I razzi antigrandine

fmecirc2.gif (9614 byte)

Stefano Innocenti

[Documenti tecnici]

In inglese "Hail rockets" sono razzi impiegati per uso civile già dagli anni ’30. Il problema della prevenzione delle grandinate, già dalla seconda metà dell’800 era particolarmente sentito, e vennero brevettati numerosi tipi di congegni che si basavano sull’uso di cannoni che, secondo la teoria, avrebbero dovuto impedire la formazione di grandine durante un temporale.

I cannoni detonanti creano onde d’urto intensamente sonore mediante un emettitore di scoppi a ripetizione ed a salve. Le onde, propagandosi da terra verso l’alto, fino a qualche centinaio di metri, come asserito dalle case costruttrici, dovrebbero alterare i meccanismi di formazione e di caduta dei chicchi. Questa ipotesi risale a poco prima del 900, tuttavia dal 1905 fu abbandonata nella pratica, per essere ripresa negli anni ’80, ma di essa non c’è traccia da tempo nei lavori del mondo scientifico interessato. Fu il prof. Bombricci dell’Università di Bologna a dire che sparando a ripetizione contro il cielo prima che si verificasse la caduta della grandine, si potesse evitarla impedendo la solidificazione del ghiaccio. Nacque così il cannone grandinifugo del borgomastro Stiger modificato successivamente dal colonnello Mundy. Nel 1902 a Tolosa il pirotecnico Balondrale brevettò il primo razzo antigrandine, mentre nel frattempo a Emmishofen in Svizzera Karl Muller anche lui pirotecnico, costruiva razzi di 4 centimetri di diametro lunghi dai 25 ai 50 centimetri che salivano a 1000-1500 metri di altezza che distribuiva ai contadini con esiti incerti. 

Nel 1906, nell'annuale meeting della Società degli scienziati tedeschi, ci fu un intervento di R. Baur, istruttore della scuola di artiglieria dell'esercito turco che aveva effettuato esperimenti sulla dispersione delle nuvole tramite esplosioni. Sviluppò un razzo, facile da maneggiare, che poteva raggiungere l'altezza di più di 1000 metri, con una carica esplosiva molto potente. Affermò che nel 1905 nel luogo degli esperimenti, non furono viste nuvole. L'anno successivo causò una nevicata che sorprese i testimoni. Successivamente fece altri esperimenti in Svizzera con risultati alterni.

Dopo la prima guerra mondiale, alcuni studiosi portarono avanti l'esempio che dopo la battaglia di Verdun non ci furono grandinate per mesi, e questo venne spiegato con il massiccio uso di artiglieria.

Nel 1933 ci furono esperimenti in Austria e nel sudovest della Germania. L'austriaco Prof. Erich Dolezal lanciò razzi del diametro di 27 mm di due tipi con lunghezza diversa. Il più corto raggiungeva il migliaio di metri di altezza, mentre il più lungo poteva raggiungere duecento metri circa in più. Entrambi esplodevano all'apogeo provocando un buco nelle nuvole grandinigene dopo di che il vento penetrava in esso sfaldando la nuvola stessa.

I tests nella Germania meridionale furono portati avanti dal dipartimento di Agricoltura dello stato  del Wurttemberg. In due distretti (Blaubeuren e Ebingen) vennero lanciati numerosissimi razzi per distruggere le nuvole. In diciannove altri distretti fu aperto il fuoco contro le nuvole con fino a 6 razzi per volta. In tre di questi distretti la grandine continuò a cadere, mentre gli altri 16 dissero di aver avuto successo.

Intorno al 1936 il generale francese Ruby elaborò una nuova teoria secondo la quale la grandine si forma attraverso un processo rotatorio (vortici): nella nube temporalesca sono contenuti aghi di ghiaccio, che per il loro peso tendono a scendere, ma incontrano correnti d’aria calda ascendente e vengono trascinati in alto. Intanto quest’aria calda ed umida si condensa intorno all’ago e lo ingrossa finché questo, reso più pesante, tende nuovamente a scendere per incontrare nuova aria calda ripetendo il processo finché non si sia formato un chicco più grosso che, non sostenuto più dalla corrente ascensionale precipita sulla terra.

