V /varie ed eventuali


Vince Guaraldi - A Charlie Brown Christmas [Fantasy; 1965; r: Fantasy; 2006]

Pubblicato in origine nel 1965 ovvero un anno prima di "Pet Sounds", "A Charlie Brown Christmas" è un autentico incomparabile disco di culto osannato in silenzio da tante generazioni del passato e del presente, in grado di annunciare un simile ineffabile intrigato amarcord, far percepire lo stesso il soggiogante candido miraggio e lo sproposito emotivo.
E ancora, come il capolavoro di Brian Wilson, è in grado di offrire una visione 'totale' di una stagione, nonchè suscitare allegorie e riflessioni sull'uomo.

Il disco cita quali ideali testimoni Dave Brubeck e Bill Evans, numi per il pianista Vince Guaraldi qui col suo "trio". Pianista duttile, lucido ed elegante e d'ottima inventiva, Guaraldi è in grado di ricreare e muovere alcuni sempiterni natalizi (da noi invero non sempre conosciuti), e al contempo arricchire di proprio intagliando inusitate gemme pop come "my little drum"; un piccolo fuggitivo sincopato abbaglio di delicatezza, un frusciante bolero mimato da giovani in coro, appunto la tribù dei Peanuts.

I quali pur restando sullo sfondo fanno avvertire costantemente la loro presenza, giustificando e patrocinando questo inconsueto progetto.
Ma a nostro avviso la magia è altra, echeggia e non si esurisce in questo perimetro. Brano dopo brano, in queste piccole sculture Guaraldi trascende il 'particolare' (cfr. gli eroi di Schulz e il Natale) e sommerge confondendo magistralmente colori, tradizioni, espressioni in un sublime lirico e melodico. Come Pindaro spicca il volo di suo, adorna e dota il mosaico d'un fascino ineguagliabile e personalissimo, un senso di splendore, e di eterno.

I memorabili, turchini vocalismi di "christmas time is here" e di "hark, the herald angels sing", i vortici di "skating", gli arabeschi di "greensleves" destano la poesia nella tenerezza, una dolce tensione antica percepita assieme a un senso di caducità, vano e solitario, timori atavici di pece mitigati da abbracci scarlatto.
(Dicembre 2006)

 

Vaselines - The Way of The Vaselines (1992, SubPop)


I Vaselines furono tra le più incandescenti e memorabili personalità indiepop di sempre, per via di un misto tanto creativo quanto povero di mezzi. Sgargianti eccentricità al suono di cantilene vocali memorabili, di strumenti rochi, primitivi, abrasivi.
I due chitarristi Eugene Kelly e Frances McKee possono considerarsi una risposta britannica ai Pixies, immersi in una ancestrale placenta beat. "Molly's Lips" (ripresa dal fan Cobain) è pura leggenda twee-pop, da lacrime all'istante.

Oltre agli ep citati va poi detto di “you think you're a man”, che parte filastrocca e termina in bolgia punk di rantoli, gemiti, distorsioni di chitarra. Un violento contrasto relazionale, apparenze da educanda celano sottese perversioni.
Esplode così il rancore di Frances: " You think your a man but you just couldn't see/ You Weren't man enough to satisfy me! ".

Il repertorio della band si compone d'una ventina di brani, tutti dai refrain indimenticabili. Notevoli le somiglianze col rock dei prodromi, di cui non si offrono riproposizioni ma sonanti rinascite. Pop neopsichedelico, strutture wave, distorsioni e basi di tastiera in un unico vorticoso delirio. Echi del serpeggiante vizioso romanticismo di Velvet Underground e di sregolatezze Stooges. C'era un che di inestimabile, in questo nevrotico depravato, sommato a zuccheri trasognati tranquillizzanti “pop sixties”: l'impatto è drammaticamente espressivo, vivace, irreversibile. (feb. 2005)

Verdure - The Telescope Dreampatterns (Camera Obscura)

Definito un "Green On Red acid-folk e con l'organo", Verdure è dal 2001 il progetto privato di Donovan Quinn, californiano, anche in Skygreen Leopards.
L'ennesimo misterioso figlioccio del rustico ensemble Jewelled Antler: Mildly psychotic utterances, occasionally mixed w/ over-strained falsetto, linger over discordant acoustic guitar; while noise bursts & deformed film samples further the mood (dal sito dell'artista).
Camera Obscura sta ristampando su Cd i suoi ultimi due album.

