Le stagioni di Enzo Carella e Pasquale Panella


 

Dev’essere stata una sera anomala a Roma a segnare un incontro importante per il pop italiano. Una sera un po’ somigliante ai due protagonisti di questa vicenda, sfuggente, sospesa, stranita.
Loro sono Enzo Carella, chitarrista e cantante e Lino Panella, poeta, scrittore, interprete, ‘calembour’.
Tra loro fu subito amicizia, empatia. Assieme scavalcarono il muro di cinta della nostra musica leggera, intraprendendo un viaggio ancora in corso.

“Lei si rivede ragazza
Come se la porta di casa
L’avesse aperta
Ecco che esce da sé”


Tutto prese forma e vita in un 45 giri del 1976: “Fosse vero/Si rivede ragazza”, che inaugurò una ‘nouvelle vague’ pop sottile, mutante e striata che combinava forme musicali e immagini parlate in una filigrana che strega, che è gioco dialettico dai riflessi abbacinanti.
Salta all’occhio la scaltrezza strumentale e un’esemplare, magnetica fluidità melodica. Si innesca poi l’ordigno dei testi in un continuo e lucido flashback mnemonico tra vita vissuta, stranezze ed enigmi, tuffi onirici e slanci pindarici. Un cascame di visioni e fogge per cui ogni cosa nel racconto danza, volteggia e muta senza mai posarsi nè risolversi.

Quando si levano le prime note dell’album “Vocazione” (1977, It Jeans/RCA) quella sera riluce a giorno; inducendo chissà come e di soprassalto pittoresche sembianze pop che ancora oggi riescono a suonare come nient’altro.
La sinuosa, felpata azione di Carella plana snella su ogni soggetto, istantanea, invenzione che Panella incrocia in rima, un florilegio inarrestabile con cui aggirano e raggirano le abitudini, in cui si beffa e si rivolta l’iconografia pop nostrana.ta Fabio Pignatelli dei Goblin fa il resto, a lievitare il miracolo. L’esordio di Carella vanta una scaletta esemplare, dai ludici deliri mistici e le assonanze fonetiche di “vocazione” alla candida, sensuale iniziazione di “guarda l’uccellino” dallo splendido finale convulso; sino all’appetibile pop-funk mediterraneo di “fosse vero” e “malamore” che in staffetta chiudono il lato A e inaugurano il B senza far sospendere l’incredulità.
Quando poi si approda, sedotti, a vivaci sarabande come “la serietà”, o a surreali baruffe tra innamorati -“l’anima pagliacciona”- ci si persuade di riconoscere qualcosa di.. completamente nuovo.

È con dischi come “Vocazione” con i suoi percorsi inconsueti che il pop italiano si trova a cambiare, come dopo un vuoto mnemonico, si scopre diverso, alterato.

Sul finire degli anni settanta, la collaborazione tra Carella e Panella significava reciproca indissolubile appartenenza artistica: a ciascuno dei due le chiavi dell'altro, reciproci interpreti. E quanti già pendevano, inconsapevoli, da quelle labbra, da quei gesti.

“I cantanti sono parecchi. Enzo Carella è il meno parecchio di tutti”. Così ripensa Panella il socio, anni dopo. Ascoltando “malamore", Lucio Battisti affermò che Carella era il solo cantante italiano che lo intrigasse. E che, non a caso, gli fornì l'input decisivo a quel rinnovamento artistico, traumatico e necessario che conosciamo.

 

“Senza di te
Navigherò
In barche a veleno”

Il 1979 concede il bis. A scagliare in orbita il fenomeno carelliano è un ciclone di canzone dal nome “Barbara”, così autentica da poterla sfiorare. C’è tutto il bello dell’infatuazione amorosa, mescolanza di percezioni tattili sapori, odori, confidenze e capricci tra innamorati. Una torrida follia avvolta in una luce scintillante.
In “Barbara e altri Carella” (1979, It Jeans/RCA) salgono insomma febbre e ambizione. I due autori vanno a mille e imboccano un concept che deviando sul modello colto di tragedie liriche, scopre assonanze, continuità e innesti con le ‘passioni di vita quotidiana’.
Tra sacro e profano, mito e realtà, si scopre uno stesso motore scatenante.

Chi acquistò l’LP “Barbara e altri Carella”, spinto dall’interesse del successo sanremese di Barbara, aprendo il booklet potè incrociare incredulo passi panelliani miscelati, tra gioco e impegno, a citazioni d’Otello, della Carmen o della Traviata, eccetera.
Nelle sue tormentose, confidenziali altalene amorose, questo album è un’estasi pop travolgente. Oltre a “Barbara” e alla rivisitazione di “malamore”, che condanna a vivere d’amore abbandonati, una magia: “amara”, vertigine e ossessione nel suo sottendere banchetti afrodisiaci, fluidi magici, invisibili strumenti di seduzione: si dedica a Brillat-Savarin, intellettuale gastronomo.

