenze non ci sia qualche cosa di simile, ma è un insieme di volersi e non volersi definitivamente, volersi ma essere indecisi ancora se questa volontà è una volontà che si potrà mantenere anche attraverso sacrifici intensi o invece coltiva una riserva mentale, anche profonda, su questa volontà del volersi in modo definitivo. Questo è il limite della questione.

Convivenze sempre più numerose
Non nego che queste convivenze non abbiano un crescente rilievo di fatto, soprattutto perché sono sempre più numerose nella nostra società. Ci si domanda se questo tipo di posizione acquisti un rilievo giuridico pieno, proprio per questa natura legata al tempo, così diversa da quella che comunemente si intende per famiglia. Su questo punto dobbiamo intenderci bene. Bisogna distinguere quelle soluzioni che sono solo preparatorie da altre soluzioni. Ci possono essere situazioni di questo tipo che rispondono solo a delle impossibilità pratiche mentre c’è nell’animo la volontà di un rapporto duraturo. Ci sono convivenze estremamente protratte nel tempo che finiscono col prendere il posto della scelta coniugale e familiare vera e propria e si attestano in un livello diverso e appaiono quasi l’alternativa alla soluzione familiare tradizionale. Non intendiamo due fidanzati che non hanno casa e sono un po’ costretti da circostanze esterne ma non hanno dubbi sulla definitività.
Quando questa condizione che veniva chiamata anticamente more uxorio perché da un punto di vista è un vivere come due sposi, quando invece rappresenta un’alternativa che dura da 20 o 30 anni, allora non è la stessa cosa declinata in un modo diverso. Non è che il matrimonio semplicemente riceva una verniciata, una spolveratina finale e si tramuta e diventa vero e proprio matrimonio. È piuttosto questa forma di convivenza che sembra una articolazione depotenziata, un’alternativa diminuita, indebolita rispetto alla soluzione del matrimonio.
Sono due percorsi abbastanza distinti e diversi. Questo è il punto da comprendere e che va fatto capire da parte delle persone più convinte dei valori, della positività del matrimonio e della famiglia. Occorre un lavoro di sollecitazione, a volte di stimolo perché queste situazioni vengano ad essere in qualche modo risanate, modificate in profondità.

Omosessualità
Diciamo qualche cosa dell’altra forma, quella che fa più rumore, ossia della richiesta da parte di persone del medesimo sesso, due maschi – due femmine, di potersi unire in una unione stabile, unione che esiste già in qualche modo in alcuni casi di fatto, e di poter ricevere anche un riconoscimento di questa unione. Si tratta di unioni paraconiugali anche in questo caso.
Io credo che ci sia un’insidia in tutto questo. Credo che, passati gli anni dell’attacco diretto al matrimonio e alla famiglia, attacco che veniva anche da ambiti culturalmente accorti e molto avveduti, si scelga la strada di una specie di svuotamento del matrimonio, mostrando come vi sia in piena legittimità una preferibilità di queste forme più libere.
Non si sostiene più, come diceva Marcuse, che l’uomo è una specie di "bambino perverso polimorfo", e quindi che la sessualità è qualcosa di selvaggio e che tutte queste canalizzazioni non vanno bene perché soffocanti ed oppressive.
Si sceglie quest’altra via di incoraggiare forme differenti per poi di fatto pervenire allo stesso esito: quello di scoraggiare l'orientamento tradizionale, che resta non solo il migliore ma quello meritevole di un riconoscimento e di una tutela prima sociale e poi giuridica.

Corrente "liberazionista e libertaria"
Per quanto riguarda questa richiesta in realtà vi sono due correnti che cercano di andare verso lo stesso esito pur partendo da orintamenti ben diversi. La prima corrente si potrebbe chiamare: corrente liberazionista.
Essa, che è sostenuta in particolare da Sullivan, autore del libro Virtualmente normali. Egli sostiene prima di tutto che l’omosessualità non è una malattia nel senso comune del termine. Anche l’organizzazione della sanità ha corretto il tiro su questo punto perché alcune affermazioni avevano suscitato un certo risentimento delle comunità omosessuali.
L’idea fondamentale dei liberazionisti è fondamentalmente questa: ogni tipo di regolamentazione in materia sessuale è negativa. Quindi nessun riconoscimento da parte della società e neppure, e qui si mantiene ancora un forte impianto trasgressivo come è nella tradizione delle comunità omosessuali, si chiedono garanzie e aiuti.
La posizione libertaria invece ha un’altra idea: si pensa che la sessualità sia qualcosa che appartiene alla sfera puramente privata.
Il problema è più ampio, non è solo farla accettare socialmente ma di far accettare tutte le forme condannate e non riconosciute della sessualità. Questo è un capovolgimento ed uno stravolgimento di quelle che sono le consuetudini sociali più accreditate. Questa posizione non è molto popolare ma molto nota.
L’altra invece è più accettata perché non fa della liberazione omosessuale un pieno riconoscimento di queste unioni un obiettivo all’interno di un disegno più vasto, ma cerca di realizzare solo questo obiettivo. Questo lo possiamo chiamare movimento liberale in senso lato nel senso che cerca di infrangere tutti quei pregiudizi, quegli ostacoli che si contrappongono alla condizione omosessuale.