Nel periodo 1935-36 in Italia, il pioniere dell’impiego di razzi Alberto Fenoglio studiò e costruì diversi tipi di razzi antigrandine ad uno e due stadi, sostituendo negli ultimi tipi la bacchetta stabilizzatrice con degli impennaggi smontabili.

Fino al 1949 non si parlò più di questo mezzo di difesa, quando per interessamento del Ministero dell’Agricoltura e Foreste vennero iniziati esperimenti sistematici nel Veneto, nel triangolo San Zeno-Valeggio-Verona, la zona dei vigneti della Valpolicella.

Nel 1949 i primi razzi di costruzione francese vennero usati in Italia, e subito ne iniziarono la costruzione la SIPE e la Italrazzi che ne miglioravano le caratteristiche, specialmente per quanto riguardava la potenza della carica propulsiva. Negli anni 60 le due ditte producevano e lasciavano distribuire anche all’estero dalla società Meteor svariati modelli: antigrandine ad esplosivo nucleante da 1500 e da 1000 metri; antigrandine ed imbriferi per nubi fredde allo ioduro d’argento (da 1000 e 1500 metri); antigrandine ed imbriferi al cloruro di sodio per nubi calde (da 1500 metri). A questi vanno aggiunti due tipi di razzi meteorologici studiati rispettivamente dal Prof. Rosini e dal dott. Vittori: razzo-radiosonda e razzo captanuclei. Per tutti i tipi viene usato un tubo di lancio standardizzato in cui si infila il governale del razzo.

In Italia abbiamo avuto un grande sviluppo nella produzione di questo tipo di razzi: Nel 1960 un articolo sulla rivista ‘Oltre il cielo’  ci rammenta che la produzione di razzi antigrandine nel nostro paese era al primo posto nel mondo. Grande scalpore fece la notizia che razzi nostrani venivano esportati (ben 2700) nell’URSS. Ma non solo… altri clienti richiedevano gli stessi dagli USA, dal Canada, Francia, Austria ed Africa. L’Unione Nazionale Antigrandine, diretta dal dott. Ovidio Romanelli, pioniere dell’impiego di razzi in Italia.

Il Dipartimento dell'Agricoltura della Germania Ovest annunciò che gli esperimenti sarebbero stati ripetuti su vasta scala, mentre i russi, nella Georgia usarono i razzi ufficialmente sopra le colture vinicole. Nell ogive non c'erano esplosivi ma venivano emessi nuvole di ioduro d'argento. Il giornale "Stella Rossa" nel 1961 annunciò che migliaia di ettari di vigneti furono salvati dalla possibile distruzione. la spiegazione del fenomeno era simile a quella data da Dolezal. I razzi erano forniti dalla ditta italiana "Italrazzi" di Angelo Patti, a Sommacampagna.

Un altro gruppo di sperimentatori lavorò nei frutteti del Queensland in Australia. I loro razzi raggiungevano il chilometro e mezzo di altezza trasportando sia una carica esplosiva che ioduro d'argento. 

L’ipotesi di base è quella di un possibile innesco sui chicchi, di un fenomeno chiamato ‘cavitazione’, ovvero la formazione di bolle di vapore tra un mezzo mobile ed un liquido nel quale esso avanza. Di solito si verifica quando il mezzo mobile avanza con velocità così elevata da creare nel liquido una depressione tale da provocare l’evaporazione. Uno studio effettuato nel 1981 dal 2° dipartimento Agricoltura ed Alimentazione ci dice però che si riscontra una inefficacia pratica dei razzi esplodenti, peraltro anche riguardo i cannoni. Questo studio, da negativo, è stato però portato in positivo dalle ditte distributrici di congegni antigrandine nei loro depliant pubblicitari.

