3° incontro dei Gruppi Famiglia nel Vicariato di C. di Godego a Vallà
03 Dicembre 2000

Il Vangelo "secondo gli sposi"
Diventare sposi dentro un continuo cammino di umanità e di fede

Don Mariano Maggiotto
Quando ho letto il tema proposto, da "buon prete", mi sono subito detto: qui hanno sbagliato tutto perché io parlerò degli sposi secondo il Vangelo. Mi è venuto questo pensiero perché i "buoni preti" come me pensano che tutti i cristiani debbano imparare da loro, quasi pensando che la loro vita di persone consacrate deve essere lo status simbol di vita cristiana: uno capisce che cosa è il Vangelo guardando i preti. Questo tema mi ha fatto subito pensare che, se noi andiamo a considerare quanto ci racconta la Bibbia, è probabilmente molto, ma molto, più vicino al contenuto più profondo di essa: all’esperienza del popolo d’Israele per primo, di Gesù poi e infine della Chiesa nascente.
Il Vangelo secondo gli sposi allora è un buon titolo perché ci viene a dire a tutti, a voi ed a me, che forse non c’è esperienza più grande, più bella, più significativa di quella degli sposi, perché ci porta a capire il Vangelo.
Forse molti difetti della Chiesa come organizzazione derivano dal fatto che troppo poco, per comprendere il Vangelo e tentare di tradurlo nella vita vissuta, si guarda alla famiglia. Si guarda al Papa, ai Vescovi, ai preti, alle persona consacrate. Se invece si trovasse ispirazione sulla famiglia, sulla relazione di coppia prima e sulla relazione della coppia con i figli, pur con tutte le difficoltà, le contraddizioni, i momenti di fatica, probabilmente la Chiesa assomiglierebbe un po’ di più al progetto originario del suo Signore.
Mi avete aiutato con questo titolo a capire che i preti non sono dei padreterni: il Padre eterno è uno solo e quando ha voluto parlare di se, ha parlato di se come sposo del suo popolo. Quando ha voluto parlare di che cosa significa per lui incontrare un uomo, incontrare un popolo, incontrare persone, non ha preso a modello i sacerdoti, i leviti, gli scribi, i farisei ma si è servito dell’immagine delle nozze, dell’immagine della coppia.
Questo per dire l’importanza straordinaria (non è sprecata questa parola) della vostra esperienza. Spero sia importante per voi, ma soprattutto per il mondo. Il mondo dovrebbe capire dal vostro modo di stare uno per l’altro, uno con l’altro, che Dio, quando vuole parlare di se, parla del modo in cui dovrebbe essere una persona quando è in relazione con un’altra.
Per questo sarebbe bene che noi rispolverassimo l’idea di matrimonio e la rispolverassimo ogni giorno per farla ripartire secondo una lezione alta, la lezione che ci arriva da Dio, togliendo alcuni pregiudizi. Ci sono dei pregiudizi che danno addirittura fastidio. Vi presento il più frequente: sposarsi in chiesa è una specie di rimedio che rende la sessualità accettabile. Va a sposarsi in chiesa colui che vuole essere credente, ma provando fortissima attrazione verso la persona che ama ed avendo bisogno di esprimerla con la sessualità, va a ripulire una cosa sporca davanti alla benedizione di Dio. Nulla di più falso! Quando Dio ha immaginato l’uomo e poi lo ha creato, ha creato l’uomo per la donna e la donna per l’uomo; non la donna per se stessa, né l’uomo per se stesso. Quando ha voluto che l’uomo realizzasse al massimo livello la sua somiglianza con Dio creatore, lo ha pensato uomo e donna che nell’atto sessuale mettono al mondo il figlio: creano vita nuova (nulla di sporco!).
Il Sacramento del Matrimonio non è per ripulire qualcosa di sporco ma per sostenere la debolezza dell’uomo nel vivere una realtà così bella e così importante. Non credo che questo cambio di prospettiva risulti sempre così chiaro!