Quale riconoscimento e quale attenzione?
Dobbiamo pensare che in passato gli omosessuali hanno subito persecuzioni veramente odiose e che molti pregiudizi circa l’omosessualità sono poco accettabili nella cultura del rispetto verso le persone.
Questa seconda corrente ha un altro obiettivo: di concepire le unioni che si sono consolidate nel tempo come un dato, e quindi, all’interno di un modello pluralistico di famiglia, invocare anche un preciso riconoscimento.
Possiamo chiederci: a che scopo? In fondo la tradizione dell’omosessualità non è di invocare una trasgressione? Qui l’idea è che la coppia omosessuale non deve essere esclusa da quelle previdenze che spettano alle famiglie normali.
Si tratta di un punto che va ben chiarito se l’obiettivo è liberarsi da una taccia, da un’onta, discriminazione, questo può essere condiviso a meno che non ci sia di mezzo violenza o che i rapporti abbiano come oggetto minori, ciò che è addirittura penalmente perseguibile. Ma se rimane un rapporto privato non si dovrebbe ricorrere al discorso penale. Le persone non vanno discriminate per la loro personalità.
Ma qui il discorso è diverso, diventa quello dell’accesso ad una particolare tutela, cioè l’accesso alla piena parificazione alla famiglia legale.
Ci sono alcuni, all’interno di questo progetto liberale, che sostengono che deve essere resa pubblica l’idea di queste coppie omosessuali di fatto e altri che dicono al contrario che occorre abbassare il matrimonio legale sul piano di queste unioni.
In ogni caso l’obiettivo è lo stesso: la piena parificazione. Non a caso molte riviste parlano di politeismo etico. Con questa espressione si intende che non esistono solo alcuni valori, alcune norme ma una quantità di punti di riferimento (chiamiamoli valori!?) da porsi tutti sullo stesso piano. Si tratta solo di scelte e gusti meramente individuali e sono insindacabili.
È l’aggettivo che scaturisce da questa questione: si tratta di scelte di vita insindacabili. Il punto complicato è che queste due posizioni, liberazionista e liberale, sono nel dibattito corrente continuamente intrecciate e quindi diventa difficile, complicatissimo distinguere quali istanze partono dall’una o dall’altra corrente.
Comunque nessuna delle due intende elaborare un discorso obiettivo domandandosi di che cosa sia il meglio, più consono per l’umanità. La biologia poi viene trascurata e addirittura derisa.

Bipolarismo sessuale
Il fatto ed è un fatto che esiste il bipolarismo sessuale, che esiste una struttura che poi si riverbera anche dal punto di vista psicologico di un essere maschi ed essere femmine. L’idea puramente individualistica che ciascuno debba fare come gli pare, che debba seguire le esigenze che scopre via via abbandonandosi ad esse senza troppi scrupoli, senza coltivare dei dubbi di quello che è il proprio cammino non sembra la via migliore.
Perché la tradizione giuridica non ha mai considerato l’omosessualità come rilevante?
L’omosessualità è una scelta, è uno stato di vita scelto che non è importante per la sua espansione sociale. I giuristi che hanno preso in considerazione questo tema hanno messo in evidenza la sterilità che è caratteristica di questo tipo di comunicazione.
È una comunicazione che non genera complementarietà, che non fa società. Un rapporto sessuale rimane un rapporto confinato in una particolare coloritura di rapporti e soprattutto non c’è quella apertura all’ "altro da se" che è caratteristica della famiglia. Il passaggio dal coniugio alla famiglia vera e propria è concepire la fecondità almeno come un orizzonte possibile.
Nell’ottocento l’omosessualità si disgiungeva dagli altri, si poneva diversamente, e quindi vedeva in questa sua maledizione quasi una elezione a rovescio, sceglieva pienamente questa sua condizione.
Oggi l’omosessualità è diventata banalizzata, è diventata quasi una componente della società dei consumi, ha perso quel tratto di grandezza un po’ sinistra che aveva nell’ottocento presso alcuni personaggi importanti e pretende una specie di normalizzazione. Ma questa normalizzazione non tiene conto della natura molto particolare dell’uomo.