Sostanzialmente esistono due tipi di razzi: i razzi esplodenti a bassa quota ed i razzi non esplodenti d’alta quota.

Teorie:

Teoria della cavitazione.

Scoperta dall'italiano Vittori, consiste nel fenomeno di formazione e successiva distruzione di bollicine di gas o di vapore, di dimensioni sia microscopiche sia visibili, all'interno di un liquido, quando esso è soggetto ad onde d'urto di alta energia ed intensità. Se si è in prossimità di pareti contenenti il liquido, ciò crea su di esse sollecitazioni tanto forti da provocarne la distruzione.

Per i chicchi in caduta allora la cavitazione si può realizzare quando essi intrappolano al loro internosacche di acqua allo stato liquido, che pertanto vengono distrutte determinando lo sfaldamento dei chicchi. La cavitazione può essere determinata per mezzo di una carica detonante sparata contro i chicchi da razzi esplodenti.

Teoria esplosivo-nucleante

Si tratta di un più recente tentativo, nato in Francia ed Italia, di diffondere, contemporaneamente all'azione di razzi esplodenti o di cannoni ad onda d'urto, una sostanza nucleante a forma di polvere. E' però da dire che tale sostanza, a parte alcune considerazioni, già di per sé non risulterebbe trattata in modo tale dacreare nuclei glaciogeni, in quanto non sarebbe portata alle alte temperature a cui può generare i microcristallini atti a produrre una nucleazione artificiale.

In pratica la teoria dice che il principio esplosivo produce una sequenza di onde d'urto violente a quote elevate che in presenza di nubi temporalesche può impedire la formazione dei chicchi, in quanto è n grado di alterare la struttura dinamica delle masse d'aria che caratterizzano gli eventi grandinigeni. Il secondo principio è descritto nel paragrafo successivo:

La nucleazione artificiale

Si tratta di un processo che consiste   schematicamente nel creare una ripartizione delle goccioline di acqua sopraffusa (acqua allo stadio liquido pur essendo ad una temperatura di molto inferiore allo 0°) su un numero di embrioni glaciogeni, o cristallizzanti, molto maggiore di quello presente abitualmente nelle nubi temporalesche. Si può così produrre un numero di chicchi molto maggiore, con minore velocità di crescita e di dimensioni sufficientemente piccoli da subire la fusione in pioggia negli strati bassi dell'atmosfera. Si tratta cioè del principio di "competizione tra gli embrioni di grandine", che peraltro sembra il più promettente per i temporali contenenti grandi gocce di acqua sopraffusa, mentre appare di difficile applicazione per i temporali contenenti solo goccioline della medesima. I nuclei più utilizzati sono quelli degli joduru di argento e di piombo.

In merito ad eventuali problemi di inquinamento che potrebbe comportare il loro impiego, si può dire che dalla letteratura in campo intenazionale non risultano articoli che parlino di una loro tossicità in operazioni di difesa. E' vero però che alcuni studi e ricerche di laboratorio trovano che concentrazioni molto forti di joduro d'argento sono nocive per elementari forme di vita animali e vegetali, anche se questo non sembra essere il caso in genere per le attività di lotte antigrandine condotte in campo. Il principio fisico della nucleazione artificiale di per sé è stato provato in laboratorio, ma non è tuttavia una garanzia di successo per la sua realizzazione esecutiva all'interno ella concreta realtà temporalesca. Anzi la sua efficacia operativa deve essere ancora dimostrata con completezza.

Le tecniche di intervento che concretizzano la nucleazione artificiale cono di tipo esterno ed interno. Quelle 'esterne' si prefiggono lo scopo di ottenere una nucleazione artificiale creando sorgenti, fisse o mobili, di sostanze nucleanti, o al suolo o con aerei alla base delle nubi, nella ipotesi che le correnti ascensionali e la diffusione turbolenta di queste siano in grado di portare i nuclei glaciogeni artificiali nella zona delle nubi in cui si forma la grandine. Le tecniche 'interne' invece, pur mirando allo stesso scopo,utilizzano o aerei che lanciano o sparano candelotti con sostanze nucleanti, oppure razzi non esplodenti di alta quota, che lasciano una scia di nuclei glaciogeni, o proiettili di artiglieria che producono sorgenti di embrioni di chicchi esattamente lì dove le informazioni radar indicano che i chicchi appunto stanno per formarsi entro breve o brevissimo tempo.