L’evidente fiuto melodico di Carella si leva in continue fantasie strumentali (ancora Pignatelli al basso, M. Guarini a piano e tastiere, assieme a Pennini alle chitarre), la cui complessa semplicità è divenuta nel tempo proverbiale.
Più in là appare un’altra figura mitica, la Carmen: raccontata dai nostri diventa “Carmè”, dal golfo di Sorrento. E da una ghirlanda di corde e tasti a incipit del brano erompono sensualità e passione.
Carmè, luogo di perdizione e aura smaniosa, è un irrevocabile congedo tra amanti a suon di battibecchi, giochi e vezzi amorosi, vocalizzi istrionici. Che si ferma un attimo prima del tormento, un tormento sublimato in “Parigi” (“sotto i grigi cieli”), istantanea vasta come nessun’altra e come nessun’altra allegoria dell’animo d’amante abbandonato.
Un dolce naufragio che si raddensa sino ad estinguere nel flusso dei propri affanni e rimpianti.

Un paio d’anni dopo è la (s)volta di “Sfinge” (1981, RCA), terzo album di Carella in quattro anni.
La donna/leonessa egizia si staglia maestosa e sibillina su uno sfondo di immutabile tonalità chiara, azzurra, mentre una brezza leggera sale dal mare e giunge alla costa, contaminando la musica.
Disco di pop sofisticato ed elegante nuovamente ispiratissimo, “Sfinge” è scritto e interpretato da grido, arrangiato e prodotto da Elio D’Anna, ex sax degli Osanna, musicista di spiccata sensibilità che assesta lo slancio fatale.
Per molti è proprio questo l’episodio migliore della carriera di Enzo Carella, il colpo d’ala autentico.
Lui è ormai scaltro araldo di un linguaggio lieve e sensuale, chiaro-scuro, limpido-torbido, sviluppato e arricchito sempre e solo su se stesso.
Nessun battistrada sanremese questa volta ad ornare o gravare la raccolta. Fuga ogni equivoco lo stesso insieme: “Sfinge” è forte in sé, una fenomenale prova di forza creativa e di collettivo: una bruciante ‘koinè’ del pop nostrano con pochi eguali.
Anzitutto il titolo, geniale, ambiguo, cruciale, simbolico, tra illusione e riflessività, e poi in questa parvenza muliebre felina, sensitiva ed enigmatica l’ultima, risolutiva ‘forma’ al desiderio carelliano.
Essa induce e stimola un atteggiamento diverso, contemplante, passivo. Facendosi bramare, l’amante accende di desiderio l’amata.
La scaletta dei pezzi offre intriganti pastiches stilistiche senza soluzione di continuità, un misto infettante di funk, jazz, creolo, sino a certa ‘saudade’ tipica dei primi album di un altro incontenibile creativo, Alberto Camerini.

Come su un’ondata scorrono dediche e fughe, ‘brucianti nostalgie’, rapidi incontri, fulmini e vapori. Spasimi sentimentali che investono tutti, dal protagonista ‘fisico’ Carella, alla ‘mente’ Panella, ai ‘coreografi’ strumentisti, sino all’ascoltatore. Tutto è spontaneo, speziato, allettante e intrigante sino al parossismo.
Su “si, si può” il Lungotevere romano da passeggiare trascolora, accentuando colori ‘west coast pop’ da eterna estate californiana.
I flutti di mare, pensato allo stremo sino al delirio, sino all’avaria, riaffiorano a tormento nostalgico su “mare sopra e sotto” e “che notte (qui con te)”, in cui avviene l’abbandono, la definitiva capitolazione.

Dalla strepitosa intimità di “stai molto attenta” con incedere acustico sino al tripudio di tastiere a ritornello, Carella impara dai segni sulla propria pelle e reagisce. Più sfuggente, astuto, tenebroso, forse cinico, il suo verbo va ora a ribaltare il rapporto: la vittima si fa carnefice, la donna/musa/Sfinge non può più nulla, si porge.
“Sex show”, “lei no”, “riflessione finale” sono flash cinematici obliqui, estasi pop per cortometraggi d’intrigo estivo con epilogo non scritto, storie animate e musicate in incessanti percussioni, volteggi di assolo elettrici a’la Larry Carlton e la somma densità di un sax indomito.