Dio, attraverso il Sacramento del Matrimonio va ad incoraggiare una grandezza che è nascosta dietro ai gesti, dai più banali ai più alti, dell’amore di coppia e ad ogni coppia affida la responsabilità di descrivere al mondo come è fatto l’amore di Dio. L’amore di Dio è fatto al modo in cui l’uomo esprime il suo amore alla propria donna, e con cui la donna esprime il suo amore al proprio uomo.
Non sono io oggi che mi invento queste cose, tutto l’Antico Testamento parla così!
La chiacchierata che vorrei fare con voi in questo pomeriggio vorrebbe essere l’illustrazione del modo con cui Dio incontra l’uomo attraverso una parola che forse a voi suona male: alleanza. Dio incontra l’uomo nell’alleanza, nel patto. E tutte le fisionomie proprie di questo patto, anche le più strane, hanno una somiglianza straordinaria con quel patto, con quella alleanza che viene stabilita da due sposi l’uno davanti all’altro e poi davanti a Dio.
Ecco allora il sottotitolo che avete dato al vostro incontro: "Diventare sposi dentro un continuo cammino di umanità e di fede". Sottolineo il diventare. Dall’angolo di osservazione che io ho mi sono reso conto che quando due si sposano hanno un grandissimo entusiasmo e, non è una colpa quando sto per dire, scadente consapevolezza. La vita non ha ancora limato a fondo cuore, intenzioni, pensieri; la vita non ha ancora mostrato il risvolto negativo di tante cose che stanno in noi e in coloro che scegliamo per vivere vicino a noi. La vita presenta ancora, nel momento di entusiasmo con cui viene affrontata, degli aspetti carichi di lusinghe ma anche carichi di ambiguità. E quando allora uno sceglie di sposarsi non sempre ha la chiara consapevolezza di quello a cui va incontro. Qualche volta magari vi avrà attraversato la mente un pensiero di questo genere: se avessi saputo così forse non…
Succede a tutti e se non dovesse succedere non si è normali. Non si è normali se non si ha qualche volta un pensiero di questo genere perché la consapevolezza della scelta che si va ad operare è necessariamente una consapevolezza che si acquista nel tempo. È una consapevolezza che prende il ritmo della vita e cresce con l’esperienza degli anni, cresce con l’esperienza del turbamento e dell’entusiasmo ritrovato. È una consapevolezza che nasce dalla pratica quotidiana.
Dove sta l’inghippo? Sta nel fatto che, nel momento in cui si sceglie di sposarsi si pensa di aver già capito tutto. Ed ancora la fregatura sta nel credere che, una volta sposati, si è sposi fatti. Mentre nel giorno del Matrimonio si decide solo di diventarlo sul serio. Nel giorno del Matrimonio si decide di impegnare la propria vita per diventare giorno dopo giorno sposi sempre più dignitosi uno per l’altro. Il giorno del Matrimonio è l’avvio di un cammino: frase fatta se ci si ferma qui. Non è poi una frase fatta se osserviamo le esperienze della vita. Osservando le esperienze della vita ci accorgiamo che siamo stati obbligati ripetutamente a riscegliere la persona che abbiamo sposato, perché ci sono stati momenti in cui non avrei continuato a vivere con questa persona. Non c’era più l’entusiasmo, l’intesa, bensì un fortissimo sentimento di solitudine, perché non compreso dalla persona che mi era vicina. Emergeva l’angoscia che tutto fosse crollato. Ma nonostante tutto io ti riscelgo con fatica. È la logica della vita, la vita è fatta così.
Amo ripetere a me stesso quando momenti di entusiasmo o di abbattimento rischiano di provocare stanchezza inutile: "E vissero felici e contenti". Questa frase capita bene alla fine di ogni favola, ma non esiste alla fine di una vita.
Se qualcuno ha vissuto una vita della quale può sempre dire: sono sempre stato felice e contento, a questa persona consiglio di andare a farsi curare. Probabilmente non ha vissuto una vita, ma una favola.
Ecco allora quella parola diventare sposi crescendo nella propria umanità e nella propria dimensione di credente.

