De Ferrari

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...Breve incontro con Giuseppe Fonti

La pittura di Fonti è il frutto di una lunga e tormentata ricerca espressiva, passata attraverso stagioni molteplici e contraddittorie, pur senza mai perdere il filo di un discorso unitario. Un discorso testardo, tenace, mai presuntuoso, anche se palesa ascendenze, gusti, preferenze.

E' fin troppo facile rinvenire, nelle sue tele magmatiche, fra le sue linee aspre ed intense, gli echi di forme e colori di grandi maestri, talmente grandi e conosciuti che sarebbe ingenuo pretendere di nascondere tali simpatie. Simpatie, si badi nel senso che Fonti dichiara, senza finzioni, il suo debito con loro, perché - sente - insieme con loro (perciò simpatia nell'autentico senso etimologico), In una linea, in una macchia di colore, in un volo di rari corvi su un campo di grano, si riconosce, è persino ovvio, Van Gogh; ma non un'imitazione del folle di Arles, semmai una consonanza sentimentale, un momento di amara passione, un attimo di follia coloristica, un'esplosione di colori puri. E' questo che lo affascina e che egli cerca di restituire sulle sue tele; il divenire dell'esistenza in un cielo striato ed irreale, in paesaggi stravolti e pure animati da una vitalità selvaggia e prorompente.

Così, in certi volti spaventati e sgomenti, su sfondi di campiture funebri o stridenti, chi non riconoscerebbe le urla di Munch?

E in certi paesaggi o nature morte, saldamente radicati nell'aspra terra di Calabria, chi (e quanto ingenuamente!) non riconosce la solarità di Cezanne, in una pennellata, in un contrasto di colori? Eppure sarebbe una lettura riduttiva e puramente impressionistica (e i post-impressionisti e quanti altri, più recenti è dato credere di riconoscere queste tele) abbia poco a che fare, se non nel senso "simpatico" che si è detto.

Allora il viaggio che c'è concesso di fare con i quadri del caro amico calabrese, non è una storia dell'arte alla ricerca di ciò che la nostra memoria ci può suggerire, ma un viaggio con noi stessi nell'area delle suggestioni che quest'arte ha saputo indicarci. Allora, nei rami contorti e neri, nell'esplodere dei rossi dell'autunno, nel mugghiare di marine, infuriate, insomma nei sogni irreali (è il titolo di uno dei suoi quadri più belli) veramente noi riconosciamo la sua arte più sincera e talvolta persino ingenua. S'intende che non d'ingenuità da Naïf si tratta, dato che il segno dell'artista è per lo più assai consapevole e maturo. E ancora, nelle inaspettate geometrie, nei rami gelati che sono mani adunche e artigliate, nelle case indifese tra un intrico di alberi, nei volti silenziosi e distanti (ma poche sono le figure umane nella sua arte persa dietro la contemplazione di una natura sempre sfuggente e accostata nei suoi cangianti misteri) si ritrova agevolmente la sua infanzia calabrese, le sue angosce adolescenziali, la sua maturazione umana tra desiderio di evasione e presa di coscienza della realtà: il tutto è poi filtrato attraverso un uso personalissimo del segno e del colore.

Con affetto.

Augusto De Ferrari

28 dicembre 1993