Registrazione analogica su quattro piste, voce di consueto distorta, toni di imprevedibile, cantilenante, colloquiale melanconia. E tastiere, effetti "drone" elettrici, accostati a una plumbea, silvestre purezza strumentale completamente acustica.

"The Telescope Dreampatterns", secondo (di tre) album a nome Verdure, è una totale immersione brada e verista, più un fermo, continuo richiamo al cerimoniale pop-syche melodico e acido, di trenta e passa anni fa.

L'esotismo e il lirismo di Incredibile String Band ("into the blacktrees", "the greentrees"), mimesi d'inaudita efficacia assieme al trasognato, impareggiabile brancolare anarchico d'un Simon Finn ("the coffin splits in two", "birds that come back again"). In più, una persistente impronta meteorologica, un richiamo d'autunno circonda questi quaranta minuti.

Discepoli e seguaci di Jewelled Antler e delle molteplici vesti artistiche del genietto e mentore Glenn Donaldson, hanno dunque, costantemente, nuovi pretesti a rinvigorire le proprie ossessioni.
Donovan Quinn, co-autore con Glenn nel progetto Skygreen Leopards, ritorna sui medesimi raminghi, transitori, sottilmente inquietanti sentieri di brughiera. E' lì ansioso e stranito, che agita spiritelli diurni ("ash-Wednesday", "softly the embers", "the sea funeral"), maschere della notte e trasalenti incursioni spettrali ("fluttering pastures").
Penetrante essenza, commovente istintività, completo trasporto sentimentale. Questa musica è un dolce, eterno precipitare, avvolgente, delirante vertigine senza schianto.

(ott.2004)

Vulgar Boatmen - You and Your Sister (1989)

Vulgar Boatmen è essenzialmente un duo, fondato negli anni '80 a Memphis da Robert Ray, musicista e insegnante (“a film studies professor at the University of Florida”, autore in materia di due importanti testi: The Avant Garde Finds Andy Hardy, 1995, e How a Film Theory Got Lost, 2001).
Assieme a lui il musicologo chitarrista dell'Indiana Dale Lawrence, suo ex allievo.
E' rock and roll con tutte le finestre aperte”: questa la definizione di Vulgar Boatmen da parte del musicista Bill Flanagan.
Attivo tra Gainesville e Indianapolis, con la pubblicazione del recente “Wide Awake” il duo ha dichiarato di voler ristampare presto tutti i propri lavori.

L'esordio di Vulgar Boatmen offre un solido poprock in chiave folk, memore di strutture tradizionali (Louisville, Atlanta), in buon anticipo rispetto a gruppi acclamati come Uncle Tupelo e Wilco.
La musica di Robert Ray e Dale Lawrence è assimilabile per tratto alle anomale ballate di jingle-guitar dei primi R.E.M. periodo “Murmur” e in seguito ai Feelies di “The Good Earth”, ma neppure così distante dagli Yo La Tengo più popsyche degli anni '90 (riguardo il secondo, sempre ottimo Vulgar, “Please Panic” del '92).

Il repertorio di Ray e Lawrence su “You and Your Sister” è fatto di chitarre chiare e trillanti e sezione ritmica in evidenza, ortodosso e spesso palese erede di tanti complessi dell'epoca aurea del power-pop (“fallen down”, “cry real tears”).
L'interpretazione vocale confidenziale e mimetica, trapassa questa impressione di vento leggero e solare.
Tra nostalgie e amari presagi attraversa con naturalezza, penetrando, accorata e lamentosa nelle increspature, ma senza clamore, come a planare e suggerire impalpabile uno stato d'animo.