Il libro dell'Esodo
Ora mi rivolgo alla Bibbia per ascoltare la lezione che mi arriva da Dio. Egli nel suo modo di incontrare l’uomo ci racconta qual’è la verità sull’amore. Quindi i tipi di attenzione che dentro una coppia devono essere evidenti perché l’essere sposati diventi la costruzione quotidiana dell’essere sposo l’uno per l’altro.
La Bibbia ci parla della storia di un Dio e di un popolo, ci parla della storia di una relazione: la relazione di Dio con il popolo d’Israele, ma nello stesso tempo ci parla anche di un Dio che è sempre se stesso anche se l’altro cambia, che è sempre se stesso anche se il popolo, espressione fortissima, diventa una prostituta.
Dio rimane sempre se stesso, rimane libero di disporre di se, non dipende dall’atteggiamento di chi gli sta di fronte. Questa è la grandezza di Dio. Questo rappresenta un punto di impegno per ciascuno all’interno della coppia. Solo chi si allena ogni giorno a stare in piedi da solo sarà in grado di andare incontro all’altro gratuitamente, e non perché l’altro mi aiuta. Questa persona sarà in grado di incontrare l’altro anche se l’altro non sarà capace di offrirgli nulla.
Prima che Dio sposasse l’umanità, come era la situazione?
L’alleanza tra Dio e il suo popolo scatta quando Dio appare a Mosè e lo invita ad andare dal Faraone con quel messaggio: lascia partire il mio popolo. Quando noi leggiamo nella Bibbia che Dio chiama Mosè, lo leggiamo con l’idea che molti concetti fossero già acquisiti. Come ad esempio: Dio è Signore del cielo e della terra, è Creatore e Giudice degli uomini, ecc. Noi leggiamo la Bibbia come un libro di storia: Dio ha creato il mondo ed è Signore di tutto, poi ha portato a spasso per la terra promessa i patriarchi,… ed ecco che ad un certo punto sposa il suo popolo. Per nostra fortuna le cose non sono andate così e lo studio della Bibbia conferma questa tesi.
Non è vero dunque che il popolo d’Israele ha incontrato il Dio creatore, poi ha capito che è il Signore, poi che è giudice, poi che è liberatore. È vero piuttosto che questo popolo, il suo primo incontro con Dio lo ha fatto in un modo che assomiglia da morire al modo con cui voi vi siete innamorati l’uno dell’altro.
Infatti il libro che parla della creazione (Genesi) è stato scritto molto dopo l’Esodo, e cioè molto dopo l’esperienza della liberazione dall’Egitto. Riflettendo sulle cose belle capitate, a partire dall’Egitto il popolo ha detto: un Dio che ci ha liberati così non può che essere anche il Creatore e Signore del cielo e della terra, non può che essere il Signore dell’umanità ed il suo Giudice.
Non è successa la stessa cosa anche a voi? Avete capito chi era l’altra persona solo dopo averne fatto esperienza, dopo esservi fidati, rischiando per l’altro. Forse è successo anche a voi quanto è avvenuto con il popolo d’Israele.
Questo popolo, attraverso le parole di Mosè, viene a dirci che non conosceva Dio. Ma non era già credente? No, l’aveva perso, se ne era dimenticato, non lo conosceva più. Infatti quando Dio incontra Mosè si sente fare questa domanda: "Per favore, mi dici chi sei?" Perché se io dico ai miei fratelli di sangue di uscire dall’Egitto per tuo ordine e mi domandano chi sei, io non so che cosa dirgli. Mosè non conosceva il nome di Dio. Come era arrivato Dio da Mosè? Il testo dell’Esodo dice: "Il popolo era preso male, schiavo degli Egiziani e condannato allo sterminio." Questo popolo ad un certo punto grida la propria disperazione verso nessuno. Grida e basta.
Noi di solito pensiamo che il popolo d’Israele, preso male, abbia gridato la sua disperazione a Dio. Nella Bibbia non è scritto. Il popolo non conosceva Dio, conosceva solo la propria sofferenza, conosceva solo i propri bisogni, perciò ha gridato.