 


Questo è quanto sinora. Ogni cosa ci farebbe supporre un proseguo coi fiocchi, ma la realtà andò diversamente e la collaborazione tra Panella e Carella si fermò, si sospese.
Fino al 1992, in cui qualcuno di loro ricordando quanto fossero speciali quelle canzoni, pensò di ricominciare. Esattamente da dove interrotto.
Dal proprio pergolato Carella riappare dalla penombra (di copertina) a risvegliare un pugno di brani, roba da riempire solo mezzo lato vinile e affiancare riedizioni di pezzi del proprio repertorio storico; ma è sempre qualcosa. Qualcosa di buona qualità (“aspetta e s.p.a.”, “pensa se una”), e poi l’appetito vien mangiando. La raccolta si chiama “Carella De Carellis” (1992), e magari è un preludio a qualcosa di più sostanzioso…. che in effetti avverrà poco avanti, nel ’95.

“Fu quell’abbraccio forte
Che ci inchiodò”

“Se Non Cantassi Sarei Nessuno” dal sottotitolo “L’Odissea di Panella e Carella” (1995) è disco di culto anzitutto ‘forzato’ per l’esiguo numero di stampe in circolazione e per l’economia della sua costituzione. Ma è un culto ‘virtuoso’ in forza di come sbircia e persino precorre nuove tendenze stilistiche pop quasi da fermo, senza compromettersi l’anima.
Questa “Odissea” tratta una materia –stavolta sì- imprescindibile dalla corrente ‘liason’ tra Pasquale Panella e Lucio Battisti: avviene un compromesso, un triangolo mimetico per cui il diverso è ora medesimo.
Medesima è infatti la penna di Panella, non dissimili neppure le forme tra Battisti e Carella, con una maggiore “presunzione di canzone” per quest’ultimo. La recita felpata del nostro mormora in agrodolce stringata, essenziale, su effluvi di tastiere elettriche impalpabili che trascolorando duttili groove, si assimilano alla vegetazione. L’appetito è suscitato costantemente da una musica che si rapporta a un “piano bar creativo”.
Enzo Carella a metà anni ’90 è un novello Ulisse, un superstite col suo bizzarro, inopinato ritorno a Itaca. È rispuntato taciturno e parsimonioso, dopo quattordici anni come nulla fosse, entro un abito sobrio e tagliato su misura. Ma innumerevoli Telemaco lo riconoscono e lo ricordano.

Come gli Steely Dan del nuovo millennio producendo ‘solo’ accattivanti variazioni sul tema mantengono una certa licenza di stupire, così Carella, peraltro anticipandoli sfoggia intriganti “parti nude” “odissea”, “solitudine vera”, “la miseria”. Torna in vari episodi quella classe distintiva, la vecchia magia, connubio shock di armonie in panoramica e testi perpendicolari; da cui illuminanti paradossi e divertiti ribaltamenti di senso, per cui “che cos’è partire?..forse è un po’ partire”.

Il resto è storia recente, anzi recentissima: maggio 2007 quando arriva un nuovo disco, “Ahoh Ye Nanà” (2007, Sony BMG). Anticipato dal singolo “Oggi non è domani”, fulminante come fosse tornato l’istante dell’esordio, come da un profumo o un sapore arcano ritrovare il tempo perduto.
Si prova uno strano effetto di sorpresa e meraviglia. Enzo dichiara di esser tornato a cantare per la richiesta e l’interesse che il suo esemplare pop continua a suscitare nonostante il fardello di una discografia ancora ‘vinilica’. L’appetibilità fatta musica si trova ostaggio e miraggio, e per paradosso attende sempre una ristampa digitale. Ma un acerrimo gruppo di fans a cavallo di tre decadi è sempre lì a suggestionarsi del ‘come’ sempre può, quella voce, quelle parole, mostrarsi ancora “miraggio raggiante”.

Quando attacca il nuovo bridge alchemico della coppia Carella/Panella pensi a un miracolo, o semplicemente di non esserti mosso da lì, da allora, che il tempo sia tornato.
Enzo è sempre sardonico ma oggi come non mai è disposto a percorrersi a colpi di ironia. Forse è questo il principale, maggiore stimolo, il motivo scatenante a sovrintendere un tale inopinato rinnovamento artistico.

E così i semitoni e l’apparente latenza dell’ultimo disco dei ’90 si risvegliano in virgulti di corde a colore -opera dello stesso Carella e del tastierista e arrangiatore Fabio Raponi-, dilatando le infallibili melodie agrodolci di Enzo in mazzo di flash, vedute e visioni dai contrappunti irresistibili.
Viaggi di nostalgia in cui scorre ogni cosa, euforie e disincanti che “lasciano spine in noi”: “Pierina”, “Tramonto”, “Estrella misteriosa”, “La spina”, “la banalità”.

(estate, 2007)


 

Discografia

* Vocazione (1977, IT)
* Barbara e altri Carella (1979, IT)
* Sfinge (1981, RCA)
* Se non cantassi sarei nessuno (1995 - L'Odissea di Panella e Carella)
* Enzo Carella (2004, BMG Ricordi, Flashback, raccolta, 2cd)
* Ahoh Ye Nànà (2007, Sony BMG)