Vengon fuori canzoni come amare inconsolabili riflessioni, piene di notevoli spunti da ricordare, che non si abbattono rovinose col proprio peso, piuttosto invitano a meditare escapismi sempre possibili, circostanze solvibili, taumaturgicamente. (“decision by the airport”, “change the world all around”, “hold me tight”).

Brani come la title track o “drive somewhere”, rispecchiano in sé apatie esistenziali comuni a tutte le generazioni di giovani, e diffondono, col proprio esotico candore, memorabili emulsioni di tristezza.
Un surplus intangibile e metafisico a base di hand-clapping, strumenti acustici, senso casalingo, in nitidi impianti di pop-melodico, di pulsazioni country e rhythm and blues.

Si producono visionarie risonanze di colori acrilici che scendono senza carico da questo cosmo di foschie, dando vita a un balsamico quanto inatteso senso ottimista; progettando assieme, intriganti, fiducie e istanze di rinnovamento, risoluti commiati dai più comuni malesseri quotidiani.
(primavera, 2005)

 

 

THE ZOMBIES- Odessey And Oracle (1969), GORKY'S ZYGOTIC MYNCI- Barafundle (1997) (Affinità possibili...)

Riascoltando Barafundle dei Gorky's Zygotic Mynci, non possiamo non ravvisare qualche affinità contenutistico simbolica con Odessey and Oracle degli Zombies. Ma è possibile accostare Zombies e Gorky's, due gruppi distanti trent'anni in cui nel mondo, e nella musica, è accaduto tutto e il proprio contrario? Saremmo tentati a farlo.
Noncurante, questa musica si stringe assieme, oltre le dimensioni di spazio e

di tempo.
Già le copertine sono "oracoli", enigmatici giochi di prestigio, stranianti contenitori, prismi accecanti, irradianti: si rispecchiano idealmente; nella propria naivetè una sfida a farsi svelare.
Colpisce in ambi i casi l'intensità, la lirica delicata onirizzante lucentezza delle sequenze di brani che stordiscono e rasentano la soglia del miracoloso.
Ancora: due coppie di scrittori ciascuno, due sensibilità distinte a lavoro magicamente a fuoco, egualmente vincolati l'uno all'altro: il duo Argent/White per Zombies e Lawrence/Childs per Gorky's. Con due compositori così affiatati si entra con prepotenza nella Storia, da sempre. Quando uno dei due abbandona, la coesione viene a mancare, e quella magica alchimia che era in atto si disperde nel vento come un castello di carte da gioco.
La dimensione evocata di tradizione, di misticismo, di surrealtà, d'inconscio, e un desiderio di redenzione: sarà tutto ciò a tenere incollati ai neuroni innumerevoli passaggi e leggiadri particolari di questi magici e iridescenti spettri armonici, reciproci padri e figli.

Dalla rose for emily (una sorta di riedizione privata della for no one meccartniana) a diamond dew, da beechwood park a dark night, da time of the season a patio song, dalle brief candles al barafundle bumbler, da hang up on a dream a sometimes the father is the son.
Climi e chiaroscuri densi di lirismo, di pathos struggente stordente, cui si cede, presto, fatalmente, ogni strumento di difesa. Si evoca un cielo rigonfio di nubi a far poi spazio, d'incanto, ad una luce scintillante che illumina ogni cosa.
Come risultato si ha l'impressione, la convinzione, che l'insieme vada oltre la somma delle proprie parti non esaurendosi con l'ascolto, intervenendo sulla percezione delle cose, d'ora innanzi. Come aleggiasse un supremo senso ottuso barthesiano .
Capolavori del genere, è chiaro, non é lecito attenderle ad ogni.. cambio di stagione. Quando sbocciano si donano e si ricevono. Li accogliamo sempre con premura, sgomento, euforia.
(maggio 2002)