Voi vi siete innamorati e l’innamoramento è una specie di grido che nasce da un bisogno, il bisogno di sentire la propria vita confusa con la vita di una altro. Pensate che cosa strana: uno sconosciuto si è accostato a voi e voi siete stati disposti ad accettare la sfida dello sconosciuto e vi siete lasciati coinvolgere. Nel coinvolgimento avete scoperto e nella scoperta avete amato e nell’amore avete deciso.
Dio ha incontrato l’uomo così. Se Dio ha incontrato l’uomo così e noi ci siamo incontrati così, vuol dire che in quella esperienza iniziale che ci ha fatti diventare marito e moglie è nascosta una verità importantissima. Una verità così importante che abbiamo il dovere di coltivare attraverso la memoria.
Sarebbe interessante domandare, soprattutto alle coppie che hanno difficoltà, se si ricordano quanto bene stavano all’inizio e nei momenti successivi. Sarebbe interessante chiedere quanto il ricordo di quei momenti sta accompagnando le scelte attuali.
Il divenire di qualsiasi esperienza, anche di quella di coppia si nutre della memoria, e della memoria di questo rischio, un rischio nel quale c’erano tante promesse e non c’era nessun segno di conferma…eppure ci si è fidati!
Ricordare quel rischio è fondamentale per affrontare i problemi di oggi, oggi ancora ci sono le promesse: da domani sarà meglio, sarò più gentile, darò ascolto un po’ di più, sarò più paziente con te. Sono le promesse del momento presente, e ci dimentichiamo che a quella persona e con quella persona nei momenti iniziali carichi di entusiasmo ci siamo scambiati promesse con rischi incredibilmente più grandi.
Oggi magari abbiamo conferme di fedeltà difficili vissute in 15/20/30 anni di matrimonio, conferme di promesse mantenute quando nulla, sembrava sorreggere il mantenimento di quella promessa. È importante allora sentire che il modo con cui Dio ci incontra è quello di un Dio ignoto, che non conoscevamo in tutta la sua grandezza, che si incontra con noi allo stesso modo con cui noi ci siamo incontrati con la persona con la quale viviamo. Questa tipo di sottolineatura dovrebbe diventare, se ci riusciamo, una delle spinte fondamentali per far crescere la nostra vita di coppia, quando questa nostra vita di coppia rischia di inciampare.
Un’altra caratteristica, come ho detto prima, è il gemito degli Israeliti per la loro schiavitù: "Alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio".
Questi poveracci non sanno neanche a chi gridare, perché gli Ebrei non conoscevano Dio. Il loro gemito è pura espressione di sofferenza, di una vita presa male. Perché la loro vita è presa così male? I due aggettivi che la Bibbia usa sono molto semplici e chiari: erano stranieri ed erano schiavi.
Vorrei introdurre un secondo punto importante. Dio ascolta il popolo quando il popolo è preso da una certa situazione, tutto per dire a noi che Dio ci prende quando siamo nella stessa condizione, ma per dirci anche di osservare il nostro partner quando è nella stessa situazione di crisi.

Straniero e schiavo.
Straniero. Nella cultura biblica significa: sprovvisto di identità. Ai tempi di questi fatti della Bibbia, straniero è un individuo che non può far riferimento a nessun gruppo, è colui che non ha una terra e non ha una divinità. Essere stranieri per la Bibbia significa essere figli di nessuno (senza terra, senza dei, senza un popolo), significa esistere senza essere (definizione filosofica).
Schiavo dice invece che c’è più identità, ma è quella imposta dal padrone.
Schiavo significa avere un’identità che ha un attrezzo che è a disposizione di qualcuno per raggiungere i propri fini. In queste condizioni, senza identità e sentendosi strumento degli Egiziani, non c’è nessuna altra possibilità di espressione che il gemito, che il grido lanciato negli spazi vuoti, dove l’invocazione diventa anonima; si invoca ma non si sa neanche chi si invoca. Ecco allora come nasce il matrimonio tra Dio e l’uomo. C’è un popolo che è senza Dio e un Dio che è senza popolo. C’è un popolo che non sa neppure chi chiamare per farsi aiutare e c’è un Dio che vuole trovare qualcuno a cui voler bene.