L'uso di proiettili di artiglieria viene in  genere presentato dagli studiosi sovietici come, si direbbe, analogo a quello dei razzi di alta quota, che alcuni definiscono pure terra-aria; i n linea di principio essi dovrebbero presumere tuttavia una diversa dinamica di azione in quanto gli uni danno luogo a sorgenti puntformi di sostanza nucleanti, mentre gli altri a sorgenti lineiformi.

 Razzi esplodenti a bassa quota.

I razzi a bassa quota esplodono contro i chicchi in caduta fino ad un massimo di circa 2 km di quota. Le onde d’urto conseguenti dovrebbero determinare uno sfaldamento dei chicchi prima del loro impatto sulle colture per il fenomeno della cavitazione.

Due significativi studi scientifici hanno da tempo espresso un parere pessimistico sulla efficacia delle operazioni di difesa condotte con razzi esplodenti:

  1. Sulakvelidze (URSS): l’influenza di un’onda d’urto sulla densità di un chicco è stata controllata sia da Vittori, di cui era l’idea, sia da Khadziev del Vysokogorniy Geofizicheskii Institut. Si è trovato che l’effetto Vittori – lo sfaldamento del chicco per effetto dell’onda d’urto- in verità si verifica. Comunque, quando Vittori fece esplodere un razzo “Italrazzi” contenente 200 g di esplosivo, sono stati sfaldati solo chicchi che erano entro un raggio di 5-10 m dal punto di esplosione. Per prevenire anche una moderata percentuale di danno di grandine, che lascerebbe una striscia larga 2km e lunga 10 km, dovrebbero essere lanciati circa 100.000 razzi. A parte le difficoltà tecniche, tale mezzo difficilmente sarebbe economico. Pertanto i principi suddetti non possono agire come base per sviluppare un metodo di modifica dei processi grandinigeni.
  2. Neiburger (Organizzazione Meteorologica Mondiale): sono state suggerite varie teorie sulla possibilità che i razzi antigrandine possano essere efficaci. Una proposta è che le onde d’urto dovute all’esplosione producano una cavitazione nei chicchi causando la loro frantumazione e facendoli diventare “molli”. Stime di efficacia di lanci di razzi in Italia, dove se ne lanciavano decine di migliaia ogni anno, hanno concluso che, nella prevenzione della grandine, l’80% degli spari ha avuto successo. Poiché non sono stati usati nella stima né randomizzazione né rilievi di controllo, la sua attendibilità è aperta alla discussione.

In Svizzera è stato condotto un esperimento per verificare se, sparando razzi del tipo italiano, si riduceva il danno prodotto dalla grandine. Quantunque la prova non fosse randomizzata, i suoi risultati sembravano mostrare in modo preciso che i razzi non producevano effetti sulla frequenza ed intensità dei danni. D’altra parte una prova di quattro anni eseguita in Kenya indicava che l’uso dei razzi italiani antigrandine produceva una grande riduzione dei danni del tè, mentre le perdite sul “tè maturo” in proprietà protette, erano il 15% di quelle in proprietà non protette dai razzi (Sansom, 1968).

Forse per effetti di tali considerazioni autorevoli, che presentano nel loro complesso una intonazione pessimistica sulla efficacia dei razzi esplodenti, a livello internazionale non è molto diffuso l’uso di questi, che tra l’altro, lì dove vengono impiegati, come per esempio in Francia, presuppongono l’intervento di organismi non ufficiali di ricerca. 

 

Razzi non esplodenti d’alta quota.