In conclusione
Concludendo vi dico il versante positivo del matrimonio e della famiglia che ha tra tutte una funzione assolutamente straordinaria che è quella della preparazione all’identità personale.
Cosa che le unioni così dette di fatto tra uomo e donna disegnano piuttosto fragilmente e che l’unione tra omosessuali non riesce a disegnare per niente. In che cosa consiste questa preparazione alla sessualità? Il compito della famiglia si situa in questa coltivazione all’essere persona umana, compito educativo decisivo e indispensabile.
Noi abbiamo anche una componente animale, che ci avvicina agli animali, in quanto esseri corporei, e da questo punto di vista noi abbiamo un orientamento sessuale. Ma come esseri umani prendiamo dei ruoli, non semplicemente procreiamo, ma diamo alla procreazione, e alla possibilità di procreazione, una serie di significati e questi significati sono creativi di determinati ruoli.
Quali sono questi ruoli? Diventare marito e moglie, prima ancora figli e figlie, fratelli e sorelle, padri e madri. Tutti questi ruoli sono legati ai significati che in qualche modo ruotano attorno a quella sorgente straordinaria che è la procreazione, intesa non in senso animale ma in senso prettamente umano.
Un po’ alla volta l’identità viene modellandosi sull’assunzione iniziale di ruoli familiari. Da questo punto di vista solo una famiglia che abbia il carattere della durata, della stabilità, della pubblicità pare possa adempiere questo ruolo, o più prudentemente, non si è trovato fino ad ora nulla di più adatto, nulla di meglio per poter consentire questo tipo di preparazione.
Questa preparazione è stata resa possibile da quella straordinaria struttura antropologica che è il matrimonio, non solo quello cristiano. Nel totalitarismo cinese la famiglia è stata la struttura che ha resistito e rimane ancora l’impianto sano, fondamentale di questa società. Quindi una prospettiva di rapporto puramente sterile appare del tutto non idonea e lascia le persone non adeguatamente formate e preparate all’esistenza.
C’è anche quel gravoso compito di dire di no a quelle coppie che non offrono garanzie per educare i figli, non per un senso moralistico e di esclusione, oppure di emarginazione sociale.
Il no vale solo dal punto di vista giuridico perché le relazioni omosessuali sono relazioni che non possono neppure ambire per loro natura ad avere quella piena fecondità e non solo nel senso biologico ma anche in quello spirituale, psicologico nel senso più profondo che una vera e propria famiglia può dare.
Occorre saper distinguere quelle richieste di alcuni aiuti, di alcune politiche sociali, di alcuni modi di interessarsi di fasce deboli della società; e da questo punto di vista ci possono essere anche degli aiuti ponderati. Questo va nettamente distinto dalla piena parificazione perché la parificazione da tutti i punti di vista non rispetterebbe la verità profonda della famiglia che si pone in un percorso nettamente diverso da quello di altre relazioni e unioni, che hanno certamente una realtà anche prepotente e dirompente di fatto ma che a guardar bene non sembrano possedere un pieno rilievo giuridico.
Il mio invito è tuttavia di rispetto di tutte queste forme, anche di attenzione ed approfondimento, però approfondendo anche sempre di più che cosa è famiglia dove l’espressione normale non indica una normalità statistica.
Da questo punto di vista potremmo avere anche i numeri a nostro svantaggio soprattutto nei grossi centri urbani. È normalità nel senso di una norma antica che il diritto in fondo recepisce. Dice che i rapporti fondamentali che qualificano una famiglia devono essere quelli di un uomo per una donna e di una donna per un uomo, e questi rapporti poi si fondono anche su una relazione più solida, su un riconoscimento più valido.
Questa è l’antica vicenda della famiglia che il Diritto Romano e poi i canonisti hanno ripreso ed è arrivato fino a noi oggi.

Per i lavori di gruppo:
# Il nostro modo di essere e di agire diventa segno per altre famiglie e per la società in particolare a riguardo di altre forme di convivenza?
# Dove attingiamo le risorse per avere dei punti fermi, dei valori da trasmettere agli altri?
(Riferimento biblico Mt 19,1-9)