Ogni rapporto, ogni matrimonio cresce nella misura in cui in ambedue cresce la voglia di ascoltare, la voglia di ascoltare per amare, la voglia di ascoltare per incontrarsi, la voglia di ascoltare per risollevare.
Sarebbe bene chiederci l’un l’altro, e prima ancora a se stessi, se ultimamente, dentro la vita di coppia è successo che attraverso un gesto, un atteggiamento, una porta sbattuta,… qualcuno ha gridato, magari solo per chiedere aiuto; e magari non ha neppure chiesto aiuto a me. Ha chiesto aiuto perché si sentiva senza popolo (identità). Non si sentiva neanche più mio marito, mia moglie, oppure perché si sentiva schiavo di una vita che non lo faceva respirare. Grido d’aiuto! Attenzione, quando sentiamo questo grido, se noi assecondiamo le scritture e vogliamo crescere come coppia, questo non è il momento della crisi che conduce alla fine, ma la crisi per la crescita.
La porta sbattuta, il grido non rivolto a me, … si va bene a dire: "Perché non me lo hai detto?" Ma come? Non è la richiesta a te, è la richiesta che fa testo. Non è quando qualcuno ti chiede qualcosa, ma quando uno chiede. Non importa se lo chiede a te, perché quando uno sta male non ha più una coscienza chiara. Non si può chiedere la chiarezza logica ad uno che sta morendo nell’anima. La porta sbattuta è migliore di qualsiasi discorso. Il problema è che la controparte di questo grido non sembra assomigli alla controparte che sa offrire Dio, non sa offrire sostegno e risposta a questo grido.
Andiamo allora a vedere come risponde Dio a questa porta sbattuta, a questo gemito nella sofferenza, a questo grido che, siccome nasce dalla sofferenza, è un grido confuso. Mi viene in mente una battuta del vescovo Riboldi, che venne a parlare nel duomo di Montebelluna ai giovani un po’ di tempo fa. Ha raccontato un fatto che gli è capitato di un poveraccio che suonò per chiedere l’elemosina a mezzogiorno e mezzo. Il vescovo, che era andato ad aprire, gli disse: "Lo sai che io sono sempre disponibile ma guarda un po’ che ora è, sto mangiando!".
E l’altro: "Per te sarà un’ora sbagliata perché mangi, ma per me che sono tre giorni che non mangio non cambia niente!"
Non si può chiedere la chiarezza quando qualcuno si trova nella sofferenza. Notate quanto ho insistito su questo, perché qui non si gioca solo la salvezza della vita di coppia ma la sua sopravvivenza.

Dio ascoltò il loro grido
Come risponde Dio? Notiamo come risponde perché non c’è solo l’indicazione del come fare ma anche il suggerimento di come mettere in moto il meccanismo di questo fare.
Il loro grido "…dalla schiavitù salì a Dio…" (Esodo). Notate i verbi: "Dio ascoltò il loro lamento, si ricordò della sua alleanza con Abramo, con Giacobbe,…guardò la condizione degli Israeliti e se ne prese pensiero." Il grido salì a Dio e Dio lo ascoltò.
L’ascolto. Io qui lo tradurrei in altro modo: "si rese conto che qualcuno stava gridando".
Quando uno grida io devo essere la, non dire: mentre tu ti sfoghi io mi faccio un giro finché ti passa.