Tale tecnica si basa sulla diffusione preventiva e tempestiva, direttamente nei cumulonembi di cristalli di ioduro d’argento o di piombo, consentita dall’impiego di razzi non esplodenti di alta quota. Questa viene usata in molti Paesi dell’est europeo ed in Argentina. I ricercatori sovietici che ne sono stati gli ideatori, hanno affermato che l’efficacia della diffusione del enucleante con granate o con razzi terra aria era in genere dell’80%. Per verificare queste affermazioni venne ideato l’esperimento Italo-Franco-Svizzero Grossversuch IV. Realizzato in Svizzera su un area di circa 1000 kmq presso Lucerna, si impiegarono sistemi di difesa basata sulla diffusione di ioduro d’argento, interna ai cumulonembi con forte probabilità di divenire grandinigeni, mediante razzi Oblako di alta quota, che dopo la semina rientrano per mezzo di due paracadute; per situazioni particolari si previde anche l’impiego di razzi più piccoli PGIM autodistruggentisi dopo l’azione di semina verso i 5 km di altezza.

L’esperimento però non ha potuto affermare la benché minima efficacia del metodo sovietico testato in Svizzera dalla collaborazione tra l’UCEA (Ufficio Centrale di Ecologia Agraria), il GNEFA francese (Groupement National d’Etudes des Fléaux Atmospheriques) ed il Politecnico di Zurigo.

 

Come erano e sono fatti:

Tutti i vecchi tipi di razzi sono costituiti da un corpo in cartone pressato contenente la carica esplosiva (polvere nera compressa) di diversa lunghezza a seconda della quota da raggiungere. Il governale consisteva in un listello di 2 metri di lunghezza, a sezione quadrata in legno pregiato a fibra compatta Sarajat del Borneo o Pino del Guaranà. Solo questi due tipi di legno si sono rivelati capaci di resistere alle vibrazioni impresse durante l’ascesa dei razzi, mentre le bacchette usate inizialmente con legni di provenienza nazionale troppo spesso si spezzavano durante la salita facendo deviare anche notevolmente i razzi dalla traiettoria voluta. Il peso dei razzi completi di governale è di 4 kg per quelli da 1500 m e di 3,5 kg per quelli da 1000 m. La loro testa esplosiva, in cartone pressato, conteneva 800 grammi di cheddite o tritolo, ai quali viene aggiunta una dose opportuna d sali. Le cariche esplosive dei razzi imbriferi erano meno potenti e destinate solo alla diffusione dei sali (ioduro d’argento o cloruro di sodio). Lo ioduro era presente in ragione del 2% rispetto alla carica esplosiva, mentre del cloruro di sodio micronizzato in particelle per almeno il 70-80% inferiori ai 50 micron, ne erano contenuti 500 g. I razzi erano distinguibili dalla colorazione differente a seconda dell’impiego.

Erano custoditi con le teste separate dei propulsori per essere montati solo prima del lancio. Tutti sostanzialmente uguali come struttura e funzionamento: un fondello di protezione da togliere al momento del lancio copre un anello di strappo che porterà un percussore a contatto della capsula di accensione; una miccia di ritardo provvedeva ad accendere il propellente, esaurito il quale un detonatore innescava la carica esplosiva. Le operazioni che il tiratore doveva compiere sono nell’ordine: applicazione del governale al corpo del propulsore mediante bloccaggio di due fascette metalliche; innesto della testa esplosiva nel “morto” del propulsore; introduzione del governale nel tubo di lancio; asportazione dal fondello del coperchio protettore; agganciamento della catenella di comando all’occhiello di strappo; azionamento del congegno di comando del lancio dalla distanza minima di 15 metri, possibilmente dall’interno di una garitta.