Si ricordò della sua alleanza, si ricordò cioè dell’impegno che si era preso. "Prometto di esserti fedele (cioè al fianco), nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti per tutti i giorni della mia vita". Si ricordò dell’entusiasmo iniziale, si ricordò di quella donna e di quell’uomo con cui all’inizio aveva scommesso di condividere tutta la vita. Il ricordo. Quando qualcuno viene da me per chiedermi il libello d’annullamento del matrimonio, devo dire no, non posso darvi una mano, dovrei troppo raccontare il falso. Anche se due non possono più vivere insieme perché il livello di guardia è abbondantemente superato con situazioni pesanti, con disturbi psichici da curare con psicofarmaci, se hanno creato ormai un fossato irrimediabilmente incolmabile, dico di no e li invito ad andare in municipio. Ma loro vogliono l’annullamento religioso. Io non posso perché quando mi faccio raccontare come erano gli anni di fidanzamento e i primi anni di matrimonio, non posso credere che tutto sia finito. Era troppo bello, troppo vero per dire che non è mai esistito. Annullare significa, per la Chiesa, affermare che non è mai esistito. Che cosa è sparito nella mente di quelle persone?

Fare memoria
La memoria. Se non si coltiva la memoria nella pratica dei gesti esterni poi si rimane fregati. (Se non mi ricordo che al semaforo rosso mi devo fermare e che al verde devo partire rischio grosso).
La memoria, non mi stanco di sottolinearlo.
Crescere significa partire dal ricordare, perché, dopo aver ascoltato il grido, proprio perché si ricorda dell’alleanza, che cosa fa Dio?
Guarda la condizione degli Israeliti. Proprio perché mi ricordo ti guardo e non scappo, proprio perché mi ricordo voglio capire. Proprio perché mi ricordo ti guardo e rimetto in moto l’amore. E da qui scaturisce l’ultimo verbo: "e se ne prese cura". Il pianto degli Ebrei colpisce sì le orecchie di Dio, ma quello che mette in moto Dio è il ricordo dell’alleanza. È il ricordo di un’alleanza che fa scoprire quanto dolorosa è questa frattura, dovuta non tanto alla dimenticanza di Dio ma alla dimenticanza del popolo. Perché il paradosso è che, a volte, le cose non vanno male a causa di chi si lamenta, ma vanno male a causa di chi si dimentica. Può essersi dimenticato, può aver perso la memoria sia colui che si lamenta ma anche chi non si lamenta e sta bene dentro la coppia. Uno può lamentarsi e gridare perché si è dimenticato lui della fortuna che ha di essere dentro una relazione, difficoltosa finché vogliamo. È il caso del popolo d’Israele. Colui che sta male, sta male per colpa propria perché si era dimenticato di Dio, non Dio del popolo. Quando incominciate a star male provate a ricordarvi, se in quel momento ve lo ricorderete.
E si ricomincia con un Dio che si prende cura, con Dio che copre con il suo ricordo la dimenticanza del popolo. Ecco allora che Dio nel suo prendersi pensiero si muove. Dio quando decide di prendersi pensiero si china sugli uomini con un gesto di pura solidarietà. Dio quando decide, dopo essersi ricordato della sua alleanza, che è affar suo la sofferenza dell’altro, sceglie di mettersi al suo fianco. Per mettersi al suo fianco decide di risposarlo, sposa quel popolo peggiore di una prostituta, lo risposa un’altra volta. Non sposa un altro popolo, risposa lo stesso popolo, e qui scaturisce l’antica alleanza.
L’alleanza descritta dall’Esodo è un’alleanza che ricalca il modello dei trattati politici stipulati in ambiente ittita o neo-assiro, tra il sovrano e il vassallo. La Bibbia utilizza, per spiegare il modo con cui ci si può legare uno all’altro, i modi con cui ci si legava negli ambienti politici del tempo, ed erano tre i punti sui quali si fondava l’alleanza:

Ecco da dove nasce l’alleanza. Ripercorriamola in breve.
Storia dei benefici passati: il Signore ha fatto uscire gli Ebrei rispondendo al grido di stranieri e schiavi, dopo aver ascoltato, dopo aver deciso di compromettersi, egli si mobilitò in modo attivo.
Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi e ci condusse in questo luogo dove scorre latte e miele." (Es.).
Dio interviene con forza, Dio si da da fare, Dio si compromette in prima persona (questo è scritto nelle piaghe d’Egitto, nel passaggio del mar Rosso, nella manna nel deserto, nell’acqua che scaturisce dalla roccia). Dio si impegna e si impegna con grande forza.
Anche noi, di fronte ad una difficoltà di coppia decidiamo di impegnarci. Perché a volte non serve a niente? Anche quando in qualche modo teniamo botta? Perché ci impegniamo per la nostra tranquillità. Nasce dal disturbo che ci crea l’altro, non dall’averlo ascoltato, non dall’esserci ricordati, non dalla voglia di bene, non dal prendersi cura. Il braccio potente e mano tesa di Dio salva il popolo perché questo nasce dall’ascoltare, dal ricordarsi, dal comprendere, dal prendersi cura. (È come si fa con i bambini, quante volte diciamo "per educarli": stai fermo. Ma se analizziamo perché lo diciamo? Per educarli o per stare tranquilli noi? Spesso non è proprio necessario che stiano fermi!)
L’intervento diventa forte e miracoloso solo se nasce dall’ascolto, dal ricordo, dal comprendere e dal prendersi cura.

Le esigenze dell'Alleanza
Sto solo commentando una pagina della Bibbia. L’espressione che rende vera una relazione quando il mio coinvolgimento è un coinvolgimento nel bisogno. La mia relazione con l’altro è una relazione che ha i toni della correttezza certamente quando gioisce, ma che ha i toni della correttezza che riesce a dare qualcosa all’altro nel momento in cui l’altro non è in grado di darmelo. Questo è il momento più alto dell’amore, perché è l’amore finalmente uscito dalla logica del "do ut des": ti do qualcosa purché tu mi dia qualcosa in cambio. È il momento più alto dell’amore. In quel momento si è chiamati a misurare quanto è profonda la mia capacità di volerti bene. Altrimenti è un amore un po’ mercenario quello che cerco e che offro. Occorre provare qualche volta ad accettare dentro l’amore di coppia e con i figli a voler bene quando si è certi che non arriva nulla in cambio. Se io ricevo qualcosa e poi amo, io ho già ricevuto prima. Amare significa vivere un rapporto, una scelta, un impegno non perché ho avuto prima ma perché spero poi. Che cosa? Che l’altro stia meglio, sia felice, che mi riempia la vita con la sua serenità e felicità.
Quali sono le esigenze di questa alleanza, di questo patto? Sono che il singolo che grida diventi popolo, che il singolo che grida diventi capace di relazione consolante ed utile con gli altri.
Per rendere ancora più chiaro questo discorso: l’amore di Dio non è di reciprocità dentro al suo rapporto con il popolo.
Dio dice: io ti voglio bene ed i comandamenti servono per dirmi come devo voler bene a lui. Nella Bibbia questo non esiste mai.
Il rapporto non è di reciprocità ma il modo di amare di Dio è estensibile. Dio non mi vuol bene perché io gli voglia bene. Dio mi vuol bene perché io voglia bene agli altri. Il nome della risposta all’amore di Dio nella Bibbia si chiama "fraternità". Nella coppia il marito dovrebbe essere felice che il suo voler bene alla moglie aiuta la moglie a voler bene ai figli e così la moglie per il marito. In cambio del nostro amore riceviamo una persona più grande. Un genitore non deve lavorare perché i figli gli dicano: quanto ti voglio bene. Ma perché i figli si vogliano bene tra loro. Dio ci vuol bene perché tra noi ci vogliamo bene. Non è di reciprocità (circolare) ma estensivo.
E qui c’è la legge che ci invita ad amare perché l’altro impari ad amare. Diversamente è sequestrare la persona, è un inferno. La reciprocità se vogliamo è il frutto dell’impegno reciproco a non pretendere nulla. Quanto meno io pretendo, tanto più ricevo.
Altro gioco psicologico sottile della nostra mente: il gioco sottile della conservazione della nostra specie. Io faccio qualcosa per gli altri ma penso già come l'altro mi deve rispondere. Conclusione, dopo tempi di attesa inutile devo ammettere che l’altro non mi ha risposto! Non capisco invece che l’altro ha tentato di rispondermi in mille modi diversi, purtroppo non era quel modo che io mi aspettavo.