 

I razzi antigrandine di Alberto Fenoglio

Nel periodo 1935-36 costruì diversi tipi di razzi ad uno o due stadi, lunghi una sessantina di centimetri al posto del governale avevano pinne stabilizzatrici smontabili. Questo sistema permetteva il lancio da qualsiasi posto, potendo il lancio partire anche da un tavolo o da un angolo di terrazzo oppure direttamente dal terreno senza tubo di lancio o altro tipo di rampa. Il montaggio delle alette si poteva effettuare in pochi secondi trattandosi di infilarle in apposite scanalature; il razzo con gli impennaggi guadagnava circa 500 metri di quota rispetto agli altri con il governale.

 

agfen1.jpg (82827 byte)agfen2.jpg (84244 byte)

Nelle figure sopra, il razzo antigrandine A.P.R. (Associazione Piemontese Razzi) con governale e con alette, e Alberto Fenoglio con i suoi prodotti.

Razzo A.F.T. 1

Ideato da Fenoglio, di tipo piuttosto grosso nelle dimensioni, destinato a compiere il suo lavoro nei grossi temporali, trasporta una potente miscela esplosiva nell'ogiva che, deflagrando, sviluppa un fortissimo calore sciogliendo la grandine, mentre lo spostamento d'aria avrebbe dovuto disperdere le nubi. L'involucro è di lamiera sottile contenente una speciale miscela propulsiva destinata a lanciarlo a grande altezza. Lunghezza m.1,80 diametro cm.30, peso a vuoto kg. 4,500

Razzo antigrandine A.F.T.1: 1. ogiva deflagrante; 2. razzetto d'accensione; 3. carica propulsiva; 4. miccia

Razzo A.F.T. 3

E' un razzo massiccio, progettato da Fenoglio, con involucro esterno in cartone bachelizzato di 5 mm. di spessore con buona tenuta di pressione. Il razzo è a 3 stadi, con 3 elementi montati uno sopra l'altro con doppia bacchetta di guida per ottenere una maggiore stabilità durante la salita nella zona temporalesca quasi sempre battuta da forti raffiche. Le cariche di lancio, di una miscela speciale, sono compresse nei cartocci idraulicamente ad alta pressione; il fondello con l'ugello ed un sottile rivestimento interno dei cartocci sono di argilla. I tre razzi sono regolati nell'accensione con micce di varia lunghezza per colpire tre strati di nubi: basso, medio ed alto, con intervalli nello scoppio delle forti cariche di 70-80 metri ciascuna. I razzi si possono inclinare sia verticalmente che inclinati. tutto il complesso montato è alto circa 2 metri, con diametro massimo di 27 cm.

Razzo antigrandine a tre stadi A.F.T.3

 

 

Razzo antigrandine Sipe Nobel.

sipe1.jpg (403134 byte)    sipe3.jpg (428227 byte)

E’ un prodotto brevettato nel 1958 e successive modifiche. Consiste essenzialmente di due parti, imballate separatamente ed assemblate al momento dell’uso:

-la testa esplosiva in materiale plastico, contenente circa 800 gr di TNT ( a richiesta possono essere caricati altri esplosivi e materiali enucleanti);

-Il tubo propulsore in materiale plastico contenente il dispositivo di accensione ed attivazione meccanica, il tubo motore, la miccia per l’autodistruzione ed il detonatore per innescare la testa esplosiva.

Il dispositivo di accensione è costituito da un percussore a molla (normalmente in posizione di riposo), da una capsula tipo caccia, da una miccia a lenta combustione, una carichetta di polvere nera ed un tubetto guida fiamma. Esso consente di attivare il razzo a strappo, da posizione protetta, con la massima sicurezza. Il percussore si arma infatti solo al momento dello strappo ed attiva il razzo dopo un ritardo di circa 8 secondi. Il tubo motore è un involucro contenente un grano di polvere nera pressata, di forma opportuna, che funziona sia da motore per generare la spinta propulsiva, sia da ritardo per determinare l’altezza di scoppio. Il propulsore brucia in circa 2 secondi e dopo circa altri 8 di volo inerziale a seconda dell’altezza, viene fatta esplodere la carica.

Normalmente sono fabbricati razzi con altezza di scoppio di 1000, 1200, 1500, 2000, 2500 metri. Lo scoppio della testa innesca miccia detonante che provoca la distruzione dell’involucro del razzo.