La risposta dell’altro mi ha sfiorato ed ha bussato con forza tante volte alla porta della mia gratificazione, ma quando ho aperto ed ho visto che non aveva il vestito che mi piaceva, ho richiuso la porta. Per questo è importante coltivare la riconoscenza.
Proviamo ad osservare quante volte diciamo "grazie". Forse a casa nostra non lo si dice da anni. La riconoscenza non è il donatore ad esigerla ma il dono che la impone. Se è il donatore che la esige si ricade nel "do ut des", se invece è il dono che la impone diventa il momento nel quale si scopre di aver ricevuto un regalo.
Se non dici grazie quello per te non era un regalo, ma solo una persona che ti ha dato qualcosa perché era suo dovere. La disabitudine a dire grazie ha reso i rapporti di coppia mostruosi. È il dono che reclama il grazie non il donatore. Dio non vuole che lo ringraziamo, ma il fatto di aver ricevuto che dovrebbe spingerci al grazie, altrimenti perdiamo la misura di tutto quello che riceviamo.

Il premio e il castigo
Ultimo punto. Premio è la terra per il popolo d’Israele. Obbedire alla legge ha come premio la Terra Promessa.
Mosè non aveva ascoltato tanto bene e proprio lui, che aveva portato giù la legge dal Sinai, morì sul monte Nebo dal quale si vedeva la Terra Promessa, ma non riuscì ad entrarci. La stessa cosa vale per noi. L’obbedienza alla legge fa diventare la mia vita una benedizione, il vivere con gratitudine la fraternità fa diventare la mia vita una benedizione. Il vivere la mia risposta all’amore di Dio misconoscendo che la mia vita è segnata dai doni, allora vuol dire condannare la mia vita all’inferno.
Il Paradiso e l’Inferno certamente esistono di là ma non sono altro che la continuazione del nostro di qua, perché siamo chiamati ad una vita buona e felice. Di là avremo il premio definitivo: una vita felice che ci siamo impegnati a costruire di qua. Di là avremo solo una situazione definitiva in quell’inferno che abbiamo creato, non tanto in noi ma attorno a noi, e per causa nostra. Dio non manda nessuno all’inferno. Mi toglierei dalla lista dei credenti se Dio mandasse all’inferno qualcuno, la realtà invece è che qualcuno vuole andarselo a cercare. Quel qualcuno sembra cercare l’inferno perché coloro che gli stanno attorno vivono male. Ma l’inferno che creo agli altri sarà quello che mi tormenta l’anima. Non so se qualcuno è mai riuscito a trovare una persona che crea l’inferno a tutti e sia felice! Forse può annegare il suo star male nei soldi, ma è sempre uno star male. Anche perché chi crea l’inferno nella vita degli altri fondamentalmente è una persona sola. Quando Dio per la prima volta nella Bibbia parla di ciò che fa male all’uomo dice così: "Non è bene che l’uomo sia solo." La solitudine ti uccide. Questo appare ancor di più quando parla in positivo dell’uomo ad immagine di Dio, maschio e femmina.
Cioè dentro una relazione d’amore è immagine di Dio e realizza pienamente se stesso. L’uomo nella contrapposizione della rivendicazione reciproca non è più immagine di Dio ma è un aborto d’uomo.
La Bibbia è di una precisione assoluta da questo punto di vista ed è capace di scendere la nelle pieghe più riposte della nostra anima per risvegliare dentro di noi il desiderio di quella grandezza che sta in ciascuno di noi, di cui forse abbiamo dimenticato la strada.
Spero di aver suscitato la voglia di rimettere in moto la voglia di un rapporto grande con la persona che vi sta vicino, la voglia di farlo crescere sempre di più.

La sintesi di questo testo è stata pubblicata come DOSSIER sul n.36 di GF.
Per leggerla cliccare qui: anno2001/Dossier36.htm

Un altro testo che tratta il tema "Alleanza e perdono" è stato pubblicato come DOSSIER sul n. 38 di GF.
Per leggerlo cliccare qui: anno2002/Dossier38.htm