 

Razzi Italrazzi

Costruiti e progettati da Angelo Patti, erano di due tipi: il primo tipo portava una carica esplosiva, e l'altro rilasciava ioduro d'argento con una piccola carica esplosiva. Oltre ad essere esportati in Russia agli inizi degli anni 60, venivano venduti a contadini e vignaioli. 

 

Razzi Haildart 501

L'Haildart 501 è un piccolo razzo bistadio, costruito negli Stati Uniti intorno al 1970, che può raggiungere la quota di 5500 metri. Il secondo stadio, dopo l'inseminazione del nucleante, si autodistrugge, mentre il primo cade entro un breve raggio (300-400 metri) dalla postazione di lancio.

 

Razzi NRCDP-I

Il NRCDP-I è un razzo bistadio di costruzione giapponese in grado di raggiungere la quota di circa 7000 metri. La quantità di nucleante (ioduro d'argento) trasportata è di 200 grammi. Dopo l'inseminazione il razzo di autodistrugge.

 

Razzi “Oblako”

oblako1.jpg (471828 byte)

Di origine Russa (1961-1964), non esplodente, alti circa 2 metri, sono i razzi più grandi impiegati nella difesa antigrandine. Hanno un diametro di 125 mm. Hanno una carica esplosiva di 5,2 kg per 32,3 kg totali una traiettoria massima di 12000 metri ed una altezza massima di 8000. Ricadono al suolo con 2 paracadute. E' prodotto in due modelli: nel primo l'accensione del nucleante è avviata da un meccanismo regolato dai giri di un'elica situata nella testata del razzo. nel secondo, la diffusione del nucleante avviene a seguito dell'esplosione della testata in un punto prefissato della traiettoria. L'inseminazione avviene nel tempo di 45 secondi lungo una traiettoria di 8000 metri. Le postazioni di lancio sono a rampe quadruple con elevazione da 50° a 85° e con azimuth di più o meno 180°.

 

Razzi Alazani

Sempre di costruzione sovietica, l'Alazani è di costruzione più recente (1968-1970) e viene prodotto in due versioni: Alazani I (monostadio) e Alazani II (bistadio). La versione monostadio, più piccola (lunghezza 845 mm, calibro 83,5 mm, peso 6,5 kg), raggiunge la quota massima di 4600 metri, mentre quella bstadio (lunghezza 1315 mm, calibro 82,5, peso 9,8 kg) raggiunge la quota massima di 8700 metri. Ambedue i razzi trasportano 1,1 kg di sostanza nucleante (ioduro d'argento o di piombo) che viene distribuita nel tempo di 35 secondi lungo una traiettoria di 4500 metri. Dopo l'inseminazione i due razzi si autodistruggono. illancio avviene da postazioni di 12 rampe con elevazione da 50° a 85° e con azimuth di più o meno 180°.

 

Razzi PGIM.

Il Pgim è il primo razzo costruito in URSS (1958-1959) e il più piccolo fra quelli sovietici. Monostadio, il razzo trasporta 170 grammi di sostanza nucleante (ioduro d'argento o di piombo) che distribuisce nel tempo di 15 secondi lungo una traiettoria di 2000 metri. Le postazioni di lancio sono a rampe quadruple con elevazione da 50° a 85° e con azimuth di più o meno 180°. Non esplodenti si autodistruggono dopo l’azione di semina verso i 5 km d’altezza. Sono costruiti in Ungheria, calibro 82.5 mm, lunghezza 478 mm, peso del reagente attivo 0.17 kg, peso totale 4,5 kg, lunghezza massima della traiettoria 5.300 m, altezza massima della traiettoria 4200m.

 

Sako 10

Costruiti in Slovenia. Sono molto più piccoli degli “oblako” ma in grado di arrivare ad 8 km. Hanno una sostanza enucleante.

 

Stefano Innocenti, ã2003

 

Bibliografia: